31 gennaio 2009

CHE NE SARA' DELL'A3: NON SO PIU' A CHI CREDERE

Pigghiamu sciatu. La Statale 18 tra Scilla e Villa San Giovanni è stata riaperta nel pomeriggio, così almeno i camion per la Sicilia avranno un percorso alternativo dove... fare la fila.
La situazioni frane è ancora pisanti, vista la forte preoccupazione che suscita lo stato della collina che sovrasta la provinciale per Melia; i disagi della popolazione continuano, tanto da essere in piena emergenza sanitaria (l'ospedale è stato irraggiungibile) e commerciale (negozi a secco di rifornimenti).
A menzu a tuttu 'stu panegiricu, c'è qualcosa che prosegue: i lavori di "ammodernamento" della "A3".
Apprufittandu della chiusura forzata, i lavori hanno subito quasi un'accelerazione, alla faccia delle preoccupazioni manifestate un po' da tutti circa la situazione idrogeologica delle nostre contrade.
Cominciano infatti a farsi sentire i cori, le urla, di chi grida al disastro idrogeologico, aggravato se non in qualche caso provocato dall'esecuzione di questi lavori, in uno dei tratti più delicati dell'intera penisola 'taliana.

E' veru, non si può negari: una morfologia come quella della Costa Viola, caratterizzata da costeri e vaddhuni ripidi, stritti e longhi, di certu non favorisci il passaggio di una via di comunicazioni importanti comu una nuova autostrada, se non a costi altissimi e con l'obbligo di dover in qualche maniera turbare un equilibrio idrogeologico già piuttosto precario pi natura.

Nonostanti tuttu, nel nome del progressu, s'è andato avanti. Ora però, u carru ccuminciau a 'mpuntari.

A quanto denunciato dal Segretario provinciale del PDCI
Ivan Tripodi -e riportato anche dagli organi d'informazione- il Consorzio Scilla -varda casu!- è stato sciolto. Ciò significa chi gli operai saranno mandati a' casa e che i lavuri subiranno uno stop, nonostante le continue assicurazioni ru Guvernu, che ha ribadito che i lavuri sono completamente finanziati.
Intantu, pochi giorni fa, dopo un incontro con i responsabili del progetto che stazionano al campo base di Scirò, c'è stato detto che il progetto riguardante lo svincolo scigghitanu è ancora allo studio. Ancora? E chi nci hannu a studiari, dopu quattr'anni di tiritera infinita?

In ogni casu, finu o' svinculu, i lavori continuano.


Tri anni arretu, c'era stato più volte ed in più occasioni assicurato che la corsia Sud -direzione Reggio- sarebbe rimasta intoccata. L'amministrazione comunale, ci aveva detto che dopo numerose iati a Roma, il Ministero aveva valutatu positivamenti l'idea scigghitana, di riservare detta corsia Sud a strada di collegamento tra i pianori della Fronte, S. Stefano, Ieracari, Utra e Pacì. Min...a! Megghiu chi "Sulle strade della California"!


Passunu ddu' anni e, mentre Impregilo e company fannu terra chiana nella Piana, disstruggendu il distruggibili, l'assessore regionale all'urbanistica Michelangelo Tripodi -stesso nomu e stesso partito dell'omonimo di prima- nel nome dell'ambientalismo più spinto, ha un'ideona, ribadita con forza non più di due mesi fa: perché non lasciare che una carregiata della vecchia autostrada funga da collegamento intercomunale per tutti i centri da Palmi a Scilla (venendo quindi incontro alla vecchia proposta scigghitana).
E l'altra carreggiata? Semplice: sarà trasformata nella più grande centrale solare calabrisi mediante l'installazione di pannelli solari. Si eviterebbe la demolizione delle vecchie strutture, con una spesa di circa 40 milioni di euri. Arimin...a!

Ora, non pi fari a chiddhu chi rumpi sempri l'ova nto panaru ma, vi 'mmaginati nu nastru di pannelli solari longu circa 30 km, da Palmi a Scilla? Sicundu vui non si viri? Sicundu mia, rifletterebbiru u suli finu a Milazzu! Se la soluzioni energetica è ottima, che dobbiamo diri dell'impatto ambientali? L'apparecchiatura necessaria sarebbe un pugnu nto somucu longu 30 km.
E' giustu ricurdari chi l'assessori regionali, è 'u stessu che, secondo quanto riferito dal Sindaco in una recente intervista, ha fatto modificare il progetto del progettando ascensore da Piazza S. Rocco a Marina. In un primo momento, le due cabine erano state previste "con vista" sulla spiaggia delle Sirene e sullo Stretto ma, sicundu l'assessore, potrebbero avere un impatto negativo sull'ambiente. Pirciò, l'ascensore, dicono, sarà intubato. Intubatu? Aundi, nta rocca?

