"I tempi sono sempre maturi per fare quel che è giusto"*. Cosi scriveva il reverendo Martin Luther King in una lettera inviata dalla prigione di Birmingham (Alabama), il 16.4.1963.
Pochi anni dopo, tra gennaio ad agosto del 1966, Chicago -città del Nord ma non esente dal bubbone dell'intolleranza razziale- fu la sede di una delle più grandi campagne lanciate dal reverendo King a favore dell'integrazione razziale, per cancellare i ghetti e i quartieri degradati, divenuti in quei giorni "una pentola a pressione di emozioni": la campagna ribattezzata Operazione breadbasket [ letteralmente cesto del pane, ma anche pancia (da saziare)]*.
Cinque giorni fa, dopo 42 anni (!), è stata proprio Chicago a certificare che i tempi erano maturi per un evento storico: festeggiare compatta il successo di un proprio "figlio", Barack Obama, neo eletto nuovo Presidente degli Stati Uniti d'America.
E' così che in questi giorni, per la via della capitale degli Stati Uniti, dopo i festeggiamenti la domanda più ricorrente è: come ti senti? cosa provi?
E' la domanda che i bianchi fanno ai loro connazionali neri, da martedi scorso. Tanti, non sono riusciti a trattenere le lacrime. Lacrime di gioia, di commozione certamente, ricordando i sacrifici fatti, i soprusi e le umiliazioni subite dai neri americani nel Paese che, nonostante tutto, si è sempre definito una delle culle della democrazia occidentale.
Agli americani sembra strano porsi questa domanda e qualcuno ci scherza sopra.
Si dice sia stata la negligenza dell'Amministrazione Bush -un presidente che proviene da una famiglia "patrizia"- ad aver favorito l'elezione del primo Presidente nero.
I neri, con tipico humor autoironico, dicono che il mondo è messo così male che nessun bianco ha voglia di "ripararlo" e hanno quindi preferito rovesciare tutto sulle spalle di un nero.
Ma, come nota giustamente Nicholas Kristof sul New York Times di oggi, l'elezione di Obama è una pietra miliare nella storia americana al di là del colore dei pigmenti della sua pelle e -aggiungo io- di quello che può pensare quel buontempone del nostro Presidente del Consiglio, con il suo incomprensibile "umorismo".
E' dai tempi di Kennedy che gli Stati Uniti non hanno un Presidente così "intellettuale", che ama circondarsi delle menti migliori che il Paese sia in grado di offrire, che ha delle idee, che abbia il carisma di un vero leader.
La cosa fa ancora più risalto dopo otto anni (sedici se si considerano anche i due mandati Clinton), nei quali hanno governato amministrazioni formate da politici purosangue o da "potentati" di famiglia che -utilizzando tutti i mezzi a loro disposizione, guerre comprese- hanno mirato più a conservare il loro potere che a portare avanti una nuova idea della politica.
Si avvertiva da tempo questa necessità di cambiamento, dopo anni di paura conseguenti agli attentati del tristemente famoso 11 settembre; dopo anni di guerre che sono state il frutto -almeno nel primo periodo- più di una reazione naturale che di un disegno coordinato ed efficace e che hanno finito -come nota Frank Rich, sempre sul NYT- "col far rivoltare gli statunitensi l'uno contro l'altro, nel nome del patriottismo".
Adesso, a complicare le cose, s'è aggiunta anche la crisi economica, che è anche la crisi del liberismo puro, espressione di quel capitalismo che diventa pericoloso quando finiamo col giudicare il nostro successo "in base alla scala dei nostri stipendi o alla dimensione delle nostre automobili, piuttosto che in base alla qualità del servizio che rendiamo all'umanità" (M.L. King)*.
La situazione a livello mondiale è molto delicata, non si può più attendere e, anche se al momento i due rami del Parlamento americano sono delle "anatre zoppe", bisogna agire subito.
"Ma nella vita siamo sempre nella mezzanotte, siamo sempre sulla soglia di una nuova alba" (M.L. King, 24.2.1956)*
Così, pur in questo tempo così difficile, con questo nuovo clima nel quale negli States stanno riscoprendo di non essere né whites, né blacks, ma semplicemente e solamente Americans, nell'attesa che i nuovi eletti, il prossimo 20 gennaio, accorrano nella capitale statunitense da ogni angolo dello sterminato Paese americano -come hanno fatto i loro predecessori al tempo delle diligenze- aspettiamo fiduciosi che sorga questa nuova alba sul cielo di Washington.
*N.B.:I brani citati sono stati estrapolati da "Martin Luther King -Autobiografia" a cura di Clayborne Carson
News, pensieri e parole (non di Battisti) dallo Scigghio calabrese. ‘Chi non vive per servire, non serve per vivere’
09 novembre 2008
02 novembre 2008
ALLA FINI, TUTTU CCA' RIMANI
Non pari, visto il ventinaio di gradi e la calurìa ru suli, ma simu a Novembri.
Oggi, ricorrenza dei defunti, divintamu tutti (i cristiani, almeno) picculi picculi. E' uno di quei giorni speciali, in cui ci si rende conto che c'è qualcosa o qualcuno più grande di noi, davanti al quale dobbiamo inevitabilmente fermarci, davanti al quale non simu nenti.
