‘A festa finìu. Anche quest’anno, Scilla si è riunita attorno al suo Santo Patrono, San Rocco.
Lo ha fatto, come ogni volta, con fede e con un attaccamento particolari. Nei due giorni in cui il Santo francese si è fatto pellegrino per le strade del paese, non sono certo mancati i momenti particolari e toccanti.
Il sabato, per le viuzze di Chianalea, bellissime, tortuose, strette, ma larghe al punto giusto da permettere il passaggio della statua che, nel suo cammino sfiora le piante di cappero, poi entra quasi nelle case dei pescatori, lasciate illuminate e aperte, come si fa con il mare, per accogliere un amico, uno di famiglia.
E’ vero, ammettiamolo. Noi scigghitani abbiamo un rapporto familiare con San Rocco: quell’espressione del volto sofferente, il bastone a cui si appoggia, quell’indice puntato a mostrare il bubbone della peste, quegli occhi rivolti al cielo, uniti all’andatura lenta e barcollante, quasi ondeggiante, sulle spalle dei portatori, tutto questo insieme di elementi invitano a soccorrere quel pellegrino, a dargli assistenza, aiuto, conforto, proprio come narra il vangelo di Matteo che viene letto nei giorni della festa.
Vederlo passare in riva al mare, dal porticciolo di Chianalea, fa andare la mente a tutti quegli uomini e quelle donne che quotidianamente affidano al mare e al cielo le loro vite e sbarcano sulle nostre coste. Nei loro occhi, nella loro carne, rivive la sofferenza e il dolore vissuto da San Rocco e testimoniato in quell’opera d’arte che gli scillesi portano in processione da secoli.
Sono africani, siriani, egiziani, sono i pellegrini del mondo moderno che noi, con un termine che personalmente mi suona dispregiativo, definiamo “extracomunitari”, come fossero un corpo estraneo, un’anomalia da tenere lontana, separata e distinta dal “nostro” mondo indistinto.
Non è così che dovrebbe essere, e questi giorni di festa, San Rocco in particolare, ce lo ricordano. Sta a noi far sì che la memoria non si esaurisca in tempi brevi, come purtroppo spesso accade.
Vedere San Rocco passare lungo la galleria sotto la rupe del castello, lì dove sono più forti i vortici e il rimescolìo delle correnti marine dello Stretto, lì dove passò Ulisse, fa riflettere. Viene spontaneo chiedere al Santo di darti la forza di resistere, di affrontare gli ostacoli, di sorreggerti tutte le volte che ti ritrovi –tuo malgrado- a dover andare controcorrente.
Poi si passa dall’altra parte: Marina Grande.
Scilla è un paese bello e strano, dove in pochi metri si passa dal passato al presente, come se si fosse dentro una macchina del tempo. Il passato testimoniato dalle vecchie case dei pescatori della Piana delle Galee (la Chiana-lea), dal mito del mostro marino (i gorghi sotto il castello), fino al presente: le luci del lungomare, il luogo della “movida” estiva scigghitana.
La processione la attraversa silenziosa, quasi a non voler disturbare e, una volta raggiunto il confine Ovest del centro urbano, torna indietro lungo la strada nazionale: sulla strada illuminata dalle ‘ntrocce, inizia la risalita verso la chiesa.
A sera oramai inoltrata, ti ritrovi testimone, lì in mezzo, della fatica dei portatori. La statua sale piano, arranca, sbanda, prova un zig-zag, un po’ come fanno i ciclisti sulle rampe più dure. Il peso della statua si trasmette alle spalle, attraversa tutto il corpo, fino ai piedi. E quella mano del portatore, quel pugno chiuso appoggiato alla vara con forza delicata, è il segno della fatica: sono stanco -dice quella mano- sono stanco, ma continuo a portarti con tutte le forze che ho.
E’ un peso dolce che, seppur piano piano, li spinge ad andare avanti, quasi a far presto per riportare il Pellegrino nella Sua casa, dove possa riposare fino all’indomani.
La domenica è il turno del quartiere “San Giorgio”.
Si parte che il sole è quasi già tramontato. La via Umberto I è un fiume umano che scorre tra le bandierine festose agitate da una brezza leggera.
