Alla fine è successo.
Il Consiglio comunale di Reggio Calabria è stato sciolto. L’annuncio di ieri sera del ministro dell’interno non ha colto di sorpresa nessuno. A Reggio –e provincia- tutti sapevano che sarebbe successo.
Non perché qualcuno abbia letto la corposa relazione della Commissione d’accesso, né il documento che il Prefetto ha inviato al ministro dell’interno né tanto meno perché è stato influenzato dall’”odiosa campagna di stampa” della sinistra.
No, diciamo la verità, era qualcosa che si sentiva nell’aria da tempo, come quei nuvoloni che prima appaiono lontani all’orizzonte, poi si avvicinano sempre di più, preannunciati da lampi e tuoni. E di lampi e tuoni in questo ultimo periodo a Reggio se ne sono visti parecchi.
Quei lampi e quei tuoni sono esplosi ieri sera in maniera fragorosa, tanto che la luce e il rumore si sono visti e sentiti in tutta Italia e, grazie a internet, in tutto il mondo.
Oggi, non c’è stato giornale o sito d’informazione dell’Europa occidentale, dell’America del nord o dell’America del Sud che non riportasse la notizia riguardante la più grande città della Calabria.
Di sicuro, non si può e non si deve andar fieri di quello che è successo, tutt’altro. Bisogna fermarsi a riflettere.
Due cose, tra quanto ha detto il ministro Cancellieri ieri sera, mi hanno colpito:
1. Il provvedimento ha riguardato l’amministrazione in carica e non la precedente.
2. Il Consiglio è stato sciolto non per infiltrazioni mafiose ma per “contiguità” con gli ambienti mafiosi;
Ora, è vero, gli elementi raccolti dalla Commissione d’accesso si riferiscono all’amministrazione in carica fino a ieri sera. E’ però difficile negare –e chi ha vissuto e vive all’interno della città lo sa- che l’amministrazione appena decaduta fosse la naturale prosecuzione di quella precedente guidata dall’attuale governatore Scopelliti, che ha beneficiato del trampolino di lancio reggino per raggiungere la prima poltrona regionale.
A Reggio la democrazia non è più esistita a partire dal momento stesso in cui ne è stato celebrato il trionfo.
Era il 2007 quando Peppone Scopelliti fu eletto sindaco con il 70% dei voti. Una percentuale “castrista” che consentì al futuro governatore di diventare il sindaco più amato d’Italia. Era la Reggio che, uscita dall’entusiasmante rinascita vissuta con l’amministrazione Falcomatà, cercava una nuova speranza. "Mi amano perché riaccendo la speranza” dichiarò Scopelliti.
La speranza c’era, si sentiva e si vedeva. Ma la fiamma che la alimentava s’è andata viva via affievolendo, fino a spegnarsi, ieri sera. La causa che ne ha provocato lo spegnimento, che ha soffocato la democrazia è, in verità, quello che doveva essere il combustibile che avrebbe dovuto alimentarla: il metodo.
A Reggio il metodo è stato fatto assurgere al rango di modello di amministrazione da seguire ma questo modello –i cui limiti sono stati evidenti a chi ha vissuto e vive all’interno della città reggina- che nelle intenzioni di chi l’ha proposto, doveva costituire un vanto per Reggio e la sua provincia e per la Calabria, si è rivelato fallimentare.
Più volte, da tempo e da più parti chi è stato addentro alle beghe amministrative reggine ha avuto modo di denunciare che i conti non quadravano. Non solo quelli del bilancio.
Da quello che finora hanno svelato le indagini –anche se ancora in corso- per le varie società di servizi che operavano per conto del Comune di Reggio è accaduta la stessa cosa successa a tante delle ditte che hanno appaltato i lavori lungo il tratto reggino della Salerno-Reggio.
Prima hanno firmato contratti, convenzioni e simili con l’amministrazione, salvo poi scoprire che quelle società erano emanazione più o meno diretta della criminalità organizzata.
