Chiovi stasira, e forti puru...
Ho pensato pirciò di dedicarmi alla lettura. Avevo diversi libri tra cui scegliere: “Quel treno da Vienna”, giallo di Corrado Augias, ambientato nel 1911, quando la giovane nazione italiana festeggiava i suoi primi 50 anni; “Il massacro di Goldena”, riedizione di un breve romanzo di G.L. Bonelli, in occasione del 60° compleanno (editoriale) di Tex Willer; “Voi non sapete -Non vedo, non sento, non parlo”, il dizionario della mafia, scritto e commentato da Andrea Camilleri; “Il grande inganno”, ultimo saggio del giudice Nicola Gratteri, sui falsi valori della mafia.
Alla fine, non ho scelto nessuno di questi. Ho letto invece un libro molto particolare: la cronaca scigghitana di quest'ultimo mese, racchiusa e condensata in ben 52 pagine (!) di considerazioni, commenti, ecc., fatti dagli scillesi sul blog scillachiese.blogspot.com, su un unico tema: il parroco!
Al mare, in piazza, al bar, nto barberi, al supermercato, nta putìa, a' farmacia o nto medicu, non fa differenza. Aundi vi vutati e vi girati è sempre lo stesso ritornello: comu mai si ndi vai? Menu mali chi si ndi vai! Chi piccatu chi si ndi vai!
E' un “libro” che ho sentito il bisogno di leggere, semplicemente per tenermi informato, per non essere tagliato fuori dalle discussioni.
In un certo qual modo racchiude e comprende al suo interno -alla manera scigghitana- alcuni degli aspetti trattati nelle pubblicazioni sopra citate, che avrei potuto leggere al suo posto.
Dopo soli cinque anni, l'attuale parroco ci lascia per assumere la guida della parrocchia di Vito (piccola frazione a Nord di Reggio). Sebbene si sia detto di tutto e di più, in realtà i veri motivi di questo trasferimento deciso dal vescovo, Mons. Mondello, sono un vero e proprio giallo degno del miglior Augias.
Ho letto davvero laqualunque. In un certo senso è stato il proseguimento di quanto si era verificato lo scorso anno -più o meno nello stesso periodo- sui blog e sul forum del nostro malasito.
E' tutto un susseguirsi di pro e contro la persona del parroco, di schieramenti contrapposti, Guelfi e Ghibellini, in una sorta di gioco al massacro, di gara a chi dimostra di essere il più forte, come tra indiani e cowboy ai tempi di Tex Willer.
In mezzo, coloro -e sono tanti- che preferiscono non intervenire, che stanno alla finestra, chi non parrunu, non virunu e non sentunu, in un'apparente indifferenza, che termina non appena vengono coinvolti di persona.
In tutti, alberga la convinzione di essere nel giusto, di agire per il meglio, in applicazione dei principi cristiani. Ma la cosa curiusa è che questi valori, alla luce di quanto si legge, sembrano proprio non collimare fra loro!
Diverso è l'approccio, diversa è la “priorità” (chiamamola così) che ciascuna delle due parti -Guelfi e Ghibellini scigghitani- attribuisce (erroneamente, secondo me) ai principi di una religione -quella cristiana- che di sicuro non è facile comprendere nei suoi aspetti più intimi, né, ancor di più, mettere in pratica in maniera corretta.
Sicuramente ci sono stati incomprensioni e fraintendimenti; si è voluta redigere una sorta di classifica di questi valori, di questi diversi aspetti che compongono la complessità della dottrina cristiana.
Lo si è fatto credendo -in maniera errata- di rivelarli al popolo scillese per la prima volta, un po' come fecero i frati spagnoli al seguito dei Conquistadores con i popoli nativi dell'America latina.
Sono il primo a riconoscere di non avere né i titoli, né le competenze specifiche per parlare di temi teologici, perciò dico solo che mi è stato insegnato che, pur presentandosi sotto tre “forme” diverse, in verità Dio è uno e uno soltanto e ciascuna di queste tre “forme” sono del tutto complementari tra loro e non soggiacciono ad alcuna gerarchia.
