20 agosto 2016

LA REDENZIONE DI SCILLA STA NELL’EDUCAZIONE

image_thumbNon so quanti scigghitani conoscono lo stemma della città di Scilla. Vi è raffigurata una sirena con due code, retaggio mitologico dell'antica Grecia e poi, attorno alla sirena, c'è una scritta in latino che recita:"Scillæ Civitas"

Ora, va bene che il latino è una lingua morta ma, a differenza dei morti, che non hanno più voce, la lingua latina ancora un po' di voce ce l'ha, visto e considerato che la si studia nei licei, negli istituti magistrali e anche all'università. E, per chi non l'ha studiata -come chi scrive- ci sono ancora i vocabolari latino/italiano-italiano/latino, che ci possono soccorrere alla biosogna.

Ebbene, quello "Scillæ Civitas" significa letteralmente “Città di Scilla”. Ma il termine Civita non è solo la città fisica, quattru casi 'ncugnati una a fianco all'altra o 'mmunziddhati comu veni veni, tipo Ieracari. Civitas è l'assieme dei cittadini di una località e nel contempo lo “status” giuridico, che fa di tutti i cittadini dei soggetti di diritti e di doveri.

Dal tempo degli antichi romani, che hanno fatto scola e dopuscola di latino in tutto il mondo allora conosciuto, è passato parecchio così che, mentre il latino diveniva una lingua morta, anche il senso di quella parola “Civitas” perdeva di significato, limitandosi a rappresentarne realmente solo la prima parte, ovvero il semplice assieme dei cittadini di Scilla.

Della seconda parte, cioè dello “status” giuridico, che fa di tutti i cittadini dei soggetti di diritti e di doveri, ce ne siamo dimenticati o, peggio ancora, ce ne siamo voluti dimenticare.

Certo, è paradossale. Sì, perché, chi bene, chi male, ma oramai iammu tutti a' scola, abbiamo tutti un'istruzione o, nel peggiore dei casi, un minimo di erudizione.

Sappiamo tutti, anche solo per sentito dire per sbaglio dalla radio o dalla televisione oppure dai telefonini, che a tutti vengono riconosciuti determinati diritti, circostanza che -limitatamente a quandu ndi cumbeni- sfruttiamo in tutti i modi possibili, senza fermarci neanche a riflettere se il modo che scegliamo per far valere quei diritti siano leciti o illeciti.

Ma, se per il raggiungimento dei diritti non ci si ferma davanti a niente e a nessuno, quando si tratta dei doveri, allora sì che ci si ferma, eccome!

A Scilla, il significato della parola “dovere” pare essere limitato solo al presenziare ai funerali: haiu a fari 'n doveri.

Per il resto, tutto ci è dovuto mentre noi non dobbiamo niente a nessuno.

La città, la Civitas, se tale vuole essere considerata, non funziona così.

Non entro in indagini sociologiche che non mi competono, ma mi limito semplicemente a riferire tre episodi oggettivi (anche se potrebbero esserne citati molti di più), estremamente esemplificativi della “Civitas” in cui viviamo.

image_thumb1A Ieracari sono in corso da più di tre mesi alcuni lavori che riguardano il torrente Annunziata. Lasciando da parte ogni commento tecnico circa l'opportunità o l'utilità della loro esecuzione (sarebbe un discorso troppo lungo, che potremo fare in altra sede), basta qui sapere -per quanti non lo sanno ancora- che l'attraversamento su unica corsia di quel tratto di strada è attualmente regolato da un semaforo: verde, giallo, rosso. E' l'ABC dell'educazione stradale, non c'è bisogno di andare da nessun istruttore di scuola guida per sapere cosa significano quei tre colori, lo si impara(va) fin da bambini: col rosso ci si ferma; col giallo si fa attenzione e, se è il caso, ci si ferma lo stesso; col verde si passa.

