28 dicembre 2012

STREUSA PU MAR

(libera versione in dialetto scigghitano di “Creuza de ma” di Fabrizio De André)










All'umbra ri sciur ra chiappirara c'è
nu vecchiu piscaturi, varda a' Chianalea:
ccà 'u Strittu cerca a' luna la manu sua,
chi sutta 'ddhumau 'u casteddhu e 'a rua.

E' 'n pugnu 'i casi ch' ha criatu Diu,
ch'i peri a mari, ad arcu li mintiu.
Nisciu ca so' barca e ru mar si cugghìa,
pinsò nda menti: “Ah, bbonu pi mia!”


S'u furister nci spia, da paisà
cu arti e fantasia 'u sa 'ccumpagnà.
'A genti di luntan ca bucca 'perta sta
ccà mi vai a spassu, nci piaci assa'
si faci maravigghia quand'è stagiuni
si c'è 'n figghiol chi pisca ru so' barcuni.



'U varda e pensa “Pi mia tardu è già”
a' casa torna, ch’è ura di mangia'.
Frittura di fracaglia e 'na schizza i vinu
'u sciauru è bbonu, puru p'u vicinu.
Si bagna 'a bucca e 'i quant' è forti 'llucchi,
tunnu in agrodolci e 'nsalata di pruppi


E ca so barca mbicina, propria sutta, nde scogghi,
'u figghiu randi ch' 'a zzita, 'i pateddhi nci cogghi.
E ampestru matin, nesci e prestu s'accogghi
'ch 'i friddu trema, comu li fogghi.
'Ttaccandu ca corda la so' barca sa
ch' 'a so' vita l'ha fatta, ma streusa pu mar.





Traduzione italica

PAZZA PER IL MARE


All'ombra dei fiori del cappero c'è
un vecchio pescatore, guarda la Chianalea:
qui lo Stretto chiede alla luna la sua mano
che sotto ha illuminato il castello e la strada.

E' un pugno di case che ha creato Dio,
con i piedi a mare, ad arco le ha messe
Era uscito con la sua barca, dal mare tornava
pensò nella mente: “Ah, buon per me!”


Se il forestiero glielo chiede, da paesano
con arte e fantasia lo sa accompagnare.
La gente che viene da lontano resta con la bocca aperta
passeggiare qua, piace molto
e ci si meraviglia quando è la stagione
se c'è un bambino che pesca dal suo balcone.



Lo guarda e pensa “Per me è già tardi”
a casa torna, perché è ora di mangiare.
Frittura di fragaglia e un goccio di vino
l'odore è buono, lo sente pure il vicino.
Si bagna la bocca e per quanto è forte è stordito,
tonno in agrodolce e insalata di polpi.


E con la sua barca s'avvicina, proprio sotto, negli scogli,
il figlio grande che raccoglie le patelle per la fidanzata.
E il mattino dopo, esce ma torna presto
'ché trema di freddo, come le foglie.
Legando con la corda la sua barca sa
che la sua vita l'ha fatta, ma pazza per il mare.

26 dicembre 2012

SOGNO DI UNA NOTTE DI…NATALE

Non mi capita spesso di sognare. Non so se sia un male o un bene ma dopo quel che mi è successo la notte scorsa....Beh, giudicate voi.
Notte tra il 24 e il 25 ultimi scorsi, dormivo.
A un certo punto, mi passa davanti una signora che tiene per mano un bimbo che sgambetta procedendo a fatica, avrà avuto due anni, sì e no.
Quando arriva davanti a me, la madre scompare alla mia vista, il bimbo si ferma e mi guarda: è piccolo, abbastanza paffutello.
 
Gli sorrido, come si fa con tutti i bambini e gli faccio "ciao" con la mano.
E' un attimo, il bimbo mi salta sulle gambe e continua a fissarmi con un sorriso, ma c'è qualcosa di strano: è quasi del tutto calvo, tranne una striscia continua di capelli che adorna la sa testa all'altezza della fronte e di metà nuca, a mo di corona, a tipu monicu francescanu.
Nel sogno, mi stropiccio gli occhi come a svegliarmi realmente e lo guardo con più attenzione: sul suo nasino compaiono due piccole lenti tonde di cui si vede solo la montatura, i vetri sono letteralmente trasparenti; dal nasino, compaiono dei piccoli peli neri.
Il bimbo continua a fissarmi, sempre sorridente, poi apre la bocca come per volermi dire qualcosa, ma non parla, canta, così: <<E per la gente del porto mi chiamo... Gesù Bambino.>>
Quel bimbo era Lucio Dalla, che ha cantato "4 Marzo 1943" per la prima volta, a Sanremo nel 1971. Qualche mese più tardi sono nato io.
Lascio a chi se ne intende ogni plausibile interpretazione.











25 dicembre 2012

NOTTI ‘I NATALI














E’ natu Gesù, è natu Bambinu,
pi stari a nuiatri un po’ cchiù vicinu.


E' natu Gesù, 'perti ha li brazza,
porta la gioia, comu 'na carizza.


E' natu Gesù, ru mundu è la luci,
pa strata ndi varda cu l'occhi so', ruci.


E' natu Gesù, re senza nenti,
ma caddìa lu cori, dà luci alla menti.


E' natu Gesù, nta 'sta notti speciali:
'a cchiù bella di utti, lu Santu Natali.


16 dicembre 2012

LETTERA AL PRESIDENTE OBAMA

BrianCaro Sig. Presidente,

il dolore per quello che è successo nella scuola elementare di Newtown –Connecticut non è solo degli americani, ma del mondo.

Pur essendo italiano, per diversi motivi mi sento particolarmente legato agli Stati Uniti e, sinceramente, fa rabbia dover assistere per l’ennesima volta ad atti così tragici che colpiscono sempre luoghi (scuole, università, cinema) frequentati da giovani o da bambini, che sono il futuro di una Nazione.

Nella recente campagna elettorale che l’ha riconfermata alla guida di una grande Nazione come gli Stati Uniti, la sua vittoria è stata legata al fatto che la maggioranza del popolo statunitense ha creduto alle sue parole e si è affidata alla sua umanità e alle sue promesse per il futuro dell’America e degli americani.

 

Ma è un’America che deve fare i conti con una violenza che mette in pericolo la vita dei più giovani e dei bambini, cioè di coloro che rappresentano il futuro di una Nazione.

So che Lei è consapevole di tutto ciò e che non esiterà a porre in essere ogni iniziativa per arginare ed eliminare questo pericolo da cui nessuno è immune, senza distinzioni. Ma non sarà facile.

La Costituzione degli Stati Uniti garantisce a ogni cittadino il diritto di possedere un'arma.

In verità il secondo emendamento è stato concepito a quel tempo (più di 200 anni fa) per consentire la formazione di milizie di cittadini per difendere la sicurezza di uno Stato.
Credo che tale fine non abbia più ragione d'esistere: a mantenere l’ordine pubblico e perseguire i delinquenti ci sono già polizia, FBI e sceriffi, oltre all’esercito.

La Costituzione non è certo immutabile, tutt'altro. Essa deve essere in grado di stabilire principi adeguati, tali da rendere possibile la sicurezza dello Stato e quindi dei suoi cittadini, in ogni tempo.
Nessun esercito, nessuna polizia al mondo potrà mai avere la forza di difendere la collettività da atti orribili e tremendi posti in essere da da “persone normali”, soggetti singoli, non individuabili,

L’unica forza che può difendere i cittadini e i giovani americani  in particolare da questo orrendo pericolo è quella della Legge.

Certo, ognuno può avere il diritto di possedere un'arma, ma solo con dei limiti ristretti (è inconcepibile che si possano acquistare liberamente fucili automatici che sono vere e proprie armi da guerra), per finalità ben determinate e, in ogni caso, previa verifica di determinati requisiti psicofisici dei soggetti che intendono esercitare questo diritto. Occorre quindi regolamentare in maniera seria l’intera materia, è una cosa che gli Stati Uniti hanno rinviato per troppo tempo, ma adesso il tempo è scaduto.

Ma non basta. Anche se il meccanismo legislativo è lungo e complicato, bisogna modificare il secondo emendamento, aggiornandolo ai nostri giorni, un tempo in cui sulle strade americane non ci sono più le milizie armate.

La Corte Suprema con le sue decisioni ha equiparato il diritto di possedere un’arma ai diritti inviolabili. Ma il diritto di possedere un’arma (anche solo per difendersi) provocando la morte, non può essere equiparato al diritto alla vita!

E' dunque il momento di aggiornare questa norma Costituzionale, poiché il suo abuso ha prodotto un risultato contrario a quello che chi l'ha concepita si prefiggeva di conseguire.

E' il momento di porre fine al libero arbitrio di individui che, armati come in guerra perché in guerra con il mondo che li circonda, mettono a repentaglio la vita dei cittadini e, quindi, la sicurezza stessa dello Stato e il futuro della sua esistenza.
Con profonda stima e fiducia

18 novembre 2012

ISRAELIANI E PALESTINESI: I SCECCHI SI SCIARRIUNU E…

gaza Poche cose sono o sembrano immutabili nell'universo, una di queste è l'odio tra israeliani e palestinesi.
Sì, Hamas è un'organizzazione terroristica di cui aver paura, che nessuno dei palestinesi è riuscito a “disinnescare” e da cui è giusto e sacrosanto difendersi.

Ma come definire uno Stato che, andando ben oltre il diritto di difendersi, ammette pubblicamente che i bombardamenti in risposta ai razzi palestinesi sono un atto politico?!
Uno Stato la cui politica è basata sui bombardamenti è peggio che terrorista, è uno Stato guerrafondaio.

La cosa è doppiamente tragica se si considera che trattasi di uno Stato -quello di Israele- nato proprio in conseguenza alle devastazioni del più grande conflitto mondiale del secolo scorso.

Il passato non ha insegnato nulla. E' una situazione insopportabile, cui bisogna porre fine prima che accada l'irreparabile.

Dice un nostro detto: quandu 'u sceccu non voli mbiviri, ambatula nci frischi.
Ma israeliani e palestinesi sono "scecchi" che si fanno la guerra oramai da 65 anni, in maniera pressoché continua.
E quandu i scecchi si sciarriunu, i barriddhi levunu 'a furia.
I barriddhi sono gli innocenti, i bambini, che da un lato e dall'altro, muoiono senza nemmeno sapere perché.
Ho ancora negli occhi le lacrime di una ragazza il cui fratellino è stata la prima vittima di questi nuovi “raid punitivi” che stanno infiammando Gaza in questi ultimi giorni.

Quante lacrime dovremo ancora vedere? Che sgorghino dagli occhi delle mamme o delle sorelle israeliani o palestinesi che siano, non hanno tutte lo stesso sapore? Il sapore salato di quel sale che torna a spargersi su una delle ferite più profonde di questo nostro mondo.

Come uscirne?
La soluzione è una e una soltanto: dare a ciascun popolo il diritto ad avere un proprio Stato.
Se questa possibilità è stata concessa a Israele, quasi a parziale risarcimento di quanto subito nella seconda guerra mondiale, perché non concederlo ai palestinesi?

E' un principio sacrosanto, riconosciuto da tutte le democrazie occidentali, condiviso dal mondo arabo moderato, sul quale si è già più volte discusso in passato, ma che deve trovare attuazione nel più breve tempo possibile.
Come fare?
Un ruolo fondamentale dovrebbe giocarlo l'Onu, così come fece nel 1947, riconoscendo Israele.
Convocherei in seduta permanente i rappresentanti israeliani e palestinesi -assistiti da Stati a loro vicini, con esclusiva funzione di mediazione- e li "costringerei" a trovare un accordo definitivo e vincolante per sempre.
Su quell'accordo, in deroga al regolamento vigente all'Onu, non vi deve essere la possibilità di porre alcun veto da parte di qualunque altro Stato. Nessuno ha il diritto di decidere il destino di un popolo se non quel popolo stesso. Si chiama autodeterminazione.

Dicevo prima delle madri, delle sorelle, dei bambini, vittime innocenti.

Ecco, mentre padri e fratelli sono impegnati a farsi la guerra, dovrebbero essere le mamme e le sorelle israeliane e palestinesi a dire: basta, non vogliamo piangere più!
Dovremmo tener presente solo una cosa: non ci sarà nessun futuro senza bambini, né per gli israeliani, né per i palestinesi.
Perciò, inviterei tutte le organizzazioni mondiali che si occupano dei bambini, a partire dall'Unicef, a stabilire una sede comune operativa proprio nei territori dei due Stati, organizzando eventi che coinvolgano bimbi arabi e israeliani insieme.
Vorrei che quei territori, dove oggi i bambini sono vittime e ostaggi innocenti, fossero per così dire ostaggio dei bambini, della loro voglia di vivere, della loro voglia di avere un futuro, indipendente e comune.
Questa loro azione continua, incessante, la forza della loro innocenza, è l'unica che può ancora riuscire a convincere i rispettivi rappresentanti politici a trovare una soluzione che sia definitiva, prima che sia troppo tardi per tutti.

n.b.: foto tratta da http://www.ilmessaggero.it/foto/nuovi_raid_su_gaza_uccisi_nove_bimbi/5-10481-232445.shtml

14 novembre 2012

LE PAROLE, I NUMERI E IL TEATRO DELLA POLITICA

Assistere lunedi scorso in televisione al confronto tra i cinque candidati del centrosinistra ha risvegliato in molti la voglia di tornare a interessarsi di politica.

