13 ottobre 2023

CIAO, ZIO ROCCO

 

Ciao zio Rocco,

sei stato un uomo forte, determinato. Il tuo carattere fermo ma estremamente pratico ti ha consentito di attraversare le difficoltà che la vita ti ha posto davanti. L'hai fatto fino alla fine, mantenendo la lucidità di pensiero e la capacità di comunicare anche solo con uno sguardo.

Tante sono le somiglianze con mio padre, che in te ho rivisto sempre ed in particolare in questi ultimi sei anni. Vi ha accomunato l'amore per la famiglia, l'impegno sociale, politico, nell'ambito associazionistico e in tante e tante attività, alle quali avete sempre attivamente partecipato, nell'interesse esclusivo della comunità, con la serietà, la riservatezza, la discrezione, la puntualità e la precisione che ciascun impegno richiedeva. L'avete fatto con l'umiltà che vi era naturale, facendo apparire semplici -ai miei occhi di bambino- anche le situazioni più complicate. 

Come dissi a mio padre, anche se rinascessi altre tre o quattro volte, non sarei capace di fare quanto tu e papà avete fatto nella vostra vita, della vostra vita.

Mi hai trasmesso la passione per la storia del nostro paese, fatta delle tante storie degli uomini che, nel tuo tempo,  l'hanno popolato e che ci raccontavi sempre con sfumature simpatiche; mi hai trasmesso l'amore per il nostro dialetto, per le sue espressioni uniche ed efficaci, patrimonio da custodire e valorizzare perché non vada perduto; mi hai trasmesso il piacere di raccontare fatti e persone di questi tempi recenti, sempre con il sorriso, l'ironia e la battuta pronta a sdrammatizzare anche le situazioni più difficili, dono che credo provenga dai nostri avi napoletani, della cui origine sei stato orgoglioso custode.

Per questi motivi sei stato e continuerai ad essere una memoria storica della nostra Scilla, per la nostra Scilla, per il suo futuro. 

Oggi, perciò, ci tengo a salutarti e ringraziarti anche da qui, da questo piccolo spazio il cui nome -'U Nonnu- è un omaggio alla saggezza di un tempo, la saggezza dei nonni. Quella saggezza che hai incarnato nel modo migliore, trasmettendo ai tuoi figli e ai tuoi nipoti un patrimonio prezioso, fatto di saldi rapporti familiari, amore per il proprio lavoro, piacere nel servizio attivo per il prossimo e per il proprio paese.

Con affettuosa riconoscenza, ti dico "Grazie, zio Rocco!", riposa in pace.

23 settembre 2023

L'OSPEDALE DEGLI SCILLESI E LA RABBIA DELLA MEMORIA


E' incredibile come "i piani che non dipendono da noi" -per riprendere una felice espressione del mio amico Giovanni Panuccio- si intreccino di continuo in concatenazioni e collegamenti del tutto inaspettati, ma che -in quanto pianificati- non sono casuali seppur indipendenti dalla nostra volontà.

Se avrete la pazienza di proseguire la lettura, credo che ne resterete colpiti anche voi. Vengo e mi spiego.

La lettera con la quale ASP di Reggio Calabria ha disposto la chiusura della parte di più recente costruzione del presidio sanitario "Scillesi d'America" porta la data del 21/09/2022.

Lo stesso giorno, a un anno di distanza, per gli insondabili disegni di chi regola ciò che accade in questo nostro mondo indipendentemente dalla volontà nostra, si sono svolti i funerali dell'amico Pietro Bellantoni. Cu Petruzzu -così lo chiamavo affettuosamente ogni volta che lo incontravo o ci sentivamo telefonicamente- avevo collaborato nell'ormai lontano novembre 2011 quando, sul mensile "Scilla" di cui era direttore, rendemmo pubblica ad una più vasta platea la clamorosa vicenda della proprietà della struttura sanitaria scillese, nodo che a tanti anni di distanza rimane a tutt'oggi ancora irrisolto. Credo sia stato uno dei suoi primi scoop giornalistici. 

Ricordo con inevitabile commozione la sua meticolosità nel voler approfondire i come e i perché di una vicenda che è davvero ai limiti dell'umana sopportazione burocratica. Mi rimproverava -lui che della sintesi era maestro- di essere troppo lungo nell'esposizione (e sono certo che mi rimprovererebbe anche per la lunghezza di questo post), ma i fatti da raccontare erano tanti. Così, alla fine, sulla "storiaccia burocratica" dell'Ospedale degli scillesi, ne scrivemmo altri di articoli, ripromettendoci, magari, un giorno, di farne un libro. Purtroppo non ne abbiamo avuto il tempo, anche perché la burocrazia è continuata, imperterrita.

Il 23/09/2022 è la data dalla quale nella parte "nuova" dello "Scillesi d'America" sono cessate <<...le azioni sanitarie ivi erogate>>, come recita il provvedimento ufficiale. 

Lo stesso giorno di cinque anni prima, nel 2017, morì mio padre, che le azioni sanitarie dell'ambulatorio di oncologia -allora operativo presso la struttura scillese- le vide cessare quando, un anno e mezzo prima, avrebbe dovuto iniziare la terapia che i medici avevano intenzione di somministrargli. 

