22 agosto 2014

LA FESTA DI SAN ROCCO: LA FEDE E’ PIU’ FORTE DELLE POLEMICHE

San Rocco_2014_chiesaBUM-BUM Sant'à Rroccu vinni e si ndi iau.
Per lo scigghitanu, la festa di San Rocco è un po' come Natale: la aspetti per un anno intero e poi...finisce subito.
Abbiamo aspettato che si calmassero le acque, per cercare di fare un bilancio di questa festa “anomala” ma, proprio per questo, bella.

Quest'anno abbiamo scelto di seguirle in silenzio le processioni. Siamo andati in controtendenza rispetto a quanto abbiamo fatto negli scorsi anni. Non è stato certo per fare uno sgarbo ai tanti scillesi che sappiamo ci seguono da lontano, in Italia e all'estero. L'abbiamo fatto perché abbiamo ritenuto opportuno ritrovare una condizione di normalità, che ci permettesse di vivere la festa nel suo significato più intimo.
Proprio per questo, ci siamo mischiati ai portatori e in particolare a quelli che “mbuttano” sotto le stanghe posteriori. Uno dei portatori, vedendo chi scrive lì in mezzo, chiede meravigliato: “E comu mai, nu geomitra a menzu all'operai?!
Quella domanda è stata sorprendente ma ha riassunto in sé il significato della festa di San Rocco.
Superata la sorpresa, gli ho risposto: “'U geomitra è 'bituatu a stari a menzu all'operai. Servi. Servi pi mantiniri 'i peri 'n terra.”

Tra tutti coloro che -a vario titolo- partecipano alla processione attivamente, senza dubbio il ruolo di “operai” tocca ai portatori. Non è stato un caso se abbiamo scelto di percorrere le strade del paese a fianco a quelli delle stanghe posteriori: sono quelli che non compaiono mai nella maggior parte delle fotografie che ritraggono le scene delle processioni, l'esatto contrario dei loro “colleghi” delle stanghe anteriori. Ma sono indispensabili.
San Rocco_ChianaleaE tra gli operai, tra questi speciali operai, i meno appariscenti, il geometra -da ingegnere dei poveri, cioè dei semplici- trova il suo habitat naturale.
E' lì, in mezzo a loro, dove l'aria è più calda e pesante di sudore, è proprio lì che si capisce cosa vuol dire sacrificio, impegno, fatica. Stare lì in mezzo per poche ore, è come vivere in un attimo un'intera settimana, un intero mese di lavoro.
E', quella dei portatori, una fatica offerta però con gioia, gratuitamente; un dovere verso un uomo santo, San Rocco, che ha abbandonato gli agi e le comodità della ricchezza terrena, per vivere la sua esistenza accanto ai malati, a quelli che usiamo definire “gli ultimi”.
Stare lì in mezzo aiuta a pensare, a riflettere, a capire in maniera diretta e forte che ognuno di noi ha un ruolo ben preciso in questo mondo, un dovere verso la gente, verso l'umanità. Troppo spesso ce ne dimentichiamo, perdiamo di vista le cose importanti, smarriamo noi stessi.
Ecco allora che l'occasione della festa, il trascorrerla -seppure per poco- tra i portatori, aiuta a tornare con i piedi ben piantati per terra: solo così si possono affrontare il sacrificio, la dura fatica; solo così si può gustare appieno la gioia conseguente alle mete raggiunte.
E' stato bello, un'emozione particolare stare tra i portatori. Certo, 'mbuttari -lo dico senza vergogna- non è misteri 'u meu, nel senso che la Natura ha fatto sì che quello non fosse il mio ruolo. Ma stare tra loro, scambiare con loro anche solo una battuta, un sorriso, una parola d'incoraggiamento quando la fatica si è fatta sentire maggiormente, questo l'ho fatto volentieri e con grande piacere, e scrivere qualche riflessione al riguardo è il minimo che possa fare.
Non è stato un caso se, sia alla fine delle processioni sia dopo la messa di lunedi sera, il parroco ha ringraziato, primi fra tutti, i portatori.
A dispetto del gran parlare che se n'è fatto sui giornali per le note vicende accadute in altri paesi calabresi -assurti, per questo, all'onore delle cronache, a Scilla abbiamo dimostrato che le processioni non sono altro che un atto di fede, e di questo possiamo andarne sicuramente più che fieri. Nessun giornale scriverà titoloni su questo, ovviamente. Noi, al contrario, da scigghitani, ci teniamo a ribadirlo ancora una volta, non per vanto, ma per correttezza: a Scilla, le feste religiose si fanno seriamente.

