(trasposizione di “Dolcenera” di F. De Andrè)
'A viri, è ddhà, criri a mia, vi' com'è, vi' com'è
'A viri, è ddhà, criri a mia, iddha è, iddha è.
'A viri, è ddhà, criri a mia, a mia, vi' com'è
'A viri, è ddhà, criri a mia, iddha è, iddha è.
Era 'i latu ‘i mia ‘u iornu ch’ ‘a canuscìa,
era vicinu 'a riva e nuddh' atra c'era, cusì beddha 'ntera.
Beddha accusì forti, ch'u me' cori iapriu li porti.
Chi si' beddha tu lu sa' già,
nun cangià, nun cangià.
Beddha, di modi colti, di paroli sempr' accorti,
beddha pi comu ragiuna, ma cosa strana, di mia nun s'adduna. 'Dduna.
Beddha tu sì m'appari, non ti pozzu cchiù scurdari.
'A vardu e mi fa' strambà,
sì, lu sa, sì lu sa.
Ma poi 'rriva lu 'mbernu e 'u suli n'o' viri
'chì si stuta, va beh, cchiù di tantu non dura.
E 'u me' cori, 'u me' cori mi ti viri è cuntentu,
com' o' suli, 'n sicundu, puru sulu 'n mumentu.
Beddha, pricisa e netta, ridi, 'u scherzu 'ccetta.
Beddha chi l'occhi sciali, chi non hai eguali, chi sa' quantu vali. Vali.
Beddha chi tutt’ affronti, di risposti sempri pronti.
Chi si' beddha tu lu sa' già,
nun cangià, nun cangià.
Ma poi 'rriva lu 'mbernu e com' 'u suli non pari,
'u me' cori s'abbatti, 'chì i me’ occhi non sciali.
Esti sulu e si unchia, com' 'a barca chi 'nfunda,
è 'na botta chi “ttà”, 'u me' pettu si spunda.
'A viri, è ddhà, criri a mia, vi' com'è, vi' com'è
'A viri, è ddhà, criri a mia, iddha è, iddha è.
Beddha chi quandu 'a vitti, occhi me’ non vi criritti.
Beddha chi se mi spìi, rispundu: felici ti vogghiu viriri.
Beddha l'occhi non stanchi passandumi davanti.
‘A vardu ieu camina’,
sì, lu sa, sì lu sa.
Ora puru li petri ch’ accarizzi ch’ i ‘ita,
chiusi nta la to’ manu pari pigghiunu vita,
ma li petri e ‘stu cori han distini diversi,
ra to’ manu ddhu iornu, ‘na carizza la persi.
Beddha si’ quand’ ‘a sira fa' la testa mi ma gira:
passi, sfili tra la genti, cusì sorridenti ma fa’ finta ‘i nenti.
E non sa' comu lori, beddha ‘ntera lu me’ cori.
Sì, mali lu fa’ sta’
Ma non sa, nun lu sa.
E poi ‘rriva lu ‘mbernu e quandu 'u scuru già scindi,
ddu' gabbiani pusati, su' comu angiuleddhi.
Eccu l'ali han iazatu, ora fannu 'na danza,
e pi 'n pezzu lu tempu, non ha cchiù impurtanza.
Cusì tu nto me’ cori ch' hai tuccatu cu l'ali,
com' a 'n angilu veru, sì continui a vulari.
'A viri, è ddhà, criri a mia, vi' com'è, vi' com'è
'A viri, è ddhà, criri a mia, iddha è, iddha è.
'A viri, è ddhà, criri a mia, a mia, vi' com'è
'A viri, è ddhà, criri a mia, iddha è, iddha è.
News, pensieri e parole (non di Battisti) dallo Scigghio calabrese. ‘Chi non vive per servire, non serve per vivere’
18 marzo 2010
16 marzo 2010
CHIDDHU CHI VINDIVA 'A NIVI
E' incredibile come, a volte, la storia possa farsi conoscere da sola, possa raggiungerti direttamente a casa.
Ieri sera ascoltavo la radio e saltando da una stazione all'altra, capito su radiotre. Di solito è il canale radio rai che offre musica classica, opere, ecc., insomma:roba seria.
Ieri sera no. In un programma si parlava dei vecchi mestieri di una volta. Tra di essi, il carbonaio ('u carbunaru) e quello che mi ha colpito di più: "chiddhu chi vindiva 'a nivi".
