Dopo ciò che è accaduto a Cutro la notte tra il 25 e il 26 febbraio scorsi, in molti si sono quasi meravigliati della straordinaria ondata emotiva che ha coinvolto in primo luogo le comunità di Cutro e Crotone e la Calabria intera.
Mi ha colpito, in questa dolorosa vicenda, il forte contrasto tra la reazione del popolo di Calabria e il totale disinteresse del Governo. Pur comprendendo che i suoi membri -la presidente in primis- erano in altre faccende affaccendate per impegni precedentemente assunti, ciò che non capisco e non giustifico è che nessuno, tra i governanti, abbia ritenuto giusto (prima ancora che opportuno) di dover inviare all'estrema frontiera continentale Sud non dico un ministro, ma nemmeno un sottosegretario (e ce ne sono pure calabresi), manco l'usciere di Palazzo Chigi!
E'
oltremodo evidente che c'è un problema: o il destino dell'umanità disperata non
è una priorità dei nostri rappresentanti governativi, oppure il pensiero
prioritario c'è, ma i medesimi impegnatissimi onorevoli non sono neanche in
grado di ammettere i loro errori.
Sì, perché di errori da parte delle autorità italiche nella gestione del tragico naufragio dello scalcagnato caicco schiantatosi sulle rive di Cutro, ce ne sono stati parecchi e non ci si può certo nascondere dietro il dito di Frontex.
A lenire la vergogna di uomini e donne di buona volontà ci ha dovuto pensare il Presidente Mattarella, che di educazione, signorilità e senso dello Stato e delle sue istituzioni è maestro ed esempio vivente. Come un nonno severo, ha mostrato ai responsabili di governo come ci si comporta in occasione di certi eventi, al di là di ogni idea o appartenenza politica. Nel silenzioso omaggio reso alle vittime, c'era un grido forte e chiaro: l'umanità viene prima di ogni altra cosa!
Un altro fatto, però, mi ha colpito ancora di più: gli sguardi attoniti, sconvolti, gli occhi spalancati, fissi nel vuoto, terrorizzati, dei superstiti, avvolti nelle coperte termiche con le quali le mani pietose dei volontari hanno cercato di riscaldarli, per sottrarre dai loro corpi il freddo del mare in tempesta, del vento impetuoso che soffiava quella notte sulle coste calabresi, il freddo della morte che hanno schivato tra le onde.
Si sa, la lingua è il primo elemento attraverso cui si espirme la cultura, il modo di essere di un popolo. Ebbene, ai non indigeni che si imbatteranno in queste righe, dico che il verbo "riscaldare", nel nostro dialetto scigghitanu, si traduce con "caddìari".
E', evidentemente, una deformazione di "cardhiare", come dicono nella parte ionica della provincia di Reggio che costituisce l'area grecanica. E, come scrive Gioacchino Criaco nel suo prezioso libro "Il custode delle parole", la radice del verbo "cardhiare" è "cardhia", cioè cuore.
Dunque, nella lingua di Calabria -terra impregnata di grecità- "riscaldare" si traduce letteralmente con "avvolgere con il calore del cuore".
E' quello che hanno fatto in questa ennesima tragedia del mare le genti di Cutro e Crotone e tutte le persone di questa terra di frontiera, capaci di dimostrare ai propri governanti e al mondo intero la propria umanità.
*n.b.: foto tratta da: www.lanotiziagiornale.it
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