21 febbraio 2014

L’ANSCENSTORY, OVVERO: SCILLA E….I GIORNI DEL BUCO

[Ascensore.jpg]Che fine ha fatto l'ascensore?

Nessuno ne parla più, da tempo. Tutto sembra essere caduto nel buco dell'oblio. E sì, perché di buchi dobbiamo parlare, sia fisicamente che finanziariamente.

Fisicamente perché in piazza (o quel che ne rimane) l'unico segno visibile di questa opera dal costo multimilionario è appunto un buco bello grande, nascosto alla meno peggio da reti e sirenetta.

Finanziariamente perché non si sa più con quali soldi l'opera dovrà essere portata a termine, visto e considerato che la parte del finanziamento gravante sui fondi europei per € 1.944.218,23 e che avrebbe coperto quasi il 40% dei € 5.000.000 del progetto, è stato revocato da ottobre 2012.

A quasi un anno e mezzo di distanza, tutto tace. Ripercorriamo le tappe di questa sventurata opera, sulla base appunto del Decreto Dirigenziale n. 14443 del 17 Ottobre 2012, pubblicato sul B.U.R. della Regione Calabria il 7 Gennaio 2013.

Avvertenza: la storia è un po' lunga. Mettetevi comodi, non prima però di aver messo vicino a voi un bicchiere con acqua e zucchero e le pillole per il mal di testa.

L'ASCENSTORY

E' il 19 Luglio 2007, il giorno in cui tutto ebbe inizio.

La Regione Calabria e i Ministeri dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture sottoscrivono l'Accordo di Programma Quadro (APQ) con l'obiettivo di finanziare interventi di “Riqualificazione e recupero dei Centri Storici”, in attuazione di una Delibera CIPE del 2004.

Il 26 Luglio 2007 il Comune di Scilla sottoscrive con la Regione Calabria la convenzione per il finanziamento dell'intervento di “Collegamento meccanizzato tra Scilla Alta e Marina Grande”. Più che Scilla Alta, diciamo semplicemente che si tratta del quartiere San Giorgio, altrimenti si potrebbe pensare che questo ascensore dovrebbe arrivare fino a Monte Nardello (1800 mt., quello sì che è Scilla Alta).

Il finanziamento originario è di € 2.440.000, coperto interamente da fondi FAS (Fondi per le Aree Sottoutilizzate), vale a dire soldi concessi dal Governo attraverso il CIPE con la Delibera n. 20/2004 -Accelerazione della Spesa nelle Aree Urbane.

Il 31 Ottobre 2007, visto che i tempi per utilizzare i fondi stavano scadendo (dovevano essere impegnati attraverso delle obbligazioni entro il 31.12.2007), i soldini passano dalla vecchia delibera del 2004 a un'altra delibera CIPE, la n. 35/2005, denominata “Emergenze Urbane e Territoriali”. Il tutto nel solco della tradizione italiana, secondo la quale non si può fare un'opera pubblica a meno che non sia un'emergenza.

In seguito, il Comune di Scilla chiede la rimodulazione del progetto esecutivo (cioè già pronto per essere cantierizzato) per quelle che hanno chiamato “sopravvenute particolari e motivate esigenze tecniche-ambientali”.

Burocratese a parte, detto in italiano, significa che siccome la soluzione originaria di due cabine esterne con tre fermate, è stata ritenuta essere di notevole impatto ambientale, si è preferito nascondere tutto sotto terra. La qual cosa ha comportato un “incremento delle risorse necessariedi quasi il 105%, vale a dire poco più del doppio, toccando la cifra tonda di € 5.000.000. In pratica, è stato fatto un nuovo progetto.

Parafrasando una vecchia pubblicità: per realizzare un progetto più grande, ci vuole un più grande portafoglio. E questo portafoglio più grande, lo si riesce a trovare, per giunta bello pieno.