Si sale quindi verso l’ex Asilo (antico carcere), oggi struttura assistenziale gestita dalle suore Veroniche del Volto Santo. Ex carcere, struttura assistenziale, posti familiari (perché subiti ingiustamente o visitati) a San Rocco.
Per questo viene portato fin sull’uscio, a dare conforto e speranza alle anziane ospiti della struttura che aspettano di incontrarlo da un anno.
A seguire, si sale verso le palazzine di via Tripi, dove si fa una sosta imprevista: il buio della sera inoltrata è squarciato dal pianto di dolore e dall’invocazione a San Rocco da parte di una madre che proprio il giorno prima, mentre il paese tutto si preparava a festeggiare, ha perso il proprio giovane figlio, da ieri in cielo, accanto a San Rocco.
Poi si scende verso l’ospedale –o quel che ne resta, ma non è il momento delle polemiche- al buio. Non erano posti mondani quelli frequentati da Rocco di Montpellier, e ogni sosta, ogni momento di pausa ce lo ricorda.
Si continua lungo via Matteotti, poi la discesa di via Roma. Ogni sosta volante è indice che lì dove il Santo si ferma anche solo per brevi istanti, c’è qualcuno che soffre, che ha bisogno del Suo aiuto, ma anche del nostro come comunità.
Dopo via Stretto, si sale lungo via Libertà, via Parco e via Rinnovamento, ‘u “Quarteri ‘ndiginu”, addobbato a festa come sempre, quindi la sosta nda “Cresiola”, lì dove solo poche ore prima, nel caldo primo pomeriggio, un emigrato si gira a guardare la statua piccola di San Rocco che vi è custodita in questi giorni e, in un commovente slancio d’affetto esclama: “’U ‘maru Sant’à Rroccheddhu, a ‘sta ura sta’ squagghiandu!”. Il tempo di una preghiera e via, in discesa verso la via Nucarella, poi ndo “Stratuni”, con deviazione fino alla Casa della Carità, altra struttura assistenziale di prim’ordine presente a Scilla.
Sono le 21:40 –orario anomalo- quando la processione giunge in piazza, dove nel frattempo la folla si è radunata, alla ricerca del posto migliore per assistere allo spettacolare “Trionfino”.
Dopo pochi minuti, la statua raggiunge, a fatica come sempre, il punto di partenza. Foto di rito per i portatori e le varie associazioni, definizione degli ultimi dettagli per la sicurezza del percorso e poi….l’accensione dei fuochi!
Il fuoco illumina la fiaccolata, poi mette in moto i “roteddhi” (le girandole), la statua di San Rocco parte, di corsa per il mezzo giro di piazza fin davanti alla chiesa. Sono pochi secondi che lasciano tutti con il fiato sospeso, sia chi vi assiste per la prima volta, sia chi lo vede da una vita. Un’emozione sempre nuova, 30 secondi che celebrano il trionfo del Santo pellegrino, sul fuoco della peste che divampò a quei tempi –e anche fino a qualche secolo dopo- in mezza Europa. Un male fatale, da cui Rocco della Croce guariva chi vi si era ammalato con il solo segno della croce, lo stesso che portava stampato sul petto fin da bambino.
(video realizzato da Tonino Sanfedele)
Negli occhi e nel cuore, le immagini: un bambino, un anziano, che si avvicinano alla statua per un bacio, una carezza, una preghiera particolare, incessante, che si trasmette di generazione in generazione; il pianto soffocato di una madre; le persone affacciate ai balconi (alcuni dei quali drappeggiati con la coperta della festa, come una volta) o che sbucano dalle persiane e seguono il passaggio di San Rocco con gli occhi; gli anziani, impossibilitati a muoversi, che aspettano che passi davanti al loro vicolo, davanti alla porta della loro casa, per vederlo e affidarGli una preghiera; la fatica, il sudore e la sofferenza dei portatori; l’entusiasmo della banda, che con la musica allevia la fatica e dà il segno della festa; il Trionfino, l’atto finale, commovente come sempre.
La festa di San Rocco significa, in fondo, riscoprire la fragilità della nostra condizione di uomini. E’ il nostro continuo bisogno di avere figure cui ispirarci –da cristiani- nella vita di tutti i giorni. L’esempio di San Rocco, è ai giorni nostri più attuale che mai. Abbiamo voluto registrare le immagini, le impressioni, le sensazioni, che portiamo nel cuore con gioia.
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