27 gennaio 2015

LA DIFESA DELLA MEMORIA E IL DIRITTO ALLA DIFESA

27_01Oggi, 27 Gennaio, come ogni anno, è stato il giorno della memoria. E’ il giorno in cui si fa memoria del massimo orrore che l’uomo abbia conosciuto, almeno finora, perché purtroppo non si possono mettere limiti alla stupidità umana.

Giustamente, lo striscione che vedete nella foto avverte: “Non ricordate gli ebrei morti se non difendete quelli vivi”. Ora, bisogna capire cosa s’intende per “difendere gli ebrei”.

Oggi ricordiamo sì il sacrificio di tanti ebrei innocenti, ma lo facciamo perché orrori del genere non si ripetano più, non solo contro gli ebrei, ma contro ogni altro essere umano. Perché così come in passato i nazisti hanno trovato la scusa e il modo di compiere il genocidio degli ebrei, allo stesso modo abbiamo assistito e assistiamo ancora oggi, ad altri genocidi che non hanno nulla di meno raccapricciante di quello compiuto dai nazisti. Ne abbiamo avuto prova, purtroppo, in Bosnia, o in Africa, oppure in Afghanistan o in Iraq: i nazisti hanno usato il pretesto della razza, negli altri casi si è usato e si usa il pretesto della religione. Il risultato, terribile, non cambia.

Dunque, vittime degli orrori perpetrati dall’uomo contro altri uomini non sono stati e non sono solo gli ebrei, ma tanti altri popoli e culture. Perciò, bisogna fare attenzione a chi difendere.

Difendo gli ebrei vivi, quando subiscono minacce, intimidazioni o attentati solo perché professano una fede o sol perché appartengono a una razza diversa dalla mia. Ma non difendo gli ebrei “a prescindere”,  né quando (ed è capitato diverse volte) fanno leva sul vittimismo generalizzato in maniera del tutto strumentale.

Non mi sento di difendere quegli ebrei dello Stato d’Israele che da 65 anni hanno messo e continuano a mettere in atto politiche finalizzate esclusivamente al predominio e alla conquista dei territori palestinesi, con metodi molto simili a quelli utilizzati dai nazisti. So che molti rabbrividiranno, ma è così. I carri armati israeliani, non sono diversi dai panzer tedeschi; i bombardamenti aerei effettuati per un mese intero nello scorso luglio sulla striscia di Gaza, non hanno avuto effetti diversi da quelli fatti dalla Luftwaffe durante la seconda guerra mondiale; gli abitanti della striscia di Gaza continuano a vivere oggi in condizioni non molto diverse da quelle in cui hanno vissuto i deportati nei campi di concentramento della Seconda Guerra Mondiale. Certo, almeno nel caso dei palestinesi sembra essere scongiurato l’orrore dei forni crematori, ma ci sono tanti altri modi altrettanto tragici e non meno subdoli per riprodurre lo stesso risultato.

Per la verità, nemmeno da parte di alcuni palestinesi si è andato tanto per il sottile: gruppi organizzati hanno fatto ricorso ad atti terroristici eclatanti ed inumani, che in quanto ad orrore non sono di sicuro secondi a nessun altro. E i dirigenti politici palestinesi hanno dimostrato tutta la loro incapacità nell’isolare ed eliminare i responsabili di questi atti, finendo con l’apparire -agli occhi degli israeliani- come loro complici.

Pur nell’orrore comune, c’è però una differenza sostanziale: i palestinesi che compiono attentati sono solo una minoranza, un gruppo terroristico ristretto e ben identificabile. Le azioni compiute dagli israeliani tramite i loro apparati istituzionali e non (Amministrazione Civile, il servizio di sicurezza dello Shin Bet, ecc.) sono il frutto della politica di quello che si definisce Stato di diritto. Ma è uno Stato di diritto parecchio sbilanciato, visto e considerato che i diritti civili (e in molti casi anche quelli umani) dei palestinesi vengono regolarmente, sistematicamente calpestati, in nome di un imprecisato “diritto di difesa” degli israeliani. Non mi sento di difendere gli ebrei israeliani, quando nel nome di questa loro interpretazione di tale diritto, finiscono in realtà con l’imporre <<la supremazia di una nazione convinta di avere il diritto di interferire e danneggiare la vita di una nazione palestinese più debole – il suo futuro, il passato, la sua economia, la moneta, le sue risorse e le relazioni familiari e sociali.>> –come spiegato in questo bell’articolo del principale giornale israeliano, Haaretz. [Per la traduzione italiana  clicca qui]

