Assistere lunedi scorso in televisione al confronto tra i cinque candidati del centrosinistra ha risvegliato in molti la voglia di tornare a interessarsi di politica.
I partecipanti erano: tre del PD (Bersani, Renzi, Puppato), uno di SEL (Vendola), uno dell'API (Tabacci).
Ci si è affrettati a precisare che si trattava di primarie di coalizione, quindi del centrosinistra e non del solo PD, come da statuto modificato, corretto e integrato al fine di chiarire uno dei punti più controversi (e più comici) di uno strumento -le primarie- che così com'era nato, permetteva di far votare anche chi non apparteneva all'area politica del centrosinistra, in una libera interpretazione tutta italiana del sistema in uso negli Stati Uniti.
In linea di massima, tra i cinque si sono riscontrati pareri simili sulla maggior parte delle questioni politiche ed economiche attuali. Su due temi però si sono registrate divergenze di non poco conto: sui diritti civili delle unioni di fatto, specie tra omosessuali; sulle alleanze da porre in atto per riuscire a governare un Paese alla disperata ricerca di una guida sicura e affidabile.
Tali distinguo hanno portato alcuni dei candidati ed esprimere veri e propri veti preventivi che, a ben vedere, secondo me non hanno ragione d'esistere.
Il motivo sta nel significato delle parole e nella forza dei numeri.
I DIRITTI
Sul tema dei diritti delle coppie di fatto omosessuali, è indiscutibile che anch'essi -in quanto cittadini italiani- devono godere delle stesse possibilità di tutti gli altri, per cui negare loro alcuni di questi diritti significa contravvenire a un principio costituzionalmente riconosciuto.
Cosa ben diversa è però volere estendere il matrimonio anche a queste coppie.
Nel nostro codice civile viene distinto tra il matrimonio regolato con rito religioso -regolato da leggi speciali (per la religione cattolica, secondo il Concordato come modificato nel 1985) e il matrimonio civile, regolato dalle disposizioni dello stesso codice.
In questo secondo caso, nel Codice civile non si afferma mai che i coniugi debbano essere di sesso diverso, si parla soltanto di marito e moglie.
Pertanto, si potrebbe essere portati a credere che le disposizioni relative al matrimonio possano essere applicate anche nel caso in cui marito e moglie siano dello stesso sesso.
In verità, lasciando da parte ogni considerazione inerente all'aspetto religioso, tale estensione del matrimonio non è possibile.
Tale impossibilità, seppur non espressamente sancita, è desumibile sia dalla struttura stessa del Codice Civile, sia dalle norme di rango superiore dettate dalla Costituzione.
Gli articoli del Codice che riguardano il matrimonio sono infatti inseriti nel Libro I “delle persone e della famiglia”.
La famiglia è definita dalla nostra Costituzione (art. 29) come “società naturale fondata sul matrimonio”.
Dunque, seguendo il significato letterale delle norme civili in vigore, il matrimonio è il fondamento di una società naturale, cioè una società -la famiglia- caratterizzata dalla sussistenza oggettiva di funzioni “facilmente riconducibili a un ambito di indiscussa ovvietà” (Devoto-Oli).
E' fuor di dubbio che all'epoca a cui risalgono le norme di cui si parla l'ovvietà di avere una moglie e un marito di sesso opposto sembrava indiscutibile. Oggi, nell'epoca “moderna”, quell'ovvietà sembra essere un po' meno ovvia, ma il quadro normativo costituzionale ci indica che potrebbe parlarsi di matrimonio per le coppie dello stesso sesso al tempo in cui ciò che è naturale oggi, non lo sarà più, vale a dire al tempo in cui quella tale ovvietà verrà definitivamente meno.
Voler dunque estendere il matrimonio come oggi definito a casi diversi da quelli diciamo così naturali, è sicuramente una grande forzatura, che presenterebbe anche aspetti di incostituzionalità ed è perciò da escludere.
E' sicuramente giusto e possibile invece, estendere gran parte dei diritti e dei doveri previsti per il matrimonio (mantenimento, assistenza reciproca, diritti di successione, ecc.), a tipi di convivenza meno ovvi. Lo si può fare tenendo presenti le norme già esistenti nel codice civile per i contratti e le obbligazioni.
Non serve dunque stravolgere nulla, basta una legge (e ci sono già diversi testi presentati) che richiami i tipi di contratto già esistenti in maniera tale da rispondere a un'esigenza della collettività.
LE ALLEANZE PER IL GOVERNO
In tema di alleanze, sia Vendola che Renzi hanno categoricamente (ma in politica questo avverbio di fatto si dimentica facilmente) escluso futuri accordi con Casini, manco fosse il diavolo.
Questa preclusione, sinceramente, faccio fatica a comprenderla.
E' un dato di fatto storico che l'Italia repubblicana sia stata governata per larga parte della sua esistenza da partiti di centro (DC) o da alleanze di centro-sinistra (DC-PSI) poi allargate. In non pochi casi però vi è stato l'appoggio o comunque l'implicito avallo anche del PCI, unico partito comunista d'Europa a staccarsi -seppur parzialmente- dalla rigida ortodossia imposta dall'Unione Sovietica, dove l'ideologia comunista era in realtà solo una maschera dietro la quale si è nascosta un'oligarchia, spesso al confine con la dittatura, che ha vissuto sulle spalle del proprio popolo.