Tenuto conto che solo indagini più approfondite e solo la magistratura nelle sedi opportune potrà risalire a chiarire quelle che sono le diverse responsabilità personali, ci sia consentito porci tre semplici domande: quei contratti, quelle convenzioni, quando sono stati stipulati? chi li ha firmati? Possibile che non si sia controllata la “provenienza” di determinati elementi con i quali si stipulavano formali accordi a nome della collettività? O se la si è controllata, possibile che non si sapesse con chi si aveva a che fare? Certo, può essere anche se, con un po’ di sforzo in più….
Era il febbraio 2010, all’epoca della presentazione delle liste per le regionali, quando Scopelliti dichiarò: ‘’Ho invitato i responsabili di due liste a ritirare le due candidature non gradite’’ nella provincia di Cosenza..’Sono antitetiche con i principi che rappresento e che riguardano l’intera coalizione’
Se tanta attenzione fu riservata in quella occasione, come mai non si è usato lo stesso metodo, lo stesso modello –come invece si è andato propagandando- per le cose che riguardavano l’amministrazione della città, della “sua” città, quella che conosceva meglio di tutte le altre?
In fondo Reggio non è poi così tanto grande, quali siano le famiglie dedite alla criminalità organizzata è ben noto, i loro nomi sono pubblicati in decine e decine di sentenze, giornali, riviste e libri.
Dei contratti con le società di servizi, degli incarichi professionali rimasti solo sulla carta ma puntualmente e lautamente retribuiti, l’opinione pubblica reggina è venuta a conoscenza man mano che si susseguivano le operazioni delle forze dell’ordine.
Prima solo pochi, come detto, sapevano direttamente. Gli altri, il popolo che ignorante e pecorone aveva votato in massa in cerca di speranza, è rimasto stordito, col cervello annebbiato, accecato dalla macchina del fumo che ha circondato le stanze del palazzo. Ma poi il fumo s’è diradato, il calore è evaporato, l’estate è finita e l’immagine della verità che si è andata via via delineando con sempre maggior chiarezza dietro la caligine è oggi sotto gli occhi di tutti.
Il risultato: doveva essere l’amministrazione della continuità, ha finito con l’essere un’esperienza amministrativa di contiguità.
Contiguità. E’ una parola preoccupante. Non è “semplice” infiltrazione, cioè di un corpo estraneo che si inserisce in un’istituzione, nel tessuto democratico di una città. Se così fosse, con le opportune cure il o i corpi estranei potrebbero essere allontanati e/o eliminati con relativa facilità.
La contiguità non esprime semplice vicinanza ma qualcosa di più: contatto fisico, nello spazio e nel tempo.
Che un consiglio comunale –espressione quindi dell’intera comunità cittadina- sia interessato da contiguità con ambienti mafiosi o ‘ndranghetisti, cioè sia in contatto fisico con essi, significa che l’intera Reggio, città metropolitana in fieri –e perciò con essa tutta la provincia- è a contatto fisico, nel tempo e nello spazio, con qualcosa che invece non è degno nemmeno di essere guardato.
Stamattina i nuvoloni l’hanno preannunciata, poi nel tardo pomeriggio è arrivata: la pioggia.
A ventiquattr’ore dalla notizia che ha spento la speranza offerta dal “modello Reggio”, la pioggia che fa depositare la caligine, depura l’aria ed è portatrice di nuova vita.
E’ un segno che credo dobbiamo cogliere al volo. Liberiamo la democrazia da quel fumo ingannatore e soffocante che l’ha avvolta finora. Riappropriamoci del tempo e dello spazio, del nostro tempo e del nostro spazio che nessuna mafia, nessuna ‘ndrangheta ha il diritto di occupare. Il tempo e lo spazio, due dimensioni che costituiscono il futuro, il nostro futuro di reggini. Riprendiamocelo!