Qualcuno non sarà tanto d'accordo con quanto sopra, è nell'ordine naturale delle cose. Si potrà dire: vi sembra serio annunciare all'urbe et all'orbi che i fuochi si faranno, e poi dover assistere a un vero e proprio disastro pirotecnico?!

Beh, se proprio dobbiamo essere sinceri, il disastro pirotecnico è stato innegabile. Ma permetteteci di mettere un po' d'ordine e fare chiarezza in ciò che è avvenuto.

L'11 Agosto, la Commissione Tecnica Provinciale Materiali Esplodenti (C.T.P.M.E.) ha eseguito sopralluogo presso i siti indicati per lo sparo dei fuochi.  Tale Commissione, nominata dal Prefetto, è chiamata per legge ad esprimersi preventivamente riguardo alle condizioni di sicurezza, per la prevenzione di infortuni e disastri, in base all'entità delle accensioni per le quali si chiede l'autorizzazione nonché del prevedibile afflusso di pubblico.
La Commissione ha espresso parere positivo con prescrizioni per il trionfino e per i fuochi alla villa comunale, ma ha dato parere negativo riguardo all'area di sparo -sulla spiaggia, in prossimità del torrente Livorno- utilizzata in passato per i fuochi di mezzanotte.

Il 14 Agosto la Parrocchia ha inviato al Comune due note, con le quali in una relazione precisava la tipologia di fuochi per il trionfino e per la villa comunale;
Sempre il 14 Agosto, ditta Chiarenza ha presentato al Comune richiesta per l'autorizzazione all'accensione dei fuochi del trionfino (il 17) e per il lunedi 18. La ditta non ha potuto presentare richiesta per i fuochi di mezzanotte, non essendo ancora stato stabilito né il sito adatto né, conseguentemente, la tipologia di fuochi utilizzabili;

Lo stesso 14 Agosto, il Commissario Prefettizio rilascia l'autorizzazione richiesta per lo sparo dei fuochi del trionfino e della villetta comunale. Nell'autorizzazione vengono specificate le tipologie di fuochi utilizzate e vengono richiamate le prescrizioni dettate dalla C.T.P.M.E., tra le quali la precisazione -in entrambi i casi- che trattasi di “fuochi a terra”, definiti dalla normativa come fuochi destinati  a “funzionare  a livello del suolo (o in sua prossimità se posti su opportuni supporti) i cui effetti si possono tuttavia propagare fino ad un'altezza da terra limitata nel massimo a metri 20, con aperture di diametro non superiore a metri 12 e ridotti effetti sonori.”

Dunque, occorreva trovare subito una soluzione alternativa per poter sparare i fuochi di mezzanotte.

Il 15 Agosto, il Parroco don Francesco Cuzzocrea presenta al Comune la richiesta di autorizzazione per l'accensione dei fuochi in onore di San Rocco per domenica a mezzanotte, sulla spiaggia di Scilla, località Monacena, sito che soddisfa al requisito della distanza minima di sicurezza di mt. 50, previsto per la tipologia dei fuochi previsti.

Il 16 Agosto, nel primo pomeriggio, a poche ore dalla partenza della processione per marina Grande e Chianalea, verificata la rispondenza dei requisiti della nuova area di sparo di Monacena, ed ottenuti i “via libera” dal Commissariato di Pubblica Sicurezza di Villa San Giovanni e dalla Capitaneria di Porto, il Commissario Prefettizio concede l'autorizzazione per l'accensione dei fuochi di mezzanotte.
A sparare a Monacena però non è la ditta Chiarenza di Belpasso (CT), ma la ditta Sud Fireworks di Soriano Calabro.
Infatti, nonostante la corsa contro il tempo per ottenere l'autorizzazione dalla Prefettura di Catania per il trasporto dei fuochi, non si è riusciti a farli giungere in Calabria in quanto, trattandosi di materiale particolare, sono sorti problemi con le navi traghetto. Problemi che, vista la scadenza prossima degli appuntamenti previsti, sono divenuti insormontabili per la ditta siciliana.
E' stato perciò necessario ricorrere a una ditta “in continente” che, suo malgrado e nonostante la disponibilità e la buona volontà, si è ritrovata a dover approntare uno spettacolo pirotecnico in pochissimo tempo, con gli esiti che, proprio per i motivi che abbiamo cercato di ricostruire, sono stati sotto gli occhi di tutti.