Quello stesso ospedale i cui medici lo avevano accolto e salvato quarantacinque anni prima per un'altra patologia, quel giorno gli chiuse le porte solo ed esclusivamente per colpa delle ottuse volontà dei decisori politici e degli attuatori amministrativi della "moderna" sanità calabrese.

Successe, infatti, che quella stessa mattina l'ambulatorio di oncologia operativo presso la struttura sanitaria di Scilla, fu chiuso. I medici che vi lavoravano furono trasferiti a Melito Porto Salvo. Fu solo grazie alla sensibilità umana -prima ancora che professionale- di uno degli oncologi che subirono quel trasferimento a sorpresa, mio padre ebbe la possibilità di potersi curare presso l'allora "Riuniti". Ricordo le parole che, mortificato per quanto era avvenuto, l'oncologo disse a mio padre, <<...nelle sue condizioni non me la sento di farla viaggiare avanti e indietro, da Scilla a Melito, per la terapia. Parlerò con i colleghi di Reggio, la prenderà in cura uno di loro.>>

Così fu. Mio padre fu curato a Reggio per quasi due anni nel migliore dei modi possibili, grazie alle capacità e sensibilità di un reparto, quello di oncologia, davvero valido, pur tra mille difficoltà operative. A quei medici e a quegli infermieri, a ciascuno di loro, andrà sempre la mia riconoscenza. 

In quel periodo, finché le forze glielo consentirono, mio padre prese più volte carta e penna per testimoniare pubblicamente, tramite qualche quotidiano locale, ciò che stava vivendo sulla propria pelle. Conservo ancora quegli articoli.

Oggi, mentre scrivo, è ancora il 23 settembre, ma del 2023. Il giorno dell'anniversario -il sesto- della morte di mio padre; il giorno in cui i social, insensibili e incuranti di ciò che accade alle umane genti, mi ricorda -beffardo!- che avremmo dovuto festeggiare il  compleanno dell'amico Pietro Bellantoni. Sorrido, commosso e triste, nel vedere il suo numero nella mia rubrica: l'avevo memorizzato come "Pietro IV Bellantoni". Non era per un suo vezzo regale, non era da lui. Era solo per ricordarmi del suo simpatico ed autoironico modo di rivendicare con fierezza, e con il suo bellissimo sorriso, l'appartenenza ad una folta stirpe paterna. Questo era Petruzzu.

E' anche il giorno del primo anniversario della chiusura <<...di tutti i corpi [di fabbrica, n.d.r.] denominati "nuovo ospedale" e di immediato trasferimento di tutte le attività ivi erogate in altri siti>>, come è stato premurosamente vergato nero su bianco dai vertici dell'ASP reggina. Ho scritto "primo anniversario", sì, poiché credo che -ahinoi!- ce ne saranno altri prima che su questa storia dello "Scillesi d'America" venga scritta la parola "fine".

E questo 23 settembre è anche il "giorno dopo" di una grande, manifestazione di popolo  -come a Scilla non se ne vedevano da tempo- organizzata dal "Comitato Pro Casa della Salute di Scilla", alla quale hanno preso parte in maniera del tutto civile alcune centinaia di persone.

E' stata l'esternazione composta di una rabbia interiore che non è solo di chi ha manifestato pacificamente ma, ne sono convinto, di una intera collettività della Costa Viola e dei paesi pre-aspromontani che gravitano attorno alla struttura sanitaria scillese da decenni.

E' una rabbia scaturita dalla impossibilità di comprendere le scelte di una politica cieca, sorda e assente (anche ieri sera non c'era nessun politico politicante) nel dare risposte a tutela del diritto alla salute di quei cittadini dei quali, invece, stando alla Carta Costituzionale, dovrebbe essere serva.

E' una rabbia che nasce e sgorga inevitabilmente, in chi ha visto una sanità umana nei suoi attori in prima linea (medici, infermieri, operatori sanitari) ed è cresciuto fin da bambino, con i racconti dei propri nonni, dei propri zii, dei propri genitori, di come -in quel tempo fatto da uomini e donne che usarono la propria concreta intelligenza per fare del bene ad una comunità provata da guerra e fame- a Scilla si poté realizzare qualcosa che non ha avuto emuli in terra calabra: la costruzione dello "Scillesi d'America". 

Dall'America, oggi, purtroppo, abbiamo preso ad esempio soltanto un modello di sanità che la prova dei fatti ha dimostrato essere fallimentare, dimenticandoci colpevolmente di quanti dall'America hanno covato, alimentato un sogno e poi lo hanno concretizzato.

E' una rabbia che dobbiamo tenere viva, perché costituisca fuoco che alimenti la nostra forza nel denunciare le illogicità di scelte che, invece, ci vogliono imporre senza fornircene le reali motivazioni. 

Deve essere rabbia viva ma feconda, nel segno della riconoscenza. Personalmente, mi sento di doverlo  alla memoria degli scillesi d'America, alla loro voglia di crederci fino in fondo; alla memoria del mio amico Petruzzu Bellantoni, alla sua voglia di cercare risposte, di capire; alla memoria di mio padre, che non ha mai smesso di indignarsi per le ingiustizie. 

Sono certo che non sono e non sarò solo.


20 agosto 2023

Festa di San Rocco 2023. Appunti dalla processione -2

 



 


Seconda giornata di processione, per le strade de quartiere San Giorgio, come da tradizione. Tre i momenti significativi che ho annotato nella memoria.

