“A chi puntu simu cu ‘spitali?”
E’ stata questa la domanda che mi sono sentito rivolgere da un amico. Proviamo dunque a fare un breve riassunto e ad aggiornare un po’ la situazione.
Dopo la manifestazione dello scorso marzo che ha avuto l’indubbio merito di porre all’attenzione di politici e amministratori il problema della chiusura dello “Scillesi d’America” e nonostante la Regione Calabria abbia proseguito imperterrita nell’attuazione del famoso Piano di Rientro sanitario, il lavoro svolto dalle associazioni ha prodotto alla fine qualche frutto.
Dopo aver atteso invano e per mesi di essere ricevuti dal Presidente Scopelliti, si è deciso di creare una commissione con funzione di collegamento tra le associazioni scillesi –per mezzo di quattro loro rappresentanti- e l’amministrazione comunale –per mezzo di un consigliere di maggioranza e uno di minoranza- con il Sindaco a farsi portavoce diretto presso le istituzioni regionali delle istanze scillesi.
La Regione, come dicevamo, ha proseguito nell’adottare decreti la cui logica sfugge anche alla mente più allenata a districarsi fra le carte e gli articoli di legge. In particolare:
- a fine Marzo, un decreto dell’ASP di Reggio Calabria aveva formalmente sancito la chiusura dell’ospedale “Scillesi d’America” e l’avvio del processo di riconversione. In verità, la riconversione in Centro di Assistenza Primaria Territoriale, entro fine marzo doveva essere inderogabilmente completata!
-Con il Decreto n° 98 del 18 Giugno 2012, si procedeva definitivamente alla “Disattivazione del Presidio Ospedaliero di Scilla dell’ASP di Reggio Calabria”. Lo stesso decreto dispone di procedere alla stima della riduzione dei costi in conseguenza della cessazione del presidio.
Dunque, negli atti ufficiali la riconversione è stata avviata il giorno prima rispetto al termine entro il quale doveva concludersi. E non è ancora conclusa, né vi è un cronoprogramma ufficiale in merito. E il Presidio Ospedaliero è stato disattivato da metà Giugno scorso.
Cosa tragicomica, l’analisi dei costi per stabilire se la chiusura del presidio di Scilla costituisse un risparmio, viene disposta solo “a cose fatte” e non prima, come sarebbe stato logico!
Il modo in cui questi provvedimenti sono stati adottati, il modo in cui ciò che in essi vi era previsto non sia stato poi attuato o attuato con fortissimo ritardo, tanto da comportare disagi di ogni tipo alla popolazione di un vasto comprensorio, ha spinto la commissione a chiedere al Sindaco che venisse esaminata la possibilità di presentare ricorso al TAR competente per l’annullamento degli stessi, salvando così le funzioni ospedaliere dello “Scillesi d’America”.
Questa richiesta è stata trasformata in formale proposta dal gruppo di opposizione e discussa nel Consiglio Comunale dello scorso 7 Agosto, che l’ha approvata.
Inoltre, durante il periodo della festa di San Rocco, una delegazione di scillesi emigrati negli Stati Uniti ha consegnato nelle mani del Sindaco un documento con il quale anche gli americani chiedono che sia scongiurata la chiusura dello storico presidio scillese.
Per dovere di cronaca, diciamo che, nel perdurante granitico immobilismo regionale, è stata la provincia di Reggio di Reggio Calabria a presentare a Palazzo Campanella una proposta di legge con la quale viene prospettata la possibilità di procedere –senza alcun costo aggiuntivo- all’accorpamento della struttura scillese con l’azienda sanitaria di Reggio Calabria.
In verità è una proposta vecchia, poiché nel proprio articolato ricalca in tutto e per tutto una proposta fatta a fine Marzo dal sindacato FIALS. Perciò risultano piuttosto comici gli ossequiosi ringraziamenti rivolti ai politici provinciali e regionali, con in testa il presidente Scopelliti o qualche assessore regionale che fin dal primo momento avevano chiaramente dichiarato: a Scilla, ‘u ‘spitali v’u putiti sperdiri!
Ma rassamuli stari, ch’è megghiu.
Passate le ferie, con Delibera di Giunta del 10 Settembre scorso, è stato conferito l’incarico a un legale del foro di Reggio Calabria per la presentazione del ricorso.
Che possibilità ci sono di avere ragione?
A questa domanda possiamo rispondere dicendo che ci sono buonissime possibilità di spuntarla.
Infatti, è di pochi giorni fa la notizia che il Consiglio di Stato, confermando una sentenza del TAR di L’Aquila in merito a un ricorso presentato dal Comune di Tagliacozzo, in Abruzzo (regione sottoposta, come la Calabria, a Piano di Rientro) contro la chiusura del proprio ospedale, ha di fatto sancito dei principi importanti che in breve e senza entrare troppo nel tecnico, cerchiamo di chiarire.