Mi domandu: dannu cchiù all'occhiu 30 km di specchi o ddui cabini d'ascensori?


Insomma, parrasìi, parrasìi, sulu parrasìi. 'A virità vera, chi virimu sutta all'occhi, l'ho fotografata giustu stamatina: datinci 'n'occhiata: finu o' svinculu, la carreggiata Nord della "A3" è già smuntata!
Avi tri anni chi ndi incunu a chiacchiri e tabbaccheri 'i lignu: comu riciva 'na canzuna di Antonacci,

Tutti dicono le stesse bugie

tutti parlano non sanno ascoltare
Non puoi vivere una vita così
non so a chi credere
non so se credere
confuso e schiavo di
di chi non sa decidere*
*N.B.:[da Non so più a chi credere -di Biagio Antonacci, dall'album "Liberatemi", 1992]

Eh, già, non so più a chi credere, se non a quel che vedo.

30 gennaio 2009

NTA SURICERA ,SENZA ...FURMAGGIU

Altra giornata difficile. E le previsioni diramate dalla Protezione Civile non sono buone. Nei prossimi giorni, soprattutto domenica, vi saranno ancora forti piogge.
Anche oggi ha continuato a piovere e alle strade chiuse al traffico, si è aggiunta anche la Provinciale "Scilla-Melia".
Infatti, all'altezza della prima curva, in località "Fontanella", è a rischio distacco completo una parte della collina, con relativo muro di sostegno. Il rischio, è quello che tutto questo materiale finisca col riversarsi nel sottostante vallone Livorno, andando a finire anche sui viadotti della "A3".
Gli stessi viadotti, o meglio, i piloni che li sorreggono, sono messi a dura prova dall'altro movimento franoso verificatosi sopra Cannitello, che già ieri ha comportato la chiusura dell'autostrada in direzione Reggio.
L'unica via percorribile era la S.S. 18 in direzione Villa S. Giovanni ma anche qui, tra Scilla e Santa Trada, nella notte c'è stata un'altra frana che ne ha comportato l'interruzione.

Il risultato è che Scilla è un paese semi isolato:
nelle edicole, non c'erano i giornali, in quanto la loro distribuzione è stata praticamente impossibile; in tutti i negozi di generi alimentari, è mancata la solita fornitura di pane proveniente dai paesi vicini (Melia, Villa, ecc.); i commercianti han dovuto prendere un giorno di "ferie forzate", non potendosi recare nei mercati per l'usuale rifornimento di pesce, ortaggi, frutta. Insomma: simu nta suricera e puru senza....furmaggiu!

'Na cosa bona però, nci fu: il blackout di ieri sera è stato superato, la luce nelle case di gran parte del paese è tornata solo dopo circa cinque ore,
quando ormai la fredda resistenza dei congelatori stava per cedere.

L'unica via di collegamento percorribile è la vecchia strada ferrata, nella speranza che la situazione non peggiori ulteriormente.
Meglio fare gli scongiuri e tuccari ferru (chiddhu ri binari).

29 gennaio 2009

'NA SURICERA A CIELO APERTO

Manch' i cani chi iurnata!

E' da poco trascorso il centenario del sisma del 1908 -che ancora comunque viene ricordato con mostre e manifestazioni- ma, inveci ru terremotu -che tutti abbiamo in qualche modo esorcizzato- sembra che sulla Calabria e sulla provincia riggitana si stia abbattendo di tutto, comu pi 'na speci di leggi del contrappasso nostrana.

Iorna e iorana di pioggia senza sosta, ci hanno messo in ginocchio. Aundi ndi vutamu e ndi giramu, è tuttu 'na frana: pi Bagnara, oramai ndi cacciammu u viziu puru mi pinsamu mi iamu; da qualche giorno, non 'rrivamu mancu a Favazzina, pirchì si varau menzu costone appena sutta 'a Nucareddha, precisamente nella zona della scalinata 'i Sutt' o' Serru (vedi foto).


Da ieri sera alle 22, è chiuso anche il transito sulla "A3", dallo svincolo di Scilla in direzione Reggio. In questo caso non c'è stata una frana -almeno non ancora- ma ovvi motivi di prudenza, dopo quel che è successo nel tratto cosentino della stessa autostrada, hanno portato il Prefetto a questa decisione, una volta che si è verificato il precario equilibrio di un tratto delle nostre montagne.