I partecipanti erano: tre del PD (Bersani, Renzi, Puppato), uno di SEL (Vendola), uno dell'API (Tabacci).

Ci si è affrettati a precisare che si trattava di primarie di coalizione, quindi del centrosinistra e non del solo PD, come da statuto modificato, corretto e integrato al fine di chiarire uno dei punti più controversi (e più comici) di uno strumento -le primarie- che così com'era nato, permetteva di far votare anche chi non apparteneva all'area politica del centrosinistra, in una libera interpretazione tutta italiana del sistema in uso negli Stati Uniti.

In linea di massima, tra i cinque si sono riscontrati pareri simili sulla maggior parte delle questioni politiche ed economiche attuali. Su due temi però si sono registrate divergenze di non poco conto: sui diritti civili delle unioni di fatto, specie tra omosessuali; sulle alleanze da porre in atto per riuscire a governare un Paese alla disperata ricerca di una guida sicura e affidabile.

Tali distinguo hanno portato alcuni dei candidati ed esprimere veri e propri veti preventivi che, a ben vedere, secondo me non hanno ragione d'esistere.

Il motivo sta nel significato delle parole e nella forza dei numeri.

I DIRITTI

Sul tema dei diritti delle coppie di fatto omosessuali, è indiscutibile che anch'essi -in quanto cittadini italiani- devono godere delle stesse possibilità di tutti gli altri, per cui negare loro alcuni di questi diritti significa contravvenire a un principio costituzionalmente riconosciuto.

Cosa ben diversa è però volere estendere il matrimonio anche a queste coppie.

Nel nostro codice civile viene distinto tra il matrimonio regolato con rito religioso -regolato da leggi speciali (per la religione cattolica, secondo il Concordato come modificato nel 1985) e il matrimonio civile, regolato dalle disposizioni dello stesso codice.

In questo secondo caso, nel Codice civile non si afferma mai che i coniugi debbano essere di sesso diverso, si parla soltanto di marito e moglie.

Pertanto, si potrebbe essere portati a credere che le disposizioni relative al matrimonio possano essere applicate anche nel caso in cui marito e moglie siano dello stesso sesso.

In verità, lasciando da parte ogni considerazione inerente all'aspetto religioso, tale estensione del matrimonio non è possibile.

Tale impossibilità, seppur non espressamente sancita, è desumibile sia dalla struttura stessa del Codice Civile, sia dalle norme di rango superiore dettate dalla Costituzione.

Gli articoli del Codice che riguardano il matrimonio sono infatti inseriti nel Libro I “delle persone e della famiglia”.

La famiglia è definita dalla nostra Costituzione (art. 29) come “società naturale fondata sul matrimonio”.

Dunque, seguendo il significato letterale delle norme civili in vigore, il matrimonio è il fondamento di una società naturale, cioè una società -la famiglia- caratterizzata dalla sussistenza oggettiva di funzioni “facilmente riconducibili a un ambito di indiscussa ovvietà” (Devoto-Oli).

E' fuor di dubbio che all'epoca a cui risalgono le norme di cui si parla l'ovvietà di avere una moglie e un marito di sesso opposto sembrava indiscutibile. Oggi, nell'epoca “moderna”, quell'ovvietà sembra essere un po' meno ovvia, ma il quadro normativo costituzionale ci indica che potrebbe parlarsi di matrimonio per le coppie dello stesso sesso al tempo in cui ciò che è naturale oggi, non lo sarà più, vale a dire al tempo in cui quella tale ovvietà verrà definitivamente meno.

Voler dunque estendere il matrimonio come oggi definito a casi diversi da quelli diciamo così naturali, è sicuramente una grande forzatura, che presenterebbe anche aspetti di incostituzionalità ed è perciò da escludere.

E' sicuramente giusto e possibile invece, estendere gran parte dei diritti e dei doveri previsti per il matrimonio (mantenimento, assistenza reciproca, diritti di successione, ecc.), a tipi di convivenza meno ovvi. Lo si può fare tenendo presenti le norme già esistenti nel codice civile per i contratti e le obbligazioni.

Non serve dunque stravolgere nulla, basta una legge (e ci sono già diversi testi presentati) che richiami i tipi di contratto già esistenti in maniera tale da rispondere a un'esigenza della collettività.

LE ALLEANZE PER IL GOVERNO

In tema di alleanze, sia Vendola che Renzi hanno categoricamente (ma in politica questo avverbio di fatto si dimentica facilmente) escluso futuri accordi con Casini, manco fosse il diavolo.

Questa preclusione, sinceramente, faccio fatica a comprenderla.

E' un dato di fatto storico che l'Italia repubblicana sia stata governata per larga parte della sua esistenza da partiti di centro (DC) o da alleanze di centro-sinistra (DC-PSI) poi allargate. In non pochi casi però vi è stato l'appoggio o comunque l'implicito avallo anche del PCI, unico partito comunista d'Europa a staccarsi -seppur parzialmente- dalla rigida ortodossia imposta dall'Unione Sovietica, dove l'ideologia comunista era in realtà solo una maschera dietro la quale si è nascosta un'oligarchia, spesso al confine con la dittatura, che ha vissuto sulle spalle del proprio popolo.

Dunque, in Italia il centro e la sinistra hanno sempre dialogato tra loro. L'hanno fatto da binari ideologici paralleli, che però stavano per convergere già trent'anni prima della nascita del PD, quando i muri ideologici erano molto alti e spessi.

A proposito di ideologia, molti ne hanno decretato la fine. In verità, la parola ideologia indica un insieme sistematico di concetti e principi che stanno alla base di un atteggiamento politico e culturale, per cui oggi potremmo dire che l'ideologia dell'individuo ha finito per prevalere (ahinoi!) sull'ideologia di partito.

C'è un piccolo particolare però che ai più sfugge.

I partiti sono i soli cui la Costituzione (art. 49) assegna il compito di determinare la politica nazionale.

Quegli "agglomerati" che oggi fanno di tutto per non chiamarsi "partito" e che sono "gruppi", "popoli", "case", "movimenti", sono tutte espressioni individualistiche, veri e propri marchi posseduti da un uomo solo (Berlusconi, Grillo, Di Pietro, ecc.) e che rispecchiano non la coscienza o la cultura di un pezzo di società ma l'incoscienza di un solo individuo: il capo.

La colpa più grande che imputo ai protagonisti di quella che fu la seconda Repubblica, con poche eccezioni è quella di essersi nascosti, rinnegando quindi in un certo senso il loro pensiero, la loro cultura, la loro ideologia. Di essersi vergognati di quello che erano, andando a nascondersi dietro sigle o acronimi nuovi, confondendosi e disperdendosi in gruppuscoli che dopo poco più di 15 anni hanno dimostrato tutti i loro limiti.

L'esempio di Berlusconi è emblematico. E' entrato sulla scena politica quando il palco era rimasto vuoto (o quasi) e ne è divenuto -questo il suo merito- assoluto padrone. Ma mentre recitava il suo monologo -con poche interruzioni- da attore consumato, ha acceso i riflettori e ha accecato gli spettatori. Poi, una alla volta, le luci si sono spente. E' rimasto soltanto un "occhio di bue" che ha illuminato solo lui per tanto, troppo tempo.

Alla fine, il capocomico ha deciso che era ora di porre fine alla commedia ed è uscito di scena giusto in tempo. Ma mentre usciva, non ha spento solo la luce sul palco bensì quelle dell'intero teatro, lasciando la platea italiana a brancolare nel buio, all'affannosa ricerca di un'uscita di sicurezza.

Stessa sorte toccherà -inevitabilmente- a quei movimenti che adesso vanno per la maggiore: il loro destino è scritto nella loro stessa natura.

Per una legge fisica, il movimento nella realtà non può avere durata infinita ma prima o poi sarà destinato ad avere fine, a fermarsi, a causa -se non altro- dell'attrito sia esterno che interno, che peraltro ha già cominciato a manifestarsi piuttosto precocemente.

Il risultato per l'Italia è stato tragico, con aspetti anche comici, come in ogni dramma che si rispetti.

L'Italia è, infatti, l'unico Paese al mondo in cui esistono i socialisti di destra, rappresentato da quella parte del PSI mimetizzatasi dietro il paravento berlusconiano, per difendersi -dicono loro- dal furore giustizialista dei comunisti. Un obbrobrio di cui non possiamo certo andar fieri.

L'ideologia si è dunque trasformata, in molti casi (come quello di cui sopra) come peggio non avrebbe potuto, ma non è morta. Non possono morire i principi base che guidano l'atteggiamento nella società, la cultura e la coscienza degli individui. Si può, anzi si deve modernizzare, attualizzare il proprio pensiero ma certamente non si può vergognarsene.

Ora, appare difficile che alle prossime elezioni il centrosinistra possa riuscire ad avere i numeri per governare da solo (ah, la matematica!). Sarà dunque necessario allargare ad altre forze che -per logica di "fisica politica"- non potranno stare ancora più a sinistra di SEL ma dovranno essere quelle più vicine alla parte centrista che fa già parte della coalizione.

Dall'altra parte, a sinistra, c'è una forza -SEL- che a mio parere fornisce un'ampia garanzia di serietà intellettuale -prima ancora che politica- con la quale ci si potrà confrontare nel merito delle singole questioni, per due buoni motivi: sulla politica economica, le differenze saranno attutite da una situazione particolare che rende alcune scelte obbligatorie; sulle altre questioni credo che Vendola abbia acquisito un'esperienza di governo regionale che in questi anni ha "smussato" parecchi spigoli nella sua originaria cieca visione sinistrorsa.

Le differenze permangono su tutti i temi etici, ma essi sfuggono a una qualunque logica politica, in quanto toccano la sfera della coscienza personale di ciascuno dei futuri parlamentari, come è sempre stato.

Dunque, il significato delle parole (se ancora gliene si attribuisce uno) e la forza della verità dei numeri, forniscono la soluzione per sanare le differenze attuali e consentire al centrosinistra di tornare a governare il nostro Paese.

Qualsiasi altra soluzione sarebbe improponibile, a meno che i candidati alle primarie del centrosinistra non intendano applicare la "bizona" di Oronzo Canà con il famoso "5-5-5". Quello è uno schema che ha funzionato solo al cinema. Il teatro della politica è un'altra cosa.

11 novembre 2012

RICORDO DI ERALDO DE LIO, UN UOMO BUONO

EDL La notizia è arrivata ieri, portata da uno strano vento di scirocco, freddo come la sensazione che ho provato appena l'ho saputo: Eraldo, lo storico fotografo di Scilla, ci ha lasciati.

Colpito all'improvviso -come a volerci fare un ultimo scherzo- da giorni lottava per riprendersi, ma alla fine ci ha salutato.

Tanti ricordi mi scorrono nella mente in queste ore, e so che sono i ricordi di diverse generazioni di scillesi che lo hanno conosciuto, che sono cresciuti accompagnati dai “click” della sua macchina fotografica.

Nelle stesse ore in cui Eraldo combatteva la sua ultima battaglia, mi è capitato di leggere una frase di Aldo Moro:

Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato, con tutte le sue difficoltà.

Ecco, Eraldo il suo tempo l'ha vissuto e raccontato attraverso le immagini, attraverso le foto che con maestria e professionalità hanno fatto ricordare e rivivere nel tempo i fatti e la storia di Scilla negli ultimi cinquant'anni.

L'ha fatto con la discrezione e l'umiltà cui oggi tutti abbiamo reso omaggio nell'ultimo saluto, nella chiesa di San Rocco.

Quel Santo di cui era particolarmente devoto, tanto che in tutti questi anni, ha ripreso in mille inquadrature, da ogni angolazione possibile, arrampicandosi sui muretti o per le scalinate o scegliendo il balcone più adatto, anche se magari pericolante, è ancora la prima immagine esposta nella vetrina del suo studio fotografico.

In tutti questi anni, non c'è stata festa di San Rocco che non l'abbia visto in prima fila, con al collo il fazzoletto dei portatori e la macchina fotografica, a fermare sulla pellicola ogni istante del trionfino, a scattare una foto a tutti i portatori, un modo per regalare loro un sorriso e alleviarne la fatica.