La decisione del massimo organo di giustizia amministrativa, ha di fatto confermato l’esecutività di una sentenza del TAR abruzzese del 9 Giugno 2011, sulla base di due elementi fondamentali condivisi con i giudici di primo grado:
1) Sulla decisione adottata grava la questione di costituzionalità relativa a una norma citata in tutte le delibere (art. 17.4 D.L. 98/2011 e successiva Legge di conversione n° 111/2011). Tale disposizione ha consentito di dare forza di legge a tutti i provvedimenti adottati con gli atti amministrativi mediante i quali è stato attuato il Piano di Rientro, approvandone formalmente il Programma Operativo.
Secondo i giudici abruzzesi questa “sanatoria legislativa” presenta però numerosi aspetti di incostituzionalità. Essa infatti:
- interferisce con principi già fissati da precedenti pronunce dei giudici, violando i rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale in riferimento alla tutela di diritti e interessi legittimi (violazione degli artt. 24-103-113 della Costituzione);
-non determina principi fondamentali, (in tal caso la Regione vi si sarebbe dovuta adeguare con legislazione propria) e pertanto vi è una “violazione delle competenze legislative regionali” (violazione degli artt. 117-120 della Costituzione), per di più “accentuata dall’immotivata abrogazione implicita delle leggi regionali incompatibili” con l’applicazione del Piano di Rientro (cosa prevista nella Legge Finanziaria 2010).
Su questi aspetti dovrà esprimersi la Corte Costituzionale, pertanto il Consiglio di Stato non ha deciso nel merito, rimanendo in attesa del parere dei giudici della Consulta.
2) Nel contempo, i giudici precisano che la competenza ad eliminare eventuali leggi che impediscono l’attuazione del Piano è solo del Consiglio Regionale (e nel caso questo sia inadempiente, il Consiglio dei Ministri). Il Commissario ad acta ha solo il compito di segnalare al Consiglio l’effettiva necessità di agire in tal senso, ma non può farlo con atti propri.
E a ciò aggiungono che il programma operativo attraverso il quale viene attuato il Piano di Rientro, non incide sulle leggi vigenti modificandole, sospendendole o abrogandole, poiché è stato semplicemente predisposto “per dare attuazione a un accordo” tra Stato e Regioni.
Su questi solidi presupposti giuridici, i giudici del TAR di L’Aquila hanno accolto il ricorso del Comune di Tagliacozzo con specifico riferimento al fatto che –come a Scilla- il loro ospedale era stato disattivato e trasformato in PTA (Presidio Territoriale di Assistenza), in pratica una variante linguistica del CAPT previsto per Scilla.
Scrivono i giudici che <<I poteri del Commissario erano limitati alla “prosecuzione del piano di rientro”, il cui contenuto non contempla la disattivazione bensì la riconversione dei c.d. piccoli ospedali….il che implica il mantenimento della loro natura ospedaliera che invece viene meno con la trasformazione in PTA, strutture prive di reparti di degenza e di pronto soccorso, quest’ultimo sostituito da PPI (punti di primo intervento)>>.
Il Consiglio di Stato ha accolto in pieno questo orientamento dei giudici di primo grado e nella recente Ordinanza n° 5756/2012 dello scorso 1 Settembre, ha confermato l’ordinanza con la quale aveva disposto il mantenimento della struttura del pronto soccorso dell’ospedale, assicurandone la necessaria piena funzionalità (compresa l’attrezzatura tecnologica occorrente per la diagnostica di primo intervento)
Come si legge dunque, le pronunce del TAR di L’Aquila e le Ordinanze del Consiglio di Stato che le hanno accolte e confermate, costituiscono un precedente importantissimo cui poter fare riferimento per il ricorso relativo all’annullamento di tutti i decreti che hanno riguardato il presidio ospedaliero di Scilla e ne hanno comportato la chiusura.
A questo confortante quadro giuridico che si ormai delineato con chiarezza e in sostanza fornisce la chiave che può spalancare nuovamente le porte dell’ospedale (chiuse dalla fine di marzo), occorre non dimenticare un altro elemento fondamentale, formale ma sostanziale: quello della proprietà della struttura ospedaliera.
Finora, nonostante le tante occasioni in cui si è avuto modo di sottolineare la necessità di definire tale aspetto, nulla è stato fatto al riguardo. Ma confidiamo che prima o poi, qualcuno se ne accorga.
La Regione ha certificato con propri atti ufficiali che lo “Scillesi d’America” non fa parte del patrimonio dell’ASP e ne ha dato conferma pochi mesi fa, quando ha presentato alla stampa e al pubblico l’ultimo rapporto regionale sul patrimonio delle varie aziende sanitarie calabresi: dell’Ospedale di Scilla non vi è traccia.
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