21 settembre 2014

LA BAMBINA E IL CAGNOLINO

La bambina arrivò tenendolo in braccio. Era il suo cucciolo, un cagnetto di peluche, che prese vita appena lo mise a terra: cominciò ad abbaiare e a scodinzolare con la coda a tergicristallo, mentre avanzava meccanicamente, con l’andatura traballante, sospinto dall’energia delle batterie, verso la parete opposta a quella da cui la bambina l’aveva fatto partire. La bambina sorrideva a vederlo camminare.

A un certo punto però, la stanza finì, il cagnolino sbatté col muso contro il muro. La bambina scoppiò in una fragorosa risata, quel gioco le piaceva. Si alzò dalla sedia da cui l’aveva osservato, andò a riprendere il cane e lo girò nella direzione opposta, verso la parete di partenza. Il cagnolino, due occhioni su un viso che ispirava tenerezza e simpatia, ricominciò a sgambettare e abbaiare, con il tergicristallo-coda sempre in azione. Fino al muro, e alla risata della bambina.

La scena si ripeté due, tre….diverse volte, non le ho contate. Il cane non si stancava mai. Non poteva stancarsi, lui. La bambina, invece, si stancò, come fanno tutti i bambini dopo un po’ che iniziano qualunque gioco. La sua attenzione, la sua curiosità, il suo completo interesse furono attratti, invece, dai colori di un quadro che riproducevano la spiaggia, le case e il cielo di una terra lontana, di là dal mare. Lasciò il cane lì, con il muso contro il muro, come se non fosse più suo, come se non l’avesse mai visto.

Se ne ricordò solo poco prima di andarsene, quando raccolse i giochini e i giocattoli che aveva seminato e abbandonato sul pavimento, per tutta la stanza. Li radunò tutti in un angolo, prese dalle mani della madre uno zainetto che era grande quasi quanto lei e li ficcò dentro alla rinfusa, senza badarci più di tanto. Per quel giorno le erano bastati. Li avrebbe ripresi domani, dopodomani, chissà…..comunque, il giorno in cui le sarebbero serviti di nuovo per divertirsi, per farsi una risata.

Guardavo quel cagnolino, quasi ipnotizzato dal suo andare avanti/indietro, dal movimento del tergicristallo che era la sua piccola coda. E più lo guardavo, più pensavo che, in fondo, non sono poi tanto diverso da lui: non ho una vita, esisto.

Prendo vita, come il cagnolino, solo quando qualcuno ha bisogno di me. E vado avanti/indietro, consumo energie. Chi mi spinge è una strana batteria, unipolare: l’amicizia. Non potrà mai esserci nient’altro di più potente a spingermi. Vado avanti/indietro, ma sbatto contro il muro. E quando sbatto contro il muro, mi faccio male. Invidio il cagnolino, lui non prova dolore.

Lo invidio il cagnolino, perché ho l’impressione di scodinzolare e trasmettere così simpatia ed amicizia. Ma è solo un’impressione, non ho la coda. Lo invidio il cagnolino, perché, diversamente da lui, finisco col sentirmi monotono, ripetitivo, inadeguato, ingenero sentimenti di fastidio. Sono come un paesaggio sbiadito che non offre nulla, tutto il contrario dei colori forti, vivaci e attraenti del quadro che riproduce la spiaggia, le case e il cielo di una terra lontana, di là dal mare.

Sono per gli altri, come il cagnolino, come un qualunque giocattolo per la bambina: la mia utilità dura poco, fino a una risata. Poi torno innocuo, anonimo, nella mia esistenza alla rinfusa, dentro lo zainetto fino al giorno in cui servirò di nuovo, per regalare un’altra risata.

Non ho una vita, esisto, ma senza coda e dolorante per le botte prese sbattendo contro il muro.

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