La gerarchia è invece un elemento caratterizzante del clero. Seppur chiamati per vocazione a svolgere una missione del tutto particolare, i ministri della Chiesa sono pur sempre uomini, consapevoli più degli altri della fragilità della condizione umana. E, proprio in virtù della loro natura e del particolarissimo compito che sono chiamati ad assolvere nella vita sociale di intere comunità, devono essere soggetti a forme di controllo del loro operato.
Insomma, i preti sono come i carabinieri. E' del tutto normale che avvengano avvicendamenti tra coloro che hanno rivestito importanti incarichi. Così come cambiano i Prefetti, i funzionari di polizia, i giudici, allo stesso modo cambiano i preti o i vescovi.
Non si tratta di essere stati più o meno bravi; non è questione di essere stati ben voluti o mal voluti; di essere mandati via per aver esaurito il proprio compito o magari per “incompatibilità ambientale”. E' qualcosa di fisiologico, di profondamente insito nella stessa istituzione, sia essa civile, militare o religiosa.
Sono cambiati, cambiano e cambieranno gli uomini, lo Stato, la Polizia, i Carabinieri, la Chiesa, resteranno sempre, poiché diretta espressione della vita (civile e religiosa) dell'uomo.
Il ricorso a toni da battaglia, da guerriglia che hanno caratterizzato le discussioni scigghitane in questi ultimi due anni in particolare, sono quindi del tutto inappropriati e fuori luogo.
Diceva Abramo Lincoln:”La mia preoccupazione non è se Dio è dalla nostra parte; la mia più grande preoccupazione è essere dalla parte di Dio, poiché Dio ha sempre ragione”.
Ecco, mi sembra che ognuno tra Guelfi e Ghibellini scillesi, abbia finito col credere di essere "dalla parte di Dio".
Parafrasando questa citazione, Bob Dylan in una delle sue più belle canzoni, ha messo in evidenza come in tutte le guerre combattute (da quella contro gli indiani, fino alla guerra fredda con i russi), gli Stati Uniti abbiano agito nella convinzione che Dio fosse sempre dalla loro parte.
Ma non è Dio a stare da una parte piuttosto che dall'altra. Siamo noi a vederlo da lati diversi, da prospettive diverse, a percepirne la potenza e la grandezza in momenti e circostanze diverse, a seconda di come ci comportiamo e non da quale parte ci schieriamo.
“Se Dio è dalla nostra parte -concludeva Dylan- fermerà la prossima guerra.”
Il mio augurio è che quello che si è verificato in questi ultimi anni ci faccia comprendere che, effettivamente, Dio sarà dalla nostra parte, dalla parte di tutti, solo quando le attuali contrapposizioni all'interno della nostra comunità avranno termine.
Per adesso, Dio è sopra di noi e ci guarda, dispiaciuto. E le gocce di pioggia che continuano a cadere sono le Sue lacrime, l'espressione del Suo dolore per quanto sta accadendo.
Ma la pioggia di oggi, significa nuova vita domani.
News, pensieri e parole (non di Battisti) dallo Scigghio calabrese. ‘Chi non vive per servire, non serve per vivere’
20 settembre 2008
15 settembre 2008
NO, 'A SCOLA 'I ME' NONNU NO!
DRIIIIIIIIIIIINNNNNNNNNN! Tutti a' scola!
'A 'stati finiu e cari figghioli, dovete turnari a menz' e' banchi, a faticare.
Il tempo, comunque, da una mano, nel senso che ieri, dopo quattro mesi e mezzo di attesa, tanto tuonò che piovve!
Menu mali, cusì a racina unchia ancora 'n autru pocu e ndi vindignamu menzu cofunu 'i cchiù!
Eravamo veramente struriati da nu caddu umidu chi mancu nta foresta Amazzonica, cusì aieri a 'ittau a pagghiolati pi tutta 'a iurnata. Nda ricriammu: Aaaaaahhhhhhh!
Cusì oggi, chi pari cchiù autunnu chi fini 'stati, belli frischi e ripusati, senza alcun rimpianto pi ddhu mari-tavula cusì caddu chi parivi essiri alle terme, bimbi, figghioleddhi, figghioli, ragazzi, bacchettuni e calamari (alias ripetenti), ritornano a frequentari le aule scolastiche.
Ma chi scola troveranno?
Il discorso rischia di essiri longu assai, appirciò cercherò di ricapitolarlo in brevi.
