«Le rovine sono un dono. La distruzione è la via per la trasformazione». Questa frase di Elizabeth Gilbert descrive in maniera perfetta lo stato di fatto della sanità calabrese. Si è detto e scritto tanto sulle cause che ne hanno determinato lo sfascio e sul Piano di rientro che dovrebbe fare il miracolo.
Ma c’è un aspetto rimasto inesplorato che differenzia lo “Scillesi d’America” dagli altri ospedali: la sua proprietà. Il nosocomio, dalla sua genesi e fino a oggi, è un immobile dell’intera collettività scillese. Lo provano le carte!
La prima costruzione fu realizzata su un suolo che il Comune donò al “Comitato pro-erigendo Ospedale” nel 1952. L’amministrazione comunale all’epoca era guidata da Antonia Assunta Paladino e a rappresentare il comitato era il notaio Giuseppe Gioffrè. In seguito, il Comune avviò le procedure espropriative, occupando anche le aree attigue a quella originaria, per consentire l’ampliamento dell’ospedale nella conformazione attuale. I lavori furono ultimati nei primi anni 80.
L’area sulla quale sorge l’ospedale è stata individuata negli strumenti urbanistici, dal 1979 fino a ora, come area destinata ad attrezzature ed impianti di interesse generale, ma l’esproprio, pur se previsto sulla carta, ancora oggi non risulta concretizzato, per via di un contenzioso legale tra il Comune e alcuni dei proprietari dei terreni espropriati.
Di questa storia, la Regione non ne sa niente. E lo dimostra in maniera lampante.
Nel 1992, lo Stato ha riordinato la disciplina in materia sanitaria, prevedendo che «il patrimonio delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere è costituito da tutti i beni mobili e immobili a esse appartenenti, in virtù di leggi o di provvedimenti amministrativi, nonché da tutti i beni acquisiti nell’esercizio della propria attività o a seguito di atti di liberalità».
La Regione, con efficienza degna di uno stupido bradipo cieco, ha perciò proceduto al censimento di tutto il patrimonio immobiliare delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere della Regione, decretando il trasferimento dei beni che erano di proprietà dei comuni. Così, nel 2005 (dopo soli 13 anni!), ha trasferito all’ex Azienda Sanitaria n.11 di Reggio il fabbricato sede dello “Scillesi d’America”. Nella premessa del provvedimento, si legge: «Considerato che nel patrimonio del Comune di Scilla è compreso un immobile sede del p.o. “Scillesi d’America”, in quanto risultante con vincolo di destinazione all’Azienda medesima». Che tradotto significa che la Regione ha dato per scontato che il Comune di Scilla ne fosse il proprietario.
Tra i terreni compresi nel decreto, per un errore dattilografico, ve ne era però anche uno che con l’area dell’ospedale non aveva niente a che vedere, essendo ubicato niente di meno che a Ieracari! Per tale motivo, dopo poco meno di tre anni, l’atto viene rettificato con altro decreto.
Arriviamo al 9 maggio di quest’anno, quando il Commissario Straordinario dell’Azienda reggina si accorge che nelle carte c’è qualcosa che non quadra (vivaddio!) e invia una nota al dipartimento regionale, chiedendo la revoca del decreto di rettifica poiché «la procedura espropriativa avviata per l’acquisizione delle aree interessate alle opere non si è mai conclusa formalmente con l’emissione dell’atto definitivo d’esproprio» e dichiarando che «solo per mero errore materiale si è data comunicazione della titolarità dei suoli citati rispetto ai quali, ad oggi, alcuna proprietà può essere trasferita all’Asp di Reggio Calabria». Tra le tante negligenze addebitabili alle strutture amministrative della sanità calabrese, c’è anche quella di non sapere di cosa le stesse aziende sanitarie sono proprietarie e di cosa non lo siano!
Il 16 Settembre – cioé il giorno prima della visita a Scilla del governatore Scopelliti – è stato pubblicato il decreto di revoca dei precedenti del 2005 e del 2008.
La sostanza, alla fine di questa tragicomica fiera, è questa: i terreni e la sede dello “Scillesi d’America” sono di proprietà in parte del Comitato pro-erigendo ospedale e in parte dei proprietari che avrebbero dovuto essere espropriati. Questi ultimi, una volta definite le controversie legali, dovrebbero essere acquisiti definitivamente al patrimonio comunale.
