Oggi è la festa ella Madonna della montagna di Polsi, il cuore dell’Aspromonte.
Questo luogo, che di recente è stato oggetto di attenzione da parte di tutti i mezzi d’informazione nazionali e non, solo per via dei summit tenuti tra i capi della ‘ndrangheta reggina, vede rinnovarsi oggi i riti di una festa che non è solo religiosa, ma anche di popolo, con musica, balli, tarantelle. Riti (religiosi e pagani), che si rinnovano da centinaia di anni.
Da secoli infatti, i calabresi della provincia di Reggio e anche i siciliani –specie della provincia di Messina- compiono un atto di fede autentica e salgono al Santuario di Polsi, a rendere omaggio alla Madonna della montagna per le grazie ricevute.
Numerose sono le storie che si raccontano, legate più o meno indirettamente alla tradizione popolare. Oggi, ne vogliamo raccontare una in particolare.
Tra i tanti pellegrini, vi era nu massaru, un pastore, di Bova –cittadina della ionica reggina e centro nevralgico della Bovesia, l’area grecanica della provincia riggitana, dove si parla il greco-calabro.
‘U massaru, in segno di ringraziamento alla Madonna di Polsi per una grazia ricevuta, cominciò ad allevare una piccola capretta.
Dovendo essere dono per la Madonna, ‘u massaru teneva particolarmente all’animale, tanto da dargli le erbe migliori e riservargli un trattamento particolare, tanto che ‘a crapa crisciva un iornu pi ‘n annu, vale a diri a vista d’occhio.
Arrivato il 2 settembre, giorno della festa, ‘u massaru, entrato nella stalla, guardò la capra e rimase lui stesso stupito dalla stazza dell’animale: era venuto su così bella e forte, chi nci pariva bruttu privarsene, anche per un fine così nobile.
Fattu sta che ‘u massaru, evidentemente pigghiatu da umana debulizza, si guardò attorno nella stalla e scelse un’altra capra, diversa da quella che aveva così accuratamente allevato.
Pigghiata ‘na corda, la passò attorno all’animale e già in piena notte si avviò lungo la strada che da Bova saliva al Santuario ra Maronna ra muntagna, unendosi agli altri pellegrini, per arrivare in tempo la mattina successiva.
Il viaggio proseguì, a peri e ca crapa ampestru, con una certa tranquillità fino a circa metà strada. All’improvviso però, l’animale, come pigghiatu da un’improvvisa paura, ‘mpuntau ‘i peri e si bloccò.
Tutti i tentativi di convincere l’animale a fare un passo in avanti, furono vani: ‘a crapa –in quantu crapa autentica e pirciò dispittusa pi natura- non si smuvìu mancu pi l’ordini ru Papa!
L’improvviso stop ra crapa, aveva intanto provocato un’indescrivibile coda e le inevitabili lamentele da parte degli altri pellegrini.
A un certo punto, un uomo si avvicinò o’ massaru per chiedere spiegazioni e ‘u massaru gli disse seccamente: “Non su’ fatti vostri!”
Al che, l’uomo rispose: “No, non su’ fatti mei, su’ fatti ra Maronna!”
A questa parole, ‘a crapa vutau i ponti e cominciò a correre velocissima in direzione contraria a quella del santuario. ‘U massaru, disperato, cercò di rincorrerla più che potè, ma poi si arrese: ra crapa non c’era signu!
Al massaro non restò che arrendersi all’evidenza. A quel punto, infatti, capì il senso delle parole dello sconosciuto e si convinse.
Tornò dunque alla stalla, prese la capra buona, quella che inizialmente aveva allevato con l’intenzione di offrirla alla Madonna, e si incamminò nuovamente lungo la strada che conduceva al Santuario.
La capra era così in salute e forte, che cominciò a correre sempre più forte lungo la salita, trascinandosi dietro ‘u poviru massaru.
Arrivarono a Polsi, davanti al Santuario in pochissimo tempo, superando il resto dei pellegrini che li precedevano.
Complimenti per la scrittura e per la capacità di fondere senza volgarità ed eccessi folkloristici l'italiano col dialetto.
RispondiElimina