 

La sosta davanti al nostro ex ospedale "Scillesi d'America". Un'accorata preghiera perché ci si adoperi a far tornare le strutture disponibili alla piena fruibilità non solo degli scillesi ma dei tanti abitanti del comprensorio che gravitano attorno a questa struttura da ormai sessant'anni.

Durante la sosta, riflettevo sul fatto che noi scillesi siamo predisposti all'aiuto e all'accoglienza, al prestare soccorso in genere. A questa particolare natura, ho fondato motivo di credere -e mii piace farlo- che molto abbia influito su ogni scillese l'esempio del nostro Santo Patrono. Il passo del Vangelo di Matteo (25,35-44) "Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi…" che viene citato in occasione della festa liturgica, il 16 agosto, e in ogni celebrazione durante la festa, è quello che ogni scillese ha ascoltato fin da bambino guardando la potente espressione della statua lignea di San Rocco e che, per questo, ha ben impressa nella propria mente e nel proprio cuore.



Vedersi privati di una struttura attraverso la quale, per oltre sessant'anni, si sono date cura ed assistenza ad una moltitudine di persone, genera nello scillese, proprio in quanto devoto al Santo taumaturgo di Montpellier, un naturale sentimento di opposizione, di ribellione contro decisioni (siano esse politiche, aziendali o di altra genesi) che hanno annullato la dignità dei malati e hanno fiaccato quel bisogno di umanità che, invece, è oggi sempre più fondamentale.

 

La sosta davanti a' Cresiola, a pochi metri dalla villetta comunale, luogo di svago per giovani e meno giovani. Per i giovani che la frequentano, in cerca a volte non di semplici momentanee e sane distrazioni dallo studio o dalle proprie  attività, ma in cerca di soluzioni alternative per raggiungere l'indipendenza economica o, peggio, la ricchezza, in maniera del tutto apatica e sfruttando le debolezze dei propri coetanei.

Che l'esempio di San Rocco, che ha abbandonato ogni privilegio ed ogni ricchezza, possa essere d'aiuto a comprendere la ricchezza e la bellezza del sacrificio, del sudore della propria fronte, dell'aiuto -attraverso le proprie capacità- dell'intera collettività di  cui si fa parte.

 


Il trionfino. Momento culminante della festa. E' la corsa che, in pochi secondi, raffigura il trionfo di San Rocco sul morbo della peste, il fuoco del suo tempo. E' una corsa che si conclude simbolicamente davanti alla chiesa, come a voler rappresentare il suo andare incontro al Signore, che ha voluto che questo uomo, pellegrino della carità, fosse elevato alla gloria degli altari della Sua Chiesa, quale umana incarnazione delle sue parole, come il versetto ricordato in precedenza.

Il contorno di fuochi pirotecnici che fa seguito alla corsa, ti toglie il fiato; il rumore dei colpi fa quasi tremare piazza San Rocco, ti rimbomba dentro, e ti costringe a respirare a bocca aperta. In quei pochi minuti non esiste altro: tutti i pensieri, le preoccupazioni, svaniscono, sei come anestetizzato dalla realtà che ti circonda. Alla fine della cassa infernale, un urlo gioioso di liberazione unisce la piazza: Viva San Rocco!

Sono ancora stordito dal crepitio e dai colori dei fuochi d'artificio, mentre mi avvio a far ritorno verso casa, attraversando a fatica, seppur a piedi, gli ingorghi di un traffico le cui luci e i cui rumori, però, per la paterna intercessione di San Rocco, sono stasera più sopportabili.

 

n.b.: foto tratte dalla pagina Facebook di Pasquale Arbitrio

19 agosto 2023

Festa di San Rocco 2023. Appunti dalla processione -1


 

Che senso ha festeggiare il Santo Patrono?

E' la domanda che mi ha assillato durante tutto il percorso della processione per le vie di Chianalea e Marina Grande.

Ovunque guardi, vedo gente disinteressata, come se la processione fosse un corteo che porta in giro un semplice pezzo di legno.

Guardo le foto di un tempo, e vedo tutti gli uomini in pantaloni lunghi, col vestito buono della festa. Oggi, per le strade attraversate e dietro il Santo, vedo gente in pantaloncini corti, in costume o mezza nuda.

Avventori seduti ai tavolini di un locale, che battono le mani ritmicamente, ad accompagnare la marcia suonata dalla banda. Tutti rigorosamente seduti al passaggio della croce e della statua.

Ragazzini che, con il Santo a poco più di venti metri di distanza, bestemmiano Dio con la stessa facilità con cui respirano aria.

Nessun componente della Commissione Straordinaria presente, hanno solo mandato una delegata, che nessuno conosce o sa chi sia, ma che personalmente ringrazio. Essendo in tre, i Commissari avrebbero potuto fare uno sforzo.

Gente in processione, che guarda la partita di calcio sul telefonino: è iniziato il campionato.

Sulla via del ritorno verso la Piazza, inatteso, anzi, improvviso spettacolo di fuochi d'artificio, predisposti su due balconi ed accesi senza alcun segnale: processione tagliata in due per quasi tutta la strada Nazionale.

Davanti al Comune -rigorosamente chiuso- i portatori sollevano sulla sola forza delle loro braccia la statua del Santo, in segno di particolare protezione e benedizione per un Ente che sta attraversando un periodo terribile. E', senza dubbio, l'immagine più forte che mi resta di questa giornata.

