"Foss'anche un romanzo" è l'opera prima di Letizia Cuzzola, "mina vagante" frutto di una particolare miscela siculo-reggina. E' editorialista e critica letteraria per il blog Letto, riletto, recensito, si autodefinisce traslocatrice di punti e virgole per professione, divagatrice seriale per natura, amante dei sogni barocchi apparentemente irrealizzabili, attualmente impegnata a riscrivere la sua vita.
Il libro è l'inizio -quello pubblico, almeno- della sua opera di riscrittura.
Quelli
scritti da Letizia sono frammenti di emozioni, sensazioni,
sentimenti, piccole istantanee di vita racchiuse in preziose tessere
di un mosaico, che vanno a comporre una parte, anzi, la parte
sicuramente più difficile della sua esistenza.
Le
parole sono come frutti, vogliono il loro tempo per crescere e
maturare per poi essere raccolte. Ci sono circostanze, come quelle
vissute da Letizia, che accelerano la loro maturazione e, quindi, il
loro raccolto.
Queste
parole Letizia le ha raccolte in presa diretta man mano che
maturavano, per poi travasarle tutte in questo libro, senza filtri.
Così
come ogni frutto ha il suo profumo, così ogni parola scritta
trasmette intatta, in maniera palpabile e pulsante, la moltitudine di
sensazioni, emozioni e sentimenti vissuti dall'autrice in una
drammatica vicenda personale.
E
chi ha avuto la sventura di viverle, quelle stesse sensazioni, non
può che ritrovarsi nelle sue parole: le crepe della fragilità umana
nella sua più nuda evidenza; il senso di inadeguatezza; la
sensazione di essere finiti nella centrifuga di una lavatrice,
stritolati da un universo sanitario fatto di lucertole, personaggi
infernali, sosia di cantanti, che con un camice bianco addosso si
illudono di assumere sembianze di medici; la dignità del malato
calpestata dalle storture di una sanità che non valorizza i tanti
talenti professionali che la compongono, quei medici -che per fortuna
esistono- che non hanno bisogno di un camice o di un turno in reparto
per dimostrare umanità verso chi è sofferente.
Sono
tutte tessere di un mosaico, nelle quali sono incastonate vere e
proprie perle linguistiche, che efficacemente descrivono il
contesto sociale e urbano in cui tutto accade.
Un
mosaico che, nella sua preziosità, alla fine disegna una via
d'uscita che fa tramutare il dolore prima in forza sovrumana -ché
per nostra umana natura "non è vero che siamo forti"-
e poi in calma soprannaturale, inspiegabile e sorprendente agli occhi
degli altri.
E'
la via che conduce a una nuova consapevolezza: di non essere più
figli ma uomini e donne adulti, che devono percorrere la loro di
strada, armati di tanto cuore -"un'arma
impropria"-
e della definitiva certezza che
"la
Morte non esiste. Esiste ciò che resta in noi di chi ci ha preceduto
e ciò che ne facciamo". Un patrimonio che non dobbiamo
sprecare.