Dunque, in Italia il centro e la sinistra hanno sempre dialogato tra loro. L'hanno fatto da binari ideologici paralleli, che però stavano per convergere già trent'anni prima della nascita del PD, quando i muri ideologici erano molto alti e spessi.
A proposito di ideologia, molti ne hanno decretato la fine. In verità, la parola ideologia indica un insieme sistematico di concetti e principi che stanno alla base di un atteggiamento politico e culturale, per cui oggi potremmo dire che l'ideologia dell'individuo ha finito per prevalere (ahinoi!) sull'ideologia di partito.
C'è un piccolo particolare però che ai più sfugge.
I partiti sono i soli cui la Costituzione (art. 49) assegna il compito di determinare la politica nazionale.
Quegli "agglomerati" che oggi fanno di tutto per non chiamarsi "partito" e che sono "gruppi", "popoli", "case", "movimenti", sono tutte espressioni individualistiche, veri e propri marchi posseduti da un uomo solo (Berlusconi, Grillo, Di Pietro, ecc.) e che rispecchiano non la coscienza o la cultura di un pezzo di società ma l'incoscienza di un solo individuo: il capo.
La colpa più grande che imputo ai protagonisti di quella che fu la seconda Repubblica, con poche eccezioni è quella di essersi nascosti, rinnegando quindi in un certo senso il loro pensiero, la loro cultura, la loro ideologia. Di essersi vergognati di quello che erano, andando a nascondersi dietro sigle o acronimi nuovi, confondendosi e disperdendosi in gruppuscoli che dopo poco più di 15 anni hanno dimostrato tutti i loro limiti.
L'esempio di Berlusconi è emblematico. E' entrato sulla scena politica quando il palco era rimasto vuoto (o quasi) e ne è divenuto -questo il suo merito- assoluto padrone. Ma mentre recitava il suo monologo -con poche interruzioni- da attore consumato, ha acceso i riflettori e ha accecato gli spettatori. Poi, una alla volta, le luci si sono spente. E' rimasto soltanto un "occhio di bue" che ha illuminato solo lui per tanto, troppo tempo.
Alla fine, il capocomico ha deciso che era ora di porre fine alla commedia ed è uscito di scena giusto in tempo. Ma mentre usciva, non ha spento solo la luce sul palco bensì quelle dell'intero teatro, lasciando la platea italiana a brancolare nel buio, all'affannosa ricerca di un'uscita di sicurezza.
Stessa sorte toccherà -inevitabilmente- a quei movimenti che adesso vanno per la maggiore: il loro destino è scritto nella loro stessa natura.
Per una legge fisica, il movimento nella realtà non può avere durata infinita ma prima o poi sarà destinato ad avere fine, a fermarsi, a causa -se non altro- dell'attrito sia esterno che interno, che peraltro ha già cominciato a manifestarsi piuttosto precocemente.
Il risultato per l'Italia è stato tragico, con aspetti anche comici, come in ogni dramma che si rispetti.
L'Italia è, infatti, l'unico Paese al mondo in cui esistono i socialisti di destra, rappresentato da quella parte del PSI mimetizzatasi dietro il paravento berlusconiano, per difendersi -dicono loro- dal furore giustizialista dei comunisti. Un obbrobrio di cui non possiamo certo andar fieri.
L'ideologia si è dunque trasformata, in molti casi (come quello di cui sopra) come peggio non avrebbe potuto, ma non è morta. Non possono morire i principi base che guidano l'atteggiamento nella società, la cultura e la coscienza degli individui. Si può, anzi si deve modernizzare, attualizzare il proprio pensiero ma certamente non si può vergognarsene.
Ora, appare difficile che alle prossime elezioni il centrosinistra possa riuscire ad avere i numeri per governare da solo (ah, la matematica!). Sarà dunque necessario allargare ad altre forze che -per logica di "fisica politica"- non potranno stare ancora più a sinistra di SEL ma dovranno essere quelle più vicine alla parte centrista che fa già parte della coalizione.
Dall'altra parte, a sinistra, c'è una forza -SEL- che a mio parere fornisce un'ampia garanzia di serietà intellettuale -prima ancora che politica- con la quale ci si potrà confrontare nel merito delle singole questioni, per due buoni motivi: sulla politica economica, le differenze saranno attutite da una situazione particolare che rende alcune scelte obbligatorie; sulle altre questioni credo che Vendola abbia acquisito un'esperienza di governo regionale che in questi anni ha "smussato" parecchi spigoli nella sua originaria cieca visione sinistrorsa.
Le differenze permangono su tutti i temi etici, ma essi sfuggono a una qualunque logica politica, in quanto toccano la sfera della coscienza personale di ciascuno dei futuri parlamentari, come è sempre stato.
Dunque, il significato delle parole (se ancora gliene si attribuisce uno) e la forza della verità dei numeri, forniscono la soluzione per sanare le differenze attuali e consentire al centrosinistra di tornare a governare il nostro Paese.
Qualsiasi altra soluzione sarebbe improponibile, a meno che i candidati alle primarie del centrosinistra non intendano applicare la "bizona" di Oronzo Canà con il famoso "5-5-5". Quello è uno schema che ha funzionato solo al cinema. Il teatro della politica è un'altra cosa.
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