E' Sant'à Rroccu, ovvero la domenica di San Rocco, quella che tutti gli scillesi aspettano da un anno.
L'aria è un po' rinfrescata anche se l'umidità resta. Oramai è la nostra compagna di viaggio per questa estate.
In mattinata, la messa solenne con la consegna del cero votivo da parte della Commissione Straordinaria, la presenza di tutte le autorità militari, la banda che intona le marce classiche della festa, in segno di saluto.
Il pomeriggio, in piazza sono già pronti i fuochi per il Trionfino. Nella messa che precede la processione, vengono offerte in dono, in memoria di due giovani portatori deceduti nel corso dell'anno, le nuove stanghe per mezzo delle quali le spalle dei portatori condurranno la vara di San Rocco per le vie del quartiere San Giorgio. Sono più lunghe rispetto a quelle utilizzate ieri per le vie di Chianalea e Marina Grande e consentono la presenza di quattro portatori in più, con conseguente migliore ripartizione del peso e minore fatica per i portatori. Vengono letti i nomi di coloro che porteranno il Santo di corsa sotto il fuoco del Trionfino.
La processione si snoda lentamente per le vie del quartiere: si sale da Via Umberto I, poi Via Matteotti e quindi la parte alta di Via Roma, per giungere davanti alla Comunità alloggio "Padre Gaetano Catanoso" -già Casa del fanciullo.
Poche decine di metri e pochi minuti dopo, San Rocco giunge davanti a quel che rimane dell'ex Ospedale "Scillesi d'America", plastico esempio di malasanità calabra, mentre la banda intona uno dei miei pezzi preferiti, dal titolo "Venditori di fumo". Nulla accada per caso…
Lungo il percorso, piccoli inconvenienti tecnici agli strumenti dei musicanti vengono risolti al volo, con l'aiuto di un tronco d'albero, con abilità, destrezza ed estrema praticità.
Tra i portatori si controllano le presenze su una scheda appositamente redatta ed aggiornata. Sono un'ottantina, forse un centinaio, compresi gli ultrasessantenni che per devozione fanno qualche breve tratto. Ma solo chi ha almeno dieci anni di "anzianità di servizio" può 'mbuttari nella corsa del Trionfino.
La processione percorre la strada della mia infanzia, lì dove un tempo c'erano solo giardini con piante di agrumi e orti irrigati a forza di gebbie e camini per l'acqua. Rivedo aperti tanti portoni che per il resto dell'anno restano malinconicamente chiusi. Per il passaggio di San Rocco le strade paiono riprendere vita.
Guardo i volti delle persone davanti alle case: i loro volti sono radiosi, i loro occhi tutti diretti a guardare gli occhi magnetici di quel giovane pellegrino, rappresentato nell'atto di offrire a Dio le sue sofferenze e con esse quelle di chiunque sia sotto la sua speciale e paterna protezione.
Per lunghi tratti guardo da dietro la nostra meravigliosa statua: il mantello del pellegrino sembra muoversi, gonfio di vento, quel vento della fede che lo ha spinto fino alla Gloria di Dio.
Si sale da Via Parco verso il quarteri 'ndiginu, imbandierato a festa, pur se i portatori sono costretti a percorrere qualche tratto trasportando la vara a mano invece che sulle spalle, perché i fili delle bandierine che vanno da una parte all'altra della strada, sono troppo bassi.
Si giunge quindi a' Cresiola e da lì, dopo una breve sosta si scende verso la piazza da Via Nucarella, ammirando il panorama di Chianalea e l'area del molo del porto, sul quale sono già installati i fuochi per lo spettacolo pirotecnico di mezzanotte, che chiuderà la festa.
Si va verso la piazza, che è già piena di gente. Tutti aspettano il Trionfino. Prima, però, l'ultima sosta è alla Casa Protetta “Casa della Carità”, struttura sanitaria che, contrariamente a quella dell'ex "Scillesi d'America" divenuta pubblica, è vanto di Scilla per serietà ed efficienza nell'assistenza agli anziani non autosufficienti.
Tra loro anche Mons. Domenico Marturano, per tutti gli scillesi semplicemente Don Mimmo, parroco di Scilla per vent'anni, la cui instancabile opera a servizio di tutta la comunità è ancora oggi sotto gli occhi di noi tutti. Lo salutiamo con un affettuoso applauso, poi Don Mimmo, pur con voce flebile e provata dalla sofferenza che sta vivendo, rivolge la sua preghiera a San Rocco, il Santo al quale ha dedicato tanta parte della sua missione pastorale. L'emozione è inevitabile.
L'arrivo in piazza, il lento avanzare verso l'estremità nord-ovest di questo balcone naturale sullo Stretto, punto dal quale prenderà il via la corsa del Trionfino. Un cordone di agenti di polizia e carabinieri -tra di loro un giovanissimo allievo maresciallo al primo anno, la cui mostrina con stampate le lettere "I AM" a qualcuno dei presenti suona curiosamente d'inglese.
Gli ultimi controlli da parte delle autorità di pubblica sicurezza (rassicurati comunque dall'esperienza di noi stessi 'ndigini scigghitani che il Trionfino ce l'abbiamo nel sangue), qualche tradizionale foto-ricordo tra portatori, Agesci, Masci e qualche infiltrato, e poi si è finalmente pronti per l'evento tanto atteso.
Partono i mortaretti che illuminano con la loro pioggia il tragitto che percorrerà la statua, quindi è la volta ri roteddhi (le girandole, per gli italici). San Rocco parte, inizia la sua corsa, che mi appare più lenta del solito. In tanti, infatti, immortalano la corsa tramite i telefonini. Tra il pubblico, in pochi applaudono, la maggioranza è intenta a filmare, stringendo megaschermi a due mani. Questa cosa mi mette un po' di tristezza.
A guidare la corsa, accompagnato ai lati dal maresciallo e dalla commissaria prefettizia, il nostro parroco, Don Francesco Cuzzocrea, al suo ultimo Trionfino da arciprete di Scilla poiché già destinato al trasferimento in un'altra parrocchia.
A sopperire al quasi-silenzio innaturale della folla, ci pensano i fuochi d'artificio. Sono quasi dieci minuti, belli, intensi, potenti. L'ultimo minuto l'ho vissuto a bocca aperta, sospeso in un mondo fatto solo di fuoco, luce e rumore assordante.
Si rientra in chiesa, seppur a fatica scalo posizioni, fino a raggiungere la zona dell'altare. L'emozione sale. Don Francesco ringrazia tutti, allargando le braccia come a volervi racchiudere l'intera comunità scillese, che lascia dopo sedici anni. Saluta e abbraccia, prima collettivamente e poi uno per uno, i portatori. E' difficile trattenere le lacrime.
Esco, riprendo un po' d'aria, sono ancora stordito. Mentre i fuochisti stanno completando lo smontaggio delle attrezzature utilizzate per il Trionfino, faccio un salto alla bancarella: ciciri, nucilla e iessi, il segno della festa, da portare a casa.