La viabilità alternativa -oltre la S.S. 18 intasata- è rappresentata dalla provinciale che sale a Melia per poi scendere a Campo Calabro, ma puru 'sta strata ha i suoi problemi: nella sola giornata di oggi, all'altezza ra "Funtaneddha" -poco sopra l'acquedotto- il terreno si è "varato" per ben due volte. Per domani è atteso un sopralluogo dei tecnici della Provincia: cosa potranno mai fare?

A questo quadro, si aggiungono anche i lavori in corso sulla "A3": nel nostro tratto, è in corso lo smontaggio delle travi dei viadotti, con conseguenti rallentamenti del traffico quotidiano da Ieracari al paesello.

Oggi, per andare a Reggio si è impiegato qualcosa come due ore! due ore! E' una situazione al limite della sopportazione umana.

Per le strade di Scilla sembrava fosse il pomeriggio del giorno di Pasquetta, quandu pi calari ra chiazza a' Marina ci s'impiega menz'ura.

La stessa cosa si è verificata in tutta la provincia: ieri le pagine della cronaca locale della "Gazzetta del Sud" sembravano il bollettino della Protezione Civile.

E' in momenti come questi che ci si accorge di quanto sia facile rimanere "intrappolati" come topi in trappola, sì nta suricera.
Ma è 'na suricera speciali, a cielo aperto, il cielo pulito, tipico delle giornate di tramontana.
Ddhà tramuntana sicca, chi ti trasi nta l'ossa, che fa sembrare la Sicilia e le isole Eolie ancora più vicine di quanto non lo siano. Che ti fa pensare: ma chi bisognu nc'è mi fannu 'u ponti? Tanto, pare che basta quasi allungare la mano per toccare Punta Faro.

La stessa domanda -ma chi bisognu c'è mi fannu 'u ponti?- mi veni vardandu tutti ddhi machini, ddhi autotreni, fermi, incolonnati per chissà quanto lungo quella tortuosa vineddha che è la vecchia, scassata, Statale 18.
Lo so che non è così, ma mi pari chi il numero (18) non indica più il progressivo delle arterie di traffico nazionali, ma le prime due cifre dell'anno in cui è stata sparmentata: 18.., quandu ancora si caminava ch' i scecchi!

L'unica cosa positiva è che anche oggi è passato e, a parte gli enormi disagi, non ci sono state conseguenze o problemi di altro tipo. Possiamo tirare un respiro di sollievo: fiuuuù!

Per poco però: perché in serata -ore 20:30 circa- pari a causa di lavori di manutenzione della rete elettrica da parte dell'Enel, che naturalmente non sono stati comunicati in nessun modo, 'i casi 'i menzu paisi (o quasi) ristaru o' scuru all'improvviso: e cusì, nci fu cu' brusciau 'u computer e cu' brusciau 'u piscistoccu ch'i patati e ristau puru a ddiunu e mortu 'i fami!

20 gennaio 2009

OBAMA: COSTRUIAMO LA LIBERTA' DEL FUTURO

Barack Obama è il 44° Presidente degli Stati Uniti d'America.

Tanti sono stati e saranno i commenti al discorso di inaugurazione. Un discorso che ha illustrato al mondo la nuova visione americana del tempo in cui viviamo. Un tempo pieno di sfide, da affrontare nella consapevolezza storica di un cammino che non si è mai interrotto, nemmeno davanti alle più grandi avversità.

Un cammino che prosegue oggi, dopo le grandi conquiste del passato, illuminato da quegli ideali che hanno permesso di costruire una grande nazione che è stata -e vuole continuare a essere- una guida per il mondo intero.

Ideali cui gli uomini, le donne, i bambini, di ogni razza, religione o credo politico -la nuova generazione- devono ispirarsi, forti delle loro diversità, per uno scopo comune: trasmettere la libertà, il dono più bello che Dio ci ha donato, alle generazioni future.

Senza dilungarmi oltre, nella convinzione che sia un messaggio rivolto anche alle nuove generazioni di tutto il mondo -e quindi anche a noi italiani- ho pensato che la cosa migliore fosse quella di tradurre il discorso d'insediamento, il cui testo ho tratto dalla trascrizione fatta da CQ Transcriptions, pubblicata dal sito del New York Times

* * * *

Miei concittadini: sono qui oggi umile nell'incarico che abbiamo davanti, grato per la fiducia che mi avete accordato, memore dei sacrifici fatti dai nostri antenati.