Vedere il Palazzo Comunale chiuso al passaggio del Santo Patrono, però, è qualcosa che stona, tantissimo. Certo, ci vorrebbe qualcuno che, per pochi minuti, si incaricasse di aprire il portone e le luci, in segno di rispetto, saluto e festa. Lo fanno a Reggio e in altri paesi. Da noi, invece, niente: porta chiusa e buio.

A mia memoria, nessuna Amministrazione ha mai pensato di aprire le porte al suo Patrono. Sarebbe ora di farlo.

Davanti a tutto questo, che senso ha festeggiare il Santo Patrono?

La risposta a questa domanda è una risposta non detta: nessuna preghiera al microfono a scandire le varie soste.  Non è un segno di resa, al contrario. Chi ha voluto pregare, l'ha fatto assieme, con il tradizionale rosario devozionale, o più intimamente, nel proprio cuore. E' stato, dunque, un silenzio pubblico forte, che a tanti non dirà nulla, ma che per la coscienza di ciascuno di noi significa tanto, tutto.

 

n.b.: foto tratta dalla pagina Facebook di Pasquale Arbitrio

10 agosto 2023

CALABRIA, TERRA INTERROTTA

 

La Calabria è terra interrotta.

Dal punto di vista geografico, prima di tutto, separata dalla Sicilia da un vuoto riempito di mare, che appare impossibile da collegare con mezzi diverse da barche o navi, a dispetto di ciò che possano pensare qualche ministro e chi gli tiene il sacco.

E' terra interrotta nelle sue parti pianeggianti, poche, che presto s'impennano su per colline e montagne ripide, maestose, dure, che nascondono segreti.

E' terra interrotta nella sua storia: l'ha interrotta chi è venuto a dominarci e poi è scappato, scalzato da un nuovo dominatore; l'hanno interrotta i molti -troppi- che qui non hanno trovato futuro e la loro storia personale se la sono dovuta costruire altrove, in posti lontani. Se poi le sommi, le storie personali, diventano la storia di un'intera comunità, di intere comunità.

La Calabria è terra interrotta nei rapporti interni tra queste comunità, chiuse, arroccate su queste colline e queste montagne messe in mezzo a separare l'Est dall'Ovest. Si sono chiuse per difendersi, per difendere un'identità che oggi appare perdersi nella disgregazione continua delle risorse umane che quelle comunità costituiscono, fenomeno che dura da quasi un secolo.

 E' terra interrotta nella cultura, la Calabria. Di ciascuno dei popoli che l'hanno dominata o che vi sono stati ospitati nei secoli, restano poche tracce, per lo più ignote agli stessi calabresi, ancora oggi. Quel che rimane sono le lingue (come il greco antico parlato nella Bovesìa o l'arbëreshë

sulle colline del crotonese o nella parte settentrionale della regione) o parti di esse, che sopravvivono in qualche termine dei nostri dialetti. Fatta eccezione per quelle religiose, che ancora resistono, si fa sempre più fatica a mantenere le nostre tradizioni, i nostri usi, i nostri costumi. “La cultura pesa!” era solita dire una mia professoressa. E' un peso che in Calabria è sempre più pesante.

E' terra interrotta, troppo spesso, nell'esercizio della democrazia da una legge ingiusta, che mette tutti nello stesso sacco, senza distinzioni, senza controllare prima la qualità umana di un cittadino, di una persona.

Per un insieme di ragioni geografiche e antropologiche, la Calabria è terra interrotta nel sociale. Quante associazioni hanno visto la luce, animate dagli scopi più nobili, che si sono dissolte, evaporate in tempi brevissimi o, nella migliore delle ipotesi, sopravvivono solo formalmente, come anestetizzate, per mancanza di risorse umane prima ancora che economiche.

E' una terra, la Calabria, che non ha mai consentito lo sviluppo di uno spirito cooperativistico. Ci si è sempre affidati al singolo o a un gruppetto sparuto di persone e ogni iniziativa o attività sociale è durata fin tanto che quel singolo o quei pochi hanno potuto farcela con le loro forze.

Ricordiamoci sempre che, come diceva Nicola Giunta, la Calabria, e Reggio e la sua provincia in particolare, è “'u paisi 'i scindi e falla tu!” Ovvero, è il paese in cui a fare le cose deve essere sempre qualcun altro rispetto a colui che si lamenta perché le cose non si fanno.

Ma la società e la cultura che essa esprime è anche memoria, e la memoria non può permettersi di essere interrotta, perché altrimenti scompare essa stessa.

25 aprile 2023

LA DISABITUDINE


 

Ogni 25 Aprile si ripropongono interpretazioni di parte che, da sole, bastano a rendere vana ogni celebrazione di questa data, che è simbolo vivo della nostra libertà.

E' una libertà -come dimostra la lettera che riporto sopra, pubblicata sul proprio profilo twitter dalla giornalista Francesca Mannocchi-  conquistata da chi ha fatto una scelta: ragazzi e ragazze, donne e uomini, perfino bambini e bambine. Erano oppressi, perseguitati, uccisi, annientati, da un regime dittatoriale contro il quale dopo venti lunghi anni, hanno trovato la forza e il coraggio necessario per ribellarsi, aiutati in questo scopo dall'intervento militare degli Alleati.