Non mi sento di difendere chi, fin da subito dopo la fine dell’orrore nazista, ha avviato una politica di supremazia fondata esclusivamente sul “diritto divino”, dimenticandosi non solo degli insegnamenti divini ma, soprattutto, di ciò che aveva vissuto poco tempo prima sulla propria pelle. Da parte mia, ricordo e ricorderò sempre il sacrificio degli ebrei morti, ma vorrei solo che se ne ricordassero davvero anche gli ebrei israeliani. Non solo visitando lo Yad Vashem –il Museo dell’olocausto o pregando nelle sinagoghe. Vorrei che ne facessero memoria sempre, ogni giorno, non concedendo fiducia a politici, amministratori o militari –ebrei come loro-  che hanno costruito le loro rispettive carriere sulla violenza e sulla sopraffazione sistematica del popolo palestinese.

Non si deve mai confondere la difesa della memoria, con il diritto alla difesa, come invece mi pare succeda. Per questo, ricorderò sempre gli ebrei morti e difenderò sempre gli ebrei vivi e il loro diritto a vivere in pace. Ma non potrò mai difendere quegli ebrei vivi che, nei fatti, si sono dimenticati del sacrificio dei loro stessi morti e, nascondendosi vigliaccamente dietro di loro, continuano indiscriminatamente a negare il diritto all’esistenza di un altro popolo.

10 gennaio 2015

LA LIBERTA’