Ringrazio il Presidente Bush per il suo servizio alla nazione.... così come per la generosità e la cooperazione che ha dimostrato durante la transizione.

Quarantaquattro americani hanno ora prestato il giuramento presidenziale.

Le parole sono state pronunciate durante le maree montanti della prosperità e le calme acque della pace. Ancora, troppo spesso il giuramento è prestato nel bel mezzo dell'addensarsi di nubi e tempeste che infuriano. In questi momenti, l'America è andata avanti non semplicemente per via della capacità o della visione di coloro che avevano alti incarichi, ma perché Noi il Popolo siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri antenati, e fedeli ai nostri documenti costituenti.

Così è stato. Così dovrà essere con questa generazione di Americani.

Che siamo nel mezzo della crisi adesso è ben noto. La nostra nazione è in guerra contro una rete di violenza e odio che viene da lontano. La nostra economia è fortemente indebolita, una conseguenza dell'avidità e dell'irresponsabilità da parte di alcuni ma anche il nostro fallimento collettivo nel fare scelte difficili e preparare la nazione per una nuova generazione.

Case sono andate perse, posti di lavoro persi, attività chiuse. La nostra sanità è troppo costosa, le nostre scuole sono troppo insufficienti, e ogni giorno porta prove sempre maggiori che i modi in cui usiamo l'energia rafforza i nostri avversari e minaccia il nostro pianeta.

Questi sono gli indicatori della crisi, destinati alle statistiche. Meno misurabile, ma non meno profondo, è un fiaccarsi della fiducia nel nostro paese; una fastidiosa paura che il declino dell'America sia inevitabile, che la prossima generazione dovrà diminuire i suoi interessi.

Oggi vi dico che le sfide che affrontiamo sono reali, sono serie e sono molte. Non si farà loro fronte facilmente o in un breve periodo di tempo. Ma sappi questo America: faremo loro fronte.

In questo giorno, siamo riuniti perché abbiamo scelto la speranza alla paura, l'unità d'intento al conflitto e alla discordia.

In questo giorno, arriviamo a proclamare la fine dei piccoli motivi di lagnanza e delle false promesse, le recriminazioni e i logori dogma che troppo a lungo hanno soffocato la nostra politica.

Restiamo una nazione giovane, ma nelle parole della Scrittura, è venuto il tempo di mettere da parte le cose infantili. E' venuto il tempo per riaffermare il nostro spirito durevole; scegliere la nostra storia migliore; portare avanti quel dono prezioso, quella nobile idea, passati di generazione in generazione: la promessa che Dio ci ha dato che tutti sono uguali, tutti sono liberi, e tutti meritano una possibilità di inseguire la loro piena misura della felicità.

Nel riaffermare la grandezza della nostra nazione, comprendiamo che la grandezza non è mai un dono. Deve essere guadagnata. Il nostro viaggio non è mai stato di scorciatoie o preparato per poco.

Non è stato il sentiero per i leggeri di cuore, per quelli che preferiscono il tempo libero al lavoro, o cercano solo i piaceri dei ricchi e la fama.

Piuttosto, è stato chi ha preso dei rischi, chi ha agito, chi ha fatto delle cose -alcune celebrate, ma più spesso uomini e donne che hanno lavorato nell'ombra- che hanno portato avanti il lungo, vigoroso cammino verso la prosperità e la libertà.

Per noi, loro hanno impacchettato i loro pochi averi e hanno attraversato gli oceani in cerca di una nuova vita. Per noi, hanno faticato nelle fabbriche di sudore e sistemato il West, resistito alla sferzata della frusta e arato la dura terra.

Per noi, hanno combattuto e sono morti in posti come Concord e Gettysburg; la Normandia e Khe Sahn.

Nel tempo questi uomini e donne hanno lottato, si sono sacrificati e hanno lavorato fino a scorticarsi le mani così che noi possiamo vivere una vita migliore. Hanno visto l'America più grande della somma delle nostre ambizioni individuali; più grande di tutte le differenze di nascita o ricchezza o fazione.

Questo è il viaggio che continuiamo oggi. Restiamo la più prosperosa, potente nazione sulla Terra. I nostri lavoratori non sono meno produttivi di quando questa crisi ha avuto inizio. Le nostre menti non hanno meno inventiva, i nostri beni e servizi non sono meno bisognosi di quanto fossero la scorsa settimana o il mese scorso o lo scorso anno. La nostra capacità rimane intatta. Ma il nostro tempo del non mutare posizione, di proteggere interessi limitati ed emettere decisioni spiacevoli- quel tempo è sicuramente passato.