Occorre dunque definire la questione irrisolta legata alla proprietà del nosocomio. Sarebbe opportuno chiudere i giudizi pendenti da tempo immemorabile anche con atti di conciliazione. Ma pur se il Comune procedesse alla definitiva acquisizione delle aree e quindi la Regione trasferisse la proprietà all’Asp di Reggio Calabria, rimarrebbe insoluto il nodo della proprietà legato alla parte di proprietà del Comitato pro-erigendo ospedale. Si potrebbe perciò pensare a moderne e nuove forme di gestione del presidio, quali per esempio la costituzione di una fondazione tra il Comitato (e tramite esso gli scillesi d’America), il Comune di Scilla e la Regione Calabria. La questione merita un serio e competente approfondimento giuridico, dopo decenni di colpevole disinteresse.
Intanto, però, il governatore Scopelliti ha deciso di non andare troppo per il sottile e di chiudere di fatto la struttura, decretando (ufficialmente dallo scorso 20 ottobre) un’emergenza sanitaria nella Costa Viola e in una larga fetta del territorio aspromontano. «L’ospedale di Scilla – ha affermato nel corso della conferenza stampa ospitata dal nosocomio – diventerà un presidio strategico, sia per i residenti che per i turisti, non appena realizzeremo 16 postazioni specialistiche». Cioè: l’ospedale non esiste più, in cambio vi diamo qualcosa di lontanamente simile. Meglio poco che niente affatto, ma che certezze ci sono? Quanto durerà quel “non appena”? Che tempi si prevedono, dalla dismissione alla riconversione? Quanto passerà prima che vengano attivate le nuove dotazioni promesse? Occorre fare chiarezza e dare garanzie a una popolazione in grande difficoltà.
A questa serie di incognite, si aggiunge un dato certo. Ce lo fornisce la Commissione parlamentare sugli errori e disavanzi sanitari, che nelle conclusioni scrive: «La commissione ha sempre
espresso l’orientamento unanime a considerare prioritaria, nell’invarianza dei costi, l’attenzione per la tutela del diritto alla salute dei cittadini, e quindi a finalizzare gli interventi del Piano di rientro, oltre che al doveroso recupero del disavanzo e al contenimento delle spese, anche al migliore utilizzo possibile delle strutture sanitarie esistenti. In questo senso la Commissione prende atto che è stato richiesto di valutare l’effettiva esigenza della chiusura di ospedali quali quelli di Scilla e Rogliano, nonché di alcuni ospedali di confine e situati in zone isolate e di montagna. Tale scelta è di esclusiva competenza della Regione Calabria».
Sta ora all’amministrazione comunale far pesare questa valutazione super partes in ogni modo e in ogni decisione che riguarderà il presidio. Il sindaco Caratozzolo, dopo aver ascoltato le promesse incantatrici del governatore, dovrà finalmente rompere ogni indugio e muoversi rapidamente su due fronti: definire e chiarire situazioni poco note ai capoccioni regionali e proporre soluzioni alternative utili al territorio; chiedere, verificare e pretendere il rispetto degli impegni presi da Scopelliti nei confronti di tutta la comunità scillese.
La recente delibera comunale, proposta dal gruppo di minoranza guidato da Pasquale Ciccone e approvata all’unanimità, lascia sperare che ci sia la necessaria unità d’intenti perché venga salvaguardata una struttura di estrema importanza sociale.
Le promesse del governatore, almeno per ora, rimangono dati espressi solo verbalmente ma dei maccheroni non si sente neanche l’odore! Perciò, l’amministrazione comunale dovrà abbandonare gli atteggiamenti ossequiosi messi in campo finora nei confronti dei “superiori in grado” ed essere capace di pilotare e non subire il destino dello “Scillesi d’America”, che per ora resta (nei documenti e nella realtà) una scatola desolatamente vuota. Tocca a noi scillesi cercare di riempire la nostra scatola e a nessun altro. Chi ha tempo, non aspetti tempo.
*N.B.: [articolo pubblicato sul mensile "Scilla!"]