02 marzo 2014

FINZIONE E REALTA’

Metti un sabato sera a Reggio. Dopo la pizza, nel dopocena è obbligatoria, vuoi per pure ragioni fisiologico-digestive, vuoi per quella che è una legge non scritta riggitana, 'a passiata supra o' Corsu.
Ora, lasciando stare gli aspetti tragici di cui abbiamo già parlato, visto che tira aria di carnaluvari concentriamoci sugli aspetti comici. Ma mica tanto.
E allora via! Avanti e arretu lungo quel chilometro di strada che, per quante ne ha viste, se potesse parlare riempirebbe un numero imprecisato di enciclopedie.
La strada: è agghindata a festa per l'occasione. Coriandoli sparsi in ogniddove fanno risaltare ancora di più, anche nel buio della sera, le cicatrici dell'asfalto, sconnesso, lesionato in più punti, che lascia intravedere sotto di sé l'antico ricamo dei lastroni in pietra che lastricavano il Corso Garibaldi.
Ai lati, sui marciapiedi, i cestini portarifiuti -ovviamente stracolmi- fanno capolino tra i vari gruppetti di giovani e meno giovani, tutti imbacuccati nei giubbotti e nascosti (?) sotto improbabili maschere.
Eh già, è iniziato Marzo, è sabato di carnevale ma sembra una sera d'inverno. Il vento che dalle traverse della via Marina sale dal mare, ha un effetto duplice: se da un lato si fa sentire, tagliente, sulla faccia, dall'altro svolge una funzione ambientale alquanto preziosa allontanando dalla strada ogni olezzo di rifiuti. Li vedi, comunque, appena volgi lo sguardo verso monte, agli angoli delle traverse: piramidi, instabili, che richiamano l'Egitto.
I rifiuti, croce e non-delizia del reggino contemporaneo. Ma sarà per il grande spirito di sopportazione, unito all'umorismo che ci contraddistingue, riusciamo ancora a scherzarci su.
Qualcuno, infatti, avanza l'ipotesi che almeno parte dei rifiuti siano stati riciclati. Come? Ci hanno fatto i coriandoli!
In questo scenario che sembra un palco del teatro dell'assurdo, si srotolano i personaggi reali che il teatro lo animano.
Facciamo una breve sosta a Piazza Italia, dove gli interstizi di quella specie di moquette verde che fa le veci del prato, è oramai saturo di cicche e sporcizia varia -cui, in segno di festa, si sono aggiunti i coriandoli- che crediamo non basteranno nemmeno tutti gli aspirapolvere della città per pulirla a dovere. In questa breve sosta, ripercorro mentalmente varie tipologie di personaggi incrociate durante la passiata.
Il pischello con la cresta; l'amico del pischello che gli fa concorrenza con una “muscagna” nell'inedita variante “ a due piani; chi indossa semplici mascherine chic, tenute insieme con i fondi delle cialde del caffè. Simpatici, divertenti e belle.
Ma c'è pure chi, avendo ancora speranza nel futuro, indossa abiti dei personaggi dei cartoni animati di “Futurama” e, infine, chi indossa gli abiti in maniera da diventare “personaggio”.
L'attenzione si concentra ovviamente sulla parte femminile del “cast”. Sfila tutto un universo di donne, ragazze e bambine appena un po' cresciute.
Le vedi arrampicate su tacchi dall'altezza insopportabile, non solo alla vista, ma anche ai loro stessi piedi. E' evidente a chiunque che, come dicono a Oxford, portare i tacchi “non è cosa 'a soi” (nella versione più gentile), considerato che l'altezza di quei trampoli è praticamente la metà della statura di chi li porta. E' per questo che le vedi avanzare timorose, 15 cm alla volta, poi sbandare come ubriache e, un attimo prima di scunucchiarsi definitivamente, aggrapparsi alla spalla o al braccio di colui -poviru cristu!- che dovrebbe esserne il fidanzato. Ma potrebbe anche trattarsi di un semplice benefattore, accorso in pietoso aiuto di una creatura in palese stato di necessità...d'equilibrio, per evitarle un'imbarazzante caduta a muss'avanti o all'anch'all'aria.

