La Calabria (e l’Italia intera ormai), si sa, è la terra dove per uno che lavora ce ne sono almeno cinque che guardano. E mentre guardano, non possono sottrarsi dal dovere di critica. Così, dall'alto del loro sapere: <<Ah, ma se inveci mi fa' cusì, facivi i chist'atra manera....>> <<No, sbagghiasti...Se facivi cusì comu dicu ieu era megghiu!>> e via di questo passo.
Al che, il povero cristo che cerca di sforzarsi di concludere qualcosa, giunto al limite dell'esasperazione, si rivolge al più alto in grado dei sapientoni di turno ed esclama:
<<Scindi e falla tu!>>.
Qualcosa di simile è capitato l'altro giorno tra Letta e Renzi, ma al contrario.
Siccome il lavoro di Letta pareva non procedere per come doveva, il neosegretario del PD ha pensato bene di correre ai ripari. Non si è limitato a disincagliarlo dalle sabbie mobili della palude in cui -volente o nolente- il buon Enrico si era cacciato, l'ha proprio tirato fuori di peso, esclamando:
<<Cacciti 'i ddhocu, 'nchianu (a Palazzo Chigi) e 'a fazzu ieu! (la riforma)!>>
Così che da domani, Renzi il bullo, il pie' veloce, Renzi detto Renzie, come Fonzie, avrà affidate le redini di quest'asino stanco che sembra il nostro Paese, che s'è quasi intestardito -secondo Renzi- a non voler andare avanti.
Se l'intento è più che lodevole, i modi in cui il ricambio è avvenuto e le incognite cui il fiorentino va incontro, lasciano più di qualche perplessità.
Partiamo dal documento approvato dalla Direzione del PD, che ha dato il via libera definitivo al giovane rottamatore:
«La Direzione – è scritto nel testo – del Partito democratico– esaminata la situazione politica e i recenti sviluppi, ringrazia il presidente del consiglio Enrico Letta per il notevole lavoro svolto alla guida del governo»
Non lo ringrazia, significativamente, per essersi fatto da parte, a dimostrazione del fatto che è il suo stesso partito ad averlo fatto fuori.
«Rileva la necessità e l'urgenza di aprire una fase nuova, con un nuovo esecutivo che abbia la forza politica per affrontare i problemi del paese con un orizzonte di legislatura, da condividere con la attuale coalizione di governo»
Ma se la coalizione di governo è quella attuale, cioè la stessa di quella cui si appoggiava Letta, i rapporti di forza non cambiano. Non cambiano nemmeno i veti e le resistenze incontrate da Letta all'interno del suo stesso Governo.
« Invita gli organismi dirigenti, legittimati dal Congresso appena svolto, ad assumersi tutte le responsabilità di fronte alla situazione che si è determinata per consentire all’Italia di affrontare la crisi istituzionale, sociale ed economica, portando a compimento il cammino delle riforme avviato con la nuova legge elettorale e le proposte di riforma costituzionale riguardanti il Titolo V e la trasformazione del senato della Repubblica e mettendo in campo un programma di profonde riforme economiche e sociali necessarie alla promozione di sviluppo, crescita e lavoro per il nostro paese».
In pratica: fate fare a Renzi quello che Renzi non ha fatto fare a Letta. Se non erro, è lo stesso programma enunciato da Letta poco meno di un anno fa. Programma che gli stessi nuovi organismi dirigenti del PD hanno brutalmente interrotto.
La domanda che tutti si fanno è: perché Renzi dovrebbe riuscire lì dove Letta ha fallito?
Guardandola da dentro il PD, il perché è presto detto: Renzi ha dalla sua parte la maggioranza del partito, cosa che Letta non aveva. E qui casca l'asino PD. Perché se è vero che Renzi è divenuto segretario e che perciò è chiamato a dettare la politica del partito, è altrettanto vero che Letta -pur nella minoranza- è sempre un uomo del PD e perciò deve condividere tale politica, estrinsecata nel programma “Impegno Italia”.
E' stato detto che letta abbia “copiato” dal “Jobs Act” (che nome orribile! sono dei punti programmatici, non una legge approvata dal Congresso degli Stati Uniti!). E' naturale che sia così, se Letta fa parte dello stesso partito di Renzi! Il segretario detta il programma, chi è nel PD –a maggior ragione se chiamato a ruoli istituzionali- prende nota ed esegue.
