Ho ancora negli occhi la prima pagina del ricorso alla corte di Strasburgo, all’indomani della sentenza di condanna da parte della Cassazione. Sul frontespizio, stampato in lettere cubitali, era scritto: “Silvio Berlusconi c. Italia”, dove quella “c.” sta per CONTRO.
Pensavo fosse stato l’ultimo suo atto contro l’Italia. Mi sbagliavo.
Che questa esperienza di governo nato contro natura fosse destinata a saltare in tempi relativamente brevi lo si sapeva. In fondo, è stato un po’ come mischiare l’acqua con l’olio: li puoi mettere nello stesso recipiente e provare a girare per mischiarli quanto vuoi, ma niente da fare. Ognuno rimane quello che era: l’olio con l’olio e l’acqua con l’acqua.
Nel gioco delle parti, l’identificazione è facile: l’acqua è il partito liquido, inconsistente, che vorrebbe rappresentare la sinistra ma non ci riesce. E’ un’acqua stantìa, oramai melmosa, che non riesce a rinnovarsi, a tornare fresca.
L’olio è invece in mano al padrone del frantoio, che lo usa a suo piacimento per ungere meccanismi istituzionali attraverso i quali si esercita il potere. Meccanismi che ogniqualvolta è necessario, devono essere forzati al fine di consentire al padrone di passarla liscia, come l’olio appunto.
Dunque, prevedibile, quasi atteso, è arrivato l’ordine perentorio, unico, indiscutibile: via l’olio dall’acqua!
Che l’ordine sia legato alle questioni personali del padrone e non a questioni di scelte di politica economica –come tenteranno inutilmente di convincerci- è dimostrato dal fatto che esso sia calato su Roma dall’alto della residenza padronale, sconosciuto quindi a coloro che si affannano giornalmente a genuflettersi, indefessi ma fessi, davanti a lui per abbassargli financo i calzini.
Un tempo, quando ancora esistevano partiti in grado di esercitare correttamente la democrazia, i comunicati erano discussi nelle direzioni, nelle assemblee. Se questa discussione avviene a casa del padrone, tra il padrone stesso e i suoi avvocati, allora dovrebbe essere chiaro a tutti che si tratta, ancora una volta, di una manovra il cui fine è solo quello di salvaguardare un personaggio oltremodo dannoso, distruttivo per la tenuta istituzionale italiana.
E invece no. Salvo qualche timida voce isolata, gli invertebrati pecoroni che girano nella corte del padrone, si sono precipitati ai suoi piedi a porgergli l’estremo, ennesimo atto di sottomissione. Hanno ancora una volta abbassato la gobba e chiuso gli occhi, incapaci di vedere che prima del frantoio, c’è davanti a loro un precipizio.
Emblematica è la frase di un sottosegretario: <<Consegnerò le dimissioni nelle mani del presidente Berlusconi>>.
Basta questo ad indicare l’immane e totale rincoglionimento conseguente al completo lavaggio del cervello subito, e la tragica mancanza di spina dorsale di chi ci dovrebbe rappresentare. Chi lo ha nominato sottosegretario è il Presidente del Consiglio che, fino a prova contraria, non è Berlusconi (almeno sulla carta). Eppure, il dimissionario sottosegretario e tutti gli altri seguaci, vedono solo lui: il padrone del frantoio. E’ lui la guida, il faro. Senza la sua luce, questi invertebrati con il cervello in panne si ritroverebbero al buio, incapaci di muovere un passo, destinati a sprofondare nell’oscuro anonimato di cui hanno una paura terribile.
Il padrone del frantoio con la sua macina ha frantumato tutto e tutti, riducendo la politica di questo Paese a una poltiglia indistinta che, a differenza della sansa, è divenuta inservibile.
Tenetevi pronti: come sempre, dirà se l’olio è stato costretto a separarsi, è per colpa dell’acqua. E’ l’ennesima frittata che il padrone del frantoio ha regalato all’Italia. Ma prima che qualcuno se ne accorga, si affretta a rigirarla, come d’abitudine, da bravo girafrittate –come l’ha definito Enico Letta- in maniera da nasconderne il lato oramai bruciacchiato.
Il suo atto d’imperio, dirà lui, è servito ad impedire l’aumento delle tasse voluto dal partito liquido.
Strana giustificazione che sa tanto di presa in giro, perché proviene da un signore che è tra i pochi a non aver problemi a pagarle le tasse. Nonostante ciò, ha fatto di tutto per non pagarle. Alla fine, è stato scoperto, processato, giudicato colpevole e condannato.
Al padrone del frantoio, accertato delinquente, non è rimasto altro che mettere in atto lo sporco ricatto: non solo mi avete condannato perché non ho pagato le tasse, volete aumentarle ancora? E io non ve lo consento. Non vi do più l’olio, vi blocco la macchina, addio motore!
E così l’Italia si ferma, proprio mentre stava per superare l’ultimo tratto della ripida risalita dalla crisi per accingersi poi alla discesa di una ripresa economica che si annunciava in arrivo per i primi mesi dell’anno prossimo..
Il Paese si ritrova così fermo, col motore in panne e per di più con i freni consumati, che non ce la fanno a trattenerla. Siamo pronti a scivolare rovinosamente verso il basso, col serio rischio di farci molto male.
Poco importa al padrone del frantoio. Lui è riuscito a far meglio dei condannati di un carcere sudamericano: loro si sono ribellati e hanno tenuto in ostaggio le guardie carcerarie. Il padrone del frantoio, delinquente, condannato, tiene in ostaggio un Paese intero e continua a fare il girafrittate.
Non gli importa nulla, né se perde un po’ d’olio né se rompe le uova. Sa che l’olio e le uova non gli mancheranno: come non gli sono mancati in questi vent’anni. Avrà sempre un esercito di smidollati pecoroni, pronti a continuare a raccogliere le olive per lui, a continuare a far girare la macina e a rifornirlo di uova, le cui scorte annuali sono ben conservate nel segreto dell’urna.
Per questo non si preoccupa di aver fatto l’ennesima frittata agli italiani. Non gli importa nemmeno che l’abbia girata male, facendola cadere per terra.
Ma invece di preoccuparsi del fatto di aver lasciato digiuni gli italiani, il padrone del frantoio rimpiange la sua padella, rovinata, perché rimasta sul fuoco, vuota.