Gli autori del programma intervistavano un anziano ultraottantenne di un paesino situato sulle pendici dell'Etna, il quale raccontava come si svolgeva il suo mestiere.
Ma, senza andare fin sull'Etna -anche se poi non è mica così lontano- anche dalle nostre parti un tempo c'era "chiddhu chi vindiva 'a nivi".
Scilla, pur essendo molto più conosciuta come località di mare, è per estensione territoriale il secondo comune della provincia reggina. Si parte dal livello del mare, per arrivare fino ai 1800 mt. di Monte Nardello -dove c'era l'ex base USAF ri 'mericani.
In questa parte del territorio scigghitano, situato praticamente al di sopra della località ri "Quarti",servita all'epoca da una vecchia strada comunale, esistevano numerose "fossi ra nivi".
Non erano altro che enormi buche scavate nel terreno, le cui dimensioni volumetriche erano pari a quelle di una stanza, che nel rigido periodo invernale venivano riempite di neve, sia a causa delle precipitazioni naturali, sia perché erano gli uomini a raccogliere la neve e a "custodirla" all'interno di queste enormi fosse, che venivano poi opportunamente segnalate e ricoperte con rami di felci.
La particolare raccolta durava fino al mese di febbraio-marzo.
Con l'avanzare della primavera, gli uomini tornavano quindi sul posto e prelevavano il quantitativo di neve che il mercato richiedeva. I particolari "recipienti" favorivano infatti la conservazione della preziosa materia prima che, a causa della stessa temperatura naturale del terreno, si trasformava presto e facilmente in ghiaccio.
Questo ghiaccio naturale veniva quindi portato giù in paese e distribuito nei bar, pasticcerie e/o nei ristoranti sia di Scilla che dei paesi vicini (Bagnara, Villa, ecc.) e, a detta dell'anziano catanisi intervistato alla radio, rendeva anche parecchi soldi in più rispetto al carbone.
Infatti, il ghiaccio portato da "chiddhu chi vindiva 'a nivi", era molto ricercato poiché utilizzato sia per rinfrescare le bevande, che per conservare meglio gli alimenti, che per...fare le granite.
Il procedimento era il seguente: in un recipiente grande si metteva la neve; all'interno, se ne metteva un altro di dimensioni più piccole, al cui interno venivano combinati nelle giuste proporzioni acqua, zucchero e una purea di vari tipi di frutta, a seconda del gusto che doveva avere la granita. Dopo una "semplice" operazione di mescolamento continuo degli ingredienti, grazie al potere raffreddante della neve, la purea di frutta solidificava in quei piccoli cristalli ghiacciati: la granita appunto.
L'epopea 'i chiddhu chi vindiva 'a nivi, dell'uomo che d'estate tutti aspettavano per ristorarsi e sollevarsi dalla forte calura del sole calabrese, ebbe fine con l'avvento dei frigoriferi, arrivati in Italia subito dopo la guerra, nei primi anni '50.
Da allora, anche nei bar dei paesini più piccoli e spirduti, chi è in cerca di refrigerio non aspetta più "chiddhu chi vindi 'a nivi". Gli basta semplicemente aprire uno sportello.
Ascoltando questa storia ieri sera, mi son tornate alla mente le parole di un anziano zio mio, che ancora oggi, forse perché memore dei ritardi che l'uomo della neve accumulava dovendo servire tanta gente sotto l'infernale afa estiva calabrisi, simpaticamente esclama: mannaia a chiddhu chi vindi 'a nivi!
Ieri sera ascoltavo la radio e saltando da una stazione all'altra, capito su radiotre. Di solito è il canale radio rai che offre musica classica, opere, ecc., insomma:roba seria.
Ieri sera no. In un programma si parlava dei vecchi mestieri di una volta. Tra di essi, il carbonaio ('u carbunaru) e quello che mi ha colpito di più: "chiddhu chi vindiva 'a nivi".
Gli autori del programma intervistavano un anziano ultraottantenne di un paesino situato sulle pendici dell'Etna, il quale raccontava come si svolgeva il suo mestiere.
Ma, senza andare fin sull'Etna -anche se poi non è mica così lontano- anche dalle nostre parti un tempo c'era "chiddhu chi vindiva 'a nivi".
Scilla, pur essendo molto più conosciuta come località di mare, è per estensione territoriale il secondo comune della provincia reggina. Si parte dal livello del mare, per arrivare fino ai 1800 mt. di Monte Nardello -dove c'era l'ex base USAF ri 'mericani.
