29 settembre 2013

IL GIRAFRITTATE

ricorso3_bigHo ancora negli occhi la prima pagina del ricorso alla corte di Strasburgo, all’indomani della sentenza di condanna da parte della Cassazione. Sul frontespizio, stampato in lettere cubitali, era scritto: “Silvio Berlusconi c. Italia”, dove quella “c.” sta per CONTRO.

Pensavo fosse stato l’ultimo suo atto contro l’Italia. Mi sbagliavo.

Che questa esperienza di governo nato contro natura fosse destinata a saltare in tempi relativamente brevi lo si sapeva. In fondo, è stato un po’ come mischiare l’acqua con l’olio: li puoi mettere nello stesso recipiente e provare a girare per mischiarli quanto vuoi, ma niente da fare. Ognuno rimane quello che era: l’olio con l’olio e l’acqua con l’acqua.

Nel gioco delle parti, l’identificazione è facile: l’acqua è il partito liquido, inconsistente, che vorrebbe rappresentare la sinistra ma non ci riesce. E’ un’acqua stantìa, oramai melmosa, che non riesce a rinnovarsi, a tornare fresca.

L’olio è invece in mano al padrone del frantoio, che lo usa a suo piacimento per ungere meccanismi istituzionali attraverso i quali si esercita il potere. Meccanismi che ogniqualvolta è necessario, devono essere forzati al fine di consentire al padrone di passarla liscia, come l’olio appunto.

Dunque, prevedibile, quasi atteso, è arrivato l’ordine perentorio, unico, indiscutibile: via l’olio dall’acqua!

Che l’ordine sia legato alle questioni personali del padrone e non a questioni di scelte di politica economica –come tenteranno inutilmente di convincerci- è dimostrato dal fatto che esso sia calato su Roma dall’alto della residenza padronale, sconosciuto quindi a coloro che si affannano giornalmente a genuflettersi, indefessi ma fessi, davanti a lui per abbassargli financo i calzini.

Un tempo, quando ancora esistevano partiti in grado di esercitare correttamente la democrazia, i comunicati erano discussi nelle direzioni, nelle assemblee. Se questa discussione avviene a casa del padrone, tra il padrone stesso e i suoi avvocati, allora dovrebbe essere chiaro a tutti che si tratta, ancora una volta, di una manovra il cui fine è solo quello di salvaguardare un personaggio oltremodo dannoso, distruttivo per la tenuta istituzionale italiana.

E invece no. Salvo qualche timida voce isolata, gli invertebrati pecoroni che girano nella corte del padrone, si sono precipitati ai suoi piedi a porgergli l’estremo, ennesimo atto di sottomissione. Hanno ancora una volta abbassato la gobba e chiuso gli occhi, incapaci di vedere che prima del frantoio, c’è davanti a loro un precipizio.

Emblematica è la frase di un sottosegretario: <<Consegnerò le dimissioni nelle mani del presidente Berlusconi>>.

Basta questo ad indicare l’immane e totale rincoglionimento conseguente al completo lavaggio del cervello subito, e la tragica mancanza di spina dorsale di chi ci dovrebbe rappresentare. Chi lo ha nominato sottosegretario è il Presidente del Consiglio che, fino a prova contraria, non è Berlusconi (almeno sulla carta). Eppure, il dimissionario sottosegretario e tutti gli altri seguaci, vedono solo lui: il padrone del frantoio. E’ lui la guida, il faro. Senza la sua luce, questi invertebrati con il cervello in panne si ritroverebbero al buio, incapaci di muovere un passo, destinati a sprofondare nell’oscuro anonimato di cui hanno una paura terribile.

frantoioIl padrone del frantoio con la sua macina ha frantumato tutto e tutti, riducendo la politica di questo Paese a una poltiglia indistinta che, a differenza della sansa, è divenuta inservibile.

Tenetevi pronti: come sempre, dirà se l’olio è stato costretto a separarsi, è per colpa dell’acqua. E’ l’ennesima frittata che il padrone del frantoio ha regalato all’Italia. Ma prima che qualcuno se ne accorga, si affretta a rigirarla, come d’abitudine, da bravo girafrittate –come l’ha definito Enico Letta- in maniera da nasconderne il lato oramai bruciacchiato.

Il suo atto d’imperio, dirà lui, è servito ad impedire l’aumento delle tasse voluto dal partito liquido.