'U Guvernu (sempre lui, chi altri se no?), si mintiu nta testa chi nci sunnu troppi prufissuri, maestri, insegnanti, ecc. e che, siccomu si cerca di limitari li spisi in quantu soldi non ci ndé, dal 2009, parecchie decine di migliaia dei suddetti dipendenti del Ministero dell'Istruzione dovranno cominciare a trovarsi altro da fare.
Sinceramenti, a mia 'sta cosa non è chi mi cala tantu.
Quandu ancora iava a scola superiori -e parru di vint'anni fa, cchiù o menu- i me' prufissuri (previggenti, bontà loro!) non facivunu autru mi ndi ripetunu: dovete essere flessibili, avere la capacità di cambiare lavoro. Questo non significa che dovete saper far tutto ma che se siete bravi in quello che fate, sarete più richiesti dal mercato. Questo è possibile solo in un modo: con la specializzazione.
Ricordo anche che ero in una sezione "sperimentale", nella quale erano stati modificati i programmi classici di alcune materie o se ne erano aggiunte di nuove, come l'informatica (eh, sì, all'epuca era 'na cosa nova!).
Ebbene, il mio professore di informatica, era lo stesso che ci insegnava a ...far di conto. Sì, pirchì, in quanto trattavasi di cosa nova, il prufissuri di matematica aveva semplicemente fatto dei corsi di informatica per poterci poi trasferire quasi "in diretta" le sue conoscenze su software, hardware, linguaggio Pascal [ch'era bellu, praticamenti 'u nonnu di windows], ecc.
Ora, dopo anni di cambiamenti, siamo arrivati al punto di aviri 'na scola che funziona (?) né cchiù né menu comu negli Stati Uniti d'America. 'Azz'! direte voi. Invece non c'è niente di cui andare fieri: siamo riusciti a copiare i 'mericani in una delle poche cose in cui le cose non vanno tanto bene: la scuola, apppunto.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il generale impoverimento culturale dei nostri ragazzi, i quali -come ha affermato giustamente il dott. Gratteri sabato scorso, durante la presentazione del suo ultimo libro- "sono sì informati, ma non colti".
Adesso ci si è accorti dello sfascio in cui si è andati a finire e si cerca di correre ai ripari. Come? Turnandu a' scola 'i me' nonnu!
Va bene il richiamo alla disciplina, al 6 in condotta al ritorno del voto (ma prendere sufficiente o prendere 6, mi spiegati chi cangia?), all'educazione civica (era ura, nta 'sti tempi cusì bastardi!), al grembiule ca nnocca d'ordinanza.
Non va bene il ritorno al maestro unico.
No, perché mentri 'na vota si iava a' scola ca cartella 'i pezza, che custodiva il diario, i pinni bic, due quaderni (uno a righe, per i temi e la grammatica, e uno a quadri per i numeri), magari nu quadernoni (pi' ricerchi, da scriviri a manu, dopo aver letto menza Treccani) e il famoso abeccedario, oggi i figghioli hannu bisognu comu minimu 'i nu trolley se non propriu 'i nu carrellu i chiddhi ri supermercati mi si carrìunu tutto il necessario.
E no, cari ministri, non è cchiù possibili.
In una società ultra specializzata, dove si arriva a fare l'insegnante attraverso una moltitudine di percorsi formativi diversi, l'insegnante di matematica non poti insegnari l'italianu o l'informatica, oppuru l'inglesi. Ma non pirchì è sceccu (chistu magari è tutto da dimostrare), ma pirchì non ci 'a poti fari, cusì comu già non ci 'a faciva ddhu 'maricchieddhu ru me' prufissuri i matematica -che saluto.
La non attuabilità di questo discorso, i difetti di quanto si (ri)propone oggi, il sottoscritto li ha già vissuti, sperimentati ben ventidue anni fa, mica aieri!
Un discorso diverso è quello della localizzazione delle scuole. Visto che ci avviamo verso il federalismo, anche questa dovrebbe essere una materia da discutere. 'Na cosa è avere dieci plessi scolastici nella pianura padana, tutta un'altra cosa è avere quattru scoli elementari in Calabria: a Matiniti, a Sulanu, a Melia e a Petrastorta.
