Tra poco più di un mese saremo chiamati al voto per eleggere il nuovo Parlamento e indicare il nome di colui il quale -secondo gli italiani- dovrebbe guidare il nuovo Governo (sarà il Presidente della Repubblica a nominarlo).
Nel corso di questa campagna elettorale che ha riservato non pochi colpi di scena rispetto all'ormai stucchevole contrapposizione bipolare, si è innescato nel popolo un meccanismo di definitivo rigetto verso comportamenti personali di tanti presunti "onorevoli" che di onorevole hanno dimostrato di aver ben poco se non nulla.
Si è perciò tornati a scoprire che la politica è appassionante non per le urla, ma per il dibattito tra idee diverse.
Alcuni giorni fa ho seguito alla radio un convegno nel quale si dibatteva di riformismo e populismo, due termini che sono stati ampiamente ribaditi -talvolta abusandone- dai rispettivi schieramenti.
Riformismo e populismo sono due modi diversi di pervenire al perfezionamento della democrazia.
Il riformismo è una creatura del movimento socialista ed è riferito in primo luogo al mantenimento dello stato sociale, cioè di tutte quelle norme che permettono di concretizzare il principio di eguaglianza tra tutti i cittadini, attraverso riforme graduali, senza perciò ricorrere alla "rivoluzione" propugnata dalla sinistra più radicale.
A destra dello schieramento politico si è assistito al passaggio da un indirizzo conservatore -che sta nell'ordine delle cose, poiché naturale contrapposizione al riformismo di sinistra, comunque finalizzato allo stesso obbiettivi di fondo- a un atteggiamento che è pericolosamente sconfinato nel populismo.
Ecco dunque che si sta diffondendo nel Paese la convinzione che le "elite" rappresentate da un governo che ha fatto gli interessi dei "poteri forti", hanno ridotto quelli che sono i diritti e i beni del popolo, che nella visione populista è come il cliente descritto nei cartelli in alcuni negozi: ha sempre ragione.
Ma questo modo di intendere la realtà italiana non è rimasto confinato da una sola parte ma si è via via diffuso, tanto che ritroviamo forti accenti populisti anche in neonate formazioni che sono diretta espressione non delle idee, dei sentimenti politici ma dei risentimenti degli italiani.
Riassumendo e semplificando, come notava Antonio Fuciniello nel convegno di qualche giorno fa, il riformismo si propone di migliorare la democrazia rimuovendo le cause (le leggi sbagliate, comunque migliorabili) che ne impediscono il perfezionamento; il populismo si nutre delle imperfezioni della democrazia, ne esaspera le conseguenze e va a caccia dei colpevoli, cioè degli uomini ritenuti responsabili delle condizioni di vita del popolo.
Appare evidente come sia estremamente facile che una concezione populista della democrazia, alimentata da particolari condizioni economico-sociali, possa sconfinare in forme di regime estremamente dannose. Ne abbiamo avuto esempi già in passato e ci auguriamo che non si ripetano mai più.
Dunque, la democrazia, non può essere regolata dagli uomini, bensì dalle Leggi, che sono il frutto del confronto delle idee che il popolo esprime attraverso chi lo rappresenta.
Ecco perché è sulle Leggi che bisogna intervenire per rendere la democrazia -cioè il potere del popolo- sempre più perfetta.
La democrazia, come la natura, non si crea né si distrugge, ma si trasforma: le Leggi cambiano, si adeguano alla realtà e ai bisogni del nostro tempo.
Così come l'uomo tende ad avvicinarsi alla perfezione, anche le sue Leggi continueranno a perfezionarsi, nella consapevolezza dei propri limiti. E' un processo continuo, inarrestabile.
Tornano perciò in mente le parole che Obama ha pronunciato durante il discorso di insediamento per il secondo mandato alla Casa Bianca: "Dobbiamo agire, consapevoli che la nostra opera sarà imperfetta".
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