Strana giustificazione che sa tanto di presa in giro, perché proviene da un signore che è tra i pochi a non aver problemi a pagarle le tasse. Nonostante ciò, ha fatto di tutto per non pagarle. Alla fine, è stato scoperto, processato, giudicato colpevole e condannato.

Al padrone del frantoio, accertato delinquente, non è rimasto altro che mettere in atto lo sporco ricatto: non solo mi avete condannato perché non ho pagato le tasse, volete aumentarle ancora? E io non ve lo consento. Non vi do più l’olio, vi blocco la macchina, addio motore!

E così l’Italia si ferma, proprio mentre stava per superare l’ultimo tratto della ripida risalita dalla crisi per accingersi poi alla discesa di una ripresa economica che si annunciava in arrivo per i primi mesi dell’anno prossimo..

Il Paese si ritrova così fermo, col motore in panne e per di più con i freni consumati, che non ce la fanno a trattenerla. Siamo pronti a scivolare rovinosamente verso il basso, col serio rischio di farci molto male.

girafrittataPoco importa al padrone del frantoio. Lui è riuscito a far meglio dei condannati di un carcere sudamericano: loro si sono ribellati e hanno tenuto in ostaggio le guardie carcerarie. Il padrone del frantoio, delinquente, condannato, tiene in ostaggio un Paese intero e continua a fare il girafrittate.

Non gli importa nulla, né se perde un po’ d’olio né se rompe le uova. Sa che l’olio e le uova non gli mancheranno: come non gli sono mancati in questi vent’anni. Avrà sempre un esercito di smidollati pecoroni, pronti a continuare a raccogliere le olive per lui, a continuare a far girare la macina e a rifornirlo di uova, le cui scorte annuali sono ben conservate nel segreto dell’urna.

Per questo non si preoccupa di aver fatto l’ennesima frittata agli italiani. Non gli importa nemmeno che l’abbia girata male, facendola cadere per terra.

Ma invece di preoccuparsi del fatto di aver lasciato digiuni gli italiani, il padrone del frantoio rimpiange la sua padella, rovinata, perché rimasta sul fuoco, vuota.

08 settembre 2013

CHIANALEA NON E’ DI SCILLA, CHIANALEA E’ SCILLA

ChianaleaTurista per una sera. Come capita spesso quando parlo di Chianalea, ieri sera ho voluto trasformarmi in turista e percorrere le stradine dello storico borgo marinaro scigghitano, in occasione della manifestazione “Chianalea in festa –Sapori, Tradizioni e Colori di Chianalea”.

A scanso di equivoci e fraintendimenti e senza voler fare polemica, dico subito che l’iniziativa è riuscita, con una partecipazione di pubblico molto buona. D’altra parte c’era da immaginarselo: quando si parla di Chianalea, chi lo sa perché, si entra subito in un’atmosfera speciale: camminare per quelle stradine ti fa quasi toccare con mano il mito e la leggenda di Scilla; le case sul mare, letteralmente “ch’i peri a moddhu” in uno specchio d’acqua che, quand’è cheto sembra un grande lago; le luci delle casuzze a tipu prisepiu; le luci dei locali che si smorzano nell’acqua, attirando i pesci a galla, in cerca di qualche briciola di pane.

Queste scene si sono ripetute anche ieri sera, ed è stato ancora più speciale passare per quei vicoli e vedere quadri, foto e filmati che illustravano la pesca al pescespada col “luntri”; i “bbandiaturi” che dalle postazioni ubicate sulle colline circostanti segnalavano alla barca il percorso del pesce in mare; l’uomo pronto con la fiocina, a dare al pescespada il colpo mortale e ai pescatori la giusta ricompensa per la loro fatica.

E poi l’artigianato e i prodotti locali, la musica, elementi che avevano già ravvivato e fatto riscoprire i vicoli del centro storico di San Giorgio a fine Luglio nel “Vicoli festival” e che hanno trovato nuovo spazio e arricchito le strade chianaliote con la loro presenza. Strade che, per una sera, sono state chiuse al traffico e trasformate in un’isola pedonale apprezzatissima da tutti. Non è mancato però, in verità, chi ha cercato di fare il furbo e di arrivare allo scalo grande attraverso la via Zagari. E va boh.