Credo di non esagerare se dico che a Scilla -e in giro per il mondo ovunque abiti uno scillese- non c'è casa in cui non sia conservata una foto con sopra riportata la sua firma.

Sì, non c'è buffetta, non c'è barò o vitrina di scigghitanu che non conservi una foto scattata da Eraldo, il quale ha condiviso gioia, feste, cerimonie e anche momenti meno belli, di ogni famiglia scillese.

E l'ha fatto sempre, oltre che con professionalità, con un'umanità che infondeva coraggio e fiducia in chiunque lo incontrasse.

Personalmente ricordo le foto delle partite di quando eravamo ragazzini; le foto dei “Trofeo San Rocco”; le foto delle formazioni della Reggina, le foto dell'inaugurazione della chiesa di San Rocco...e mille altre immagini.

Un mix di colori, inquadrature, sfumature, che non sono altro che lo scorrere di una vita.

Mi è capitato spesso, anche negli ultimi tempi, di vederlo magari al Comune a scattare una foto per un insediamento, una visita di un personaggio importante.

Immagini e pellicole che custodiva con particolare cura e gelosia. Spesso mi è capitato di rivolgermi a lui, alla ricerca di un'immagine della Scilla di un tempo.

Lui, sempre disponibile, inforcava gli occhiali e con estrema semplicità, di ogni immagine ti raccontava un aneddoto, un particolare, attraverso cui riuscivi ad apprezzare la foto ancora di più, riconoscendole un valore storico.

E poi come non ricordare di Eraldo i tanti pellegrinaggi a Polsi, a' Maronna ra muntagna, quand'ero bambino; o quel modo sempre gentile di prenderti benevolmente in giro, come solo gli amici sanno fare.

Sono questi i ricordi che hanno affollato la mia mente da ieri e durante il funerale, che si è concluso con un applauso spontaneo, forte, prolungato, che da dentro la chiesa s'è propagato come un'eco fino a fuori, nella piazza, dove in tanti lo abbiamo salutato e gli abbiamo semplicemente detto: grazie.

Da oggi, dicevo a un amico, abbiamo perso un pezzo di storia del nostro paese, siamo tutti un po’ più poveri. Ci rimangono però in dote le sue foto che sono già storia e, con esse, un esempio umano che costituisce una ricchezza.

Me l'immagino adesso Eraldo, con al collo la sua macchina fotografica, seduto magari su una nuvola che il vento porta un po' a spasso, su e giù per la nostra provincia. Me l'immagino che cerca l'inquadratura migliore per scattare, lì dall'alto, ancora una foto della sua Scilla, mentre i raggi del sole, riflettendo nel suo obbiettivo, ci rimandano giù la luce dei suoi occhi e del suo sorriso di uomo buono.

*N.B.: foto tratta da http://reggiopress.blogspot.it/2012/11/scilla-eraldo-de-lio-ci-ha-lasciati.html

08 novembre 2012

OBAMA E I NOSTRI NONNI

"The best has yet to come" -Il meglio deve ancora venire.
E’ una frase pronunciata dopo la vittoria alle elezioni da Obama, ma non l'ha inventata lui.
'A 'mbintaru i nostri nonni, quando dissero:
'u megghiu è arretu! -the best is behind!
Sembrerebbe una contraddizione, visto che quel che deve ancora accadere, non può essere "dietro".
In realtà è solo una questione linguistica
: il nostro dialetto non contempla il tempo futuro, è tutto presente o passato, perciò i nostri nonni guardavano dietro, ma non al passato, anche quando pensavano al futuro.
Sì, perché in verità questa frase era una sfida a proseguire verso il futuro -che si sperava essere migliore- qualcosa che restava ignoto, nascosto "dietro" il tempo stesso che doveva ancora trascorrere fino appunto ad arrivare o' megghiu.

10 ottobre 2012

RIPRENDIAMOCI IL FUTURO

Alla fine è successo.
Il Consiglio comunale di Reggio Calabria è stato sciolto. L’annuncio di ieri sera del ministro dell’interno non ha colto di sorpresa nessuno. A Reggio –e provincia- tutti sapevano che sarebbe successo.
Non perché qualcuno abbia letto la corposa relazione della Commissione d’accesso, né il documento che il Prefetto ha inviato al ministro dell’interno né tanto meno perché è stato influenzato dall’”odiosa campagna di stampa” della sinistra.
No, diciamo la verità, era qualcosa che si sentiva nell’aria da tempo, come quei nuvoloni che prima appaiono lontani all’orizzonte, poi si avvicinano sempre di più, preannunciati da lampi e tuoni. E di lampi e tuoni in questo ultimo periodo a Reggio se ne sono visti parecchi.
Quei lampi e quei tuoni sono esplosi ieri sera in maniera fragorosa, tanto che la luce e il rumore si sono visti e sentiti in tutta Italia e, grazie a internet, in tutto il mondo.
Oggi, non c’è stato giornale o sito d’informazione dell’Europa occidentale, dell’America del nord o dell’America del Sud che non riportasse la notizia riguardante la più grande città della Calabria.
Di sicuro, non si può e non si deve andar fieri di quello che è successo, tutt’altro. Bisogna fermarsi a riflettere.
Due cose, tra quanto ha detto il ministro Cancellieri ieri sera, mi hanno colpito:
1. Il provvedimento ha riguardato l’amministrazione in carica e non la precedente.
2. Il Consiglio è stato sciolto non per infiltrazioni mafiose ma per “contiguità” con gli ambienti mafiosi;
Ora, è vero, gli elementi raccolti dalla Commissione d’accesso si riferiscono all’amministrazione in carica fino a ieri sera. E’ però difficile negare –e chi ha vissuto e vive all’interno della città lo sa- che l’amministrazione appena decaduta fosse la naturale prosecuzione di quella precedente guidata dall’attuale governatore Scopelliti, che ha beneficiato del trampolino di lancio reggino per raggiungere la prima poltrona regionale.
A Reggio la democrazia non è più esistita a partire dal momento stesso in cui ne è stato celebrato il trionfo.
Era il 2007 quando Peppone Scopelliti fu eletto sindaco con il 70% dei voti. Una percentuale “castrista” che consentì al futuro governatore di diventare il sindaco più amato d’Italia. Era la Reggio che, uscita dall’entusiasmante rinascita vissuta con l’amministrazione Falcomatà, cercava una nuova speranza. "Mi amano perché riaccendo la speranza” dichiarò Scopelliti.
La speranza c’era, si sentiva e si vedeva. Ma la fiamma che la alimentava s’è andata viva via affievolendo, fino a spegnarsi, ieri sera. La causa che ne ha provocato lo spegnimento, che ha soffocato la democrazia è, in verità, quello che doveva essere il combustibile che avrebbe dovuto alimentarla: il metodo.
A Reggio il metodo è stato fatto assurgere al rango di modello di amministrazione da seguire ma questo modello –i cui limiti sono stati evidenti a chi ha vissuto e vive all’interno della città reggina- che nelle intenzioni di chi l’ha proposto, doveva costituire un vanto per Reggio e la sua provincia e per la Calabria, si è rivelato fallimentare.
Più volte, da tempo e da più parti chi è stato addentro alle beghe amministrative reggine ha avuto modo di denunciare che i conti non quadravano. Non solo quelli del bilancio.
Da quello che finora hanno svelato le indagini –anche se ancora in corso- per le varie società di servizi che operavano per conto del Comune di Reggio è accaduta la stessa cosa successa a tante delle ditte che hanno appaltato i lavori lungo il tratto reggino della Salerno-Reggio.
Prima hanno firmato contratti, convenzioni e simili con l’amministrazione, salvo poi scoprire che quelle società erano emanazione più o meno diretta della criminalità organizzata.
Tenuto conto che solo indagini più approfondite e solo la magistratura nelle sedi opportune potrà risalire a chiarire quelle che sono le diverse responsabilità personali, ci sia consentito porci tre semplici domande: quei contratti, quelle convenzioni, quando sono stati stipulati? chi li ha firmati? Possibile che non si sia controllata la “provenienza” di determinati elementi con i quali si stipulavano formali accordi a nome della collettività? O se la si è controllata, possibile che non si sapesse con chi si aveva a che fare? Certo, può essere anche se, con un po’ di sforzo in più….
Era il febbraio 2010, all’epoca della presentazione delle liste per le regionali, quando Scopelliti dichiarò: ‘’Ho invitato i responsabili di due liste a ritirare le due candidature non gradite’’ nella provincia di Cosenza..’Sono antitetiche con i principi che rappresento e che riguardano l’intera coalizione’
Se tanta attenzione fu riservata in quella occasione, come mai non si è usato lo stesso metodo, lo stesso modello –come invece si è andato propagandando- per le cose che riguardavano l’amministrazione della città, della “sua” città, quella che conosceva meglio di tutte le altre?
In fondo Reggio non è poi così tanto grande, quali siano le famiglie dedite alla criminalità organizzata è ben noto, i loro nomi sono pubblicati in decine e decine di sentenze, giornali, riviste e libri.
Dei contratti con le società di servizi, degli incarichi professionali rimasti solo sulla carta ma puntualmente e lautamente retribuiti, l’opinione pubblica reggina è venuta a conoscenza man mano che si susseguivano le operazioni delle forze dell’ordine.
Prima solo pochi, come detto, sapevano direttamente. Gli altri, il popolo che ignorante e pecorone aveva votato in massa in cerca di speranza, è rimasto stordito, col cervello annebbiato, accecato dalla macchina del fumo che ha circondato le stanze del palazzo. Ma poi il fumo s’è diradato, il calore è evaporato, l’estate è finita e l’immagine della verità che si è andata via via delineando con sempre maggior chiarezza dietro la caligine è oggi sotto gli occhi di tutti.
Il risultato: doveva essere l’amministrazione della continuità, ha finito con l’essere un’esperienza amministrativa di contiguità.

File:Reggio calabria panorama dal fortino.jpg
Contiguità. E’ una parola preoccupante. Non è “semplice” infiltrazione, cioè di un corpo estraneo che si inserisce in un’istituzione, nel tessuto democratico di una città. Se così fosse, con le opportune cure il o i corpi estranei potrebbero essere allontanati e/o eliminati con relativa facilità.
La contiguità non esprime semplice vicinanza ma qualcosa di più: contatto fisico, nello spazio e nel tempo.
Che un consiglio comunale –espressione quindi dell’intera comunità cittadina- sia interessato da contiguità con ambienti mafiosi o ‘ndranghetisti, cioè sia in contatto fisico con essi, significa che l’intera Reggio, città metropolitana in fieri –e perciò con essa tutta la provincia- è a contatto fisico, nel tempo e nello spazio, con qualcosa che invece non è degno nemmeno di essere guardato.
Stamattina i nuvoloni l’hanno preannunciata, poi nel tardo pomeriggio è arrivata: la pioggia.
A ventiquattr’ore dalla notizia che ha spento la speranza offerta dal “modello Reggio”, la pioggia che fa depositare la caligine, depura l’aria ed è portatrice di nuova vita.
E’ un segno che credo dobbiamo cogliere al volo. Liberiamo la democrazia da quel fumo ingannatore e soffocante che l’ha avvolta finora. Riappropriamoci del tempo e dello spazio, del nostro tempo e del nostro spazio che nessuna mafia, nessuna ‘ndrangheta ha il diritto di occupare. Il tempo e lo spazio, due dimensioni che costituiscono il futuro, il nostro futuro di reggini. Riprendiamocelo!