Matite_2Ci sono date che sono destinate a rimanere per sempre nel ricordo di tutti, sono le date che hanno fatto e che fanno la storia di questo nostro sempre più strano mondo.
L'11 Settembre 2001 è una di queste. Dopo quel lunghissimo pomeriggio, credevo, mi auguravo, di non dover assistere mai più ad avvenimenti simili. Un augurio che...è andato a male. Se a New York tutto si consumò in un giorno, a Parigi il terrore è “andato in onda” per tre giorni consecutivi. Così, accanto all'11 Settembre, il giorno delle Torri Gemelle, da adesso in avanti ricorderemo il 7-8-9 Gennaio 2015, i giorni di Parigi.
Ammetto di essere confuso, stordito, come tutti credo. In questi giorni miliardi di parole hanno descritto, raccontato, su tutti i mezzi di informazione, quel che è accaduto, con analisi, spiegazioni e motivazioni varie.
Dopo l'attentato al Charlie-Hebdo, la domanda che mi è rimbombata in testa è: che cos'è la libertà?
L'unica risposta che mi sono dato è che la libertà è quanto di più prezioso un essere umano possa desiderare, ma in quanto prezioso, non è illimitata. Sono convinto, infatti, che aveva ragione Martin Luther King: la libertà di ciascuno di noi inizia dove finisce quella degli altri.
Se così è, come credo che sia, va bene la libertà di stampa, va bene il diritto e la libertà di satira, non si discutono, ma entrambe hanno dei limiti.
Vent'anni fa, quando ho iniziato a lavorare, una volta iscritto all'ordine professionale, il presidente, consegnandomi il timbro e una rollina -i ferri del mestiere- mi disse: “Bravo! Auguri di buon lavoro, ma stai attento: questo -brandendo il timbro che teneva ancora in mano- è un'arma!
E così come il timbro, anche la penna per un giornalista, un quadro per un pittore, una matita per un vignettista di satira, tutti questi oggetti sono un'arma. E quando si ha un'arma in mano, penna, quadro, matita o timbro che sia, è necessario maneggiarla con cura, da lì si vede la professionalità, l'agire con coscienza.
Ora, nel caso del settimanale francese, è indubbio che molte delle vignette e degli articoli pubblicati, siano stati pezzi di forte impatto, tanto da suscitare proteste, e scandalo anche in passato. So bene cosa significhi fare satira, essendo stato negli anni scorsi tra i fondatori di un giornalino, “Pre-occupati”, che fu il progenitore dell'odierno sito www.malanova.it. So bene quali sono i rischi che si corrono quando si scrivono cose tanto sacrosante, quanto scomode per l'ingessata sensibilità delle comunità di queste latitudini. So bene che il giornale colpito è sempre stato, storicamente, il simbolo della massima libertà d'espressione, per di più nel Paese -la Francia- che ha nella libertà uno dei principi fondativi.
Faccio mia la considerazione della redazione del Malasito: ‪#‎siamotutticharlie‬ col Dio degli altri. provate a far pubblicare una vignetta satirica su San Rocco a ‪#‎Scilla‬ da un musulmano. Non ti spareranno.. Certo..
Con questo non s'intende di certo giustificare le azioni terroristiche messe in atto col pretesto dell'offesa alla religione. La considerazione è però utile a far capire che anche in una piccola comunità come Scilla, davanti a una vignetta satirica sul Santo patrono, non tutti reagirebbero allo stesso modo, non tutti la prenderebbero bene -diciamo così- senza, per questo, essere necessariamente terroristi. Se questa considerazione la estendiamo alla comunità mondiale, dovrebbe essere facile prevedere che vi possano essere reazioni diverse e oltre misura.
Dal mio punto di vista, la questione è semplice, quanto complicata allo stesso tempo: non ignoro e cerco di non dimenticare mai la regola d'ora dell'etica della reciprocità. E' una regola filosofica, che tutte le religioni condividono:
-il cristianesimo: Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro;
-il buddismo: Non fare agli altri quel che non vuoi sia fatto a te stesso;
-l'ìIslam: Aheb li akheek ma tuhibu li nafsik -Desidera per il tuo prossimo ciò che desideri per te stesso.
Se ci pensate, l'assunto di questa regola filosofica, trasposta anche nelle religioni, non è altro che “La mia libertà finisce dove comincia la vostra”, l'affermazione di Martin Luther King che, nella pratica civile dei paesi occidentali, si esprime con tutto il sistema di leggi che regolano la nostra vita civile.
Dunque, l'azione dei terroristi non mira tanto a un obiettivo religioso -come affermano- contro chi è cristiano o di religione ebraica o buddista, quanto piuttosto a imporre una “civiltà” diversa dalla nostra. Una civiltà nella quale a comandare è un così detto “imam”, che in realtà non è altro che uno spregevole, sanguinario dittatore. E la storia insegna a che fine sono destinati i dittatori.
E' una civiltà non civile quella cui mirano i terroristi, perché nella loro idea di mondo manca un elemento fondamentale: la libertà. C'è una canzone, che da tempo mi ronza in testa, che dice:
Libertà è solo un'altra parola per nulla da perdere“
E chi non è libero, chi non ha la libertà, non ha proprio nulla da perdere, perché non ha niente, perché non è niente.