In definitiva: si è fatto tutto ciò che era possibile fare per garantire che la festa si svolgesse nel rispetto delle tradizioni, fuochi compresi. Se la qualità degli stessi non è stata all'altezza della tradizione riconosciuta ai “fuochi di Scilla”, ciò è dovuto in primo luogo alla ristrettezza dei tempi in cui si è dovuto operare (solo cinque giorni tra il rilascio del parere preventivo della C.T.P.M.E. e la festa) e solo in seconda battuta alle prescrizioni vincolanti da cui il Commissario ha legittimamente ritenuto di non poter derogare (e di questo non gliene può essere addebitata colpa, avendo a che fare con la tutela dell’incolumità pubblica), al contrario di quanto in passato hanno sempre fatto i vari Sindaci, solo ed in quanto scigghitani.

Fin qui la vicenda-fuochi, che tanto ha fatto discutere, soprattutto chi non era affatto informato di come si sono svolti i fatti, sui quali speriamo di aver fatto la dovuta chiarezza.

Per quest'anno è andata così. Per il futuro, è necessario pensare a soluzioni definitive dei problemi riscontrati. Cosa certamente fattibile nel pieno rispetto delle norme di sicurezza in vigore, ma a una condizione: che tutti gli scillesi -Parrocchia, Amministrazione, Associazioni, Commercianti, Imprenditori, ecc. fino ai semplici cittadini, nessuno escluso- si mettano una mano sulla coscienza, si assumano ognuno le proprie responsabilità e s'impegnino in prima persona (anche dal punto di vista economico), senza contare nell'assunzione di responsabilità di un singolo (Parroco, Sindaco o Commissario che sia), che funga –a secondo dei casi e di come la si pensi- da eroe o da facile capro espiatorio.
Se così non sarà, che ognuno di noi se la prenda solo con sé stesso e con nessun altro.

San Rocco_2014

A parte la qualità dello spettacolo pirotecnico di mezzanotte, l'unico piccolo disagio dovuto alla mancanza dei botti si è registrato all'uscita dalla chiesa delle processioni, non annunciata dal consueto sparo di mortaretti e, per di più, in netto anticipo rispetto agli orari previsti, con la conseguenza che in parecchi si sono visti costretti a “rincorrere” la processione che si snodava lungo le vie scigghitane.
Per il resto, le processioni si sono svolte come negli altri anni, con la stessa intensità e partecipazione emotiva di sempre.

Un’ultima annotazione, di minore importanza: nelle due sere della festa, il palco montato in piazza è rimasto vuoto, nessuno spettacolo. Sotto questo aspetto la festa –se festa doveva essere anche dal punto di vista civile- ha lasciato tutti scontenti. Evidentemente, presi dalle impellenti necessità relative alla sicurezza –risolte in extremis, questo aspetto più “ludico” è stato giocoforza trascurato. Pazienza, la festa s’è fatta lo stesso.

S’è fatta lo stesso, sì, e due sono le immagini che ci restano scolpite nella memoria:
- le donne, che con le loro 'ntrocce alzate verso il cielo hanno fatto da ali al passaggio della statua in piazza, la sera del sabato. A ogni grido/invocazione di “Evviva San Rocco!” è corrisposta una loro preghiera: “Dona la salute ai portatori!”;
- un bambino che sulle spalle del padre (uno dei portatori) percorre l'ultimo tratto di strada verso la chiesa di fianco alla statua, con il braccio proteso e la mano poggiata sulla vara, a spingere con la sua forza da bambino, come a voler contribuire anche lui a portare San Rocco.
Ecco, queste due immagini della serata di sabato ci dicono che, con o senza fuochi d'artificio, la festa di San Rocco si continuerà a fare, perché gli scillesi hanno dimostrato che la loro fede in San Rocco è più forte di ogni polemica. Per questo continueranno ad onorare nel tempo il loro Santo Patrono, nel modo migliore possibile.

===============================================================================================

Due piccole precisazioni/integrazioni:

  • La Commissione Tecnica Provinciale ha espresso parere favorevole con prescrizioni solo per i fuochi alla villa comunale e non anche per quelli del trionfino, che sono stati invece autorizzati solo il 14 Agosto, previo parere favorevole del Commissariato di P.S. di Villa San Giovanni.