Eppure, a Ieracari sembra che il semaforo sia un'invenzione aliena, sconosciuta a tutti: ragazzi, giovani, adulti, masculi e fimmini, patri e mammi 'i famigghia, diplomati, laureati. Non c'è alcuna differenza nell'indifferenza con la quale passano tutti, qualunque sia il colore del semaforo, annullandone la funzione e, cosa più grave, creando il serio rischio di incidenti. Dei vigili urbani nessuna traccia. Evidentemente impegnati in attività Marinaresche ritenute ben più importanti e meritevoli di attenzione. Eppure, credo che la loro presenza -oltre che a rappresentare un deterrente alle continue violazioni, consentirebbe al Comune di incassare un bel po' di soldini con le dovute multe e ritiro del mezzo.

image_thumb2Stessa cosa dicasi per la via Sinuria, il tratto di strada compreso tra piazza San Rocco e Piazza Matrice. Di recente è stato interessato da un'ordinanza che ne ha disposto l'attraversamento a senso unico per gli autoveicoli, dalla piazza a scendere verso Matrice. Anche qui, nessuno ha nemmeno finto di vedere il segnale di divieto di accesso posto all'imbocco di via Sinuria. Risultato: difficoltà di percorrenza, con annessi e connessi calamenti di calandarii, 'ncazzatini, discussioni e sciarri.

Terzo elemento di cui si finge di ignorare la presenza: i marciapiedi. Trattasi di parola composta: marcia a piedi. Significa che chi percorre le strade a piedi, dovrebbe farlo nelle sedi a ciò destinate. In pochissimi li usano, ma forse in questo caso una piccola scusante c'è: la diffusa presenza di, definiamoli così, ostacoli di natura organica animale, che nemmeno l'ordinanza sindacale dello scorso anno è riuscita non dico ad eliminare ma, quanto meno, a diminuire.

Davanti a questo stato di fatto, sono consapevole che non bastano né le ordinanze né i divieti né i vigili urbani. I scigghitani avrebbero bisogno di essere accompagnati da due carabinieri ciascuno!

Ciò richiederebbe l'impiego di circa diecimila carabinieri solo per Scilla, il che è cosa alquanto impossibile, oltre che assurda, pretendere.

Costa meno ricordarsi il significato della parola “Civitas”, ricordarsi cioè dello “status” giuridico della città, che fa di tutti i cittadini dei soggetti di diritti e di doveri.

Scilla, che adesso, per di più, fa parte della Città Metropolitana di Reggio Calabria, non potrà ritenersi tale finché oltre ai diritti non ci ricorderemo tutti di avere dei doveri, uno nei confronti dell'altro prima ancora che nei confronti della Legge.

Il grande Mimmo Martino -leader de “I Mattanza”, prematuramente scomparso- in un suo celebre verso cantava: «Culu nci voli, 'u sapiri non giuva» -Fortuna ci vuole, il sapere non giova.

Noi scigghitani, di fortuna ne abbiamo avuta parecchia, perché siamo nati e/o viviamo in uno dei posti più belli del mondo. Ma il sapere non giova, non ci è giovato, da solo, a continuare a renderla tale. L'istruzione, da sola, non basta. Non basta saper leggere e scrivere e aver studiato. Prima ancora che i libri, prima ancora di conoscere le regole, ci serve l'educazione a rispettarle.

Prendo perciò a prestito una citazione di Luis Alberto Lacalle, ex Presidente dell'Uruguay, che parlando del subcontinente latinoamericano ebbe a dire: «La redenzione di questa America Latina sta nell'educazione» - -concetto ribadito nei suoi scritti anche dal grande scrittore colombiano (o dovrei dire meglio, americano) Gabriel Garcia Marquez. Parafrasando il Presidente uruguayano, sono personalmente convinto che la redenzione di questo paese di Scilla sta nell'educazione.

Fin quando gli scigghitani non potranno definirsi davvero educati, non meritiamo la fortuna che abbiamo avuto di abitare a Scilla, non meritiamo di portare scritto nello stemma "Scillæ Civitas".

20 marzo 2016

CRAXI, I GIUDICI CON LA TESTA E IL PROCESSO DELLA STORIA

 

$_57I processi si fanno a cose fatte, a fatti avvenuti. I giudici con la testa, quelli, cioè, che hanno un cervello e lo sanno usare nel migliore dei modi per fare solo e soltanto la loro professione, valutano prove, documenti, ascoltano i fatti raccontati non da un lato solo, ma da tutti i testimoni degli accadimenti sui quali sono chiamati ad esprimere il proprio giudizio.

Ecco, quella a cui ho avuto il piacere di assistere qualche giorno fa, in occasione della presentazione del libro/docu-filmLa notte di Sigonella”, è stata un'altra udienza del processo revisionista dell'operato di Bettino Craxi.

I fatti raccontati e i documenti desecretati dopo un trentennio, svelano chiaramente quale fosse la statura politica e, prim'ancora, morale dell'uomo Craxi.