A partire da oggi, dobbiamo tirarci su, toglierci di dosso la polvere, e cominciare di nuovo a lavorare per rifare l'America.

Poiché ovunque guardiamo, c'è del lavoro da fare.

Lo stato della nostra economia ci chiama all'azione: coraggiosi e rapidi. E agiremo non solo per creare nuovi posti di lavoro ma per gettare le nuove basi per la crescita.

Costruiremo le strade e i ponti, le griglie elettriche e le linee digitali che alimentano il nostro commercio e ci tengono uniti.

Rimetteremo la scienza al suo giusto posto e maneggeremo i prodigi della tecnologia per aumentare la qualità della cura della salute...e abbassare i suoi costi.

Utilizzeremo il sole e i venti e il suolo per far camminare le nostre automobili e condurre le nostre fattorie. Trasformeremo le nostre scuole e i licei e le università per andar incontro alle richieste della nuova generazione.

Tutto questo possiamo fare. Tutto questo faremo.

Ora, ci sono alcuni che mettono in dubbio la scala delle nostre ambizioni, che suggeriscono che il nostro sistema non può tollerare troppi grossi piani. Hanno memoria corta, poiché hanno dimenticato cosa questo paese ha già fatto, cosa gli uomini e le donne libere possono raggiungere quando all'immaginazione si unisce lo scopo comune e la necessità al coraggio.

Quel che i cinici difettano di comprendere è che il terreno sotto di loro ha cambiato direzione, che le stantìe argomentazioni politiche che ci hanno consumato per così tanto, non si applicheranno più.

La domanda che ci poniamo oggi non è se il nostro governo sia troppo grande o troppo piccolo, ma se funziona, se aiuta le famiglie a trovare lavori con un salario decente, cure che possano affrontare, una pensione che sia dignitosa.

Dove la risposta è sì, intendiamo andare avanti. Dove la risposta è no, i programmi avranno termine.

E coloro di noi che hanno a che fare con il denaro pubblico dovranno render conto, spendere in modo saggio, modificare le cattive abitudini, e fare il nostro lavoro alla luce del giorno, perché solo allora potremoricostruire la vitale fiducia tra la gente e il suo governo.

Ne è davanti a noi la domanda se il mercato sia una forza per chi sta bene o male. Il suo potere di generare ricchezza ed espandere la libertà è indiscusso.

Ma questa crisi ci ha ricordato che senza un occhio vigile, il mercato può girare fuori controllo. La nazione non può prosperare a lungo quando favorisce solo colui che prospera.

Il successo della nostra economia è sempre dipeso non solo dalla misura del nostro prodotto interno, ma dalla ricerca della nostra prosperità; dall'abilità di estendere l'opportunità ad ogni cuore di buona volontà non dalla carità, ma perché è la strada più sicura per il nostro bene comune.

Come per la nostra difesa comune, rifiutiamo come falsa la scelta tra la nostra sicurezza e i nostri ideali.

I nostri padri fondatori hanno affrontato pericoli che noi a fatica riusciamo a immaginare, scelto una carta per assicurare il ruolo della legge e i diritti dell'uomo, una carta espansa dal sangue delle generazioni.

Quegli ideali illuminano ancora il mondo, e non li abbandoneremo nell'interesse della convenienza.

E così, a tutti gli altri popoli e ai governi che ci stanno guardando oggi, dalle più grandi capitali al piccolo villaggio dove nacque mio padre: sappiate che l'America è amica di ogni nazione e di ogni uomo, donna e bambino che cerca un futuro di pace e dignità, e siamo pronti a fare da guida ancora una volta.

Ricordo che le generazioni precedenti hanno affrontato il fascismo e il comunismo non solo con missili e carri armati ma con le alleanze forti e le convinzioni durevoli.

Hanno capito che il nostro potere da solo non può proteggerci, né può darci il diritto a fare come ci piace. Invece, sapevano che la nostra potenza cresce attraverso il suo prudente uso. La nostra sicurezza emana dalla giustezza della nostra causa; la forza del nostro esempio; le qualità moderanti dell'umiltà e della misura.

