Non so quanti scigghitani conoscono lo stemma della città di Scilla. Vi è raffigurata una sirena con due code, retaggio mitologico dell'antica Grecia e poi, attorno alla sirena, c'è una scritta in latino che recita:"Scillæ Civitas"
Ora, va bene che il latino è una lingua morta ma, a differenza dei morti, che non hanno più voce, la lingua latina ancora un po' di voce ce l'ha, visto e considerato che la si studia nei licei, negli istituti magistrali e anche all'università. E, per chi non l'ha studiata -come chi scrive- ci sono ancora i vocabolari latino/italiano-italiano/latino, che ci possono soccorrere alla biosogna.
Ebbene, quello "Scillæ Civitas" significa letteralmente “Città di Scilla”. Ma il termine Civita non è solo la città fisica, quattru casi 'ncugnati una a fianco all'altra o 'mmunziddhati comu veni veni, tipo Ieracari. Civitas è l'assieme dei cittadini di una località e nel contempo lo “status” giuridico, che fa di tutti i cittadini dei soggetti di diritti e di doveri.
Dal tempo degli antichi romani, che hanno fatto scola e dopuscola di latino in tutto il mondo allora conosciuto, è passato parecchio così che, mentre il latino diveniva una lingua morta, anche il senso di quella parola “Civitas” perdeva di significato, limitandosi a rappresentarne realmente solo la prima parte, ovvero il semplice assieme dei cittadini di Scilla.
Della seconda parte, cioè dello “status” giuridico, che fa di tutti i cittadini dei soggetti di diritti e di doveri, ce ne siamo dimenticati o, peggio ancora, ce ne siamo voluti dimenticare.
Certo, è paradossale. Sì, perché, chi bene, chi male, ma oramai iammu tutti a' scola, abbiamo tutti un'istruzione o, nel peggiore dei casi, un minimo di erudizione.
Sappiamo tutti, anche solo per sentito dire per sbaglio dalla radio o dalla televisione oppure dai telefonini, che a tutti vengono riconosciuti determinati diritti, circostanza che -limitatamente a quandu ndi cumbeni- sfruttiamo in tutti i modi possibili, senza fermarci neanche a riflettere se il modo che scegliamo per far valere quei diritti siano leciti o illeciti.
Ma, se per il raggiungimento dei diritti non ci si ferma davanti a niente e a nessuno, quando si tratta dei doveri, allora sì che ci si ferma, eccome!
A Scilla, il significato della parola “dovere” pare essere limitato solo al presenziare ai funerali: haiu a fari 'n doveri.
Per il resto, tutto ci è dovuto mentre noi non dobbiamo niente a nessuno.
La città, la Civitas, se tale vuole essere considerata, non funziona così.
Non entro in indagini sociologiche che non mi competono, ma mi limito semplicemente a riferire tre episodi oggettivi (anche se potrebbero esserne citati molti di più), estremamente esemplificativi della “Civitas” in cui viviamo.
A Ieracari sono in corso da più di tre mesi alcuni lavori che riguardano il torrente Annunziata. Lasciando da parte ogni commento tecnico circa l'opportunità o l'utilità della loro esecuzione (sarebbe un discorso troppo lungo, che potremo fare in altra sede), basta qui sapere -per quanti non lo sanno ancora- che l'attraversamento su unica corsia di quel tratto di strada è attualmente regolato da un semaforo: verde, giallo, rosso. E' l'ABC dell'educazione stradale, non c'è bisogno di andare da nessun istruttore di scuola guida per sapere cosa significano quei tre colori, lo si impara(va) fin da bambini: col rosso ci si ferma; col giallo si fa attenzione e, se è il caso, ci si ferma lo stesso; col verde si passa.
