Non c'è nenti!
Quante volte l'abbiamo esclamato noi calabresi.
A dispetto di tutte le analisi sociologiche fatte e ripetute più volte in questi ultimi anni, rimane comunque difficile dare una risposta al perché di questo vero e proprio congenito stato d'animo nostrano.
Tanto è connaturato nel nostro DNA che il 'Non c'è nenti!' ha infettato anche chi dalla Calabria è lontano centinaia di chilometri e magari ci torna solo occasionalmente. L'ultima prova ce l'ha fornita la vicenda di Antonello Venditti.
Una frase estrapolata da un suo concerto a Marsala lo scorso anno, ha scatenato una serie di reazioni a catena che da Facebook è arrivata persino al Sindaco di Reggio Calabria e, ancora più su, al Presidente della nostra Regione.
La fine della storia è nota a tutti: i due rappresentanti istituzionali sono stati invitati a casa di Venditti, il quale si è detto profondamente dispiciaciuto del 'manicomio' scatenato e --tramite Scopelliti e Loiero-- ha rassicurato tutti i calabresi di avere molti amici dalle nostre parti, di volerci tornare dopo il suo rientro dagli Stati Uniti e che quanto era avvenuto era solo il frutto di un 'fraintendimento' delle sue parole. Ieri sera, infine, ospite da Fazio a 'Che tempo che fa', Venditti ha dedicato l'applauso ricevuto dal pubblico a tutti i calabresi, sancendo così la pace definitiva.
'Fraintendimento'. Quante volte ancora dovremo sentire questa parola? E' mai possibile che tutte le volte che qualcuno fa un'affermazione sciocca che genera discussioni e polemiche, risolva la questione il giorno dopo dicendo di essere stato frainteso?
Negli ultimi anni è capitato in tutti i campi (politica, affari, spettacolo, ecc.) e sta capitando sempre più spesso, con una frequenza davvero preoccupante.
Se ci pensate è un paradosso dei tempi moderni.
Nell'era della comunicazione, nella quale tutti, proprio tutti, abbiamo a disposizione una serie impressionante di strumenti per esprimere le nostre opinioni in maniera diretta, senza filtri che possano portare ad equivocare il nostro pensiero, ci ritroviamo a dover giustificare quel che diciamo rifugiandoci dietro il 'fraintendimento'.
Certo, il rischio di manipolazioni da parte di terzi --specialmente con l'uso degli strumenti informatici-- è aumentato in maniera esponenziale e tale fenomeno, unitamente al numero sempre più crescente di 'fraintendimenti', a mio avviso, sono una spia del mondo di oggi.
Sì, due indicatori: del primeggiare a tutti i costi, anche denigrando gli avversari/concorrenti; del 'ieu sugnu megghiu 'i tia' non dimostrato concretamente, ma fatto valere esclusivamente sulla base del chi urla più forte (vedasi le numerose trasmissioni che settimanalmente ci propina la tv).
L'altro indicatore è l'incomunicabilità. L'incomunicabilità che caratterizza l'era della comunicazione, anzi delle telecomunicazioni.
Non è bizzarro, a mio modo di vedere è piuttosto drammatico.
Così si va avanti, ognuno per la propria strada, infischiandosene di ciò che dicono e pensano gli altri. Possono parlare e dire quel che vogliono, tanto noi non li ascoltiamo, gridiamo più forte di loro, fino a sopraffarli, di prepotenza.
Già, la prepotenza. Quel sentirsi giusto lì, un gradino al di sotto dal potere, dal dirigere, comandare, con atteggiamenti altezzosi o, molto spesso, con la violenza.
Essere prepotenti, a qualunque età, in qualunque contesto, significa trovarsi nello stato embrionale della mafiosità.
Agire con prepotenza, accumulare ricchezze con la prepotenza, non sono forse atteggiamenti tipici dei mafiosi?
A questo proposito, mi torna in mente una canzone dei Mattanza, tratta da una poesia di Salvatore Filocamo, scritta nei primi del '900:
STU MUNDU CHI CRIAU NOSTRU SIGNURI
CU LA SO’ MENTI CHI NON D’AVI UGUALI,
FU CRIATU CU LI REGULI E MISURI:
LU CIELU, A TERRA, L’OMU E LI NIMALI.
PRIMA LI BENI ERANU AN CUMUNI
CA L’OMINI N’TRA IDDI ERANU UGUALI
PRÌNCIPI NON D’AIA, MANCU BARUNI
NON PATRUNI, NON DO’, NON PRINCIPALI.
LU PREPOTENTI ‘NCATASTAU DINARI
SENZA CUNTU, NON PISI E NON MISURI
E LU SPAGNUSU, CHI NON SEPPI FARI,
SI CUNTENTAU MI CAMPA CU L’ADURI.
E MO’ PI CHISSU NUI SIMU SPARTUTI
E SIMU RICCHI E POVIRI CHIAMATI:
LI RICCHI ‘NGURDI E DI NOVU VISTUTI
LI POVIRI ADDIUNU E SPINNIZZATI.
POVIRI E RICCHI NON SIMU ‘CCHIÙ FRATI
COMU NA VOTA NENTI ‘CCHIÙ NDI LIGA
NON PAURA I DIU E NON CARITATI
LU RICCU MANGIA E U POVARU FATIGA.
E VUI SIGNURI, CHI TUTTU VIDITI
PIRCHI STI COSI STORTI I SUPPURTATI?
DUI SUNNU I COSI: O VUI NON CI SITI,
OPPURU VUI DI RICCHI VI SPAGNATI!
Alla fine dunque, quando la prepotenza si trasforma in potenza (da noi presunta), non solo non ci accorgiamo degli altri esseri umani, ma arriviamo anche al punto di sentirci superiori a Dio. Superiori a tal punto, da cancellarlo definitivamente.
Salvo accorgerci --perché prima o poi ce ne accorgiamo, sempre-- che in realtà siamo magari un bell'involucro, tanto bello, imponente e che incute timore all'esterno, quanto desolatamente vuoto al suo interno. Così che di tutto quel potere che pensiamo di avere, non rimane niente, non c'è niente.
Mio padre, che la poesia sopra riportata non l'ha mai letta, sempre più spesso la riassume inconsapevolmente, quando dice:
Non aviumu nenti, e c'era tuttu.
Ora avimu tuttu, e non c'è nenti!
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