Fu la Resistenza di questi Partigiani -cioè di coloro che scelsero la parte della libertà- a regalarci la nostra Costituzione, il faro che illumina tutti i nostri diritti, che ci richiama ai nostri doveri. Non importa di quale colore fossero questi partigiani: se rossi, bianchi, gialli o verdi. Davvero, non importa. Ciò che importa è che ebbero la capacità di unirsi insieme per combattere un nemico comune: il fascismo e la sua dittatura.

Oggi, dopo quasi ottant'anni, stiamo via via perdendo la voglia di scegliere: non andiamo più a votare, rinunciamo ad esercitare il massimo diritto di scelta che ci è concesso per continuare a sentirci liberi.

Rinunciare a questo diritto ha contribuito a condurci, a Scilla, nelle condizioni in cui ci troviamo: senza rappresentanti democraticamente eletti -per motivi mafiosi per due volte negli ultimi cinque anni; senza quasi più servizi sanitari; con un tessuto economico deficitario sotto molti aspetti (ad esclusione del comparto della ristorazione); con un'offerta turistica varia, diffusa, frutto dell'iniziativa singola, ma del tutto scoordinata e, perciò, priva di forza contrattuale nel rapporto con le istituzioni e con la comunità stessa; senza luoghi di confronto e di dibattito dove proporre idee nuove.

A ben vedere, Scilla vive, anzi sarebbe più appropriato scrivere sopravvive, in uno stato di libertà relativa, condizionata. Ed è uno stato di cose che si registra oramai da tempo e al quale ci siamo quasi assuefatti. E' la cosa più grave quella di essersi quasi disabituati alla democrazia, alla libertà che può darci solo il pieno esercizio dei diritti che ci sono garantiti.

Disabituarsi alla libertà è pericoloso, molto pericoloso. Lo vediamo ovunque nel mondo non vi sia libertà: in tutti i regimi dittatoriali o nelle dittature mascherate, le democrature; in tutti i paesi che sono in guerra.

La disabitudine alla libertà è il peggior torto che possiamo fare a tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita per conquistarla, mantenerla e regalarcela fino ad oggi.

Ecco l'importanza del 25 aprile. Da più parti (non ancora da tutte, purtroppo) si grida: "Viva il 25 aprile!", "Viva la libertà!". Non leggiamoli solo come esclamazioni. "Viva!" non va inteso come grido di giubilo, di gioia. "Viva!" va inteso come voce del verbo "Vivere". Perciò dico: che viva il 25 aprile! Che viva la libertà!

11 marzo 2023

LA STORIA CHE SI RIPETE DEGLI INEDUCATI

 


 

E' cosa nota che la storia si ripete.

Ora, è stato annunciato che il Governo intende condurre una campagna informativa nei Paesi di provenienza delle persone che arrivano con ogni mezzo in grado di galleggiare, pure a stento, sulle onde del Mediterraneo. Il fatto è che si tratta di Paesi del mondo terracqueo come la Siria, semidistrutta da oltre dieci anni di guerra interna e occasionali bombardamenti israeliani (di cui il mondo terracqueo non ha mai trovato l'occasione per indignarsi); l'Afghanistan, dal quale siamo scappati a' scarpa a' zoccula in un non-sogno (purtroppo!) di mezza estate, un paio d'anni fa, e che adesso è presidiato da quei simpaticoni barbuti che si dicono studenti del Corano ma lo applicano in maniera tutta loro, negando ogni diritto possibile e immaginabile -tranne quello di starsene a casa- alle loro donne; Egitto e Tunisia, paesi nei quali il sogno della primavera araba è stato spezzato da dittature e governi incapaci; paesi del corno d'Africa e dell'Africa subsahariana nei quali guerre e siccità hanno reso impossibile la vita per uomini, animali e piante.

Ma siccome la storia si ripete, considerato che le nostre ambasciate in quegli stessi paesi faranno una fatica boia (senza chi molla) ad instaurare rapporti bilaterali ufficiali con i loro omologhi, la campagna informativa sarà probabilmente condotta con appositi aeroplani pilotati dagli eredi di Gabriele D'Annunzio e Italo Balbo, che provvederanno ad inondare di volantini il suolo di queste terre costellate di macerie ed aride, o anche le tende e i tuguri dei campi profughi dei milioni di sfollati tra Siria e Turchia. I volantini saranno del seguente tenore: non venite in Italia, ché il mare è brutto, ci sono gli scogli e finisce male. E dite ai vostri scafisti che abbiamo inasprito le pene e che abbiamo introdotto un nuovo reato nel codice penale della nazione italica (che noi di codice penale ce ne intendiamo, visto che quello in vigore l'abbiamo fatto noi 92 anni fa, ed è fatto talmente bene che sempre quello è), per il quale si rischiano trent'anni di carcere.

Altro annuncio, a tipu Papa, ma non all'urbi et all'orbi, ma -sintiti! Sintiti!- ancora di più: <<Questo Governo andrà a cercare gli scafisti, lungo tutto il globo terracqueo!>>, Giorgiuzza dixit.

Ora, due cose mi vengono in mente.

