La Calabria è terra interrotta.
Dal punto di vista geografico, prima di tutto, separata dalla Sicilia da un vuoto riempito di mare, che appare impossibile da collegare con mezzi diverse da barche o navi, a dispetto di ciò che possano pensare qualche ministro e chi gli tiene il sacco.
E' terra interrotta nelle sue parti pianeggianti, poche, che presto s'impennano su per colline e montagne ripide, maestose, dure, che nascondono segreti.
E' terra interrotta nella sua storia: l'ha interrotta chi è venuto a dominarci e poi è scappato, scalzato da un nuovo dominatore; l'hanno interrotta i molti -troppi- che qui non hanno trovato futuro e la loro storia personale se la sono dovuta costruire altrove, in posti lontani. Se poi le sommi, le storie personali, diventano la storia di un'intera comunità, di intere comunità.
La Calabria è terra interrotta nei rapporti interni tra queste comunità, chiuse, arroccate su queste colline e queste montagne messe in mezzo a separare l'Est dall'Ovest. Si sono chiuse per difendersi, per difendere un'identità che oggi appare perdersi nella disgregazione continua delle risorse umane che quelle comunità costituiscono, fenomeno che dura da quasi un secolo.
E' terra interrotta nella cultura, la Calabria. Di ciascuno dei popoli che l'hanno dominata o che vi sono stati ospitati nei secoli, restano poche tracce, per lo più ignote agli stessi calabresi, ancora oggi. Quel che rimane sono le lingue (come il greco antico parlato nella Bovesìa o l'arbëreshë
sulle colline del crotonese o nella parte settentrionale della regione) o parti di esse, che sopravvivono in qualche termine dei nostri dialetti. Fatta eccezione per quelle religiose, che ancora resistono, si fa sempre più fatica a mantenere le nostre tradizioni, i nostri usi, i nostri costumi. “La cultura pesa!” era solita dire una mia professoressa. E' un peso che in Calabria è sempre più pesante.
E' terra interrotta, troppo spesso, nell'esercizio della democrazia da una legge ingiusta, che mette tutti nello stesso sacco, senza distinzioni, senza controllare prima la qualità umana di un cittadino, di una persona.
Per un insieme di ragioni geografiche e antropologiche, la Calabria è terra interrotta nel sociale. Quante associazioni hanno visto la luce, animate dagli scopi più nobili, che si sono dissolte, evaporate in tempi brevissimi o, nella migliore delle ipotesi, sopravvivono solo formalmente, come anestetizzate, per mancanza di risorse umane prima ancora che economiche.
E' una terra, la Calabria, che non ha mai consentito lo sviluppo di uno spirito cooperativistico. Ci si è sempre affidati al singolo o a un gruppetto sparuto di persone e ogni iniziativa o attività sociale è durata fin tanto che quel singolo o quei pochi hanno potuto farcela con le loro forze.
Ricordiamoci sempre che, come diceva Nicola Giunta, la Calabria, e Reggio e la sua provincia in particolare, è “'u paisi 'i scindi e falla tu!” Ovvero, è il paese in cui a fare le cose deve essere sempre qualcun altro rispetto a colui che si lamenta perché le cose non si fanno.
Ma la società e la cultura che essa esprime è anche memoria, e la memoria non può permettersi di essere interrotta, perché altrimenti scompare essa stessa.
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