In verità, se l'attuazione del programma previsto ha incontrato difficoltà e resistenze, credo che ciò non sia imputabile a Letta (e non per difenderlo). Non è facile fare l'equilibrista tra i millemila veti e distinguo cui è stato sottoposto dagli “alleati” di uno strano governo da emergenza nazionale. Ci riuscirà Renzi con il suo caratere “fumantino”? Ho molti dubbi.
Renzi si è liberato dell'ex vicesegretario del suo partito e di altri della minoranza a colpi di “Chi?”. Un modo che –nella sostanza- non mi risulta essere molto diverso da quello di Grillo con i suoi adepti, o dell'assolutismo berlusconiano.
Tale comportamento, mi ha richiamato alla mente il passaggio di una lettera:
« Mi sono convinto che quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all'opera, ricominciando dall'inizio. Mi sono convinto che bisogna sempre contare solo su se stessi e sulle proprie forze; non attendersi niente da nessuno e quindi non procurarsi delusioni. Che occorre proporsi di fare solo ciò che si sa e si può fare e andare per la propria via.»
Così scriveva Antonio Gramsci il 12 Settembre 1927, imprigionato in carcere dal regime fascista solo per le sue idee politiche.
Voglio fantasticare che Renzi, (anche se so che non ne ha avuto il tempo, impegnato a correre com’è) più che ai metodi berluscon-grilleschi abbia fatto riferimento al libero pensatore Gramsci, per trovare la forza per provare ad uscire dalle gabbie in cui il potere stesso racchiude sia chi lo detiene, sia il Paese intero.
Dalla sua Renzi ha il fattore novità, la spinta e l'energia che il nuovo porta con sé: scupa nova faci rumuru.
Dall'altra parte, a sostenerlo ci dovrebbe essere un partito che però ha dimostrato non essere tale, visto e considerato che sono prevalse le differenziazioni interne invece che l'idea comune che dovrebbe sostenere il partito stesso, ritrovatosi con un presidente (Cuperlo) che ha dato le dimissioni dopo pochi giorni, perché in disaccordo col nuovo segretario che lo aveva sconfitto, e con un Presidente del Consiglio scaricato in malo modo (risparmiandogli, per motivi “tattici” l'umiliazione di vedersi sfiduciato in parlamento).
E in tutto questo marasma il PD che fa? Continua nel suo sport preferito: le primarie all'americana, a ogni livello (nazionale, regionale, provinciale). Sulla carta uno strumento di democrazia, in pratica un metodo per raccogliere fondi.
Si è fatto tutto di fretta, sembra perché si vuole approfittare della congiuntura favorevole dei mercati, con lo spread tra Italia-Germania ai minimi storici dall'inizio della crisi. E se questo è capitato, non è solo per la “congiuntura europea”, ma anche (pur in parte minore), per i provvedimenti adottati prima da Monti e poi da Letta. E quando ci ricapita? Perciò Mario Draghi consiglia: o ora, o mai più!
Il rischio è grande, perché si sa che 'a iatta presciarola faci i iattareddhi orbi. Ma tant'è.
Così, per la famosa legge del non c'è due senza tre, ci ritroviamo col terzo autista (dopo Monti e Letta) del pullman Italia, con la stessa destinazione, ancora lontana: le riforme.
Nel frattempo il Paese resta fermo all'autogrill. Qualcuno ha preferito andarsene per un altra strada, anche a piedi o in autostop. Degli altri, rimasti ad attendere, in molti sono corsi in bagno, a vomitare.
Si tenterà di farle davvero arrivando fino al 2018? Questo è l'auspicio di Renzi-Fonzie, che si appresta a salire a Palazzo Chigi con l'ottimismo del bullo anni '50 di Happy Days –che, tra l’altro, festeggia i quarant’anni dalla prima messa in onda (Renzi, come me, ne ricorderà l’attesa di ogni puntata, ogni sera alle 19)- cantando:
Sunday, Monday, Happy Days.
Tuesday, Wednesday, Happy Days.
Thursday, Friday, Happy Days.
The weekend comes,
My cycle hums,
Ready to race to you.
These days are all,
Happy and Free. (Those Happy Days)...
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