    In effetti, nell’autorizzazione rilasciata dal Comune, mentre viene specificato che il parere della Commissione Tecnica Provinciale si riferisce ai soli fuochi della Villa Comunale, relativamente al parere favorevole del V.Q.A. Leonardo è scritto che esso si riferisce “all’istanza sopra citata”, cioè (leggendo a ritroso) alla richiesta della ditta Chiarenza del 14 Agosto –relativa al trionfino e ai fuochi alla Villa Comunale.

Quindi, anche se nell’autorizzazione è scritto in maniera non direttamente chiara, se ne desume che:

    • i fuochi alla Villa Comunale hanno avuto due pareri favorevoli con prescrizioni (l’11 Agosto dalla C.T.P.M.E. e il 14 Agosto dal Commissariato di Villa San Giovanni);

    • per i fuochi del trionfino è stato dato parere favorevole solo dal Commissariato di Villa San Giovanni il 14 Agosto.

  • I colpi di annuncio della festa -la mattina del sabato e della domenica- e quelli all’uscita e all’entrata del Santo erano stati oggetto del contratto firmato con la ditta Chiarenza. Tuttavia, non erano consentiti -sia pur non direttamente menzionati negli atti-, richiedendo una distanza minima di mt 40, alla luce del parere della C.T.P.M.E. del 11 Agosto. Per tale motivo, non si sono potuti sparare.

Riguardo al parere della Commissione Tecnica Provinciale, ribadiamo che esso non è obbligatorio, in quanto la Commissione ha carattere consultivo. Tuttavia la Circolare demanda alla valutazione dell’Autorità di P.S. [in questo caso il Sindaco o il Commissario Prefettizio] l’opportunità di richiederlo in base all’entità dei fuochi e al prevedibile afflusso di pubblico.

considerazione finale. Poiché San Rocco è il Patrono di Scilla, la sua festa assume particolare significato non solo dal punto di vista religioso ma anche da quello civile. Ne consegue che tutti gli scillesi sono chiamati a onorarlo, sia chi è coinvolto anche dal punto di vista religioso (in quanto credente), sia chi, invece, è “solo” un cittadino scillese (o si dice essere tale), per quanto è nelle possibilità di ciascuno, nei modi e nei limiti previsti dalla legge.

Per il futuro, se c’è qualcuno che ritiene di avere soluzioni alternative, è il benvenuto: si faccia avanti e le proponga nelle sedi e nei modi opportuni.

Chi, invece, prima rimane nel silenzio e nel disinteresse e poi, a cose fatte, si arroga il diritto di criticare negativamente “a prescindere”, ignorando cioè volutamente fatti e circostanze contingenti, non merita altra risposta se non la sola verità dei fatti, così come ricostruita, documenti alla mano.

- See more at: http://www.malanova.it/2014/08/27/festa-di-san-rocco-il-parroco-continueremo-a-difendere-e-garantire-le-tradizioni-scillesi/#sthash.UVRLwy9W.dpuf

07 agosto 2014

L’AMORE AL TEMPO DEL PASTIFICIO

Tempo d'estate -almeno stando al calendario, perché il tempo è tutt'altro che estivo- tempo di discussioni poco impegnative. Durante una di queste discussioni è venuta fuori una storia che, nella sua semplicità, è di una bellezza che merita -secondo me- di essere raccontata.
Si parlava di Piano Strutturale Comunale (ovvero lo strumento che dovrebbe sostituire il piano regolatore): il Comune di Scilla ha deciso di associarsi con i comuni limitrofi di Bagnara Calabra, Sant’Eufemia d’Aspromonte, Santo Stefano d’Aspromonte, Sant’Alessio d’Aspromonte e Sinopoli. L'iter per l'approvazione è partito nel 2009 e dopo cinque anni.....simu ancora petri petri.

Lasciando da parte gli aspetti tecnici -che poco interessano, specie in questo periodo- si ragionava sui legàmi storico-culturali-economici tra i comuni associati.
Se con Bagnara è notorio che vi è sempre stato un rapporto molto stretto, sia per la vicinanza che per le comuni attività economiche, con gli altri comuni della fascia pre-aspromontana i legàmi sono stati sempre molto più sporadici, salvo casi particolari.

E quella che mi accingo a raccontarvi è proprio la storia di uno di questi casi particolari.