Fermarci, sì, a riflettere su quanto abbiamo fatto nella nostra vita, nel nostro lavoro, nel rapporto con la famiglia, con gli amici, con il prossimo.
Ognuno ricorda i propri cari defunti, coloro che -quand'erano ancora tra di noi- ci hanno insegnato a diventare ciò che ciascuno di noi oggi è.
Ma li ricordiamo non con tristezza, ma con un sorriso, figlio della gratitudine che dobbiamo loro e della nostra umana, cristiana speranza di poterli riabbracciare il giorno in cui ritorneremo ad assumere sulla terra la nostra forma originaria: polvere.
Forse non è un caso che, proprio oggi, in un'agenda di qualche anno fa, abbia ritrovato un pensiero che mi aveva molto colpito.
"Fratelli della Grande Prateria ora voi dovete ricominciare la vostra vita e dimenticare gli insegnamenti dei vostri padri.
Per diventare come l'Uomo Bianco e per imparare a vivere nel suo mondo, dovrete imparare ad accumulare cibo e ricchezza solo per voi stessi, e dimenticare i poveri e gli altri uomini, che non sono fratelli, ma selvaggina da cacciare.
Dovrete costruirvi una casa di legno e di pietra, e, quando la vostra casa sarà costruita, dovrete guardarvi intorno e cercare quale altra casa e quali altri ricchezze potrete portare via al vostro vicino.
Perché questa è la maniera dei bianchi e questo è il mondo nel quale il nostro popolo ora dovrà imparare a vivere e sopravvivere."
Nuvola Rossa (capo Lakota Sioux)Oggi, ricorrenza dei defunti, divintamu tutti (i cristiani, almeno) picculi picculi. E' uno di quei giorni speciali, in cui ci si rende conto che c'è qualcosa o qualcuno più grande di noi, davanti al quale dobbiamo inevitabilmente fermarci, davanti al quale non simu nenti.
Fermarci, sì, a riflettere su quanto abbiamo fatto nella nostra vita, nel nostro lavoro, nel rapporto con la famiglia, con gli amici, con il prossimo.
Ognuno ricorda i propri cari defunti, coloro che -quand'erano ancora tra di noi- ci hanno insegnato a diventare ciò che ciascuno di noi oggi è.
Ma li ricordiamo non con tristezza, ma con un sorriso, figlio della gratitudine che dobbiamo loro e della nostra umana, cristiana speranza di poterli riabbracciare il giorno in cui ritorneremo ad assumere sulla terra la nostra forma originaria: polvere.
Forse non è un caso che, proprio oggi, in un'agenda di qualche anno fa, abbia ritrovato un pensiero che mi aveva molto colpito.
"Fratelli della Grande Prateria ora voi dovete ricominciare la vostra vita e dimenticare gli insegnamenti dei vostri padri.
Per diventare come l'Uomo Bianco e per imparare a vivere nel suo mondo, dovrete imparare ad accumulare cibo e ricchezza solo per voi stessi, e dimenticare i poveri e gli altri uomini, che non sono fratelli, ma selvaggina da cacciare.
Dovrete costruirvi una casa di legno e di pietra, e, quando la vostra casa sarà costruita, dovrete guardarvi intorno e cercare quale altra casa e quali altri ricchezze potrete portare via al vostro vicino.
Perché questa è la maniera dei bianchi e questo è il mondo nel quale il nostro popolo ora dovrà imparare a vivere e sopravvivere."
Fort Laramie 6-11-1869
Sono le amare ma sagge parole di un capo che aveva da poco realizzato l'inutilità delle guerre, imprigionato, cotretto a firmare la resa del suo popolo, della sua civiltà, sconfitto.
Parole pronunciate in questi stessi giorni 140 anni fa, ma la cui attualità -nella nostra società "civile"- è a dir poco sorprendente.
Mi piace ricordarle proprio oggi, secondo giorno del mese che -quando ancora le stagioni erano regolari- i Lakota chiamavano "Luna dei vitelli che mutano il pelo", mentre i nostri avi negli orti, usavano ancora chianiari i brocculi*.
E' un monito, quello del valoroso capo indiano. Una fotografia di noi stessi, di quello che -malgrado tutto- siamo (in parte) diventati o rischiamo (sempre più) di diventare.
E' giusto l'esatto contrario di quanto la religione cattolica -con la quale le credenze e la saggezza degli indiani d'America presenta sorprendenti analogie- ci ricorda spesso, anche con l'odierna ricorrenza.
E' perfettamente inutile accumulare ricchezze, case, terreni, portandoli via agli altri, facendo loro del male e finendo col comportarsi come bestie, perdendo la propria dignità di persona.
Dicivunu 'i 'ntichi: alla fini, tuttu ccà rimani.
Non serviranno a niente, il giorno in cui ci presenteremo davanti alla tenda di Dio (o Manito, come lo chiamavano i Sioux), nei beati territori di caccia del paradiso.
*N.B.: Pratica agricola che consisteva nel rendere piani i solchi dove erano piantati i broccoli.