Piangeva Roberto Bettega domenica scorsa, sugli spalti del "Delle Alpi": la Juventus, la "sua" squadra, giocava l’ultima partita casalinga di un campionato che ha dominato, ma che l’ha vista arrivare al traguardo quasi senza fiato, stremata sia fisicamente che psicologicamente.
E’ passata solo una settimana e quelle lacrime, quella stanchezza, trovano oggi tutt’altra spiegazione.
Piangeva, "Penna Bianca", ma non per la gioia. Erano lacrime di amarezza, di sconforto, quasi di delusione. Sì, perché erano le lacrime d’addio al calcio di cui ha fatto parte, di cui è stato una delle tante (per fortuna) bandiere.
Piangeva, e con lui tutti i veri tifosi, la fine di un’epoca. Di un’epoca in cui per rinnovare un contratto, bastava una stretta di mano tra giocatori e presidente, in cui per capirsi era sufficiente guardarsi negli occhi, senza bisogno né di intermediari/procuratori né di telefonini. Un’epoca in cui gli accordi venivano rispettati per tutta la durata concordata e non venivano disattesi dopo poco tempo, così, perché imposti dalle convenienze personali di qualcuno.
Un’epoca in cui i calciatori erano ben consapevoli di essere dei "fortunati", dei privilegiati ma altresì rispettosi –con i loro sacrifici e il loro attaccamento alla maglia- del loro pubblico, quel pubblico che decretava poi i loro successi o i loro fallimenti.
Mi vengono in mente nomi del passato quali Boniperti, Sivori, Charles o, in epoca più recente, quelli di Zoff, Gentile, Cabrini, Tardelli, Platini, Rossi, Boniek e poi, il grande e sempre più compianto Gaetano Scirea.
Tutti loro hanno condiviso con Bettega quel modo di fare, quegli atteggiamenti, quella consapevolezza di persone dalle origini semplici, dotate di una particolare abilità nel dare calci ad un pallone e, per questo, capaci di regalare momenti di gioia e di speranza al loro pubblico, alla ricerca di quel sano divertimento che solo lo sport è in grado di offrire.
Dietro di loro, dirigenti capaci, ricchi sì delle necessarie risorse economiche –seppur modeste se paragonate a quelle di oggi- ma, soprattutto di tanta umanità e rispetto per il lavoro dei loro particolari "dipendenti" e per i loro tifosi.
Erano, sono stati grandi personaggi, in grado di fare visceralmente "innamorare" del gioco del calcio diverse generazioni di ragazzi. Grandi presidenti, grandi campioni, grandi uomini: uomini da serie A.
Le lacrime di Bettega, sono la più incredibile ed impensabile testimonianza di quanto è stato doloroso il passaggio dal calcio "tradizionale" delle semplici società sportive, alle S.P.A., alle "aziende".
E, si sa, l’azienda-calcio (come tutte le altre), deve far quadrare i conti. Ma per tenere alla pari i bilanci, alcuni maldestri burattinai hanno finito con l’inventarsi i metodi più impensabili, degni dei migliori equilibristi, finendo però col farle diventare delle splendide….scatole vuote.
I moderni Mangiafuoco, privi di qualsiasi scrupolo, per il loro tornaconto personale, per le loro effimere manie di grandezza, non hanno esitato a calpestare la dignità di tutto il mondo del calcio e di tutti quelli che direttamente (calciatori, arbitri, addetti ai lavori) o indirettamente (tifosi, semplici appassionati) ne fanno parte.
I Mangiafuoco dei nostri tempi avevano scritto e pianificato la loro "commedia", il loro spettacolo, a partire dai ruoli principali fino alle battute delle comparse. Ma è uno spettacolo squallido, che non ha niente di fiabesco, tutt’altro. Con la loro famelica ingordigia sono stati capaci di rovinare per sempre quella splendida fiaba –il calcio- con la quale siamo cresciuti, immaginando –per radio con Ameri e Ciotti- e poi vedendo –in TV con Martellini e Pizzul- le gesta di "Penna Bianca" e compagni.
Ridateci il calcio di una volta:allegria, divertimento, competizione. SPORT!
Restituiteci i campioni, gli uomini da Serie A da applaudire, incoraggiare, ammirare.
Loro invece, i maldestri burattinai, i moderni squallidi Mangiafuoco, solo loro, se ne stiano in C……!
Nessun commento:
Posta un commento