  1. Il globo, in quanto tale, non è in 2D ma in 3D, perciò non è solo lungo ma è anche largo ed alto. Pertanto, occorrerà cercare non solo in lunghezza ma lungo tutte e tre le direzioni. Occorrerà, cioè, per capirci meglio, Giorgiuzza, uno sforzo triplice (chi a tia, 'u sacciu, 'sta parola ti piaci).
  2. Sempre per il fatto che la storia si ripete, ricordo che l'ultima volta che qualcuno si definì "poliziotto del mondo" fu più di vent'anni fa, dopo la strage del 11 settembre 2001. Fu Jorge Bush a giurare vendetta a Osama Bin Laden, promettendogli che gli avrebbe dato la caccia in tutto il mondo. Altrettanto promise ai talebani, nell'intento di ripristinare la democrazia. La promessa faceva parte di un intento ancora maggiore: esportare la democrazia in tutto il mondo e farsene garante, a dispetto di tutto e di tutti. Tutti sappiamo come è andta a finire: a parte Osama, chi muriu 'mmazzatu, i talebani sono ancora in Afghanistan e la democrazia mondiale è sempre più in crisi. E' evidente anche un bimbo innocente che l'Italia non ha né gli uomini né i mezzi né, soprattutto, il diritto di andare, di sua spontanea volontà, a rompere i cabasisi all'Africa intera o all'Afghanistan. Con quale mandato internazionale? A nome di chi? Non è dato sapere.

 

Ultima annotazione: dopo aver accuratamente disertato i luoghi del luttuoso naufragio di Cutro ed aver, con altrettanta occuratezza, evitato di incontrare i parenti delle vittime, Giorgiuzza nostra, pensando di fare 'na cosa 'ngarbata, ha invitato i parenti delle vittime a Roma, a Palazzo Chigi, in un estremo tentativo di riparare alle mancanze di questi giorni.

La maggior parte dei parenti delle vittime ha rifiutato l'invito. E si capisce!

Quando muore qualcuno, educazione vuole che per rispetto verso il morto e verso la sua famiglia, si vada al lutto a casa del morto o nel luogo presso il quale è temporaneamente custodita la salma. La visita a casa è un semplice omaggio alla persona deceduta. In Calabria è spesso accompagnata da semplici omaggi materiali, tipu 'n paccu 'i zzuccuru o 'i cafè, 'na guantera 'i pastetti (ché il dolce aiuta a sopportare il dolore) o 'na buttigghia 'i Tombolini. I parenti stretti, invece, sono soliti offrire colazione, pranzo o cena nei giorni del lutto, secondo il grado di parentale vicinanza. Ciò perché quando sei colpito da un lutto, a tuttu pensi meno che alle cose di tutti i giorni, mangiare compreso.

 

Ora, non dicu che Giorgiuzza doveva portare a Crotone pacchi di zzuccuru, cafè o di buttigghi 'i Tombolini, né tantu menu vassoi e teglie con colazione, pranzo e cena, cumbigghiati ca stagnola. No, a questo ci hanno pensato già le comunità di Cutro e di Crotone, senza alcuna ostentazione.

Però, invitare i parenti dei morti di Cutro a Palazzo Chigi è come invitarli a casa propria, per di più dopo non essere andati a manifestare il rispetto dovuto a tutti i morti. Che senso ha?! Nessuno. E' solo un altro segno, l'ennesimo, che manifesta una diffusa ineducazione istituzionale, che poi si traduce in ineducazione a governare.

 

*N.B.: nella foto, tratta da www.raicultura.it, Italo Balbo con Gabriele D'Annunzio

08 marzo 2023

La Calabria e il calore del suo cuore

 

Dopo ciò che è accaduto a Cutro la notte tra il 25 e il 26 febbraio scorsi, in molti si sono quasi  meravigliati della straordinaria ondata emotiva che ha coinvolto in primo luogo le comunità di Cutro e Crotone e la Calabria intera.

 

Mi ha colpito, in questa dolorosa vicenda, il forte contrasto tra la reazione del popolo di Calabria e il totale disinteresse del Governo. Pur comprendendo che i suoi membri  -la presidente in primis- erano in altre faccende affaccendate per impegni precedentemente assunti, ciò che non capisco e non giustifico è che nessuno, tra i governanti, abbia ritenuto giusto (prima ancora che opportuno) di dover inviare all'estrema frontiera continentale Sud non dico un ministro, ma nemmeno un sottosegretario (e ce ne sono pure calabresi), manco l'usciere di Palazzo Chigi!

E' oltremodo evidente che c'è un problema: o il destino dell'umanità disperata non è una priorità dei nostri rappresentanti governativi, oppure il pensiero prioritario c'è, ma i medesimi impegnatissimi onorevoli non sono neanche in grado di ammettere i loro errori.

Sì, perché di errori da parte delle autorità italiche nella gestione del tragico naufragio dello scalcagnato caicco schiantatosi sulle rive di Cutro, ce ne sono stati parecchi e non ci si può certo nascondere dietro il dito di Frontex.

A lenire la vergogna di uomini e donne di buona volontà ci ha dovuto pensare il Presidente Mattarella, che di educazione, signorilità e senso dello Stato e delle sue istituzioni è maestro ed esempio vivente. Come un nonno severo, ha mostrato ai responsabili di governo come ci si comporta in occasione di certi eventi, al di là di ogni idea o appartenenza politica. Nel silenzioso omaggio reso alle vittime, c'era un grido forte e chiaro: l'umanità viene prima di ogni altra cosa!