25 settembre 2012

Discorso del Presidente Barack Obama all'Assemblea Generale dell'Onu


 

Sig. Presidente, Sig. Segretario Generale, membri delegati, signore e signori: vorrei iniziare oggi raccontandovi di un americano di nome Chris Stevens.
Chris era nato in una città che si chiama Grass Valley, California, figlio di un avvocato e di una musicista. Da giovane, Chris si arruolò nei Corpi di Pace, e insegnò inglese in Marocco. E arrivò ad amare e rispettare il popolo del Nord Africa e del Medio Oriente. Ha portato avanti quest' impegno per tutta la vita. Come diplomatico, ha lavorato dall'Egitto alla Siria, dall'Arabia Saudita alla Libia. Era conosciuto poiché camminava per le strade delle città in cui lavorava -gustando il cibo locale, incontrando quante più persone poteva, parlando arabo, ascoltando con un largo sorriso.
Chris andò a Bengasi nei primi giorni della rivoluzione libica, arrivando su una nave cargo. Come rappresentante dell'America, ha aiutato il popolo libico mentre lottavano con successo in un violento conflitto, si è preso cura dei feriti, e ha realizzato una visione per il futuro nel quale i diritti di tutti i libici sarebbero stati rispettati. E dopo la rivoluzione, ha sostenuto la nascita di una nuova democrazia, quando i libici hanno tenuto le elezioni, e costruito nuove istituzioni, e iniziato ad andare avanti dopo decenni di dittatura.
Chris Stevens amava il suo lavoro. Era orgoglioso del paese che ha servito, e ha visto la dignità nella gente che ha incontrato. E due settimane fa, si è recato a Bengasi per rivedere i piani per stabilirvi un nuovo centro culturale e ammodernare un ospedale. E' stato quando il campo americano è stato attaccato. Insieme ad altri tre suoi colleghi, Chris è stato ucciso nella città che ha aiutato a salvare. Aveva 52 anni.
Vi racconto questa storia perché Chris Stevens ha incarnato il meglio dell'America. Come i suoi colleghi del Foreign Service, ha costruito ponti su oceani e culture, ed ha avuto un incarico profondamente importante nella cooperazione internazionale che le Nazioni Unite rappresenta. Ha agito con umiltà, ma ha anche lottato per un insieme di principi -un credere che gli individui dovrebbero essere liberi di determinare il proprio destino, e vivere con libertà, dignità, giustizia, e opportunità.
Gli attacchi contro i civili a Bengasi sono stati attacchi contro l'America. Siamo grati per l'assistenza che abbiamo ricevuto dal governo libico e dal popolo libico. Non ci dovrebbe essere alcun dubbio che non ci fermeremo nel ricercare i killer per portarli davanti alla giustizia. E apprezzo anche che nei giorni recenti, i leader di altri paesi della regione -inclusi Egitto, Tunisia e Yemen- hanno adottato misure per proteggere le nostre strutture diplomatiche, e hanno invitato alla calma. E così le autorità religiose in tutto il mondo.
Ma comprendete, gli attacchi delle ultime due settimane non sono semplicemente un assalto contro l'America. Sono un assalto contro i molti ideali sui quali gli Stati uniti sono stati fondati -la nozione che il popolo può risolvere le proprie differenze pacificamente; che la diplomazia può prendere il posto della guerra; che in un mondo interdipendente, tutti noi dobbiamo partecipare alla ricerca di una maggiore opportunità e sicurezza per i nostri cittadini.
Se vogliamo davvero difendere questi ideali, non basterà mettere più guardie di fronte a un'ambasciata, o pronunciare dichiarazioni di rimpianto ed aspettare che l'offesa passi. Se davvero vogliamo difendere questi ideali, dobbiamo parlare onestamente delle cause più profonde della crisi -perché abbiamo di fronte una scelta tra le forze che intendono dividerci e le speranze che ci tengono insieme.
Oggi, dobbiamo riaffermare che il nostro futuro sarà determinato da persone come Chris Stevens -e non da chi lo ha ucciso. Oggi, dobbiamo dichiarare che queste violenza e intolleranza non hanno posto tra le nostre nazioni Unite.
Son passati meno di due anni da quando un venditore in Tunisia si diede fuoco per protesta contro l'oppressiva corruzione nel suo paese, e diede inizio alla scintilla che è divenuta nota come la Primavera Araba. E da allora, il mondo è stato affascinato dalla trasformazione che è avvenuta, e gli Stati Uniti hanno sostenuto le forze del cambiamento.
Siamo stati ispirati dalle proteste tunisine che hanno rovesciato un dittatore, perché vi abbiamo riconosciuto le nostre convinzioni nell'aspirazione degli uomini e delle donne che sono scesi nelle strade.
Abbiamo insistito sul cambiamento in Egitto, perché il nostro sostegno alla democrazia in ultima analisi ci mette dalla parte del popolo.
Abbiamo sostenuto una transizione di governo in Yemen, perché gli interessi del popolo non sono stati più serviti da uno status quo corrotto.
Siamo intervenuti in Libia a fianco a un'ampia coalizione, e con il mandato del Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite, perché abbiamo avuto la possibilità di fermare il massacro di innocenti, e perché abbiamo creduto che le aspirazioni del popolo erano più potenti di un tiranno.
E mentre ci incontriamo qui, dichiariamo di nuovo che il regime di Bashar al-Assad deve finire così che la sofferenza del popolo siriano possa finire e possa iniziare una nuova alba.
Abbiamo preso queste posizioni perché crediamo che la libertà e l'autodeterminazione non sono di una sola cultura. Questi non sono valori semplicemente americani o valori occidentali -sono valori universali. E anche se ci saranno enormi sfide nell'avvenire per una transizione verso la democrazia, sono convinto che alla fine il governo del popolo, dal popolo, e per il popolo è più probabile che porti stabilità, prosperità, e opportunità individuale che serve come base per la pace nel nostro mondo.
Perciò lasciateci ricordare che questa è una stagione di progresso. Per la prima volta in decenni, tunisini, egiziani e libici hanno votato per nuovi leader in elezioni che sono state credibili, competitive e corrette. Questo spirito democratico non è stato ristretto al mondo arabo. Durante l'anno passato, abbiamo visto pacifiche transizioni di potere in Malawi e Senegal, e un nuovo presidente in Somalia. In Birmania, un presidente ha liberato prigionieri politici e aperto una società chiusa, una coraggiosa dissidente è stata eletta in parlamento, e il popolo guarda avanti a ulteriori riforme. Nel globo, i popoli stanno facendo sentire le loro voci, insistono sulla loro dignità innata, e sul diritto di determinare il loro futuro.
W ancora la rivolta delle recenti settimane ci ricorda che il percorso verso la democrazia non finisce con l'espressione del voto. Nelson Mandela una volta disse: "Essere liberi non è solo gettar via le proprie catene, ma vivere in un modo che rispetti e valorizzi la libertà degli altri” (Applauso.)
La vera democrazia richiede che i cittadini non possano essere gettati in prigione per via di ciò in cui credono, e che un'attività commerciale possa essere aperta senza pagare una bustarella. Dipende dalla libertà dei cittadini esprimere le proprie opinioni e riunirsi senza paura, e dallo Stato di diritto il giusto processo che garantisca i diritti di tutte le persone.
In altre parole, la vera democrazia -vera libertà- è un lavoro difficile. Chi è al potere deve resistere alla tentazione di reprimere i dissidenti. In tempi economici difficili, i paesi devono essere tentati - potrebbero essere tentati di radunare il popolo intorno a potenziali nemici, in patria e all'estero, invece di concentrarsi sul paziente lavoro di riforma.
Inoltre, ci saranno sempre quelli che rifiutano il progresso umano - dittatori che si aggrappano al potere, gli interessi corrotti che dipendono dallo status quo, e gli estremisti che soffiano sul fuoco dell'odio e della divisione. Da Nord a Sud, dall'Africa alle Americhe, dai Balcani al Pacifico, abbiamo assistito a convulsioni che possono accompagnare le transizioni a un nuovo ordine politico.
Al momento, i conflitti sorgono lungo le linee di faglia di razza o tribù. E spesso sorgono dalle difficoltà di conciliare la tradizione e la fede con la diversità e l'interdipendenza del mondo moderno. In ogni paese, ci sono quelli che trovano che credenze religiose diverse siano una minaccia; in ogni cultura, coloro che amano la libertà per sé stessi devono chiedersi quanto siano disposti a tollerare la libertà per gli altri.
Questo è ciò che abbiamo visto accadere nelle ultime due settimane, mentre un video grezzo e disgustoso ha suscitato indignazione in tutto il mondo musulmano. Ora, io ho messo in chiaro che il governo degli Stati Uniti non ha avuto nulla a che fare con questo video, e credo che il suo messaggio deve essere respinto da tutti coloro che rispettano la nostra comune umanità.
E' un insulto non solo ai musulmani, ma pure all'America -poiché come la città fuori da queste mura rende chiaro, noi siamo un paese che ha accolto persone di ogni razza e di ogni fede. Siamo casa per i fedeli musulmani in tutto il nostro paese. Noi non solo rispettiamo la libertà di religione, abbiamo leggi che tutelano le persone dal poter essere danneggiate a causa del loro aspetto o di ciò in cui credono. Capiamo perché le persone si sentano offese da questo video perché milioni di nostri cittadini sono tra queste.
So che ci sono alcuni che chiedono perché non ci limitiamo a vietare tale video. E la risposta è sancita nelle nostre leggi: la nostra Costituzione tutela il diritto di esercitare la libertà di parola.
Qui negli Stati Uniti, innumerevoli pubblicazioni provocano offesa. Come me, la maggior parte degli americani sono cristiani, ma non vietiamo la bestemmia contro le nostre convinzioni più sacre. In qualità di Presidente del nostro paese e Comandante in capo del nostro esercito, accetto che la gente voglia dirmi cose terribili ogni giorno - (risate) - e difenderò sempre il loro diritto di farlo. (Applausi)
Gli americani hanno combattuto e sono morti in tutto il mondo per tutelare il diritto di tutti a esprimere le loro opinioni, anche opinioni con le quali siamo profondamente in disaccordo. Non lo facciamo perché sosteniamo i discorsi pieni d'odio, ma perché i nostri fondatori capirono che senza tali protezioni, la capacità di ogni individuo di esprimere le proprie opinioni e di praticare la propria fede possono essere minacciati. Lo facciamo perché in una società diversa, gli sforzi per limitare la parola possono facilmente diventare uno strumento per mettere a tacere i critici e opprimere le minoranze.
Lo facciamo perché data la forza della fede nella nostra vita, e la passione che le differenze religiose può infiammare, l'arma più potente contro i discorsi pieni d'odio non è la repressione, ma è il far parlare di più -le voci della tolleranza che manifestano contro il bigottismo e la blasfemia, e alzano i valori della comprensione e del rispetto reciproco.
Ora, so che non tutti i paesi di questa società condividono questa concezione particolare della tutela della libertà di espressione. Ce ne rendiamo conto. Ma nel 2012, in un momento in cui chiunque con un cellulare può diffondere opinioni offensive in tutto il mondo con il clic di un pulsante, l'idea che siamo in grado di controllare il flusso di informazioni è obsoleta. La domanda, allora, è come rispondiamo?
E su questo dobbiamo essere d'accordo: non c'è discorso che giustifichi la violenza insensata. (Applausi) Non ci sono parole che possano scusare l'uccisione di innocenti. Non c'è video che giustifichi un attacco di un'ambasciata. Non c'è calunnia che fornisca al popolo una scusa per bruciare un ristorante in Libano, o distruggere una scuola a Tunisi, o causare morte e distruzione in Pakistan.
In questo mondo moderno, con le moderne tecnologie, per noi rispondere in questo modo al discorso pieno d'odio autorizza qualsiasi persona che si impegna in tale discorso a creare il caos in tutto il mondo. Autorizziamo il peggio di noi, se questo è il modo in cui rispondiamo.
Più in generale, gli eventi delle ultime due settimane parlano anche della necessità per tutti noi di affrontare onestamente le tensioni tra l'Occidente e il mondo arabo che si sta muovendo verso la democrazia.
Ora, voglio essere chiaro: così come non possiamo risolvere tutti i problemi del mondo, gli Stati Uniti non hanno e non cercheranno di dettare l'esito di transizioni democratiche all'estero. Non ci aspettiamo che le altre nazioni siano d'accordo con noi su ogni questione, né pensiamo che la violenza delle ultime settimane e i discorsi pieni d'odio di alcuni individui rappresentino il punto di vista della stragrande maggioranza dei musulmani, non più di quanto il punto di vista del popolo che ha prodotto questo video rappresenta quello degli americani. Tuttavia, credo che sia obbligo di tutti i leader di tutti i paesi parlare con forza contro la violenza e l'estremismo. (Applausi)