Siamo negli anni 1918/1920, subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Seppur provata dal conflitto, l'Italia ne esce vincitrice. Un giovane scillese, tornato dalla guerra, ricomincia a lavorare nel pastificio di famiglia. Ebbene sì, all'epoca a Scilla c'erano anche piccole attività economiche -chiamarle industriali è un po' esagerato. Era un'attività come quella svolta a Parma da Pietro Barilla, il cui primo marchio risale infatti al 1910.
Dunque, il giovane scillese -di cui non rivelo il nome, poiché non autorizzato, ma ciò ha poca importanza- si dà da fare nell'attività di famiglia.
Un giorno, dovendosi rifornire di farina, prepara il carro e parte alla volta di una località del comune di Sant'Eufemia d'Aspromonte, dove si trovava il mulino di fiducia. Arrivato a Sant'Eufemia, si reca dal padrone del mulino e si presenta:
<<Buongiorno, sono il figlio di.....,'u scigghitanu. Sono venuto io a prendere in consegna la farina...>>. Così, definiti tutti i dettagli economici (quantità, prezzo, ecc.) e il padrone del mulino diede ordine ai propri dipendenti di caricare il carro ru scigghitanu.
E mentre gli caricavano il carro, il giovane scillese diede un'occhiata in giro: la prima vardata non la riservò al panorama, 'chì a Sant'Eufemia -senza offesa- non è che ci sia così tanto da vedere, bensì 'a na beddha figghiola che travagghiava nel mulino e che, vada casu, era la figghia del padrone. Finito di caricare il carro, 'u scigghitanu pavò, salutò il padrone del mulino cu 'na stringiuta 'i manu, salì sul carro e partì, ma passu passu, in parte perché il carro era chinu e i bboi faticavano a trainarlo, ma soprattutto perché vuliva anche vardari un'ultima vota la beddha figghiola. La vitti, la vardò, la salutò cull'occhi. Ora sì che poteva tornare a Scilla.

La storia dei rifornimenti si ripeté con frequenza e regolarità e con la stessa frequenza e regolarità il giovane scigghitanu continuò, a ogni viaggio, l'esplorazione visiva della beddha calabrisella, la quale amprima non gli diede tanto sazio -com'è nella natura fimminina- poi, chianu chianu, cominciò a guardarlo pure lei, ma senza farsi notare. A pocu a pocu, le carte si scumbigghiaru: a ogni vardata di lui, corrispondeva una vardata di lei e viceversa. Lo scambio di vardatine avveniva naturalmente in quegli attimi in cui il padre della ragazza era distratto o impegnato dal lavoro. Insomma, varda tu 'chì ti vardu ieu, vardu ieu 'chì mi vardi tu, quello che era cominciato come un gioco di sguardi finì col diventare tuttu un discursu -'ché dalle parti nostre, si parla più con gli occhi che con la bocca, un discursu seriu: i due s'erunu 'nnamurati.

Rassaru passari un po' di tempo, giustu per fari maturari la cosa come si devi e poi il giovane scigghitanu, pigghiatu coraggiu, decise di rivolgersi al padrone del mulino non in quanto tale, ma in quanto padre di quella che era la so' zzita, sebbene ancora non ufficialmente.
Così, il giovane dichiarò ufficialmente le proprie intenzioni al padre della ragazza ma costui, guardatolo con severa area interrogativa gli spiò: <<Bene, ma tu chi hai da offriri a me' figghia?>>
Il giovane scigghitanu subito rispose entusiasta: <<Haiu un pezziceddhu di terra chi mi resi me' patri e 'u pastificiu!>>
Il padre della ragazza rimase per qualche istante in silenzio, poi disse perentorio: <<Non basta!>>
Sarebbi stata megghiu 'na cuteddhata, avrebbi fattu menu mali al cori dello scigghitanu, che non quelle due parole secche, perentorie.
Il giovane non ebbe altra scelta, almeno per il momento: vutau i ponti e se ne tornò ndo Scigghiu.

E qui, mentre il nostro percorre la strada del ritorno, consentitemi una riflessione: in quel <<Non basta!>> è racchiusa tutta la filosofia che a quei tempi dominava e che, ancora oggi, in alcune contrade nostrane è dura a morire. Potevi avere una, due...cento attività commerciali, ma se non avevi un bel po' di migliaia di metri quadrati di terra da coltivare  da cui trarre sicuro sostentamento, in provincia di Reggio, in Calabria, al Sud, non eri nessuno. Alla faccia dello spirito imprenditoriale!

Di converso, a Parma, in quegli stessi anni, una piccola attività come quella iniziata da Pietro Barilla, era invece la base per un'industria che nel dopoguerra avrebbe conquistato i mercati di tutto il mondo.