Una manifestazione riuscita e che, proprio per questo, ritengo vada replicata anche negli anni, magari con una frequenza maggiore. Immagino, per esempio, manifestazioni simili replicate nei fine settimana da Luglio a Settembre.

Se però dobbiamo trovare il pelo nell’uovo, non abbiamo difficoltà. Mi sia permessa qualche annotazione. Prendetela come una speciale attenzione –che a qualcuno potrà sembrare eccessiva- dettata dall’amore che ho verso lo Scigghio. Un po’ come un fidanzato che poti aviri ‘a megghiu zzita ru mundu, ma quando la guarda trova sempre non dico un difetto, ma qualche particolare da migliorare, perché sia ancora più bella.

1) La manifestazione ha interessato la parte di Chianalea dal porto fino allo scalo, lasciando perciò la via Annunziata fuori dal contesto festaiolo. Credo che ciò sia stato dovuto ad esigenze di carattere pratico, al fine cioè di lasciare un corridoio libero raggiungibile con i mezzi per eventuali emergenze. Ma Chianalea è tutta, dal porto fino alla chiesa di San Giuseppe. D’altra parte, non credo sarebbe difficile, visto e considerato che la Statale 18 è giusto a un passo e quindi comodamente raggiungibile da eventuali mezzi di soccorso.

2) scategnaNon è la prima volta né sarà l’ultima, che sento parlare o scrivere tutti di “Chianalea di Scilla”. Anche sulla locandina che pubblicizzava l’evento, era scritto “Borgo Chianalea di Scilla”. Mi è capitato spessissimo, specie con amici di Reggio. L’ultimo episodio di cui sono stato testimone diretto: un’amica ha scattato e mandato in diretta sul web via Facebook la foto che vedete, con tanto di didascalia: “Scilla”. Dopo nemmeno un paio di minuti è arrivato il seguente commento ammirativo:  “Wow, l avevo confusa per chianalea” [perdonate la sintassi, ma l’apostrofo pare non si usi più (anche se non mi risulta sia stato abolito) e le lettere maiuscole per i nomi propri pare sia divenuta opzionale]

Ora, senza voler fare “il saputo”, ma in quanto scigghitanu ndo sangu, mi corre l’obbligo di precisare agli amici riggitani e ai turisti tutti, le seguenti nozioni di geografia scigghitana.

 

- Il centro urbano di Scilla ha oggi quattro quartieri: due nella parte bassa, Chianalea (a Est rispetto al castello Ruffo), Marina Grande (a Ovest); San Giorgio nella parte alta, compreso tra il vallone Livorno (a Ovest) e il vallone Annunziata (a Est); Ieracari, sempre nella parte alta, ma a Est  rispetto a San Giorgio (lato Bagnara Calabra, per intenderci), compreso tra lo stesso vallone Annunziata e il vallone Oliveto;

- Il comune di Scilla ha tre frazioni: Favazzina di Scilla, a metà strada tra Scilla e Bagnara Calabra; Melia di Scilla, nella parte collinare, salendo verso Gambarie. Un’altra parte di Melia è compresa nel territorio del comune di San Roberto; Solano Superiore di Scilla nella parte compresa tra le colline e i piani d’Aspromonte, a Est di Melia. Un’altra parte di Solano (inferiore), è compresa nel territorio del comune di Bagnara Calabra.

Dunque, l’espressione “di Scilla” è riferita esclusivamente alle frazioni ma non ai quartieri. Dire “Chianalea di Scilla” è un po’ come dire, per intenderci, “Santa Caterina” o “Gebbione” o “Sbarre” di Reggio Calabria oppure “Garbatella di Roma”.

Allora, se la lingua italiana non è un’opinione, dire “Chianalea di Scilla” è errato. Chianalea non appartiene al territorio amministrativo di Scilla (come le frazioni), né esiste un’altra Chianalea da nessun altra parte in Italia e nel mondo, per cui è necessario specificare di quale Chianalea si stia parlando. Chianalea è Scilla, in quanto ne costituisce fisicamente il centro urbano. Dunque, l’espressione più corretta, dovrebbe essere: Scilla - quartiere Chianalea oppure Scilla –borgo di Chianalea.

Nella speranza di aver chiarito il problema, mi auguro che in futuro anche noi scillesi non continuiamo a valorizzare il nostro territorio ingenerando e favorendo interpretazioni geografiche errate.