In questa parte del territorio scigghitano, situato praticamente al di sopra della località ri "Quarti",servita all'epoca da una vecchia strada comunale, esistevano numerose "fossi ra nivi".
Non erano altro che enormi buche scavate nel terreno, le cui dimensioni volumetriche erano pari a quelle di una stanza, che nel rigido periodo invernale venivano riempite di neve, sia a causa delle precipitazioni naturali, sia perché erano gli uomini a raccogliere la neve e a "custodirla" all'interno di queste enormi fosse, che venivano poi opportunamente segnalate e ricoperte con rami di felci.
La particolare raccolta durava fino al mese di febbraio-marzo.
Con l'avanzare della primavera, gli uomini tornavano quindi sul posto e prelevavano il quantitativo di neve che il mercato richiedeva. I particolari "recipienti" favorivano infatti la conservazione della preziosa materia prima che, a causa della stessa temperatura naturale del terreno, si trasformava presto e facilmente in ghiaccio.
Questo ghiaccio naturale veniva quindi portato giù in paese e distribuito nei bar, pasticcerie e/o nei ristoranti sia di Scilla che dei paesi vicini (Bagnara, Villa, ecc.) e, a detta dell'anziano catanisi intervistato alla radio, rendeva anche parecchi soldi in più rispetto al carbone.
Infatti, il ghiaccio portato da "chiddhu chi vindiva 'a nivi", era molto ricercato poiché utilizzato sia per rinfrescare le bevande, che per conservare meglio gli alimenti, che per...fare le granite.
Il procedimento era il seguente: in un recipiente grande si metteva la neve; all'interno, se ne metteva un altro di dimensioni più piccole, al cui interno venivano combinati nelle giuste proporzioni acqua, zucchero e una purea di vari tipi di frutta, a seconda del gusto che doveva avere la granita. Dopo una "semplice" operazione di mescolamento continuo degli ingredienti, grazie al potere raffreddante della neve, la purea di frutta solidificava in quei piccoli cristalli ghiacciati: la granita appunto.
L'epopea 'i chiddhu chi vindiva 'a nivi, dell'uomo che d'estate tutti aspettavano per ristorarsi e sollevarsi dalla forte calura del sole calabrese, ebbe fine con l'avvento dei frigoriferi, arrivati in Italia subito dopo la guerra, nei primi anni '50.
Da allora, anche nei bar dei paesini più piccoli e spirduti, chi è in cerca di refrigerio non aspetta più "chiddhu chi vindi 'a nivi". Gli basta semplicemente aprire uno sportello.
Ascoltando questa storia ieri sera, mi son tornate alla mente le parole di un anziano zio mio, che ancora oggi, forse perché memore dei ritardi che l'uomo della neve accumulava dovendo servire tanta gente sotto l'infernale afa estiva calabrisi, simpaticamente esclama: mannaia a chiddhu chi vindi 'a nivi!
03 marzo 2010
LA QUARESIMA CATODICA:TRA POLVERE, POLVERINI E POLVERONI
Parola d'ordine:penitenza.
Per i cristiani credenti e praticanti, è iniziata la quaresima. Dal 17 febbraio scorso, mercoledi delle ceneri, il giorno cioè in cui ci ricordano quello che eravamo e quello che ritorneremo a essere:polvere.
La stessa polvere che un fastidiusu ventu di sciroccu ci sta sbattendo in faccia da una giornata intera, facendoci assaggiare la sabbia del deserto libico.
Non è la stessa, ma sempre polvere è, anzi polverone, quello provocato nella presentazione delle liste.
In Calabria è stata esclusa (compreso il ricorso inammissibile) la lista del Partito Comunista dei Lavoratori.
Ora, ricu ieu, già non esiste più il partito comunista (o quasi) e quei pochi nostalgici fanno una fatica boia a convinciri il Sig. B. chi non si mangiunu cchiù i figghioli.
Ora, ricu ieu, già non esiste più il partito comunista (o quasi) e quei pochi nostalgici fanno una fatica boia a convinciri il Sig. B. chi non si mangiunu cchiù i figghioli.
In più, oltre chi comunista, questo poveru partito dovrebbe essere dei lavoratori. Ma quali?
I 400 prossimi cassintegrati del porto di Gioia Tauro o quei poviri cristi che sputano l'anima per 16 ore al giorno e ci rimettono la pelle sui piloni o dentro il cemento della "nuova" autostrada?