Non è un caso, infatti, se tutti i terroristi che si sono “immolati” nell'ingannevole speranza di future ricompense celesti, hanno in comune tra loro situazioni familiari e/o soggettive molto difficili. E' gente che non parla con nessuno, che sembra innocua perché si fa i fatti propri, ma che proprio per il disagio in cui vive, è un vulcano pronto ad esplodere in qualunque momento. Non hanno contatti con la società che li circonda, non hanno amici (al massimo qualche conoscente), sono, nella sostanza, come scatole vuote. E sono proprio le scatole vuote quelle che possono essere riempite più facilmente. Riempite da coloro il cui vero disegno strategico è quello di comandare, di divenire dittatori, in primo luogo della propria stessa gente, e del mondo intero. Sono gli imam estremisti, che esaltati per le loro mire di conquista e coperti dalla carica religiosa che rivestono, sono così liberi di “indottrinare”, di riempire le scatole vuote.
E la prima cosa con la quale si riempiono queste scatole vuote, è Dio, ma lo si fa in maniera distorta, così che Egli appaia come l'unico in grado di riscattare questi soggetti dalla marginalità in cui vivono, ma attraverso l'odio per gli altri, cui viene imputata la responsabilità del loro stato. Non sono certo uno psicologo, ma per chi non ha nulla, avere inculcato in mente di avere Dio dalla propria parte, per menti così fragili e influenzabili, può voler dire aver tutto, ed essere disposti a tutto per averlo, anche ad uccidere.
Matite_1Se questa è la realtà, contro queste scatole imbottite di odio, penso che non potranno mai bastare tutte le misure di sicurezza di questo mondo per prevenire atti terroristici come quelli di New York o, in ultimo, di Parigi.
Da un lato, la civiltà occidentale, non può cadere nella falsa trappola del fondamentalismo religioso. Non può, a meno che non lo voglia! Troppi sono stati -per le Torri Gemelle- e sono -a Parigi- gli elementi contraddittori o poco chiari, che hanno fatto pensare a omissioni, infiltrazioni di servizi deviati e speculazioni da parte di centri di potere il cui gioco preferito è fare la guerra, all'unico scopo di arricchirsi, non importa quanto tragicamente.
Dall'altro lato, tutti reclamano un intervento da parte della comunità islamica. Ora, da quanto ho avuto modo di vedere, gran parte della comunità islamica è inorridita tanto quanto ogni altro essere umano -terroristi esclusi- davanti a quanto accaduto a Parigi. Dunque, non è la comunità islamica -che vede la propria religione oltraggiata, distorta, vilipesa- ma le autorità religiose della comunità a dover intervenire praticamente e con urgenza.
All'interno della religione islamica non esiste un clero organizzato come nella religione cristiana, esiste però una “casta sacerdotale”, i cui membri sono in realtà giuristi che fanno anche da guida spirituale, come gli imam che sono capi di movimenti politico-religiosi.
Nella cultura occidentale, la separazione tra Stato e Chiesa è avvenuta, di fatto, solo a partire dal XIX secolo e in tempi diversi.
Sarebbe oltremodo opportuno che tale separazione fosse fatta anche all'interno dell'islam, almeno in quello sunnita, che ne costituisce la gran parte. Ma non solo. Così come non tutti possono fare i preti, credo sia naturale non tutti possono fare gli imam, a maggior ragione quando la loro figura può essere un pericoloso mix tra religione e politica. Ecco, dovrebbe esserci una migliore selezione, o un meccanismo di controllo e di verifica di chi sono i soggetti incaricati a ricoprire un ruolo così importante all'interno di intere comunità. Certo, esisteranno sempre gli estremisti, ma così come all'interno della chiesa cattolica esiste la scomunica, essa dovrebbe esistere anche nell'islam ma non soltanto per i musulmani che magari si convertono ad altre religioni, come è capitato finora. Dovrebbero essere scomunicati anche quegli imam che predicano l'odio e la violenza come mezzo per “imporre” il loro Dio, semplicemente perché odio e violenza non fanno parte dell'islam, come di nessun altra religione. Occorre dunque una riforma dell'islam, perché nessuno può difenderlo più e meglio delle autorità che ne fanno parte.
In secondo luogo, rimanendo all'interno dei confini italiani, penso che un passo importante verso la comprensione di cosa siano il cristianesimo, l'ebraismo, l'islam e il buddismo, possa essere fatto nella nostra scuola. Per esempio, al posto delle ore di religione, vedrei molto meglio delle ore dedicate alla storia delle religioni: sarebbero utili a comprenderne non solo i principi, ma anche e soprattutto come esse si sono sviluppate, evolute e trasformate nel corso della storia. Ciò aiuterebbe le future generazioni a non ripetere quanto stiamo vivendo in questo nostro sempre più strano tempo.
Mi rendo conto che quanto sopra non sia facilmente realizzabile, ma non è di certo impossibile. Dunque, dobbiamo provarci, dobbiamo provare a ricostruire quanto questi atti hanno distrutto, cioè la fiducia nel prossimo –inteso proprio come chi ci sta vicino.
Se non ci proviamo, non saremo liberi, non vivremo più e correremo il serio rischio di dover aggiornare il calendario, ricordando i giorni non per le feste o per le stagioni, ma come tragica memoria di azioni che portano solo sofferenza, lacrime, sangue, morte.