L'uomo che governò l'Italia ininterrottamente dal 4 Agosto 1983 al 17 Aprile 1987 (un record di durata per i governi della nostra Repubblica) e che divenne capro espiatorio della famigerata quanto vituperata “prima Repubblica”, ad esclusivo beneficio di coloro che, nascosti dietro chi lo investì con un fitto lancio di monetine davanti all'hotel Raphael (era il 30 Aprile 1993); l'uomo che il giorno prima aveva sostanzialmente riletto un famosissimo suo discorso del 3 luglio 1992, nel quale stando dritto in piedi, immerso in un silenzio assordante, aveva solo detto ciò che tutti sapevano ma avevano sempre fatto finta di non vedere; l'uomo che visse il suo tempo finale su questa terra in esilio volontario, sull'altra sponda del Mediterraneo. Quell'uomo, Bettino Craxi fu la vittima sacrificale del terremoto pseudogiudiziario che ventitre anni fa cambiò in maniera drastica il panorama politico italiano, distruggendo non un modo di fare politica, bensì la politica in sé, intesa come servizio per il bene comune.

Da quel terremoto l'Italia stenta ancora a riprendersi.

Oggi, domenica delle Palme, mi rimbombano in testa le urla rimandate dai vangeli: “Crocifiggilo! Crocifiggilo! Crocifiggilo!” L'eco di quelle urla non è molto diversa dalle urla coperte dalla pioggia di monetine dell'aprile 1993. E Craxi fu crocifisso come un ladro, come il ladrone accanto a Gesù.

Craxi non fu giudicato da giudici con la testa, bensì da giudici con in testa…un progetto specifico, ben preciso: togliere di mezzo chi era divenuto troppo ingombrante, tanto da potersi permettere il lusso di sfidare anche i potentati internazionali (Stati Uniti, Israele), a costo di difendere un’idea di società e di mondo che ai loro occhi non doveva mai trovare concreta attuazione.

Craxi fu condannato in due processi per corruzione e per finanziamento illecito, ma uno dei giudici del pool anticorruzione di Milano, Gerardo D'Ambrosio, sostenne in proposito: «La molla di Craxi non era l'arricchimento personale, ma la politica». La politica....la politica Craxi la sapeva fare e l'ha sempre fatta guidato dall'ideale socialista e dal rispetto verso la storia e il prestigio dell'Italia.

La corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo riconobbe irregolarità e violazioni nei procedimenti giudiziari cui fu sottoposto, ma non tali da annullare le condanne ricevute.

Molti lo accusarono -a sproposito, prima di conoscere prove e fatti- di arricchimento personale. Chi si arricchisce sulle spalle degli altri, dei cittadini che governa, scappa a godersi la ricchezza, non si fa trovare. Chi si gode la ricchezza, non ha scrupoli di coscienza, è insensibile a tutto ciò che gli altri dicono di lui.

Craxi scappò, sì, in Tunisia, ma lo fece per conservare la propria dignità di uomo politico. Scappò ma continuò a scrivere, a fare sentire la sua voce, non si nascose, tutti sapevano dove fosse.

Craxi non rimase insensibile, tutt'altro. Credo di non sbagliare se scrivo che pianse lacrime amare, non per la sua situazione personale, ma per l'Italia. Ne pianse tante di lacrime, che nessun otre poteva contenerle, tanto che, come in una delle sue più belle opere artistiche, le sue lacrime per l'Italia sono rimaste per sempre impresse nell'amaro tricolore dipinto sulla superficie di un vaso.

Non era un santo, Craxi, è stato un uomo. Un uomo che ha dato all'Italia e agli italiani certamente più di quanto non abbia ricevuto in termini di riconoscenza. Quella riconoscenza che gli italiani che vogliono davvero conoscere la verità dei fatti, cercano di restituirgli un po' alla volta, attraverso la lettura dei documenti e degli atti ufficiali. E’ un processo diverso da quello cui fu sottoposto quando era in vita; non è un processo che fa rumore, il rumore della fretta (che ha dato vita a quel gatto cieco che chiamano “seconda repubblica”) ma, al contrario, è un processo lento destinato a durare ancora molti anni ma che porterà al giudizio finale, quello giusto, della storia.

23 gennaio 2016

LETTERA A UN BIMBO CHE TRA POCHI MESI NASCERA’


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Ciao Piccolino,

ti chiedo scusa se non scrivo il tuo nome ma sai, ancora non lo conosco, anche perché, probabilmente, un nome tu ancora non ce l'hai.

Sono passati solo pochi mesi dal tuo concepimento e al momento in cui scrivo, sei al sicuro, in un posto caldo e tranquillo, con la tua mamma.