Eppure, a Ieracari sembra che il semaforo sia un'invenzione aliena, sconosciuta a tutti: ragazzi, giovani, adulti, masculi e fimmini, patri e mammi 'i famigghia, diplomati, laureati. Non c'è alcuna differenza nell'indifferenza con la quale passano tutti, qualunque sia il colore del semaforo, annullandone la funzione e, cosa più grave, creando il serio rischio di incidenti. Dei vigili urbani nessuna traccia. Evidentemente impegnati in attività Marinaresche ritenute ben più importanti e meritevoli di attenzione. Eppure, credo che la loro presenza -oltre che a rappresentare un deterrente alle continue violazioni, consentirebbe al Comune di incassare un bel po' di soldini con le dovute multe e ritiro del mezzo.
Stessa cosa dicasi per la via Sinuria, il tratto di strada compreso tra piazza San Rocco e Piazza Matrice. Di recente è stato interessato da un'ordinanza che ne ha disposto l'attraversamento a senso unico per gli autoveicoli, dalla piazza a scendere verso Matrice. Anche qui, nessuno ha nemmeno finto di vedere il segnale di divieto di accesso posto all'imbocco di via Sinuria. Risultato: difficoltà di percorrenza, con annessi e connessi calamenti di calandarii, 'ncazzatini, discussioni e sciarri.
Terzo elemento di cui si finge di ignorare la presenza: i marciapiedi. Trattasi di parola composta: marcia a piedi. Significa che chi percorre le strade a piedi, dovrebbe farlo nelle sedi a ciò destinate. In pochissimi li usano, ma forse in questo caso una piccola scusante c'è: la diffusa presenza di, definiamoli così, ostacoli di natura organica animale, che nemmeno l'ordinanza sindacale dello scorso anno è riuscita non dico ad eliminare ma, quanto meno, a diminuire.
Davanti a questo stato di fatto, sono consapevole che non bastano né le ordinanze né i divieti né i vigili urbani. I scigghitani avrebbero bisogno di essere accompagnati da due carabinieri ciascuno!
Ciò richiederebbe l'impiego di circa diecimila carabinieri solo per Scilla, il che è cosa alquanto impossibile, oltre che assurda, pretendere.
Costa meno ricordarsi il significato della parola “Civitas”, ricordarsi cioè dello “status” giuridico della città, che fa di tutti i cittadini dei soggetti di diritti e di doveri.
Scilla, che adesso, per di più, fa parte della Città Metropolitana di Reggio Calabria, non potrà ritenersi tale finché oltre ai diritti non ci ricorderemo tutti di avere dei doveri, uno nei confronti dell'altro prima ancora che nei confronti della Legge.
Il grande Mimmo Martino -leader de “I Mattanza”, prematuramente scomparso- in un suo celebre verso cantava: «Culu nci voli, 'u sapiri non giuva» -Fortuna ci vuole, il sapere non giova.
Noi scigghitani, di fortuna ne abbiamo avuta parecchia, perché siamo nati e/o viviamo in uno dei posti più belli del mondo. Ma il sapere non giova, non ci è giovato, da solo, a continuare a renderla tale. L'istruzione, da sola, non basta. Non basta saper leggere e scrivere e aver studiato. Prima ancora che i libri, prima ancora di conoscere le regole, ci serve l'educazione a rispettarle.
Prendo perciò a prestito una citazione di Luis Alberto Lacalle, ex Presidente dell'Uruguay, che parlando del subcontinente latinoamericano ebbe a dire: «La redenzione di questa America Latina sta nell'educazione» - -concetto ribadito nei suoi scritti anche dal grande scrittore colombiano (o dovrei dire meglio, americano) Gabriel Garcia Marquez. Parafrasando il Presidente uruguayano, sono personalmente convinto che la redenzione di questo paese di Scilla sta nell'educazione.
Fin quando gli scigghitani non potranno definirsi davvero educati, non meritiamo la fortuna che abbiamo avuto di abitare a Scilla, non meritiamo di portare scritto nello stemma "Scillæ Civitas".