Siamo i custodi di questa eredità, guidati da questi principi ancora una volta, possiamo affrontare quelle nuove minacce che richiedono anche uno sforzo più grande, anche più grandi cooperazione e comprensione tra le nazioni. Cominceremo a lasciare responsabilmente l'Iraq al suo popolo e a forgiare una pace duramente guadagnata in Afghanistan.

Con i vecchi amici e i nemici di una volta, lavoreremo instancabilmente per minimizzare la minaccia nucleare e riportare indietro lo spettro del riscaldamento planetario.

Non ci scuseremo per il nostro modo di vivere né vacilleremo in sua difesa.

E per coloro che cercano di avanzare le loro mire inducendo il terrore e facendo strage di innocenti, vi diciamo adesso che, “Il nostro spirito è più forte e non può essere abbattuto. Non potete sopravvivere a noi, e vi sconfiggeremo.”

Poiché sappiamo che la mescolanza del nostro retaggio è una forza, non una debolezza.

Siamo una nazione di Cristiani e Musulmani, Ebrei e Indù, e non credenti. Siamo formati con ogni lingua e cultura estratti da ogni angolo di questa Terra.

E perché abbiamo assaggiato l'amara ubriacatura della guerra civile e della segregazione e siamo emersi da quell'oscuro capitolo più forti e più uniti, non possiamo fare a meno di credere che i vecchi odi un giorno passeranno; che le linee della tribù si dissolveranno presto; che mentre il mondo diventa più piccolo, la nostra comune umanità si rivelerà; e che l'America dovrà giocare il suo ruolo nell'inaugurare una nuova era di pace.

Al mondo Musulmano, cerchiamo un nuovo modo di andare avanti, basata sul mutuo interesse e il mutuo rispetto.

A quei leader nel mondo che cercano di seminare il conflitto o dare la colpa dei mali della loro società all'Occidente, sappiate che il vostro popolo vi giudicherà su ciò che riuscite a costruire, non su quel che distruggete.

A coloro...A coloro che si attaccano al potere con la corruzione e l'inganno e mettendo il silenziatore al dissenso, sappiate che siete sul lato sbagliato della storia, ma che vi porgeremo la mano se avrete la volontà di aprire il vostro pugno.

Ai popoli delle nazioni povere, ci impegniamo a lavorare al vostro fianco per far prosperare le vostre fattorie e far scorrere acque pulite; per nutrire corpi che soffrono la fame e nutrire menti affamate.

E a quelle nazioni come la nostra che godono di relativa abbondanza, diciamo che non possiamo sopportare oltre l'indifferenza nei confronti dei sofferenti fuori dai nostri confini, né possiamo consumare le risorse del mondo senza aver riguardo degli effetti. Poiché il mondo è cambiato, e dobbiamo cambiare con esso.

Mentre teniamo in considerazione la strada che si svela davanti a noi, ricordiamo con umile gratitudine quei coraggiosi Americani che, proprio in quest' ora, pattugliano deserti e montagne lontani. Hanno qualcosa da dirci, proprio come gli eroi caduti che giacciono ad Arlington sussurrano attraverso le generazioni.

Li onoriamo non solo perché sono i guardiani della nostra libertà, ma perché incarnano lo spirito di servizio: una volontà di trovare un significato in qualcosa più grande di loro stessi.

E ancora, in questo momento, un momento che definirà una generazione, è precisamente questo lo spirito che deve essere in tutti noi. Poiché per quanto il governo può e deve fare, alla fine sono la fede e la determinazione del popolo Americano sui quali questa nazione fa assegnamento.

E' la benevolenza a ospitare un estraneo quando si rompono gli argini; l'autoflessibilità di lavoratori che preferirebbero tagliare il loro orario piuttosto che vedere un amico perdere il lavoro che ci accompagna nelle nostre ore più buie.

E' il coraggio dei vigili del fuoco a prendere d'assalto una scala piena di fumo, ma anche la volontà di un genitore a nutrire un bambino, che alla fine decide il nostro destino.

Le nostre sfide possono essere nuove, gli strumenti con i quali le affrontiamo possono essere nuovi, ma quei valori dai quali dipende il nostro successo, onestà e duro lavoro, coraggio e correttezza, tolleranza e curiosità, lealtà e patriottismo -queste cose sono antiche.

Queste cose sono vere. Sono state la forza silenziosa del progresso attraverso la nostra storia.