E 'tempo di emarginare coloro che -anche se non ricorrendo direttamente alla violenza- usano l'odio contro l'America, o l'Occidente, o Israele, come principio organizzativo centrale della politica. Poiché ciò costituisce solo una copertura, e qualche volta una scusa, per coloro che fanno ricorso alla violenza.
Quel marchio di politica -che oppone Est contro Ovest, e il Sud contro il Nord, musulmani contro cristiani e indù e ebrei- non può mantenere la promessa di libertà. Ai giovani, offre solo una falsa speranza. Bruciare una bandiera americana non fa nulla per dare ad un bambino un'istruzione. Distruggere un ristorante non riempie lo stomaco vuoto. Attaccare un'ambasciata non crea un solo posto di lavoro. Quel marchio di politica rende solo più difficile raggiungere ciò che dobbiamo fare insieme: educare i nostri figli, e creando le opportunità che meritano; tutelare i diritti umani, ed estendere la promessa della democrazia.
Capite che l'America non potrà mai ritirarsi dal mondo. Porteremo giustizia a coloro che fanno del male ai nostri cittadini e ai nostri amici, e staremo con i nostri alleati. Siamo disposti a collaborare con i paesi di tutto il mondo per approfondire i legami commerciali e di investimento, e la scienza e la tecnologia, l'energia e lo sviluppo - tutti gli sforzi che possono innescare la crescita economica per tutto il nostro popolo e stabilizzare il cambiamento democratico.
Ma questi sforzi dipendono da uno spirito di reciproco interesse e reciproco rispetto. Nessun governo o società, nessuna scuola o ONG saranno sicuri lavorando in un paese in cui la sua gente è in pericolo. Perché la collaborazione commerciale sia efficace i nostri cittadini devono essere sicuri e il nostro impegno deve essere accolto.
Una politica basata solo sulla rabbia - basata sulla divisione del mondo tra "noi" e "loro"- non solo fa arretrare la cooperazione internazionale, mina in definitiva quelli che la tollerano. Tutti noi abbiamo interesse a tener testa a queste forze.
Ricordiamo che i musulmani hanno sofferto di più per mano dell'estremismo. Lo stesso giorno in cui i nostri civili sono stati uccisi a Bengasi, un agente di polizia turca è stato assassinato a Istanbul solo pochi giorni prima del suo matrimonio, più di 10 yemeniti sono stati uccisi in un attentato a Sana'a, diversi bambini afgani sono stati pianti dai genitori pochi giorni dopo esser stati uccisi da un kamikaze a Kabul.
L'impulso verso l'intolleranza e la violenza può essere inizialmente focalizzato sull'Occidente, ma nel corso del tempo non può essere contenuto. Gli stessi impulsi verso l'estremismo vengono utilizzati per giustificare la guerra tra sunniti e sciiti, tra tribù e clan. Non conduce a forza e prosperità, ma al caos. In meno di due anni, abbiamo visto grandi proteste pacifiche portare più cambiamenti nei paesi a maggioranza musulmana di un decennio di violenza. E gli estremisti lo capiscono. Perché non hanno nulla da offrire per migliorare la vita delle persone, la violenza è il loro unico modo per avere rilevanza. Loro non costruiscono, distruggono soltanto.
E 'tempo di lasciare alle spalle il richiamo della violenza e la politica della divisione. Su molte questioni, ci troviamo di fronte a una scelta tra la promessa del futuro, o le prigioni del passato. E non possiamo permetterci di sbagliare. Dobbiamo cogliere questo momento. E l'America è pronta a collaborare con tutti coloro che sono disposti ad abbracciare un futuro migliore.
Il futuro non deve appartenere a chi bersaglia i cristiani copti in Egitto -deve essere richiesto da coloro che in piazza Tahrir, cantavano "musulmani, cristiani, noi siamo una cosa sola." Il futuro non deve appartenere a chi usa violenza alle donne - deve essere plasmato da ragazze che vanno a scuola, e da coloro che lottano per un mondo in cui le nostre figlie possano vivere i loro sogni, proprio come i nostri figli. (Applausi)
Il futuro non deve appartenere a quei pochi corrotti che rubano le risorse di un paese -deve essere vinto da studenti e imprenditori, dai lavoratori e titolari di aziende che cercano una più ampia prosperità per tutti i popoli. Queste sono le donne e gli uomini con cui sta l'America, perché la loro è la visione che sosterrà.
Il futuro non deve appartenere a coloro che calunniano il profeta dell'Islam. Ma per essere credibili, chi condanna quella calunnia deve anche condannare l'odio che vediamo nelle immagini di Gesù Cristo che sono profanate, o le chiese che vengono distrutte, o l'Olocausto che viene negato. (Applausi)
Dobbiamo condannare l'incitamento contro i musulmani sufi e i pellegrini sciiti. E' tempo di dar retta alle parole di Gandhi: "L'intolleranza è di per sé una forma di violenza e un ostacolo per la crescita di un vero spirito democratico". (Applausi) Insieme dobbiamo lavorare per un mondo in cui siamo rafforzati dalle nostre differenze, e non definiti da loro. Questo è ciò che l'America incarna, questa è la visione che sosterremo.
Tra israeliani e palestinesi, il futuro non deve appartenere a coloro che voltano le spalle a una prospettiva di pace. Lasciamoci dietro coloro che vivono di conflitto, coloro che rifiutano il diritto di Israele ad esistere. La strada è dura, ma la destinazione è chiara -un sicuro stato ebraico di Israele e un'indipendente, prospera Palestina. (Applausi) Comprendiamo che una tale pace deve passare attraverso un giusto accordo tra le parti, l'America camminerà al fianco di tutti coloro che sono disposti a fare questo viaggio.
In Siria, il futuro non deve appartenere a un dittatore che massacra il suo popolo. Se c'è una causa che grida protesta nel mondo di oggi, protesta pacifica, è un regime che tortura i bambini e spara razzi ai condomini. E dobbiamo proseguire l'impegno per far sì che ciò che era iniziato con i cittadini che chiedevano i loro diritti non si esaurisca in un ciclo di violenza settaria.
Insieme, dobbiamo stare con quei siriani che credono in una visione diversa -una Siria che sia unita e solidale, dove i bambini non hanno bisogno di temere il proprio governo, e tutti i siriani hanno voce in capitolo su come sono governati- sunniti e alawiti, curdi e cristiani. Questo è ciò che l'America lotta. Questo è il risultato per cui lavoreremo -con sanzioni e conseguenze per coloro che perseguitano, e l'assistenza e il supporto per coloro che lavorano per il bene comune. Perché crediamo che i siriani che abbracciano questa visione avranno la forza e la legittimità di essere da guida.
In Iran, vediamo dove porta il percorso di un'ideologia violenta e inspiegabile. Il popolo iraniano ha una storia straordinaria e antica, e molti iraniani desiderano godere di pace e prosperità assieme ai loro vicini. Ma proprio come limita i diritti del suo popolo, il governo iraniano continua a sostenere un dittatore a Damasco e sostiene gruppi terroristici all'estero. Di volta in volta, non è riuscito a cogliere l'occasione per dimostrare che il suo programma nucleare è pacifico, e a rispettare gli obblighi nei confronti delle Nazioni Unite.
Permettetemi di essere chiaro. L'America vuole risolvere questo problema attraverso la diplomazia, e crediamo che ci siano ancora il tempo e lo spazio per farlo. Ma che il tempo non è illimitato. Rispettiamo il diritto delle nazioni di aver accesso pacifico all'energia nucleare, ma uno degli scopi delle Nazioni Unite è quello di vedere che sfruttiamo questa potenza per la pace. E non facciamo errori, un Iran dotato di nucleare non è una sfida che può essere contenuta. Minaccerebbe l'eliminazione di Israele, la sicurezza delle nazioni del Golfo, e la stabilità dell'economia globale. Si rischia di innescare una corsa agli armamenti nucleari nella regione, e lo sbrogliarsi del trattato di non proliferazione. È per questo che una coalizione di paesi sta tenendo il governo iraniano responsabile. Ed è per questo che gli Stati Uniti faranno quel che dobbiamo per impedire all'Iran di ottenere un'arma nucleare.
Sappiamo per dolorosa esperienza che il percorso per la sicurezza e la prosperità non sta al di fuori dei limiti del diritto internazionale e del rispetto dei diritti umani. Ecco perché dalle macerie del conflitto è stata istituita questa assemblea. È per questo che la libertà ha trionfato sulla tirannia nella guerra fredda. E questa è anche la lezione degli ultimi due decenni.
La storia dimostra che la pace e il progresso arrivano per chi sa fare le scelte giuste.
Nazioni in ogni parte del mondo hanno percorso questo cammino difficile. L'Europa, il più sanguinoso campo di battaglia del 20° secolo, è unita, libera e in pace. Dal Brasile al Sud Africa, dalla Turchia alla Corea del Sud, dall'India all'Indonesia, persone di diverse razze, religioni e tradizioni si sono sollevato a milioni dalla povertà, nel rispetto dei diritti dei loro cittadini e facendo fronte alle loro responsabilità come nazioni.
Ed è per il progresso cui ho assistito nella mia vita, il progressi cui ho assistito dopo quasi quattro anni come Presidente, che mi rimanere sempre la speranza per il mondo in cui viviamo. La guerra in Iraq è finita. Le truppe americane sono tornate a casa. Abbiamo iniziato una transizione in Afghanistan, e l'America e i suoi alleati concluderanno la nostra guerra come da programma nel 2014. Al Qaeda è stata indebolita, e Osama bin Laden non c'è più. Le nazioni si sono unite per bloccare i materiali nucleari, e l'America e la Russia stanno riducendo i propri arsenali. Abbiamo visto le difficili scelte fatte - da Naypyidaw al Cairo a Abidjan - per mettere più potere nelle mani dei cittadini.
In un momento di sfida economica, il mondo si è riunito per ampliare la prosperità. Attraverso il G20, abbiamo collaborato con i paesi emergenti per mantenere il mondo sulla via del recupero. L'America ha perseguito un programma di sviluppo per la crescita e per interrompere la dipendenza, e ha lavorato con i leader africani per aiutarli a nutrire le loro nazioni. Nuove partnership sono state forgiate per combattere la corruzione e promuovere un governo che sia aperto e trasparente, e sono stati presi nuovi impegni attraverso il partenariato degli Equal Futures per garantire che le donne e le ragazze possano partecipare pienamente alla politica e perseguire opportunità. E più tardi oggi, discuterò dei nostri sforzi per combattere la piaga del traffico di esseri umani.
Tutte queste cose mi danno speranza. Ma ciò che mi dà più speranza non sono le nostre azioni, non le azioni dei leader -è la gente che ho visto. Le truppe americane che hanno rischiato la loro vita e sacrificato i loro arti per gli stranieri dall'altra parte del mondo, gli studenti a Jakarta o Seul desiderosi di utilizzare le loro conoscenze a beneficio dell'umanità, le facce in una piazza di Praga o di un parlamento in Ghana che vedono la democrazia dar voce alle loro aspirazioni, i giovani nelle favelas di Rio e nelle scuole di Mumbai i cui occhi brillano di promesse. Questi uomini, donne e bambini di ogni razza e di ogni fede mi ricordano che per ogni folla inferocita che viene mostrata in televisione, ci sono miliardi in tutto il mondo che condividono simili speranze e sogni. Ci dicono che c'è un battito cardiaco comune per l'umanità.
Prestiamo così tanta attenzione nel mondo a ciò che ci divide. E' quello che vediamo nei notiziari. E' quello che consuma i nostri dibattiti politici.
Ma quando lo si strappa via tutto, le persone in tutto il mondo anelano per la libertà di determinare il proprio destino, la dignità che viene dal lavoro, il conforto che viene dalla fede, e la giustizia che esiste quando i governi servono il proprio popolo - e non il contrario.
Gli Stati Uniti d'America lotteranno sempre per queste aspirazioni, per il nostro popolo e per i popoli in tutto il mondo. Questo è stato il nostro scopo fondante. Questo è ciò che la nostra storia dimostra. Questo è ciò per cui Chris Stevens ha lavorato per tutta la vita.
E vi prometto questo: molto tempo dopo che gli assassini saranno assicurati alla giustizia, l'eredità di Chris Stevens continuerà a vivere nelle vite che ha toccato -nelle decine di migliaia di persone che hanno marciato contro la violenza per le strade di Bengasi; nei libici che hanno cambiato la loro foto su Facebook con una di Chris; nei cartelli che recitano, semplicemente, "Chris Stevens era un amico di tutti i libici".
Loro dovrebbero darci speranza. Loro dovrebbero ricordarci che fin tanto che lavoriamo per questo, giustizia sarà fatta, che la storia è dalla nostra parte, e che una crescente ondata di libertà non può essere invertita.
Grazie mille. (Applausi)
[Traduzione dal testo originale tratto da: http://www.whitehouse.gov/the-press-office/2012/09/25/remarks-president-un-general-assembly]














