I lavoratori extracomunitari, chi si ndi fuiru i notti, o quelli che si accontentano di pochi spiccioli in un call-center o servendo ai tavoli di un locale pur avendo tri lauree, piuttosto che muriri di fami o abbandonare la propria terra?
A parte la Calabria, la purbirata cchiù grossa è stata chiddha sollevata nel Lazio dalla....Polverini!
Un'incredibile serie di errori, orrori e madornali distrazioni non hanno consentito la regolare presentazione della lista del PDL, con a capo appunto l'ex sindacalista Polverini (quando si dice un nome, un destino), la quale per ora è rimasta esclusa dalla competizione elettorale. La colpa, naturalmente, non è dell'inettitudine e dell'incapacità di chi era stato preposto a tale compito, ma dell'avversario politico -nello specifico i radicali- che hanno fatto notare l'irregolarità.
Ah, quant'erunu belli i tempi della vecchia DC o del vecchio PCI di scola sovietica!
Erano partiti che avevano strutture apposite, fatte di gente che studiava le norme nella più minima virgula e, in modo scientifico,predisponeva perfino la tattica migliore per arrivare per prima o per ultima a presentare le liste, in modo da risultare negli angoli più visibili della scheda elettorale e perciò più facili da individuare per gli elettori.
Mica si perdevano dietro a un panino o si distraevano per andare a chiudere la macchina lasciata in seconda fila!
Oggi assistiamo a un tragicomico balletto di miserevoli giustificazioni; a un continuo accusare gli altri di impedire il libero esercizio della burocrazia, attraverso il quale poter poi esercitare la democrazia.
E' un andirivieni dai tribunali di ogni genere (penale, civile, amministrativo), ordine e grado, alla ricerca di un giudice. Un giudice che ogni volta non sembra decidere secondo la legge ma secondo...i colori. Di volta in volta, lancia la pallina nella roulette - rosso o nero, a seconda dei punti di vista- e così dà ragione a uno piuttosto che all'altro.
Già, tutti in cerca di ragione. Di quella ragione che -se non tutti, la maggior parte- in realtà si dimostra di aver perso o stare per perdere.
A proposito di polvere, polveroni e penitenza,come non parlare delle apocalittiche conseguenze di quella malanova di legge e/o regolamento 'ngiuriatu "par condicio"?
Ma ve li ricordate le mitiche tribune politiche di Jader Jacobelli (l'unico uomo non anglosassone dalla doppia J)?
I partiti parravunu a unu a' vota, davanti a un "plotone d'esecuzione" di giornalisti.
Rispondevano a tutte le domande, in politichese sì -il più delle volte- ma sempre in maniera educata e pacata, tale da consentire agli spettatori di capire quanto meno il senso del discorso.
Oggi, grazie alla par-condicio, siamo arrivati ai iaddhinari, ai pollai, come li hanno ribattezzati in italiano, con i vari "polli" che a turno non fanno che starnazzare uno più forte dell'altro, finendo col sollevare solo polvere, poco aiutati in verità da conduttori che sai già come la pensano.
C'è qualcuno che sa per quale partito votava Jader Jacobelli?
Così, non avendo più politici in grado di sostenere da soli una conversazione da "uno contro tutti", si è passati ai talk-show del "tutti contro tutti", dove è difficile capire chi dice cosa e districarsi in una sparatoria di ca...te, delle quali, alla fine della serata, del polverone dell'aia televisiva non resta un bel niente, a parte un fastidioso zumbichiari (ronzìo -ndr) nelle orecchie. Non a caso, Vespa docet!
Dunque, per risolvere la questione e per tagliare la testa al to.., pardon, ai polli, la decisione shock:niente più programmi di approfondimento (così li chiama chi li guarda) per tutto il mese di marzo, fino alle elezioni!
Eccoci arrivati al dunque: dopo la quaresima cattolica, ci si è inventati una sorta di quaresima tutta particolare: la quaresima catodica.
Potremmo intenderla anche come una penitenza laica o meglio laicista, se non fosse che chi l'ha ordinata e imposta, pur nella distinzione dei ruoli (che ancora dura, pi furtuna, anche se sembra tenere ca sputazza), sembra voler somigliare ogni giorno di più a nu papa, sì, 'na speci di papa-B.!
E pirciò, se il Papa osserva il periodo di penitenza e il digiuno quaresimale, l'altro, il papa-B., non osserva, bensì impone la penitenza e il digiuno televisivi, rassicurandoci però: polverone era e polverone ritornerà.