Quel che è richiesto allora è un ritorno a queste verità. Cosa ci viene richiesto adesso è una nuova era di responsabilità -un riconoscimento, da parte di ogni Americano, che abbiamo doveri verso noi stessi, la nostra nazione e il mondo, doveri che non accettiamo malvolentieri ma piuttosto prendiamo con orgoglio, fermi nella consapevolezza che non c'è nulla di così soddisfacente per lo spirito, che definisce il nostro carattere che dar tutto in un lavoro difficile.

Questo è il prezzo e la promessa della cittadinanza

Questa è la fonte della nostra fiducia: la consapevolezza che Dio ci ha chiamato per dar forma a un destino incerto.

Questo è il significato della nostra libertà, del nostro credo, perché uomini e donne e bambini di ogni razza e di ogni fede possano unirsi nella celebrazione per tutta questa magnifica spianata. E perché un uomo il cui padre meno di 60 anni fa poteva non essere servito in un ristorante può adesso stare davanti a voi a prestare uno dei più sacri giuramenti.

Quindi lasciateci segnare questo giorno in ricordo di chi siamo e di quanto lontano siamo andati.

Nell'anno della nascita dell'America, nel più freddo dei mesi, un piccolo gruppo di patrioti si riunì in nove bivacchi sulle rive di un fiume ghiacciato.

La capitale era stata abbandonata. Il nemico avanzava. La neve era macchiata di sangue. Nel momento in cui la riuscita della nostra rivoluzione era più in dubbio, il padre della nostra nazione ordinò che queste parole venissero lette al popolo:

"Lasciate che si dica al mondo futuro che nella profondità dell'inverno, quando nient' altro che la speranza e la virtù potevano sopravvivere, che la città e il paese, allarmati da un comune pericolo, si fecero avanti per affrontarlo."

America, di fronte ai nostri comuni pericoli, in quest' inverno della nostra avversità, ricordiamoci queste parole senza tempo; con speranza e virtù, affrontiamo ancora una volta le correnti ghiacciate, e resistiamo a ciò che possono portare le tempeste; lasciate che si dica ai figli dei nostri figli che quando siamo stati messi alla prova abbiamo rifiutato di porre fine a questo viaggio, che non ci gireremo indietro né esiteremo; e con gli occhi fissi all'orizzonte e la grazia di Dio sopra di noi, porteremo avanti quel grande dono della libertà e lo porteremo al sicuro alle generazioni future.

Grazie. Dio vi benedica. E Dio benedica gli Stati Uniti d'America.

17 gennaio 2009

L'ARIA S'HA DA CAGNA'

Prendo spunto dal post pubblicato sul blog di Giovanni Panuccio da parte dell'amico catanisi Aldo Franco, per un commento sulla visita frisca frisca che il nostro Presidente della Repubblica ha fatto ieri nella città della Fata Morgana.

Nella due giorni calabrese (giovedì la prima tappa era stata Cosenza), il Presidente Napolitano ha messo in chiara evidenza che una delle armi più potenti in mano ai calabresi per invertire la rotta del loro attuale destino, è la possibilità di poter fare cultura, di poter vivere della loro cultura.
Napolitano ha poi posto l'accento sul momento politico attuale, sottolinenado ancora due aspetti.

Il primo, la necessità di salvaguardare sempre e comunque l'unità nazionale, anche e soprattutto in un momento in cui, parlando di federalismo fiscale, a qualcuno potrebbe far tornare quella voglia di secessione che troppo spesso in questi anni ha fatto capolino da alcune regioni del Nord. Un federalismo fiscale che deve contemperare le esigenze di una buona amministrazione, con il bisogno di non aggravare ulteriormente le forti disparità economiche attualmente esistenti tra Nord e Sud.
Il secondo, quello più importante, l'assoluto bisogno in Calabria di rinnovare una classe politica che oramai ha fatto il suo tempo, ha esaurito il suo percorso.

Qualche riflessione.