 

Un altro fatto, però, mi ha colpito ancora di più: gli sguardi attoniti, sconvolti, gli occhi spalancati, fissi nel vuoto, terrorizzati, dei superstiti, avvolti nelle coperte termiche con le quali le mani pietose dei volontari hanno cercato di riscaldarli, per sottrarre dai loro corpi il freddo del mare in tempesta, del vento impetuoso che soffiava quella notte sulle coste calabresi, il freddo della morte che hanno schivato tra le onde.

 

Si sa, la lingua è il primo elemento attraverso cui si espirme la cultura, il modo di essere di un popolo. Ebbene, ai non indigeni che si imbatteranno in queste righe, dico che il verbo "riscaldare", nel nostro dialetto scigghitanu, si traduce con "caddìari". 

E',  evidentemente, una deformazione di "cardhiare", come dicono nella parte ionica della provincia di  Reggio che costituisce l'area grecanica.  E, come scrive Gioacchino Criaco nel suo prezioso libro "Il custode delle parole", la radice del verbo "cardhiare" è "cardhia", cioè cuore.

Dunque, nella lingua di Calabria -terra impregnata di grecità- "riscaldare" si traduce letteralmente con "avvolgere con il calore del cuore".

E' quello che hanno fatto in questa ennesima tragedia del mare le genti di Cutro e Crotone e tutte le persone di questa terra di frontiera, capaci di dimostrare ai propri governanti e al mondo intero la propria umanità.

 

*n.b.: foto tratta da: www.lanotiziagiornale.it

22 gennaio 2023

UN ESSERE DA DIMENTICARE

 

Non è passata ancora neanche una settimana e sappiamo quasi tutto. In cinque giorni hanno trovato tre covi -che poi, uno era casa sua- ci hanno raccontato della madre, della sorella, della figlia, del cugino, dell'autista, del medico. Di colui che gli ha "prestato" l'identità ci hanno fatto vedere in primo piano, sul supermegaschermo, la carta d'identità: altezza, colore degli occhi e dei capelli, segni particolari e stato civile. Hanno nascosto solo l'indirizzo, salvo rivelarlo all'urbe e all'orbi due secondi più tardi, con tanto di nome della via, numero civico, numero dell'interno dell'appartamento, colore della facciata e inquadratura in primo piano. Oggi, ci hanno mostrato la macchina, desolatamente rimasta nel parcheggio, preda degli uomini del RIS.

Tutte informazioni non richieste, di cui personalmente faccio volentieri a meno.

Al momento, manca solo una cosa che non si sa di lui: a che ora andava in bagno. La mattina presto, dopo pranzo o dopo cena? I segugi di tutte le testate sono già a caccia. Per quelli che stanno lì, in trepidante attesa, tranquilli, manca poco, un po' di pazienza e ve lo faranno sapere: ce lo spiattelleranno con tre o quattro collegamenti in un quarto d'ora, a pranzo o prima di cena.

Questo essere è un delinquente della peggior specie, che non si è mai pentito di quello che ha fatto nella sua vita e della sua vita, né mostra di avere voglia di farlo; per più di trent'anni ha vissuto nell'ombra, portando il buio, il suo buio, nella vita di tanti. L'ha fatto non visto né sentito da tutti coloro che non dovevano e/o volevano né vederlo né sentirlo.

In cinque giorni, adesso, i mezzi d'informazione -tutti, nessuno escluso- lo hanno portato alla ribalta manco fosse il più grande benefattore al mondo. Gli hanno regalato decine di troni sui social, il monopolio delle notizie in tv e in radio e paginate e paginate di giornali, che quasi inchiostro non ce n'è più. Basta, piantatela!

Che se ne stia dove sta adesso, finalmente. Quello è il suo posto. Per ora e per tutto il tempo in cui riterrà di rimanere quello che è stato finora: un essere da dimenticare.

01 gennaio 2023

Buon anno, Iran!

 Buon anno!
"Non butterò via la mia occasione!
Non butterò via la mia occasione!
hey yo io sono proprio come il mio paese
Sono giovane, determinato e affamato.
E non butterò via la mia occasione!
….
Devo urlare per essere ascoltato.
….
Sono un diamante grezzo, un ardente pezzo di carbone
Cerco di raggiungere il mio obiettivo. Il potere del mio discorso è indiscutibile.
Ho solo diciannove anni ma la mia mente è più grande.
Queste strade di New York City stanno diventando più fredde, lo porto con me
Qualsiasi peso, qualsiasi difetto
Ho imparato a cavarmela, non ho una pistola da mostrare
Cammino per queste strade affamato.
Il piano è trasformare questa scintilla in un incendio.
….
Non essere scioccato quando i tuoi libri di storia mi menzionano.
Se ci libererà, darò la mia vita
…..
Ma non saremo mai veramente liberi
Affinché chi è in catene abbia diritti come noi,
Fai qualcosa o muori
…..
Quali sono le possibilità che gli dei ci mettano tutti in un posto,
Dicendo parole di saggezza, piaccia o no,
Un gruppo di antiquati rivoluzionari?
…..
Non butterò via la mia occasione!
Non butterò via la mia occasione!
hey yo io sono proprio come il mio paese
Sono giovane, determinato e affamato.
E non sprecherò la mia occasione!" 