Ma, sempre in tema di scarpe, non c'è solo chi esagera in altezza, ma anche in lunghezza e quindi -santu libiranti!- in bruttezza.
Certo, ritrovarti con un paio di scarpe strette è sicuramente fastidioso per chi le porta. Ma metterti un paio di scarpe di due numeri più grandi, come facevi da bambina davanti allo specchio dell'armadio di tua madre sentendoti già grande, con il piedino che praticamente “nuota” da una parte all'altra della suola, a tipu piscina olimpionica...
La differenza è che mentre una volta era un gioco innocente, che finiva davanti allo specchio, adesso il “gioco” continua per strada.

Ma basta alzare lo sguardo da terra per ritrovarsi circondato, come intrappolato in una stanza di specchi che replicano tutti la stessa immagine. In pratica, la versione femminile di Multiman, l'eroe de “Gli impossibili”.
Tutte vestite uguali: minigonne, calze, rigorosamente attillate, ecc.
La qualcosa -esaminata dal punto di vista maschile- potrebbe essere anche apprezzabile, se non fosse per il fatto che la lunghezza della gonna o il grado di “attillamento” delle calze prescinde dalla corporatura, con imbarazzanti (almeno per me, che li incrociavo) clamorosi casi di “debordazioni” di carni. Abbondano infatti numerosi i casi di ragazze, diciamo così, “i bon pisu”, le quali tutto potrebbero indossare tranne quello che pretendono di indossare -per sfacciata disinvoltura o noncuranza personale, non si sa- solo per sentirsi (e nell'illusione di vedersi) uguali alle altre.
Non sono né un esperto di moda, né tanto meno un modello -p'amuri i Diu!- ma è evidente che ogni limite ha una pazienza. Vorrei dire perciò:

tu che porti i fuseaux ma, al posto delle gambe, hai due monoblocchi in cui cosce e polpacci sono un unicum indistinto; tu che indossi i leggins ma hai il “lato b” che sfiora l'asfalto e sta quasi per spazzare i coriandoli, che se la Multiservizi non fosse fallita, un impiego lo troveresti di sicuro;

tu che  sotto la minigonna aderente hai quella calzamaglia aderente, e sei così attraente da farmi tornare in mente la rete del salame, sì, come quella ru iambuni che ho condiviso con gli amici nella frittolata che a pranzo ha salutato l'inverno, aspettando la primavera.
Tu, dico, “personaggia” di tal fatta, ma ti guardi allo specchio prima di uscire di casa? E ancora: se non l'hai fatto tu, i tuoi genitori ti hanno mai guardata prima di farti uscire di casa? Com'è possibile una simile mancanza di consapevolezza del proprio corpo?
La risposta, reale, non finta, è una sola: si può avere consapevolezza del proprio corpo solo se si ha personalità. Chi dimostra in maniera così evidente la non consapevolezza del proprio corpo, dimostra di non avere personalità, di essere un vuoto che la maschera dei vestiti inappropriati non riesce a coprire.
Torno a casa perplesso, con negli occhi queste immagini e nella bocca, improvviso, il retrogusto delle frittole che torna prepotente, sconfiggendo anche il sapore, più recente, della pizza.
Poi penso beh, in fondo è carnevale. L'unico giorno dell'anno in cui non puoi giudicare nessuno senza correre seriamente il rischio di sbagliarti, l'unico giorno dell'anno in cui finzione e realtà convivono senza vergogna, ognuno con la propria maschera.

Ma è solo un attimo. Giusto il tempo di mandar via quel fastidioso retrogusto di suino e poi, guardandomi allo specchio mi dico: non è così, aveva ragione Pirandello. E' così se ci pare, vuol dire che non è così. Finzione e realtà convivono ogni giorno dell'anno, c'è chi indossa ogni giorno una maschera diversa (i più abili anche diverse maschere in uno stesso giorno).
Sono sempre di meno quelli che di maschere riescono a indossarne una sola, trasparente: quella che gli ha dato madre Natura, e che noi abbiamo chiamato faccia.
Vado a dormire con lo stomaco più leggero, ma con la pesante consapevolezza che sabato prossimo, a carnevale finito, e chissà per quanti altri sabato ancora, al teatro a cielo aperto del Corso Garibaldi -così come accade su mille altri palcoscenici- si metterà in scena la stessa rappresentazione, la stessa commedia che siamo soliti chiamare vita.

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