E' innegabile che poter contare su due università come quelle di Cosenza (dove si sono formati tanti paisani scigghitani) e di Reggio Calabria (che ha sviluppato in particolare le materie scientifiche, ma che ha anche avviato da qualche anno la facoltà di giurisprudenza), costituisce un'occasione importante per i giovani della nostra terra, affinché possano non solo imparare ma anche sviluppare e mettere in pratica quanto di buono proviene dalle nuove tecnologie e dal sapere in generale, direttamente "in loco", come direbbe Catarella.
Ricordo che dopo una delle sedute di laurea cui ho avuto modo di assistere, l'allora preside della facoltà di ingegneria, ing. Morabito, dopo aver lodato i laureandi per l'alto valore scientifico delle loro tesi aggiunse, con grande amarezza, che sapeva già che tanti di quei ragazzi, sarebbero presto partiti per altri lidi, in Italia e all'estero, dove avrebbero portato le conoscenze acquisite a Reggio, facendo valere altrove la loro intelligenza.
E' bene, invece, che i nostri ciriveddhi rimangano qui. Perché non pensare a una serie di agevolazioni -concesse dallo Stato o dalla stessa Regione- per le industrie o le ditte disposte a trasferirsi o ad aprire alcune loro sedi in Calabria, dove potranno trovare lavoro i laureati -ma anche i diplomati in istituti tecnici, con qualifiche specifiche- 'ndigini?
Un progetto simile -seppur in scala ridotta- è già stato avviato lo scorso anno dalla facoltà di Ingegneria di Reggio Calabria. Sarebbe senz'altro il caso di ampliarlo, anche in altri campi.

In merito all'appello all'unità del nostro Paese lanciato dal Presidente della Repubblica, per tutta risposta, agli alleati meridionali che gli facevano notare la sfacciataggine dimostrata da Bossi nel tenere praticamente in pugno il Governo, "costretto" ad approvare dei provvedimenti a dir poco discutibili, con buona pace della nerbatura smuvuta (invano) del Presidente della Camera Fini (chi puru di pacenzia ndi poti vindiri), il nostro caro cavalier Silvio ha dato il seguente consiglio: invece di lamentarvi sempre, perché non fate anche voi [meridionali] una Lega come quella dell'Umberto? Alla faccia dell'unità d'Italia!
E' l'ennesima riprova che al più conosciuto cittadino di Arcore non stanno a cuore né l'Italia, né le attuali Istituzioni repubblicane né, tantomeno, chi le rappresenta.
E' l'ennesima riprova che il vero scopo -che però mai confesserà- il disegno ultimo che il presidente Silvio ha in mente, è quello di modificare la Costituzione in maniera tale da poter arrivare ad essere il capo di una Repubblica presidenziale. E spero non voglia andare oltre.
Fin quando ci sarà chi ragiona così....

Torno però alla Calabria e ai suoi tanti guai. La possibilità di contare su tali "dispensatori di cultura", deve essere messa a frutto per poter avere nel più breve tempo possibile quel ricambio generazionale da tutti auspicato. "Preparatevi a sostituirli". Poche ma precise e dirette, le parole del Presidente Napolitano.
Solo con un nuovo modo di pensare potremo far sì che la nostra terra, abbandonata dallo Stato -che da anni non ha investito più cifre importanti per il Meridione, lasciandoci solo qualche "contentino di tanto in tanto-non sia condannata a dover contare sull'assistenzialismo mascherato costituito dai contributi piovutici addosso da otto anni a questa parte direttamente dall'Europa.
Sono cifre importanti, certo, però sono state concesse letteralmente a pioggia, senza aver dietro una programmazione seria, degna di questo nome.
Sono soldi che i calabresi -nella maggior parte dei casi- credendosi furbi, hanno utilizzato e speso "una tantum". Si è creduto comodo, cioè, accaparrarsi i fondi iniziali con la scusa di avviare iniziative produttive che avrebbero dovuto ammodernare la nostra regione, ma che invece sono miseramente e tragicamente abortite, in quanto non hanno mai visto la luce.
Una luce che è stata spenta dalle tante indagini che la magistratura ha dovuto avviare e ha portato a termine per truffa ai danni della tanto magnanima Comunità Europea.
Dice bene Napolitano:"Preparatevi a sostituirli". A sostituire quella mentalità attendista che da sempre ha contraddistinto la nostra politica. Dobbiamo essere noi stessi calabresi a essere propositivi, a dimostrare di avere idee concrete, realizzabili. Ne abbiamo tutti i presupposti, la capacità, l'intelligenza.
No, non possiamo aspettare che piova. Non possiamo più stare sotto una pioggia passeggera di denaro che, per colpa di pochi, non è stata portatrice di vita, ma si è trasformata in fango, in una melma dentro la quale siamo già scivolati, dentro la quale rischiamo di affondare.
E proprio come cantava un concittadino del Presidente Napolitano, Pino Daniele:

E aspiette che chiove
l'acqua te 'nfonne e va
tanto l'aria s'ha da cagnà
ma po' quanno chiove
l'acqua te 'nfonne e va
tanto l'aria s'ha da cagnà*

*N.B. [tratta da "Quanno chiove" di Pino Daniele -Album "Yes I Know my way" -1998]