Lasciando da parte i problemi di carattere sociologico e passando agli aspetti pratici, mi spiegati vui comu faci nu figghiolu calabrisi i sei anni mi si iaza prima ru iaddhu, pi mi poti iari a scola a trenta chilomitri di distanza, cu acqua, nivi e ventu e attraverso strade chi sunnu mulatteri?
Quale la soluzione, allora?
Non è stato lu stessu Guvernu attuali a inchiri giurnali, radiu e televisioni col discorso delle tre "i":internet, inglese, impresa?
Perchè dunque non proseguire su questa strada? Intendo dire che si potrebbero lasciare sia i professori attuali che le sedi attuali. Come? Sfruttando le enormi potenzialità di internet. I ragazzi potrebbero seguire le lezioni sempre nela loro scuola, tutti insieme, magari utilizzando i moderni strumenti informatici, con lezioni svolte via internet, in videoconferenza (è mai possibili che si debba utilizzare solo per ascoltare i pentiti in tribunale?).
Sarebbe così salvaguardata la cosiddetta "funzione sociale" della scuola, vista come punto di aggregazione; si abbatterebbero i costi; si garantirebbe la reale professionalità degli insegnanti.
Segui il dibattito sul nostro Malaforum
'A 'stati finiu e cari figghioli, dovete turnari a menz' e' banchi, a faticare.
Il tempo, comunque, da una mano, nel senso che ieri, dopo quattro mesi e mezzo di attesa, tanto tuonò che piovve!
Menu mali, cusì a racina unchia ancora 'n autru pocu e ndi vindignamu menzu cofunu 'i cchiù!
Eravamo veramente struriati da nu caddu umidu chi mancu nta foresta Amazzonica, cusì aieri a 'ittau a pagghiolati pi tutta 'a iurnata. Nda ricriammu: Aaaaaahhhhhhh!
Cusì oggi, chi pari cchiù autunnu chi fini 'stati, belli frischi e ripusati, senza alcun rimpianto pi ddhu mari-tavula cusì caddu chi parivi essiri alle terme, bimbi, figghioleddhi, figghioli, ragazzi, bacchettuni e calamari (alias ripetenti), ritornano a frequentari le aule scolastiche.
Ma chi scola troveranno?
Il discorso rischia di essiri longu assai, appirciò cercherò di ricapitolarlo in brevi.
'U Guvernu (sempre lui, chi altri se no?), si mintiu nta testa chi nci sunnu troppi prufissuri, maestri, insegnanti, ecc. e che, siccomu si cerca di limitari li spisi in quantu soldi non ci ndé, dal 2009, parecchie decine di migliaia dei suddetti dipendenti del Ministero dell'Istruzione dovranno cominciare a trovarsi altro da fare.
Sinceramenti, a mia 'sta cosa non è chi mi cala tantu.
Quandu ancora iava a scola superiori -e parru di vint'anni fa, cchiù o menu- i me' prufissuri (previggenti, bontà loro!) non facivunu autru mi ndi ripetunu: dovete essere flessibili, avere la capacità di cambiare lavoro. Questo non significa che dovete saper far tutto ma che se siete bravi in quello che fate, sarete più richiesti dal mercato. Questo è possibile solo in un modo: con la specializzazione.
Ricordo anche che ero in una sezione "sperimentale", nella quale erano stati modificati i programmi classici di alcune materie o se ne erano aggiunte di nuove, come l'informatica (eh, sì, all'epuca era 'na cosa nova!).
Ebbene, il mio professore di informatica, era lo stesso che ci insegnava a ...far di conto. Sì, pirchì, in quanto trattavasi di cosa nova, il prufissuri di matematica aveva semplicemente fatto dei corsi di informatica per poterci poi trasferire quasi "in diretta" le sue conoscenze su software, hardware, linguaggio Pascal [ch'era bellu, praticamenti 'u nonnu di windows], ecc.
Ora, dopo anni di cambiamenti, siamo arrivati al punto di aviri 'na scola che funziona (?) né cchiù né menu comu negli Stati Uniti d'America. 'Azz'! direte voi. Invece non c'è niente di cui andare fieri: siamo riusciti a copiare i 'mericani in una delle poche cose in cui le cose non vanno tanto bene: la scuola, apppunto.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il generale impoverimento culturale dei nostri ragazzi, i quali -come ha affermato giustamente il dott. Gratteri sabato scorso, durante la presentazione del suo ultimo libro- "sono sì informati, ma non colti".
