Era il 31 luglio scorso, quando in una casa di Nablus –in Cisgiordania- Alì Dawabsheh, un bimbo palestinese di 18 mesi morì bruciato nel sonno, a causa di un attentato ad opera di terroristi ebrei, che incendiarono la casa di una tranquilla famiglia palestinese. Qualche giorno dopo – il 4 Agosto, avevo scritto SETT'ANGILI FIGGHIOLI - Libera trasposizione di “Seven Spanish Angels” –una canzone di Ray Charles & Willie Nelson, scritta da Troy Seals & Eddie Setser.
Nel riscriverla, ho pensato al pianto disperato della mamma di Alì e di tutte le mamme dei bimbi che, come Alì, sono andati in cielo perché creature troppo belle per restare qui in terra in posti terribili come alcuni paesi dell’Africa o in paesi dilaniati dalla guerra (come la Siria), dove si muore ancora per fame o come il Medio Oriente e la Palestina, insanguinata da un conflitto che dura da quasi 70 anni. Ho immaginato che ci siano in cielo sette angeli, bambini, che vanno a scegliere altri bimbi da portare in cielo a giocare con loro.
A distanza di meno di un mese, con i sette angeli e con Alì, in cielo di angeli ne son volati altri due: Aylan e Galip Kurdi, di tre e cinque anni. Son volati in cielo insieme alla loro mamma, il cui pianto dev’essere stato talmente forte da convincere Dio a farle accompagnare i suoi due piccoli. Per loro, dovrei scrivere un’altra strofa, ma
Le loro foto hanno fatto il giro del mondo in meno di 24 ore. Quella di Aylan, in particolare, è divenuta il manifesto dell’immane tragedia che da anni si consuma nelle acque del Mediterraneo. Scappavano da Kobane, città simbolo della resistenza siriana, sognando il Canada, terra che li ha rifiutati e che, purtroppo, non vedranno mai.
Eppure, in questi anni di guerra in Siria, di bambini ne sono morti a migliaia e c’è un sito intero che tiene la “contabilità” dell’ennesimo genocidio che si consuma impunemente; in Africa o in Palestina, altrettanti. Solo che non si sono visti, o meglio, non sono arrivati sulle prime pagine dei giornali. Poi è arrivata la foto del corpo di Aylan, disteso sulla spiaggia abbandonato, dopo che le onde del mare lo avevano cullato per l’ultima volta in un abbraccio mortale. E’ arrivata quella foto, scattata da Nilüfer Demir –fotografa turca dell’agenzia DHA. Nilüfer ha dichiarato di essere rimasta pietrificata davanti a quel corpicino rimasto immobile sulla spiaggia, ma che l’unica arma per urlare al mondo questo ennesimo episodio di una scandalosa tragedia umana era quella di aprire l’otturatore della macchina fotografica e immortalare –sì, proprio nel senso di rendere immortale!- il piccolo Aylan e, con lui, tutte le migliaia di disperati annegati nelle acque del Mediterraneo.
Due giorni prima della morte dei fratellini Kurdi, il 30 Agosto, su Facebook, una giovane mamma di Reggio Calabria scriveva sulla sua bacheca alcune riflessioni che, rilette oggi a cronaca ben nota, fanno riflettere ancora di più:
<<Ed eccoci tutti di ritorno dalle vacanze, milioni di foto sulla scheda sd, centinaia di post su facebook, baci, abbracci, sorrisi, paesaggi incantati, colazioni abbondanti, mare cristallino, spiagge assolate, giochi, tutto perfetto, ma non solo le vacanze, tutta l'estate è stata perfettamente "infiocchettata" in un grande imbroglio, e si, perché è questo che abbiamo fatto un po tutti con i nostri figli, li abbiamo illusi, per non generare in loro paure, incertezze o qualsivoglia irrazionale incapacità di gestire l'orrore al quale invece noi siamo stati costantemente sottoposti. L'orrore di quegli occhi privi di alcuna emozione, che ogni giorno ancora oggi ci guardano increduli di come possa essere diversa la vita da una sponda all'altra, l'orrore della morte gratuita in ogni luogo.
Sono stata brava, l'ho fatto per tre mesi, come un saltimbanco, evitando semafori,centri di accoglienza, radio, televisioni, post su facebook, banchine portuali,stazioni,ospedali,video su YouTube...ma quanto ancora sarò brava, fino a quando e a che prezzo riuscirò a preservare mio figlio dall'orrore, fino a dove dobbiamo spingerci prima che la legalità e la dignità trovino posto, prima che si smetta di depredare gli altri arricchendosi a dismisura senza ritegno, quanto ancora dovrò inventare prima che mio figlio non si scontri con la terribile realtà che fuori dalla sua stanza, dalla sua scuola, dalla sua palestra,dalla sua lezione privata, dai suoi sogni, dai suoi viaggi, dai suoi musei, c'è un mondo di merda???