Mentre tornava a casa, il ciriveddho del giovin scillese firriava peiu delle pale di un mulino a ventu in una iurnata di scirocco. Il “soggiro -to be” (come dicono gli anglofoni) gli aveva lanciato una sfida, e 'u giuvinottu non aveva la benché minima intenzione di perderla: la posta in palio era troppo alta, quella ragazza era tutto per lui.
Così, pur se non mbiddhò occhiu e passò la notte a vutarsi e giriarsi ndo lettu comu 'na cutuletta 'mpanata, ci riflettì supra, e...la notti gli portò consiglio.

Ampestru iornu, decise di passari all'azione parlò della facenna con i cinque fratelli: spiegò loro che pi ddha beddha figghiola aviva intenzioni serî e disse loro della pesante condizione posta dal genitore di lei.
L'unica soluzioni possibili era quella di incrementare -chiamiamolo così- il "capitale terra" di sua proprietà. Perciò, era disposto ad acquistare tutte le proprietà che erano toccate in divisione agli altri fratelli, sempre che essi fossero stati d'accordo. Non  fu necessario aggiungere altro: i cincu frati si vardaru nda facci e si capisciru, con una semplice strizzatina d'occhio che accompagnò l'abbraccio di ognuno di loro al giovane fratello innamorato.
Trovato l'accordo, non persero tempo e scesero insieme dal notaio, che nel pomeriggio del giorno seguente rogò l'atto di vendita dei terreni a favore del giovine scigghitanu, che così divenne "possidente".

Il iaddho non aviva ancora finutu di cantari, che il giovine scigghitanu, ampestru matina, satò sul carro e partì a razzu, portando con sé "la carta" scritta dal notaio, l'atto ufficiale che certificava i suoi possedimenti.
Arrivò al mulino che il cori gli battiva forti, si guardò attorno ma della ragazza non c'era signu. In compenso, so' patri era ddhà, già al lavoro. Appena vitti al giovane scigghitanu, gli andò incontro con area severa:
- <<Bongiornu>> disse, pronto, il nostro.
- <<Bongiornu>> rispose, ‘sciuttu, il padrone del mulino.
Rotto il ghiaccio, il giovane pigghiò coraggiu -il coraggio che gli veniva dall'arma cartacea in suo possesso- e illustrando al suo interlocutore le ultime novità patrimoniali che lo riguardavano, porgendogli l'atto, disse risoluto: <<Eccu, se non ci criditi, liggiti vu' stessu!>>.
Il "soggiro-to be" liggì la carta scritta frisca dal nutaru. Ultimata la lettura, stette un po' con la testa china, pensieroso, mentre 'u scigghitanu, surandu friddu, girava e rigirava tra le mani il cappello, fino a farlo diventare nu scirupannu.

Dopo qualche manciata di secondi -che al giovin scillese sembrarono anni- il padrone del mulino guardò dritto in faccia o' scigghitanu e disse: <<Sta beni. A me' figghia v'a dugnu.>>
A quelle parole, come per un miracolo, dal nulla si materializzarono la moglie del padrone del mulino -nonché "soggira-to be", e lei, la promessa zzita. Il sole, che intanto era spuntato caldo e luminoso da dietro le montagne, suggellò e benedisse i due giovani.

Passò del tempo, per il regolare periodo dello zzitaggio ufficiale d'ordinanza, poi i due convolarono, finalmente, a giuste nozze.
Formata che fu la nuova famigghia, c'era ancora un'ultima cosa da sistemare.
Poco tempo dopo il matrimonio, infatti, 'u scigghitanu convocò di nuovo i fratelli. Stavota non ebbiru bisognu di dirsi nenti, si guardaru nda l'occhi -propriu come avevano fatto qualche mese prima- e decisero tutti insieme ch'era giunto il momento di mantener fede all'impegno che avevano assunto, a suo tempo, con gli abbracci e le strizzatine d'occhio: avevano un appuntamento.


Stabilito il giorno e l'ora, tornarono dallo stesso notaio, si sedettero attorno al tavolo e procedettero a formalizzare il loro patto fraterno: il neosposo cedette a ciascuno dei fratelli gli stessi terreni che essi gli avevano venduto per consentirgli di potersi fare zzito con la ragazza del suo cuore.

Lui che, suo malgrado, aveva dovuto diventar ricco per amore, non aveva più bisogno delle proprietà, delle ricchezze di tanta terra –più di quella, giusta, che gli era toccata in divisione. Ora poteva farne tranquillamente a meno. Aveva trovato la ricchezza che gli mancava, nell'amore per la sua sposa.