A
Scilla torna il furore rivoluzionario? Si è svolta pochi giorni fa,
nella stessa location della sala consiliare scillese, la replica
dell'assemblea dei sindaci dell'area dello Stretto andata in onda il
5 ottobre del 2015, avente per oggetto la situazione dello “Scillesi
d'America”.
A
due anni di distanza esatti, si è “festeggiata” la ricorrenza,
prendendo spunto dall'ennesima novità negativa che ha riguardato la
scatola semivuota del fu ospedale scillese: la riduzione del PPI (Punto
di Primo Intervento) da 24 a 12 ore + la guardia medica.
Ma
le repliche, si sa, non hanno mai la stessa audience delle prime visioni.
Così,
a discutere della quasi-morte definitiva del fu ospedale sono rimasti
in pochi sindaci (pare fossero solo sei). Se pochi erano i sindaci
-dei paesi vicini, ma comunque furisteri- altrettanto pochi
erano gli scillesi. Non è la prima volta che accade: erano in pochi
anche anni fa, quando ci è cercato di mobilitare le associazioni e
la cittadinanza tutta per scongiurare quello che poi, purtroppo è
accaduto: la politica regionale -e non solo quella- ha deciso che la
sanità calabrese e reggina poteva fare a meno in tutti i sensi della
struttura di Scilla.
A
nulla sono serviti le manifestazioni di popolo, i discorsi in piazza,
le mille riunioni, gli inutili tentativi di mettere d'accordo
maggioranza e opposizione per portare avanti un'azione incisiva.
Ancora peggiori sono state le decisioni degli amministratori del
tempo: firmarono un ricorso contro il decreto che disponeva la
chiusura (assolutamente illegittima, e lo sapevano) dello “Scillesi
d'America”, ma non chiesero la sospensiva del provvedimento. Così
che, mentre altri comuni che hanno utilizzato lo stesso strumento
previsto dalla legge, hanno vinto il ricorso e si sono visti riaprire
gli ospedali chiusi (vedi Rogliano), il ricorso scillese sarà
trattato....nella prossima generazione.
Questa è la storia, e davanti a questa storia non si può rimproverare agli scillesi la mancata partecipazione alla replica di quello che hanno già visto. Non si può, quando si erano fatte promesse che poi sono state puntualmente disattese.
Questa è la storia, e davanti a questa storia non si può rimproverare agli scillesi la mancata partecipazione alla replica di quello che hanno già visto. Non si può, quando si erano fatte promesse che poi sono state puntualmente disattese.
In tempi più recenti, anche l'attuale
Amministrazione scillese ha le sue colpe: all'indignazione di due anni
fa e alle promesse rivoluzionarie, è seguito il silenzio. “Aspettavamo
che il Presidente Oliverio divenisse Commissario al Piano di rientro
al posto del dott. Scura” -ha detto il Sindaco per giustificare
la naftalina usata in questi anni per “conservare” il problema
al sicuro da occhi ed orecchie indiscrete, quali potevano essere
quelle dei cittadini.
Purtroppo,
però, i piani del sindaco in carica non sono andati a buon fine,
perché in questi anni tanti sono stati gli scillesi che per curare
la propria salute hanno avuto la sfortuna di vedersi “prigionieri”
del perverso meccanismo sanitario cui è stata condannata la nostra
provincia (e la Calabria intera). Un meccanismo simile a un frullatore
che gira
vorticoso e macina, e tu sei costretto a girare con lui, come vuole lui,
se
vuoi avere qualche possibilità di uscirne vivo e tornare a casa con
i tuoi piedi, anche se ammaccato. Chi ha avuto la sfortuna di esser
fatto prigioniero, ha
urlato, ha scritto pubblicamente ciò che gli accadeva. Era l'unico
sfogo concessogli per poter raccontare i
ritardi, le file assurde -come quelle per il pane ai tempi della
guerra!- medici sull'orlo di una crisi di nervi e che, in alcuni
casi, avrebbero bisogno di altri medici per curare la loro salute
(fisica e soprattutto mentale), messa a rischio da turni di lavoro e
numero di pazienti che, obiettivamente, hanno superato i limiti
dell'umanamente
sostenibile.