Eh già, te ne stai lì, al calduccio, nutrito e coccolato da chi -lo scoprirai- ti vorrà sempre bene, più di ogni altro.

Non lo sai ancora, ma sono sicuro che tu, pur così piccolo, visibile solo attraverso le immagini poco nitide rimandate da uno schermo, sei colui che ha già cambiato la vita a tante persone: i tuoi genitori, i tuoi nonni, i tuoi zii e i tuoi cuginetti sono lì fuori, forse puoi sentirli confusamente, ti stanno aspettando. Stanno aspettando di conoscerti, di sapere di che colore sono i tuoi occhi e i tuoi capelli, com'è il tuo viso, le manine, le gambette e i piedini. Sono tutti lì a immaginarti e a scommettere a chi somiglierai di più, prendendosi benevolmente in giro a vicenda.

Ti chiederai di certo: ma chi sei?

Scusami ancora, Piccolino, non mi sono ancora presentato. Mi chiamo Francesco Rocco Picone e abito a Scilla, un posto poco lontano da quello in cui vedrai per la prima volta la luce del mondo. Scilla è un paese speciale, dove mito, storia e leggenda si sono mischiate nei secoli, come le onde del mare su cui, come un'aquila di pietra, è adagiata da millenni; è un posto la cui bellezza è stata cantata da poeti, raccontata dagli scrittori e immortalata da scultori, pittori e artisti provenienti da ogni parte del mondo, su tele e supporti del materiale più vario.

A proposito! Mentre ti scrivo, mi viene in mente che anche tu eri già in un quadro: raffigurava una donna il cui manto copriva il suo viso e tutto ciò che ella ha di più prezioso, i piccoli frammenti di gioia che fanno una vita. Vedi, Piccolino, a illuminare quella donna e i suoi frammenti di gioia nascosti, c'era solo la luna, che diffondeva i frammenti della sua luce proprio come fa sul mare di Scilla nelle notti calme, sia d'estate che d'inverno. Ecco, Piccolino, sono sicuro che nascosto, al sicuro dietro quel manto, nella mente e nell'abbraccio di quella donna, la tua mamma, c'eri anche tu: il frammento più splendente della sua vita.

Sappi, Piccolino, che lei sta vivendo e vivrà ogni giorno per te, per vederti crescere forte e sano, preparato e sicuro, cittadino del mondo.

Sai, Piccolino, le bugie non si dicono, specie ai bambini. Perciò mi tocca dirti che non è un posto molto tranquillo il mondo, specie attualmente. Eppure, chi ti ha concepito ti ha ugualmente prima chiesto in regalo al buon Dio. Lo so, potrà sembrarti una cosa da egoisti, ma non è così. Dio li ha ascoltati e ha esaudito la loro richiesta, e sai perché l'ha fatto, Piccolino? Perché solo i piccoli come te, i bimbi, possono dare al mondo una speranza nuova.

E tu lo hai già fatto, sai?! Ti chiederai: com'è possibile?

Semplicemente perché i tuoi genitori, la tua famiglia, non vivono già più per loro stessi, ma vivono per te, che hai rinnovato -o forse dovrei scrivere rivoluzionato- le loro vite. Da quando hanno saputo che ci sei, piccolo ospite di tua madre, loro vivono per procurare il tuo bene, fremono gioiosi perché fai loro compagnia e non vedono l'ora di conoscerti, di abbracciarti.

Sai, ho saputo di te solo da una ventina di giorni, eppure anch'io, ti confesso, non ho potuto fare a meno di farmi le stesse domande che si stanno ponendo i componenti della tua famiglia, anche se non ne faccio parte. Sapere che ci sei ha cambiato anche la mia di vita. I loro sentimenti, sono gli stessi che sono nel mio cuore dal momento in cui ho saputo della tua esistenza. Perciò, sarò molto felice se vorrai continuare a cambiare anche un po' la mia vita, permettendomi di avere, tra i pochi, un nuovo amico a cui voler bene con l’anima e il cuore.

Voglio che tu sappia che pur se da lontano, ti sarò vicino col pensiero, specie ogni volta che la luna si specchierà nel mare della mia Scilla, diffondendo i suoi frammenti di luce tra le onde, anche se tu sarai oltre la linea dell’orizzonte, invisibile ai miei occhi, come quand’eri dentro quel quadro.

A presto, Piccolino!

Con affetto, tuo

Francesco Rocco