19 settembre 2012

OSPEDALE DI SCILLA. IL CONSIGLIO DI STATO: ECCO LA CHIAVE PER RIAPRIRE L’OSPEDALE

A chi puntu simu cu ‘spitali?”

E’ stata questa la domanda che mi sono sentito rivolgere da un amico. Proviamo dunque  a fare un breve riassunto e ad aggiornare un po’ la situazione.

Dopo la manifestazione dello scorso marzo che ha avuto l’indubbio merito di porre all’attenzione di politici e amministratori il problema della chiusura dello “Scillesi d’America” e nonostante la Regione Calabria abbia proseguito imperterrita nell’attuazione del famoso Piano di Rientro sanitario, il lavoro svolto dalle associazioni ha prodotto alla fine qualche frutto.

Dopo aver atteso invano e per mesi di essere ricevuti dal Presidente Scopelliti, si è deciso di creare una commissione con funzione di collegamento tra le associazioni scillesi –per mezzo di quattro loro rappresentanti- e l’amministrazione comunale –per mezzo di un consigliere di maggioranza e uno di minoranza- con il Sindaco a farsi portavoce diretto presso le istituzioni regionali delle istanze scillesi.

La Regione, come dicevamo, ha proseguito nell’adottare decreti la cui logica sfugge anche alla mente più allenata a districarsi fra le carte e gli articoli di legge. In particolare:

- a fine Marzo, un decreto dell’ASP di Reggio Calabria aveva  formalmente sancito la chiusura dell’ospedale “Scillesi d’America” e l’avvio del processo di riconversione. In verità, la riconversione in Centro di Assistenza Primaria Territoriale, entro fine marzo doveva essere inderogabilmente completata!

-Con il Decreto n° 98 del 18 Giugno 2012, si procedeva definitivamente alla “Disattivazione del Presidio Ospedaliero di Scilla dell’ASP di Reggio Calabria”. Lo stesso decreto dispone di procedere alla stima della riduzione dei costi in conseguenza della cessazione del presidio.

Dunque, negli atti ufficiali la riconversione è stata avviata il giorno prima rispetto al termine entro il quale doveva concludersi. E non è ancora conclusa, né vi è un cronoprogramma ufficiale in merito. E il Presidio Ospedaliero è stato disattivato da metà Giugno scorso.

Cosa tragicomica, l’analisi dei costi per stabilire se la chiusura del presidio di Scilla costituisse un risparmio, viene disposta solo “a cose fatte” e non prima, come sarebbe stato logico!

Il modo in cui questi provvedimenti sono stati adottati, il modo in cui ciò che in essi vi era previsto non sia stato poi attuato o attuato con fortissimo ritardo, tanto da comportare disagi di ogni tipo alla popolazione di un vasto comprensorio, ha spinto la commissione a chiedere al Sindaco che venisse esaminata la possibilità di presentare ricorso al TAR competente per l’annullamento degli stessi, salvando così le funzioni ospedaliere dello “Scillesi d’America”.

Questa richiesta è stata trasformata in formale proposta dal gruppo di opposizione e discussa nel Consiglio Comunale dello scorso 7 Agosto, che l’ha approvata.

Inoltre, durante il periodo della festa di San Rocco, una delegazione di scillesi emigrati negli Stati Uniti ha consegnato nelle mani del Sindaco un documento con il quale anche gli americani chiedono che sia scongiurata la chiusura dello storico presidio scillese.

Per dovere di cronaca, diciamo che, nel perdurante granitico immobilismo regionale, è stata la provincia di Reggio di Reggio Calabria a presentare a Palazzo Campanella una proposta di legge con la quale viene prospettata la possibilità di procedere –senza alcun costo aggiuntivo- all’accorpamento della struttura scillese con l’azienda sanitaria di Reggio Calabria.

In verità è una proposta vecchia, poiché nel proprio articolato ricalca in tutto e per tutto una proposta fatta a fine Marzo dal sindacato FIALS. Perciò risultano piuttosto comici gli ossequiosi ringraziamenti rivolti ai politici provinciali e regionali, con in testa il presidente Scopelliti o qualche assessore regionale che fin dal primo momento avevano chiaramente dichiarato: a Scilla, ‘u ‘spitali v’u putiti sperdiri!

Ma rassamuli stari, ch’è megghiu.

Passate le ferie, con Delibera di Giunta del 10 Settembre scorso, è stato conferito l’incarico a un legale del foro di Reggio Calabria per la presentazione del ricorso.

Che possibilità ci sono di avere ragione?

A questa domanda possiamo rispondere dicendo che ci sono buonissime possibilità di spuntarla.

Infatti, è di pochi giorni fa la notizia che il Consiglio di Stato, confermando una sentenza del TAR di L’Aquila in merito a un ricorso presentato dal Comune di Tagliacozzo, in Abruzzo (regione sottoposta, come la Calabria, a Piano di Rientro) contro la chiusura del proprio ospedale, ha di fatto sancito dei principi importanti che in breve e senza entrare troppo nel tecnico, cerchiamo di chiarire.

La decisione del massimo organo di giustizia amministrativa, ha di fatto confermato l’esecutività di una sentenza del TAR abruzzese del 9 Giugno 2011, sulla base di due elementi fondamentali condivisi con i giudici di primo grado:

1) Sulla decisione adottata grava la questione di costituzionalità relativa a una norma citata in tutte le delibere (art. 17.4 D.L. 98/2011 e successiva Legge di conversione n° 111/2011). Tale disposizione ha consentito di dare forza di legge a tutti i provvedimenti adottati con gli atti amministrativi mediante i quali è stato attuato il Piano di Rientro, approvandone formalmente il Programma Operativo.

Secondo i giudici abruzzesi questa “sanatoria legislativa” presenta però numerosi aspetti di incostituzionalità. Essa infatti:

- interferisce con principi già fissati da precedenti pronunce dei giudici, violando i rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale in riferimento alla tutela di diritti e interessi legittimi (violazione degli artt. 24-103-113 della Costituzione);

-non determina principi fondamentali, (in tal caso la Regione vi si sarebbe dovuta adeguare con legislazione propria) e pertanto vi è una “violazione delle competenze legislative regionali” (violazione degli artt. 117-120 della Costituzione), per di più “accentuata dall’immotivata abrogazione implicita delle leggi regionali incompatibili” con l’applicazione del Piano di Rientro (cosa prevista nella Legge Finanziaria 2010).

Su questi aspetti dovrà esprimersi la Corte Costituzionale, pertanto il Consiglio di Stato non ha deciso nel merito, rimanendo in attesa del parere dei giudici della Consulta.

 

2) Nel contempo, i giudici precisano che la competenza ad eliminare eventuali leggi che impediscono l’attuazione del Piano è solo del Consiglio Regionale (e nel caso questo sia inadempiente, il Consiglio dei Ministri). Il Commissario ad acta ha solo il compito di segnalare al Consiglio l’effettiva necessità di agire in tal senso, ma non può farlo con atti propri.

E a ciò aggiungono che il programma operativo attraverso il quale viene attuato il Piano di Rientro, non incide sulle leggi vigenti modificandole, sospendendole o abrogandole, poiché è stato semplicemente predisposto “per dare attuazione a un accordo” tra Stato e Regioni.

Su questi solidi presupposti giuridici, i giudici del TAR di L’Aquila hanno accolto il ricorso del Comune di Tagliacozzo con specifico riferimento al fatto che –come a Scilla- il loro ospedale era stato disattivato e trasformato in PTA (Presidio Territoriale di Assistenza), in pratica una variante linguistica del CAPT previsto per Scilla.

Scrivono i giudici che <<I poteri del Commissario erano limitati alla “prosecuzione del piano di rientro”, il cui contenuto non contempla la disattivazione bensì la riconversione dei c.d. piccoli ospedali….il che implica il mantenimento della loro natura ospedaliera che invece viene meno con la trasformazione in PTA, strutture prive di reparti di degenza e di pronto soccorso, quest’ultimo sostituito da PPI (punti di primo intervento)>>.

Il Consiglio di Stato ha accolto in pieno questo orientamento dei giudici di primo grado e nella recente Ordinanza n° 5756/2012 dello scorso 1 Settembre, ha confermato l’ordinanza con la quale aveva disposto il mantenimento della struttura del pronto soccorso dell’ospedale, assicurandone la necessaria piena funzionalità (compresa l’attrezzatura tecnologica occorrente per la diagnostica di primo intervento)

 

Come si legge dunque, le pronunce del TAR di L’Aquila e le Ordinanze del Consiglio di Stato che le hanno accolte e confermate, costituiscono un precedente importantissimo cui poter fare riferimento per il ricorso relativo all’annullamento di tutti i decreti che hanno riguardato il presidio ospedaliero di Scilla e ne hanno comportato la chiusura.

A questo confortante quadro giuridico che si ormai delineato con chiarezza e in sostanza fornisce la chiave che può spalancare nuovamente le porte dell’ospedale (chiuse dalla fine di marzo), occorre non dimenticare un altro elemento fondamentale, formale ma sostanziale: quello della proprietà della struttura ospedaliera.

Finora, nonostante le tante occasioni in cui si è avuto modo di sottolineare la necessità di definire tale aspetto, nulla è stato fatto al riguardo. Ma confidiamo che prima o poi, qualcuno se ne accorga.

La Regione ha certificato con propri atti ufficiali che lo “Scillesi d’America” non fa parte del patrimonio dell’ASP e ne ha dato conferma pochi mesi fa, quando ha presentato alla stampa e al pubblico l’ultimo rapporto regionale sul patrimonio delle varie aziende sanitarie calabresi: dell’Ospedale di Scilla non vi è traccia.