Il cittadino, i cittadini scillesi, tanti, lo hanno purtroppo sperimentato in tutti questi anni e lo stanno vivendo ancora oggi: 'maru a cu' havi bisognu!
Il cittadino, i cittadini scillesi, tanti, lo hanno purtroppo sperimentato in tutti questi anni e lo stanno vivendo ancora oggi: 'maru a cu' havi bisognu!
Gli
appelli, i discorsi e le chiacchiere stanno a zero. Bisogna agire
politicamente, con gli strumenti democratici che abbiamo a
disposizione.
I
nostalgici del “Che” e di Fidel Castro ed i loro moderni seguaci
si mettano l'anima in pace: il popolo è disposto a seguire chi ha
carisma, chi è capace di coinvolgerlo mettendosi a lottare con lui,
a fianco e davanti a lui. Non può e non intende seguire chi lo prende in giro,
adottando provvedimenti solamente simbolici, pi lavari a' facci, ma del tutto inefficaci,
come in passato, oppure chi aspira a fare il rivoluzionario aspetta di
avere il vento a favore. Questo non è furore
rivoluzionario. Così, rivoluzioni non se ne possono fare e, infatti,
non se ne sono fatte finora.
Ma
quali sono gli strumenti democratici che abbiamo a disposizione?
La
prima, potenzialmente più efficace, è proprio l'ultima in ordine di
costituzione: la Città Metropolitana.
Essa,
seppur ancora sconosciuta ai più, per espressa finalità istituzionale, “tutela il diritto alla
salute come diritto fondamentale costituzionalmente garantito” e
persegue “il miglioramento della qualità della vita delle persone
che vivono sul territorio stabilmente ed occasionalmente” [art. 10
dello Statuto]. La legge istitutiva delle Città Metropolitane
prevede, fra l'altro, che ad esse compete la “strutturazione di
sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzazione
dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano”
Ora,
fino a prova contraria, quello sanitario è un servizio pubblico. E'
vero, dev'essere svolto secondo le norme emanate dallo Stato e dalla
Regione, ma nel rispetto di queste norme, la strutturazione e
l'organizzazione del servizio competono alla Città Metropolitana.
Dunque,
attraverso la Conferenza Metropolitana -cui partecipano i Sindaci di
tutti i Comuni che fanno parte del nuovo ente- si potrebbe presentare
una proposta che, sempre nei limiti stabiliti dall'attuale Piano di
rientro -che, peraltro, dovrebbe essere quasi agli sgoccioli- e dal
Piano Sanitario (elaborato più di dieci anni fa e, almeno per
Scilla, inattuato perché poco rispondente agli effettivi bisogni
attuali), preveda:
l'elaborazione,
nell'ambito della Commissione Sanità del Consiglio Metropolitano
(che sia essa già istituita o da istituire), di un Piano di Strutturazione e Organizzazione Sanitaria della Città
Metropolitana, che nell'invarianza dei costi previsti dal Piano
Sanitario Regionale, garantisca effettivamente la qualità della vita
e la tutela del diritto alla salute previsti dallo Statuto.
A
tal fine, la Commissione consiliare potrà avvalersi di una
Commissione Speciale (la cui costituzione è prevista dal vigente
Regolamento del Consiglio Metropolitano), che effettui studi o
indagini inerenti le patologie di maggiore impatto riscontrate sul
territorio Metropolitano.
Dette
indagini potrebbero essere fatte coinvolgendo, in primis, i medici di
famiglia e i vari istituti di diagnostica, per esempio mediante
semplici schede, sulla base delle quali raccogliere i dati necessari.
Sulla base dei dati raccolti e delle relative statistiche elaborate, si
potrà così programmare una migliore e più efficace organizzazione
funzionale delle strutture sanitarie presenti sullo stesso territorio
in ragione della densità della popolazione che lo abita.