Questo è il testo di "Shot Me", la terza canzone del musical "Hamilton", che racconta la storia di Alexander Hamilton, un orfano naufrago che divenne il primo Segretario al Tesoro d'America e lo fu. Dalle menti più brillanti dei rivoluzionari, più che lottare con l'Inghilterra conquistando l'indipendenza.
Queste parole sono del tutto coerenti con quanto sta accadendo in Iran. Se sostituisci le strade di New York City con le strade di Teheran o di qualsiasi città iraniana, te ne accorgerai.
I giovani iraniani - uomini e donne - che portano avanti una rivoluzione pacifica sono i diamanti che brillano nell'oscurità del regime teocratico. Sono il pezzo di carbone ardente, il carburante che alimenta la rivoluzione. Hanno una mente più vecchia della loro età perché sono più saggi a causa dei sacrifici e delle privazioni a cui il regime li ha sottoposti. Loro, i giovani dell'Iran, sono stati in grado di trasformare la scintilla di Mehsa Amini nel fuoco ardente di una rivoluzione pacifica. Sono stati messi da Dio o dagli Dei tutti nello stesso posto e allo stesso tempo, e mostrano molta più saggezza degli Ayatollah che indossano il turbante per portare a termine una rivoluzione che distruggerà per sempre la teocrazia in Iran.
Sono giovani, determinati e assetati di libertà, non buttano via le loro possibilità!
A loro, ai giovani iraniani, auguro un felice anno nuovo affinché il 2023 sia testimone della loro vittoria. Auguro a noi, che stiamo guardando da lontano, di trovare sempre la forza per ribellarci alle storture del nostro tempo. Buon anno!

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سال نو مبارک
 
من شانسم را دور نمی اندازم
من شانسم را دور نمی اندازم
هی یو من درست مثل کشورم هستم
من جوان، مصمم و گرسنه هستم.
و من شانس خود را دور نمی اندازم
…. 
 .برای شنیدن باید فریاد بزنم
 ….    
 من الماسی در خشن هستم، توده ای زغال سنگ سوزان
سعی می کنم به هدفم برسم. قدرت گفتار من غیر قابل انکار است.
من فقط نوزده سال دارم اما ذهنم بزرگتر است.
این خیابان های شهر نیویورک سردتر می شوند، من آن را با خودم میبرم
هر وزنی، هر نقصی
من یاد گرفته ام که از پس آن بر بیایم، تفنگی برای نشان دادن ندارم
گرسنه در این خیابان ها قدم می زنم.
برنامه این است که این جرقه به آتش تبدیل شود. 
 ….       
وقتی کتاب های تاریخی شما از من نام می برند، شوکه نشوید
اگر ما را آزاد کند، جانم را خواهم داد
…..
 اما ما هرگز واقعاً آزاد نخواهیم بود
    تا آنهایی که در زنجیر هستند مانند ما حقوقی داشته باشند،
کاری بکن یا بمیر
چه شانسی وجود دارد که خدایان همه ما را در یک مکان قرار دهند،
گفتن کلمات حکیمانه، چه بخواهی چه نخواهی
گروهی از انقلابیون کهنه کار؟  
…..    
من شانسم را دور نمی اندازم!
من شانسم را دور نمی اندازم!
هی یو من درست مثل کشورم هستم
من جوان، مصمم و گرسنه هستم
و من شانسم را از دست نمی دهم!

 

اینها اشعار «به من شلیک کرد»، سومین آهنگ موزیکال «همیلتون» است که داستان الکساندر همیلتون، یک یتیم کشتی غرق شده را روایت می کند که اولین وزیر خزانه داری آمریکا شد. از درخشان ترین افکار انقلابیون، بیش از جنگیدن با انگلستان برای به دست آوردن استقلال. این سخنان کاملاً با آنچه در ایران اتفاق می افتد مطابقت دارد. اگر خیابان های شهر نیویورک را با خیابان های تهران یا هر شهر ایرانی جایگزین کنید، متوجه خواهید شد. جوانان ایرانی - زن و مرد - که انقلابی مسالمت آمیز انجام می دهند، الماس هایی هستند که در تاریکی رژیم دین سالار می درخشند. من توده زغال سنگ سوزان هستم، سوختی که به انقلاب دامن می زند. آنها ذهنی بزرگتر از سن خود دارند، زیرا به دلیل فداکاری ها و محرومیت هایی که رژیم در معرض آنها قرار داده، عاقل تر هستند. آنها جوانان ایران زمین توانستند جرقه مهسا امینی را به آتش فروزان یک انقلاب مسالمت آمیز تبدیل کنند. آنها توسط خدا یا خدایان همه در یک مکان در یک زمان قرار گرفته اند و حکمت بسیار بیشتری از آیت الله های عمامه پوش برای انجام انقلابی که حکومت دینی در ایران را برای همیشه نابود خواهد کرد، نشان می دهند. آنها جوان، مصمم و تشنه آزادی هستند، شانس خود را دور نمی اندازند! برای آنها، برای جوانان ایرانی، سال نو را تبریک می گویم تا سال 2023 شاهد پیروزی آنها باشد. برای ما که از دور نظاره گر هستیم آرزو می کنم همیشه قدرت عصیان در برابر انحرافات زمانه خود را پیدا کنیم. سال نو مبارک