07 settembre 2012

DISCORSO DI BARACK OBAMA PER L’ACCETTAZIONE DELLA CANDIDATURA ALLA CONVENTION NAZIONALE DEMOCRATICA

Charlotte, North Carolina, 6 Settembre 2012

Grazie. -- Grazie. Grazie. Molte grazie. Grazie.
Grazie tante. Grazie. Molte grazie, a tutti. Grazie.
Michelle, ti amo tantissimo.
Poche sere fa, è stato ricordato a tutti quanto sia un uomo fortunato.
Malia e Sasha, siamo così orgogliosi di voi. E sì, voi dovete andare a scuola la mattina.
E Joe Biden, grazie per essere il migliore dei vice presidente che avrei mai potuto sperare – e per essere un amico forte e leale.
Signora presidente, delegati, io accetto la vostra candidatura alla presidenza degli Stati Uniti.
Ora, la prima volta che ho parlato a questa convention, nel 2004, ero un uomo più giovane – un candidato del Senato dall'Illinois che parlava di speranza, non cieco ottimismo, non pensieri pieni di desideri ma speranza di fronte alla difficoltà, speranza di fronte all'incertezza, quella fede tenace nel futuro che ha fatto andare questa nazione anche quando le disuguaglianze sono grandi, anche quando la strada è lunga.
Otto anni dopo quella speranza è stata testata dal costo della guerra, da una delle peggiori crisi economiche nella storia e dallo stallo politico che ci ha lasciato a chiederci se è ancora possibile affrontare le sfide del nostro tempo. So che le campagne possono sembrare piccole, anche stupide a volte.
Cose banali diventano grandi distrazioni. Gravi problemi diventano slogan. La verità viene sepolta sotto una valanga di soldi e pubblicità. E se siete stufi di sentirmi dire “approvare questo messaggio”, credetemi, lo sono anch'io
Ma quando tutto è detto e fatto, quando si prende in mano quella scheda per votare, si dovrà affrontare la più chiara scelta di tutti i tempi in una generazione. Nel corso dei prossimi anni a Washington saranno prese grandi decisioni riguardo ai posti di lavoro, all'economia, alle tasse e al deficit, all'energia, all'istruzione, alla guerra e alla pace –- decisioni che avranno un impatto enorme sulla nostra vita e sulla vita dei nostri figli per i decenni a venire.
E su ogni questione, la scelta che affronterete non sarà solo tra due candidati o due partiti. Sarà una scelta tra due diversi percorsi per l'America, una scelta tra due visioni fondamentalmente diverse per il futuro. La nostra è una lotta per ripristinare i valori che hanno costruito la più grande classe media e l'economia più forte che il mondo abbia mai conosciuto - i valori che mio nonno difese come soldato nell'esercito di Patton, i valori che hanno guidato mia nonna a lavorare in una catena di montaggio di un bombardiere mentre lui non c'era più. Sapevano di essere parte di qualcosa di più grande - una nazione che ha trionfato sul fascismo e la depressione, una nazione in cui le imprese più innovative producono i migliori prodotti del mondo, e tutti hanno condiviso l'orgoglio e il successo, dall'ufficio d'angolo al pavimento della fabbrica.
I miei nonni hanno avuto la possibilità di andare al college e di comprarsi la casa - la propria casa e realizzare l'occasione fondamentale al centro della storia americana, la promessa che il duro lavoro pagherà, che la responsabilità sarà premiata, che ognuno ottiene una possibilità giusta e tutti fanno la loro parte e giocano con le stesse regole, dalla Main Street a Wall Street, a Washington, DC
E mi sono candidato alla presidenza perché ho visto che l'occasione fondamentale stava sfuggendo. Ho iniziato la mia carriera aiutando la gente all'ombra di un'acciaieria chiusa in un momento in cui troppi buoni posti di lavoro iniziavano a trasferirsi all'estero. E nel 2008 abbiamo visto quasi un decennio in cui le famiglie lottavano con i costi in continuo aumento, ma gli stipendi no, la gente accumulava sempre più debiti solo per contrarre il mutuo o pagare le tasse scolastiche, per mettere la benzina o il cibo sulla tavola. E quando il castello di carte è crollato nella Grande Recessione, milioni di americani innocenti hanno perso il lavoro, le loro case, i loro risparmi di una vita, una tragedia da cui stiamo ancora lottando per recuperare.
Ora, i nostri amici giù a Tampa alla convention repubblicana erano più che felici di parlare di tutto ciò che pensano sia sbagliato in America. Ma non hanno avuto molto da dire su cosa farebbero di buono. Vogliono il vostro voto, ma non vogliono che conosciate il loro piano. E questo perché tutto quello che hanno da offrire sono le stesse ricette che hanno avuto negli ultimi 30 anni. Abbiamo un surplus? Proviamo con un taglio delle tasse. Il deficit è troppo alto - proviamone un altro.
Sentite che arriva il freddo? Prendete due tagli fiscali, ripristinate alcune regole, e chiamateci la mattina.
Ora, ho tagliato le tasse per coloro che ne avevano bisogno -famiglie della classe media, piccole imprese. Ma non credo che un altro giro di tagli alle tasse per i miliardari portera buoni posti di lavoro sui nostri lidi, o ripianerà il nostro deficit non credo che licenziare gli insegnanti o togliere l'aiuto finanziario agli studenti farà crescere l'economia -- o ci aiuterà ad essere competitivi con gli scienziati e gli ingegneri che arrivano dalla Cina. Dopo tutto quello che abbiamo passato, non credo che riportare indietro le regole a Wall Street aiuterà la piccola imprenditrice a espandersi, o l'operaio edile licenziato a mantenere la sua casa.
Ci siamo stati, abbiamo provato, e non stiamo andando indietro. Ci stiamo muovendo in avanti, America.
Ora, non farò finta che il percorso che sto offrendo sia rapido o facile. Non l'ho mai fatto. Non mi avete eletto per dirvi ciò che volevate sentire. Mi avete eletto per dirvi la verità.
E la verità è che ci vorrà più di qualche anno per noi per risolvere i problemi che si sono accumulati nel corso di decenni. Sarà necessario uno sforzo comune, responsabilità condivisa, e il tipo di coraggiosa, persistente sperimentazione che Franklin Roosevelt perseguì durante la sola crisi peggiore di questa.
E tra l'altro, quelli di noi che portano avanti l'eredità del suo partito dovrebbero ricordare che non tutti i problemi possono essere eliminati con un altro programma di governo o dettato da Washington.
Ma sappi questo, America: i nostri problemi possono essere risolti. Le nostre sfide possono essere affrontate. Il percorso che offriamo può essere più difficile, ma conduce a un posto migliore, e vi sto chiedendo di scegliere quel futuro.
Vi sto chiedendo di stringersi attorno a una serie di obiettivi per il vostro paese, obiettivi nel settore manifatturiero, nell'energia, nell'istruzione, nella sicurezza nazionale e nel deficit, veri e propri piani raggiungibili, che porteranno a nuovi posti di lavoro, a più opportunità e ricostruiranno questa economia su una base più forte. Questo è ciò che possiamo fare nei prossimi quattro anni, ed è per questo che sono in corsa per un secondo mandato come presidente degli Stati Uniti.
Possiamo scegliere un futuro in cui esportiamo più prodotti e esternalizziamo meno posti di lavoro. Dopo un decennio che è stato definito da ciò che abbiamo acquistato e preso in prestito, si torna alle origini e a fare quello che l'America ha sempre fatto meglio. Stiamo di nuovo fabbricando le cose. Ho incontrato i lavoratori di Detroit e di Toledo che temevano -- che non avrebbero mai costruito un'altra macchina americana. E oggi non riescono a costruirla abbastanza velocemente perché abbiamo reinventato un settore auto morente che è di nuovo sul tetto del mondo. Ho lavorato con i leader aziendali che stanno portando posti di lavoro in America non perché i nostri lavoratori hanno meno stipendio, ma perché facciamo prodotti migliori - perché lavoriamo di più e in modo più intelligente di chiunque altro.
Ho firmato accordi commerciali che stanno aiutando le nostre imprese a vendere più prodotti a milioni di nuovi clienti, beni che sono timbrati con tre fiere parole: "Made in America"
E dopo un decennio di declino, questo paese ha creato più di mezzo milione di posti di lavoro nel settore manifatturiero negli ultimi due anni e mezzo. E ora avete una scelta. Possiamo concedere più tagli delle tasse alle corporations che spostano i posti di lavoro all'estero –- o possiamo cominciare a premiare le aziende che aprono nuovi impianti e formano i nuovi lavoratori e creano nuovi posti di lavoro qui negli Stati Uniti d'America. Siamo in grado di aiutare le grandi fabbriche e le piccole imprese a raddoppiare le loro esportazioni. E se scegliamo questa strada, siamo in grado di creare un milione di nuovi posti di lavoro nel settore della produzione nei prossimi quattro anni. Voi potete fare che questo accada. È possibile scegliere quel futuro.
È possibile scegliere il percorso in cui abbiamo più controllo della nostra energia. Dopo 30 anni di inattività, abbiamo innalzato gli standard di combustibile in modo che entro la metà del prossimo decennio, le automobili e i camion andranno due volte più lontano con un gallone di benzina. Abbiamo raddoppiato il nostro utilizzo di energia rinnovabile, e migliaia di americani hanno oggi posti di lavoro per la costruzione di turbine eoliche e batterie a lunga durata. Solo nell'ultimo anno, abbiamo tagliato le importazioni di petrolio di un milione di barili al giorno, più di ogni altra amministrazione nella storia recente. E oggi gli Stati Uniti d'America sono meno dipendenti dal petrolio straniero che in qualsiasi altro momento negli ultimi due decenni.
Così ora avete una scelta tra una strategia che inverte questo progresso o uno che si basa su di esso.
Abbiamo aperto milioni di ettari per la ricerca di petrolio e gas negli ultimi tre anni, e apriremo ancora. Ma a differenza del mio avversario, non permetterò che siano le compagnie petrolifere a scrivere il piano energetico di questo paese o che mettano in pericolo le nostre coste o che raccolgano altri 4 miliardi di dollari di welfare aziendale dai nostri contribuenti. Stiamo offrendo un percorso migliore.
Stiamo offrendo un percorso migliore in cui -- un futuro in cui continuare a investire in eolico e solare e nel carbone pulito, in cui gli agricoltori e gli scienziati sfruttano nuovi biocarburanti per alimentare le nostre auto e i nostri camion, in cui i lavoratori edili costruiscono le case e fabbriche che sprecano meno energia, in cui -- in cui sviluppiamo per centinaio di anni una fornitura di gas naturale che è proprio sotto i nostri piedi. Se si sceglie questo percorso, siamo in grado di tagliare della metà le nostre importazioni di petrolio entro il 2020 e sostenere più di 600.000 nuovi posti di lavoro dal solo gas naturale.
E sì, il mio piano continuerà a ridurre l'inquinamento da anidride carbonica che sta riscaldando il nostro pianeta, perché il cambiamento climatico non è una bufala. Più siccità e inondazioni e incendi non sono uno scherzo. Sono una minaccia per il futuro dei nostri figli.
E in queste elezioni, si può fare qualcosa al riguardo. Si può scegliere un futuro in cui più gli americani abbiano la possibilità di acquisire le competenze di cui hanno bisogno per essere competitivi, non importa di che età siano o quanti soldi abbiano.
L'istruzione è stata per me la porta d'ingresso verso l'opportunità. E 'stata la porta d'ingresso per Michelle. E 'stata – è stata la porta d'ingresso per la maggior parte di voi. E ora più che mai, è la porta d'ingresso per una vita borghese.
Per la prima volta in una generazione, quasi ogni Stato ha risposto alla nostra proposta per migliorare i propri standard per l'insegnamento e l'apprendimento. Alcune delle peggiori scuole del paese hanno fatto progressi reali in matematica e lettura. Milioni di studenti oggi stanno pagando di meno per l'università, perché abbiamo finalmente sfidato un sistema che ha sprecato miliardi di dollari dei contribuenti per le banche e gli istituti di credito.
E ora avete una scelta. Siamo in grado di sviscerare istruzione, oppure possiamo decidere che negli Stati Uniti d'America, nessun bambino dovrebbe rinviare i suoi sogni a causa di una classe affollata o di una scuola fatiscente. Nessuna famiglia dovrebbe dover mettere da parte una lettera di accettazione del college perché non ha soldi. Nessuna azienda dovrebbe cercare lavoratori all'estero perché non è stato possibile trovarne con le giuste competenze qui a casa nostra. Questo non è il nostro futuro. Questo non è il nostro futuro.
Un governo ha un ruolo in questo. Ma gli insegnanti devono essere d'ispirazione. I presidi deve essere da guida. I genitori devono instillare la sete per l'apprendimento. E gli studenti, dovete lavorare. E insieme, vi prometto che possiamo istruire e competere con ogni nazione sulla terra.
Perciò aiutatemi. Aiutatemi a reclutare centomila insegnanti di matematica e scienze entro 10 anni e a migliorare l'educazione della prima infanzia. Aiutatemi a dare a 2 milioni di lavoratori la possibilità di acquisire le competenze nei loro college che li condurranno direttamente ad un lavoro. Aiutateci a lavorare con i college e le università per tagliare della metà la crescita dei costi dell'istruzione per i prossimi 10 anni.
Siamo in grado di raggiungere questo obiettivo insieme. È possibile scegliere questo futuro per l'America. Questo è il nostro futuro.
Sapete, in un mondo di nuove minacce e nuove sfide, è possibile scegliere la leadership che è stata testata e provata. Quattro anni fa ho promesso di porre fine alla guerra in Iraq. L'abbiamo fatto. Ho promesso di concentrarci sui terroristi che ci hanno attaccato l'11 settembre, e lo facciamo. Abbiamo spuntato lo slancio dei talebani in Afghanistan e nel 2014, la nostra guerra più lunga sarà finita. Una nuova torre si erge sullo skyline di New York, Al Qaeda è sulla via della sconfitta e Osama bin Laden è morto.
E stasera rendiamo omaggio agli americani che fanno ancora servizio in zone pericolose. Siamo sempre in debito con una generazione il cui sacrificio ha reso questo paese più sicuro e più rispettato. Non vi dimenticheremo mai, e fino a quando sarò comandante in capo, sosterremo il più forte esercito che il mondo abbia mai conosciuto. Quando smetterete l'uniforme, vi serviremo così come voi ci avete servito, perché nessuno che combatte per questo paese dovrà lottare per un posto di lavoro o per un tetto sopra la testa o per le cure di cui hanno bisogno quando tornano a casa casa.
In tutto il mondo, abbiamo rafforzato vecchie alleanze e forgiato nuove coalizioni per fermare la diffusione delle armi nucleari. Abbiamo ribadito il nostro potere attraverso il Pacifico e ci siamo levati contro la Cina per conto dei nostri lavoratori. Dalla Birmania alla Libia al Sudan del Sud, che hanno fatto avanzare i diritti e la dignità di tutti gli esseri umani -- uomini e donne, cristiani e musulmani ed ebrei.