Accanto
al provvedimento d'urgenza, che si ha intenzione di chiedere per il
ripristino del PPI dello “Scillesi d'America” per le 24 ore, il Piano di Strutturazione e Organizzazione Sanitaria della Città
Metropolitana -strumento che il nuovo Ente è
pienamente legittimato ad adottare e che potrebbe essere elaborato e
redatto materialmente in tempi piuttosto brevi
(due o tre mesi)- consentirebbe di poter calibrare meglio l'offerta
sanitaria dal punto di vista logistico, il che
comporterebbe vantaggi sia a breve che a lungo termine. Non bisogna
dimenticare, infatti, che la nostra è una popolazione di età media
piuttosto avanzata, alla quale è contro natura chiedere spostamenti
importanti (anche fare poche decine di chilometri di chilometri, in
Calabria e nella Città Metropolitana reggina, è tutt'altro che
semplice) o attese improponibili anche per un soggetto giovane e
sano, come sta accadendo oggi con l'esclusivo utilizzo degli ospedali
Hub (a tipu aeroportu, chi bellu rrinescitu!)
Per
fare l'esempio dello “Scillesi d'America” di Scilla: potrebbero, in collegamento funzionale con il G.O.M. di Reggio Calabria,
essere riattivati
i day hospital di oncologia e di emodialisi (l'incidenza di queste
patologie sul mostro territorio ha manifestato una crescita
preoccupante negli ultimi anni).
A
questi, potrebbero aggiungersene dei nuovi, sulla base delle indagini
di cui sopra.
In
definitiva: è più logico e più conveniente per tutti che a
spostarsi sia il medico (che presta servizio a Reggio, a volte senza
poter usufruire di una scrivania propria!) verso i malati, piuttosto
che far spostare i malati verso un medico che
non sa come e dove metterli per poterli curare nel migliore dei modi.
La
chiusura dei piccoli ospedali e, peggio ancora, il mancato utilizzo
delle strutture rimaste vuote -come nel caso di Scilla- non ha
dimostrato vantaggi diretti (nessuno ha dimostrato, dati alla mano,
un effettivo risparmio) né, tanto meno, indiretti (sono stati mai
calcolati i costi, in termini di tempo, benzina e, soprattutto,
salute persa?!). Nessuno ha fatto una seria analisi costi-benefici,
dove i costi non sono solo quelli strettamente economici delle
Aziende Sanitarie, ma i costi sociali che devono affrontare i malati
che, il più delle volte, vengono sballottati da una parte all'altra,
invece di guarire finisce con l'aggravare il proprio stato di salute.
Non lo sa di certo chi è seduto sulle poltrone dei vertici delle
Aziende Sanitarie, ma lo sa benissimo, invece, chi è finito dentro
l'attuale frullatore sanitario reggino e/o calabrese. Come dicevano i
nostri avi: 'i guai ra pignata 'i sapi sulu 'a cucchiara!
Ecco
perché strutture come lo “Scillesi d'America” non solo possono
ma devono tornare a rivestire un ruolo all'interno delle nostre
comunità, e può giocare un ruolo importante all'interno dell'offerta
sanitaria della Città Metropolitana di Reggio Calabria. Ne aveva già
parlato due anni fa, a Scilla, il sindaco Falcomatà.
Chi
scrive non è certo un tecnico della materia sanitaria ma la proposta
sopra sommariamente delineata sia particolarmente difficile da attuare.
Lo si può fare, ed in tempi
brevi, in maniera da porre rimedio agli effetti nefasti prodotti
dall'applicazione -peraltro abortita miseramente- di un Piano
Sanitario vecchio e oramai superato. E per farlo, non servono
rivoluzioni di popolo ma un modo rivoluzionario di fare politica da
parte di chi ci amministra ed ha la responsabilità di adottare
provvedimenti tali, da consentire che il diritto alla salute e il
miglioramento della qualità della vita, per chi vive in questo
territorio bello ma dannato, non rimangano solo belle parole scritte
su uno Statuto ma diventino una buona volta realtà.
Bravissimo....analisi chiara e documentata.....da attuare...e puru viatu...viatu ..Anna Maria sgroi
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