Adesso ci si è accorti dello sfascio in cui si è andati a finire e si cerca di correre ai ripari. Come? Turnandu a' scola 'i me' nonnu!
Va bene il richiamo alla disciplina, al 6 in condotta al ritorno del voto (ma prendere sufficiente o prendere 6, mi spiegati chi cangia?), all'educazione civica (era ura, nta 'sti tempi cusì bastardi!), al grembiule ca nnocca d'ordinanza.
Non va bene il ritorno al maestro unico.
No, perché mentri 'na vota si iava a' scola ca cartella 'i pezza, che custodiva il diario, i pinni bic, due quaderni (uno a righe, per i temi e la grammatica, e uno a quadri per i numeri), magari nu quadernoni (pi' ricerchi, da scriviri a manu, dopo aver letto menza Treccani) e il famoso abeccedario, oggi i figghioli hannu bisognu comu minimu 'i nu trolley se non propriu 'i nu carrellu i chiddhi ri supermercati mi si carrìunu tutto il necessario.
E no, cari ministri, non è cchiù possibili.
In una società ultra specializzata, dove si arriva a fare l'insegnante attraverso una moltitudine di percorsi formativi diversi, l'insegnante di matematica non poti insegnari l'italianu o l'informatica, oppuru l'inglesi. Ma non pirchì è sceccu (chistu magari è tutto da dimostrare), ma pirchì non ci 'a poti fari, cusì comu già non ci 'a faciva ddhu 'maricchieddhu ru me' prufissuri i matematica -che saluto.
La non attuabilità di questo discorso, i difetti di quanto si (ri)propone oggi, il sottoscritto li ha già vissuti, sperimentati ben ventidue anni fa, mica aieri!
Un discorso diverso è quello della localizzazione delle scuole. Visto che ci avviamo verso il federalismo, anche questa dovrebbe essere una materia da discutere. 'Na cosa è avere dieci plessi scolastici nella pianura padana, tutta un'altra cosa è avere quattru scoli elementari in Calabria: a Matiniti, a Sulanu, a Melia e a Petrastorta.
Lasciando da parte i problemi di carattere sociologico e passando agli aspetti pratici, mi spiegati vui comu faci nu figghiolu calabrisi i sei anni mi si iaza prima ru iaddhu, pi mi poti iari a scola a trenta chilomitri di distanza, cu acqua, nivi e ventu e attraverso strade chi sunnu mulatteri?
Quale la soluzione, allora?
Non è stato lu stessu Guvernu attuali a inchiri giurnali, radiu e televisioni col discorso delle tre "i":internet, inglese, impresa?
Perchè dunque non proseguire su questa strada? Intendo dire che si potrebbero lasciare sia i professori attuali che le sedi attuali. Come? Sfruttando le enormi potenzialità di internet. I ragazzi potrebbero seguire le lezioni sempre nela loro scuola, tutti insieme, magari utilizzando i moderni strumenti informatici, con lezioni svolte via internet, in videoconferenza (è mai possibili che si debba utilizzare solo per ascoltare i pentiti in tribunale?).
Sarebbe così salvaguardata la cosiddetta "funzione sociale" della scuola, vista come punto di aggregazione; si abbatterebbero i costi; si garantirebbe la reale professionalità degli insegnanti.
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07 settembre 2008
I TEMPI...'ILL'OVU SBATTUTU
"The times they are a-changin' "-i tempi stanno cambiando. Cusì cantava nel lontano 1964 Bob Dylan.
Erano i tempi in cui 'ccuminciavano a sentirsi i primi pruriti, 'i primi mangiasciumi che sarebbero sfociati pochi anni dopo nel mitico movimento sessantottino. Erano i tempi dei figli dei fiori, dell'amore libero.
Erano tempi molto lontani da quello che succedeva nto Scigghiu all'epuca... ri nonni (mica tantu poi).
Siccome il più delle volte durante il periodo del fidanzamento erano vardati a vista da patri, mammi, frati e soru cchiù grandi e i momenti di intimità erunu pochi, praticamenti "rubati" e coincidenti magari con il "passaggio delle consegne" della ferrea guardia parentale, i giuvini non virivunu l'ura mi si maritunu, pi putiri stari pi fatti soi.
Eccu pirchì 'na vota si maritavunu giuvini!
