Vi è mai capitato di parlare o ascoltare mentre parlano tra di loro gli ingegneri? A me sì, molto spesso e mi sono reso conto di una cosa: l'espressione che utilizzano di più è: "E' banale!".
Ho quindi cercato una spiegazione al perché dell'uso smodato (che a volte sconfina nell'abuso) di questa espressione.
Il fine ultimo dell'ingegneria è quello di pervenire alla rappresentazione della realtà mediante la costruzione di modelli matematici, utilizzando formule e teoremi fondati su ipotesi per assurdo (ma non assurde, si badi bene) o su dati statistici sperimentali.
Ciò che potrebbe sembrare un discorso difficile è in realtà piuttosto semplice. Prendiamo ad esempio il caso (a me più noto, ma ve ne sono molti altri che potrei citare) dei calcoli strutturali di un fabbricato che deve essere costruito in zona sismica (tipu Scilla).
Ebbene, esso viene rappresentato -sintiti! sintiti!- con un modello matematico del tutto simile a quello di una massa attaccata a una molla, sottoposta ad oscillazioni smorzate.
Voi direte: “E chi è 'sta cosa?” Beh, avete presente i “calciatori” dei primi subbuteo moderni? Praticamenti 'i stessi! Non è banale?!
Con questa metodologia, praticamente ispirata alla filosofia del
E, modernizziti oggi, modernizziti dumani, arriviamo ai giorni nostri, dominati dai computer. Ma, 'u sapiti comu funzionunu?
Come ho avuto modo di ribadire qualche giorno fa a un'amica 'ngignera, dando un'occhiata alle lezioni di informatica che aveva preparato per i suoi studenti, sono convinto che il computer sia la macchina più stupida che l'ingegno umano abbia mai potuto sparmentare. Perché? Perchè per fare una semplice addizione tra due numeri -chi ormai 'a sannu fari puru i figghioli 'ill'asilu- ha bisogno di fare ben nove moltiplicazioni, alternate per 0 e per 1! L'unica differenza tra l'uomo e la macchina è quindi il tempo di esecuzione dell'operazione. Non è banale?
Fatto sta che, schirzandu schirzandu, per risparmiare tempo (e ne vogliamo risparmiare sempre di più), affidandoci alle macchine corriamo il serio rischio di banalizzare tutto.
Sul nostro MalanovaForum, Laura si chiedeva simpaticamente: “...quando si dice fuga dei cervelli s'intende che i soggetti portatori sani di cotanta materia grigia sa fuiunu all'esteru...allura pirchì per il mio capo prufissuri i gridu 'u ciriveddhu nci fuiu sulu ra scatola cranica e a iddhu u rassau ccà?”
Secondo me, per quanto ho detto sopra, non c'è poi tanto da meravigliarsi. Col passare del tempo, anche le parole e le espressioni cambiano significato.
Oggi, poiché abbiamo raggiunto un alto grado di banalizzazione, non potendo quasi più andare oltre (ma mai mettere limiti alla ...Scienza), è propriu 'u ciriveddhu chi si ndi fui...in vacanza! E finu a chi vai in vacanza mi poti puru stari beni.
Ci sono molti casi (in preoccupante aumento), in cui si può constatare che, purtroppo, 'u ciriveddhu ndu vindimmu, rimanendo pertanto con la scatola cranica desolatamente vuota.
A ripensarci, mi viene da sorridere, ai tempi in cui assistevamo a lunghe discussioni ('na vota ndi passammu un interu Pascuni!) tra l'amico parrucchiere di cui sopra e un'altra amica che sarebbe poi diventata ingeniera.
L'uno, metteva in evidenza la necessità di vivere la vita in maniera pratica; l'altra ribatteva, sottolineando l'importanza dello studio e della conoscenza scientifica.
In realtà però, pur sembrando distanti ed opposti nei loro ragionamenti, si basavano entrambi sulla stessa filosofia.
Vi era una sola differenza: quello che per il parrucchiere [ciao, Carmelo!] è “Cchiù semplici!”, per l''ingeniera [ciao, Carla!] “E' banale!”
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