Ma pur con tutti i progressi che abbiamo fatto, le sfide rimangono. Le trame terroristiche devono essere interrotte. La crisi dell'Europa dev' essere contenuta. Il nostro impegno per la sicurezza di Israele non deve vacillare, e neanche la nostra ricerca della pace. Il governo iraniano deve affrontare un mondo che rimane unito contro le sue ambizioni nucleari. Il cambiamento storico che soffia in tutto il mondo arabo non deve essere definito dal pugno di ferro di un dittatore o dall'odio degli estremisti, ma dalle speranze e dalle aspirazioni della gente comune che cerca gli stessi diritti che noi celebriamo qui oggi.
Perciò ora abbiamo una scelta. Il mio avversario e il suo compagno di candidatura sono nuovi della politica estera.
Ma da tutto quello che abbiamo visto e sentito, vogliono riportarci a un'epoca di tempeste di conduzioni maldestre che costano tanto caro all'America.
Dopo tutto, non si chiama Russia il nostro nemico numero uno -- non Al Qaeda, Russia -- a meno che non si è ancora con la mente bloccata in un ordito di Guerra Fredda.
Potreste non essere pronti per la diplomazia con Pechino se non è possibile visitare le Olimpiadi senza insultare il nostro alleato più vicino.
Il mio avversario -- il mio avversario ha detto che è stato tragico porre fine alla guerra in Iraq. E non ci dirà come finirà la guerra in Afghanistan. Beh, io lo faccio, e lo farò. E mentre il mio avversario spenderebbe più soldi per l'hardware militare di quanto il Capo di Stato Maggiore nemmeno voglia, userò i soldi che non spendiamo più per la guerra per pagare il nostro debito e mettere più persone al lavoro – ricostruire strade e ponti e scuole e piste, perché dopo due guerre che ci sono costate migliaia di vite umane e più di un trilione di dollari, è il momento di costruire la nazione proprio qui a casa.
È possibile scegliere un futuro in cui riduciamo il nostro deficit senza attaccare la classe media. Gli esperti indipendenti dicono che il mio piano taglierebbe il nostro deficit di 4 trilioni di dollari. E la scorsa estate ho lavorato con i repubblicani in Congresso per tagliare un miliardo di dollari di spesa, perché quelli di noi che credono che il governo possa essere una forza per il bene, dovrebbe lavorare più duramente di chiunque altro per riformarlo in modo che sia più snello e più efficiente e più rispondente al popolo americano.
Voglio riformare il codice tributario in modo che sia semplice, equo e chieda alle famiglie più abbienti di pagare tasse più alte sui redditi superiori a 250.000 dollari -- lo stesso tasso che abbiamo avuto quando Bill Clinton era presidente, lo stesso tasso che avevamo quando la nostra economia ha creato quasi 23 milioni di nuovi posti di lavoro, il più grande surplus nella storia e un sacco di persone che si avviavano a diventare milionari.
Ora, desidero ancora raggiungere un accordo sulla base dei principi della mia commissione bipartisan sul debito. Nessun partito ha il monopolio della saggezza. Nessuna democrazia funziona senza compromessi. Voglio arrivare a fare questo, e lo possiamo fare.
Ma quando il governatore Romney e i suoi amici del Congresso ci dicono che possiamo in qualche modo ridurre il nostro deficit spendendo migliaia di miliardi in più in nuove maggiori agevolazioni fiscali per i ricchi, beh – come l'ha chiamata Bill Clinton? Fate l'aritmetica. Fate i conti.
Mi rifiuto di essere d'accordo con questo, e fino a quando sarò presidente, non lo farò mai. Mi rifiuto di chiedere alle famiglie della classe media di rinunciare alle deduzioni per possedere una casa propria o allevare i loro figli solo per pagare un altro taglio alle tasse di un milionario. Mi rifiuto di chiedere agli studenti di pagare di più o di togliere i bambini dai programmi Head Start [programma del ministero della salute e dei servizi sociali che fornisce una formazione completa su salute e nutrizione, con il coinvolgimento dei genitori e dei servizi per bambini a basso reddito e le loro famiglie -ndr], di eliminare l'assicurazione sanitaria per milioni di americani che sono poveri e anziani o disabili tutti, così chi ha di più può pagare di meno. Io non sono d'accordo con questo.
E non lo farò mai - Non trasformerò Medicare in un voucher. Nessun americano dovrebbe mai passare i propri anni d'oro in balia delle compagnie di assicurazione. Tutti dovrebbero andare in pensione con la cura e la dignità che si sono guadagnati. Sì, riformeremo e rafforzeremo Medicare a lungo raggio, ma lo faremo attraverso la riduzione dei costi di assistenza sanitaria, non chiedendo agli anziani di pagare migliaia di dollari in più.
E manterremo la promessa della Previdenza Sociale prendendo misure responsabili per rafforzarla, non per rigirarla su Wall Street.
Questa è la scelta che abbiamo di fronte. Questo è ciò a cui si riduce l'elezione. Più e più volte, ci è stato detto dai nostri avversari che tagli fiscali più grandi e meno norme sono l'unico modo, che poiché il governo non può fare tutto, esso dovrebbe fare quasi nulla. Se non potete permettervi l'assicurazione sanitaria, sperate di non ammalarvi. Se una ditta rilascia sostanze tossiche nell'aria che i bambini respirano, beh, questo è il prezzo del progresso. Se non potete permettervi di avviare un'impresa o di andare al college, seguite il consiglio del mio avversario e prendete in prestito i soldi dai vostri genitori.
Sappiate una cosa, non è così che siamo. Non è così che è questo paese. Come americani, crediamo di essere dotati dal Creatore di certi diritti inalienabili, diritti che nessun uomo o governo può togliere. Insistiamo sulla responsabilità personale, e celebriamo l'iniziativa individuale. Non abbiamo diritto al successo. Dobbiamo guadagnarcelo. Onoriamo chi si sacrifica, i sognatori, chi si prende dei rischi, gli imprenditori che sono sempre stati la forza trainante dietro il nostro sistema di libera impresa, il più grande motore di crescita e prosperità che il mondo abbia mai conosciuto.
Ma crediamo anche in qualcosa chiamato cittadinanza -- cittadinanza, una parola nel cuore della nostra fondazione, una parola nell'essenza stessa della nostra democrazia, l'idea che questo paese funziona solo quando accettiamo alcuni obblighi l'un con l'altro e per le generazioni future.
Noi crediamo che quando un amministratore delegato paga abbastanza i suoi lavoratori dell'auto per poter comprare le auto che costruiscono, tutta la compagnia va meglio.
Noi crediamo che quando la famiglia non può più essere ingannata a firmare un mutuo che non può permettersi, quella famiglia è protetta, ma lo è anche il valore delle case di altre persone -- e quindi lo è l'intera economia.
Crediamo che la bambina cui è stata offerta una via di fuga dalla povertà da un grande maestro o da una borsa di studio per il college potrebbe diventare il prossimo Steve Jobs o lo scienziato che cura il cancro o il presidente degli Stati Uniti - ed è nel nostro potere darle questa possibilità.
Sappiamo che le chiese e le associazioni di beneficenza spesso possono fare più di una differenza di un solo programma di povertà. Non vogliamo elemosina per le persone che si rifiutano di aiutare se stessi, e di certo non vogliamo salvataggi per le banche che infrangono le regole.
Non credo che il governo possa risolvere tutti i nostri problemi, ma non credo che il governo sia la fonte di tutti i nostri problemi -- non più di quanto i nostri beneficiari dell'assistenza sociale o le società o i sindacati o gli immigrati o i gay o qualsiasi altro gruppo ci è stato detto di biasimare per i nostri problemi -- perché -- perché America, ci rendiamo conto che questa democrazia è la nostra.
Noi, il popolo -- riconosciamo di avere delle responsabilità nonché diritti; che i nostri destini sono legati insieme; che una libertà che chiede soltanto, cosa c'è per me?, una libertà senza un impegno per gli altri, una libertà senza amore o carità o dovere o patriottismo, non è degna dei nostri ideali fondanti, e di coloro che sono morti in loro difesa.
Come cittadini, ci rendiamo conto che l'America non è cosa si può fare per noi. E' ciò che può essere fatto da noi, insieme - attraverso il duro e frustrante, ma necessario lavoro di auto-governo. Questo è ciò in cui crediamo.
Quindi, vedete, l'elezione di quattro anni fa non ha riguardato me. Ha riguardato voi. Miei concittadini -– voi siete stati il cambiamento.
Voi siete la ragione per cui c'è una bambina con una malattia cardiaca a Phoenix, che avrà l'operazione di cui ha bisogno, perché una società di assicurazioni non può limitare la sua copertura. L'avete fatto voi.
Voi siete la ragione per cui un giovane in Colorado che non ha mai pensato che sarebbe stato in grado di permettersi il suo sogno di guadagnarsi una laurea in medicina è in procinto di avere questa possibilità. L'avete reso possibile voi.
Voi siete la ragione per cui un giovane immigrato che è cresciuto qui ed è andato a scuola qui e ha promesso fedeltà alla nostra bandiera non sarà più espulso dall'unico paese che abbia mai chiamato casa -- perché soldati altruisti non saranno espulsi dal servizio militare a causa di quello che sono o di come si chiamano, perché migliaia di famiglie sono finalmente state in grado di dire ai loro cari che ci hanno servito con tanto coraggio, benvenuti a casa. Benvenuti a casa. L'avete fatto voi. L'avete fatto voi.
Se ve ne andate via adesso -- se ve ne andate via adesso, se riprendete il cinismo che il cambiamento per cui abbiamo combattuto non è possibile, beh, il cambiamento non ci sarà. Se abbandonate l'idea che la vostra voce possa fare la differenza, allora altre voci riempiranno il vuoto, i lobbisti e gli interessi speciali, le persone con gli assegni da 10 milioni di dollari che stanno cercando di comprare questa elezione e quelli che stanno cercando di rendervi più difficile votare, i politici di Washington che vogliono decidere chi potete sposare o controllare le scelte che le donne dovrebbero fare per la loro salute. Solo voi potete assicurarvi che questo non accada. Solo voi avete il potere di farci andare avanti.
Sapete, mi rendo conto che i tempi sono cambiati da quando parlai per la prima volta a questa convention. I tempi sono cambiati, e così io. Non sono più solo un candidato. Sono il presidente.
E –- e questo –- E questo –- e questo vuol dire che so cosa significa mandare in battaglia giovani americani, poiché ho tenuto tra le mie braccia le madri e i padri di quelli che non sono tornati.
Ho condiviso il dolore delle famiglie che hanno perso le loro case, e la frustrazione dei lavoratori che hanno perso il loro posto di lavoro. Se sono giuste le critiche secondo cui ho preso le mie decisioni in base ai sondaggi, allora non devo essere così bravo a leggerli.
E mentre sono orgoglioso di ciò che abbiamo ottenuto insieme –- sono ancora più attento ai miei fallimenti, sapendo con esattezza cosa intendeva Lincoln quando disse, "Sono stato messo in ginocchio molte volte dall'opprimente convinzione che non avevo nessun altro posto dove andare."
Ma, mentre sono qui stasera, non sono mai stato così pieno di speranza riguardo all'America. Non perché penso di avere tutte le risposte. Non perché sono ingenuo circa la portata delle nostre sfide. Sono pieno di speranza a causa vostra.
La giovane donna che ho incontrato a una fiera scientifica che ha vinto il riconoscimento nazionale per la sua ricerca in biologia mentre viveva con la sua famiglia in un rifugio per senzatetto –- lei mi dà la speranza.
L'operaio che ha vinto la lotteria dopo che il suo stabilimento auto ha quasi rischiato di chiudere, ma continua ad andare a lavoro ogni giorno, e ha comprato le bandiere per l'intera sua città e una delle automobili che ha costruito per fare una sorpresa alla moglie –- lui mi dà la speranza.
L'impresa familiare di Warroad, Minnesota, che non ha lasciato andare uno solo dei loro 4.000 impiegati quando la recessione ha colpito –- anche quando i loro concorrenti hanno chiuso migliaia di fabbriche, anche quando ha significato per il proprietario rinunciare a qualche vantaggio e a qualche paga perché capissero che la loro più grande risorsa era la comunità e i lavoratori che avevano aiutato a costruire quell'impresa – loro mi danno la speranza.
Penso al giovane marinaio che ho incontrato al Walter Reed Hospital che era ancora in fase di riabilitazione dopo un attacco a colpi di granata che gli ha causato l'amputazione della gamba sopra il ginocchio. E sei mesi fa l'abbiamo visto entrare alla Casa Bianca alla cena in onore di coloro che hanno prestato servizio in Iraq – alto e più pesante di 10 chili, entrare precipitosamente con la sua uniforme, con un grande e largo sorriso sul volto, vigoroso sulla sua nuova gamba. E ricordo come pochi mesi dopo che l'ho visto su una bicicletta, in una gara con i compagni guerrieri feriti in un brillante giornata di primavera, essere d'ispirazione per altri eroi che avevano appena iniziato il duro percorso che lui aveva fatto. Lui mi dà la speranza.
Non so a quale partito appartengano questi uomini e queste donne. Non so se voteranno per me. Ma so che il loro coraggio ci definisce. Mi ricordano, nelle parole della Scrittura, che il nostro è un futuro pieno di speranza. E se condividete con me questa fiducia, se condividente con me questa speranza, vi chiedo stasera il vostro voto.
Se rigettate la nozione che la promessa di questa nazione sia riservata a pochi, la vostra voce si deve sentire in questa elezione.
Se rigettate la nozione che il nostro governo sia per sempre obbligato verso colui che offre di più, dovete avere coraggio in questa elezione.
Se credete che nuove industrie e fabbriche possono punteggiare il nostro paesaggio, che nuova energia può dar forza al nostro futuro, che nuove scuole possano fornire scale di opportunità a questa nazione di sognatori, se credete in un paese in cui ognuno ha una buona occasione, e ognuno fa la propria parte e ognuno gioca con le stesse regole, allora ho bisogno che voi votiate il prossimo Novembre.
America, non ho mai detto che questo viaggio sarebbe stato facile, e non lo prometterò adesso. Sì il nostro percorso è più difficile, ma conduce a un posto migliore. Sì, la nostra strada è più lunga, ma la percorreremo insieme. Non ci voltiamo indietro. Non lasciamo nessuno dietro. Ci spingiamo a vicenda. Traiamo forza dalle nostre vittorie. E impariamo dai nostri errori. Ma teniamo gli occhi fissi su quell'orizzonte lontano sapendo che la provvidenza è con noi e che siamo sicuramente benedetti per essere cittadini della più grande nazione sulla terra.
Grazie, Dio vi benedica e Dio benedica questi Stati Uniti.
Barack Obama
[Testo tradotto dall’originale  tratto da http://www.nytimes.com/interactive/2012/09/04/us/politics/democratic-convention-speeches-annotated.html]