E quando scoprirà che gli ho mentito, capirà? Fino a che punto i genitori di tutto il mondo, dovranno mentire e quando sarà il momento giusto per smettere, prima che sia troppo tardi, prima che i nostri figli non crescano illusi, quando il mondo smetterà di spettacolarizzare l'orrore? di fare affari, fingendosi indignato? quando saremo davvero "tutti" al sicuro?.....ogni domanda resta sospesa nel vuoto e mentre lotto per la tranquillità dei sogni di mio figlio mi carico di paure, cercando nuove bugie, creando nuove illusioni.>> [di Rossana Crucitti]
Domande legittime, domande di una mamma che lotta, giustamente, perché il figlio possa coltivare e far crescere i propri sogni, stando al sicuro da tutto il male che è oggi fuori dalla porta. Vale davvero il detto: lontano dagli occhi, lontano dal cuore? Stando ai fiumi di parole e d’inchiostro [compreso il nostro!] consumati riguardo alla vicenda di Aylan e della sua famiglia, mi viene da rispondere: sì, ce ne stiamo tranquilli nel nostro orticello, incuranti di tutto, finché la verità non ci sbatte in faccia, finche il mondo di merda in cui viviamo non arriva nelle nostre case, non esce fuori dallo schermo della tv o del computer a prenderci a schiaffi, a risvegliare le nostre coscienze di tranquilli inconsapevoli.
Ma per quanto ancora si potrà far finta di niente, o nascondere la verità, anche ai bambini? <<E quando scoprirà che gli ho mentito, capirà?>>, si chiede giustamente Rossana.
Sono domande troppo difficili a cui poter rispondere, specie per tutt’altro che filosofo come me. Lo faccio, però, prendendo “in prestito” –perché lo condivido in pieno- quello che oggi ha scritto il direttore de “La Stampa” Mario Calabresi per spiegare ai suoi lettori il perché ha deciso di pubblicare la foto del piccolo Aylan, morto sulla spiaggia di Kos:
<<Si può pubblicare la foto di un bambino morto sulla prima pagina di un giornale? Di un bambino che sembra dormire, come uno dei nostri figli o nipoti? Fino a ieri sera ho sempre pensato di no. Questo giornale ha fatto battaglie perché nella cronaca ci fosse un limite chiaro e invalicabile, dettato dal rispetto degli esseri umani. La mia risposta anche ieri è stata la stessa: «Non la possiamo pubblicare».
Ma per la prima volta non mi sono sentito sollevato, ho sentito invece che nascondervi questa immagine significava girare la testa dall’altra parte, far finta di niente, che qualunque altra scelta era come prenderci in giro, serviva solo a garantirci un altro giorno di tranquilla inconsapevolezza.
Così ho cambiato idea: il rispetto per questo bambino, che scappava con i suoi fratelli e i suoi genitori da una guerra che si svolge alle porte di casa nostra, pretende che tutti sappiano. Pretende che ognuno di noi si fermi un momento e sia cosciente di cosa sta accadendo sulle spiagge del mare in cui siamo andati in vacanza. Poi potrete riprendere la vostra vita, magari indignati da questa scelta, ma consapevoli.
Li ho incontrati questi bambini siriani, figli di una borghesia che abbandona tutto – case, negozi, terreni - per salvare l’unica cosa che conta. Li ho visti per mano ai loro genitori, che come tutti i papà e le mamme del mondo hanno la preoccupazione di difenderli dalla paura e gli comprano un pupazzo, un cappellino o un pallone prima di salire sul gommone, dopo avergli promesso che non ci saranno più incubi e esplosioni nelle loro notti.
Non si può più balbettare, fare le acrobazie tra le nostre paure e i nostri slanci, questa foto farà la Storia come è accaduto ad una bambina vietnamita con la pelle bruciata dal napalm o a un bambino con le braccia alzate nel ghetto di Varsavia. E’ l’ultima occasione per vedere se i governanti europei saranno all’altezza della Storia. E l’occasione per ognuno di noi di fare i conti con il senso ultimo dell’esistenza.>>
Penso che le parole di Calabresi siano la risposta migliore alle domande della giovane mamma di Reggio –che rappresenta un po’ tutte le mamme del mondo.
Non ci sono mamme, papà o bambini siriani o curdi o palestinesi o africani o italiani, il mondo non è una barzelletta. Siamo tutti esseri umani, proviamo tutti gli stessi sentimenti e siamo chiamati a coesistere in un unico pianeta, chiamato Terra, un mondo che deve globalizzarsi non solo nei consumi o nel divertimento, ma in ogni aspetto dell’esistenza umana. Un mondo destinato a vedere interi Stati formati non da una, ma da una moltitudine di nazioni al loro interno.
Questo è il mondo di domani che si sta già profilando ai nostri occhi ma che fingiamo di non vedere o preferiamo ignorare; questo è il mondo in cui saranno grandi i bambini di oggi. Rendiamoli partecipi e consapevoli di ciò che li circonda. Perché la loro forza è immortale, come hanno dimostrato al mondo prima Alì, poi Aylan e Galip; perché con i loro occhi e i loro cuori di bambini, riusciranno a rendere questo nostro mondo un po’ migliore di quanto oggi non sia.
*N.B.: la vignetta è riportata dal seguente link: http://i100.independent.co.uk/article/the-cartoon-that-sums-up-the-worlds-migrant-crisis--g12atJpSWZ