Pari poi che i novelli sposini, una volta salutati parenti e amici dopo il ricevimento, venissero 'ccumpagnati a' casa. Naturalmente, la sposa doviva trasiri in casa in braccio al maritu, ma sennò oh mal' 'ccasioni!
Tradizioni vuliva chi, 'na vota trasuti nta casa, maritu e mugghieri vinissiru ivi chiusi per una simanata 'ntera, duranti la quali dovevano recuperare il tempo che non avevano avuto da fidanzati per putiri fari intima cunuscenza. Duranti tali periudu, non potevano essere visti nemmeno nta facci da chicchessia.
L'unico momento in cui la coppia rientrava in contatto con il mondo esterno, era quandu -'na vota o' iornu- qualcuno bussava alla loro camera e porgeva loro un uovo.
Ddh'ovuceddhu, chi la sposa pruvvidiva sollecita a fari sbattutu, furniva nuove energie ai novelli sposini che, accussì putivanu continuari a...confrontarsi.
Eh, chi belli tempi: non pilluli blu, russi 'ill'ovu!
Oggi tuttu chistu non succedi cchiù. Si è libiri di fari comu si voli e, soprattutto, quandu si voli. Forsi pi chistu non c'è cchiù prescia di maritarsi.
E cusì capita di vidiri sposini frischi di matrimoniu, cu risu ancora nte capiddhi, sdraiarsi a prendere il sole sulla spiaggia, signu chi la sposa l'avrà avutu sbattutu prima! (l'ovu, intendu)
Eh sì, Bob Dylan oggi scriverebbe: the times they are changed -i tempi cangiaru.
N.B.:un grazie alla Sig.ra Mimma per l'aneddoto 'ill'ovu sbattutu.
Erano i tempi in cui 'ccuminciavano a sentirsi i primi pruriti, 'i primi mangiasciumi che sarebbero sfociati pochi anni dopo nel mitico movimento sessantottino. Erano i tempi dei figli dei fiori, dell'amore libero.
Erano tempi molto lontani da quello che succedeva nto Scigghiu all'epuca... ri nonni (mica tantu poi).
Siccome il più delle volte durante il periodo del fidanzamento erano vardati a vista da patri, mammi, frati e soru cchiù grandi e i momenti di intimità erunu pochi, praticamenti "rubati" e coincidenti magari con il "passaggio delle consegne" della ferrea guardia parentale, i giuvini non virivunu l'ura mi si maritunu, pi putiri stari pi fatti soi.
Eccu pirchì 'na vota si maritavunu giuvini!
Pari poi che i novelli sposini, una volta salutati parenti e amici dopo il ricevimento, venissero 'ccumpagnati a' casa. Naturalmente, la sposa doviva trasiri in casa in braccio al maritu, ma sennò oh mal' 'ccasioni!
Tradizioni vuliva chi, 'na vota trasuti nta casa, maritu e mugghieri vinissiru ivi chiusi per una simanata 'ntera, duranti la quali dovevano recuperare il tempo che non avevano avuto da fidanzati per putiri fari intima cunuscenza. Duranti tali periudu, non potevano essere visti nemmeno nta facci da chicchessia.
L'unico momento in cui la coppia rientrava in contatto con il mondo esterno, era quandu -'na vota o' iornu- qualcuno bussava alla loro camera e porgeva loro un uovo.
Ddh'ovuceddhu, chi la sposa pruvvidiva sollecita a fari sbattutu, furniva nuove energie ai novelli sposini che, accussì putivanu continuari a...confrontarsi.
Eh, chi belli tempi: non pilluli blu, russi 'ill'ovu!
Oggi tuttu chistu non succedi cchiù. Si è libiri di fari comu si voli e, soprattutto, quandu si voli. Forsi pi chistu non c'è cchiù prescia di maritarsi.
E cusì capita di vidiri sposini frischi di matrimoniu, cu risu ancora nte capiddhi, sdraiarsi a prendere il sole sulla spiaggia, signu chi la sposa l'avrà avutu sbattutu prima! (l'ovu, intendu)
Eh sì, Bob Dylan oggi scriverebbe: the times they are changed -i tempi cangiaru.
N.B.:un grazie alla Sig.ra Mimma per l'aneddoto 'ill'ovu sbattutu.
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