Il 22 Ottobre 2008, per una botta di fortuna o per uno strano gioco del destino (fate voi), il richiesto “incremento” viene concesso a seguito riprogrammazione dell'Accordo di Programma del 2007, attraverso un'operazione la cui architettura finanziaria è piuttosto articolata.

In breve, il finanziamento dei lavori era previsto non più utilizzando i soldi stanziati con la Delibera CIPE del 2005, ma utilizzando:

  • € 2.641.840,52 dalle economie (soldi stanziati e non spesi, o spesi in misura minore a quella prevista) generate nell'ambito dello stesso programma “Emergenze Urbane e Territoriali” del 2005;
  • € 413.941,25 dalle economie generate dal programma Accelerazione della Spesa nelle Aree Urbane del 2004;
  • € 1.944.218,23 dai Fondi POR Calabria 2000/2006 Asse V Città.

I primi due sono finanziamenti provenienti da programmi del Governo italiano; il terzo proviene dalla Comunità Europea attraverso la Regione.

Il 27 Ottobre 2008 (appena cinque giorni dopo!), con inconsueta celerità la Giunta della Regione Calabria approva la riprogrammazione dei fondi.

il 31 Dicembre 2008 la Regione Calabria, ha deliberato l'impegno di spesa relativo alla quota gravante sui Fondi POR, cioè soldi di cui bisogna render conto a Bruxelles (€ 1.944.218,23).

Un vero e proprio regalo di fine anno, che avrebbe dovuto essere sfruttato meglio. Vediamo perché.

Il 6 Marzo 2009, a nuovo finanziamento oramai assicurato, di € 5.000.000 (forza ch'u porcu è ddintra!), il Comune di Scilla e la Regione Calabria sottoscrivono ufficialmente una nuova convenzione (che sostituisce ovviamente la prima) per regolare la realizzazione del progetto “rimodulato” (ma sarebbe meglio dire “rifatto”).

Il 4 Agosto 2009 la Regione manda al Comune di Scilla € 1.000.000 tondo tondo, pari al 50% del finanziamento relativo ai fondi POR europei. A dire il vero, rispetto al 50% matematico, ci sono quasi € 27.900 in più. I bon pisu, cu saluti nostra!

Lieti della bella notizia, si festeggia Sant'à Rroccu. A settembri si ndi parra.

Il 24 Settembre 2009, tornati dalle ferie, debitamente rintemprati, c'è la formale consegna dei lavori, la cui fine è, anzi era prevista per il 5 Febbraio 2011. Durata: 500 giorni. Di giorni ne sono passati -a oggi- 1.112 in più, pari a tre anni e diciassette giorni.

Il tempo di portare in loco uomini e mezzi e poco più di due mesi dopo, il 27 Novembre 2009 i giornali possono titolare: “AL VIA I LAVORI”

E qui cominciano le dolenti note, ovvero i duluri 'i panza.

Ma non basta 'a calamiddha. Munitevi di analgesico e per precauzione tenete a portata di mano nu bacili, in caso di improvvisi movimenti di viscere.

Scrive la Regione: “Nonostante i vari solleciti di richiesta di rendicontazione dell'anticipazione della quota [il 50% dei fondi europei -n.d.r.)....il Comune di Scilla non ha provveduto a inviare la suddetta rendicontazione.”

Il 14 Febbraio 2012, a 873 giorni (quasi due anni e cinque mesi) dalla consegna dei lavori, e un anno dopo la data prevista per la loro ultimazione, visto che il Comune non ci sente, la Regione, o meglio un funzionario evidentemente innamorato e speranzoso nella sirata, piglia tempo e, sempre a norma di legge fa recapitare a Scilla un preavviso di procedimento “nel quale si comunica il disimpegno delle somme per non aver adempiuto [nel testo del decreto è scritto “adempito”, ahi! –n.d.r.] a trasmettere la documentazione contabile entro i termini prefissati”.

In sostanza, il Comune di Scilla avrebbe dovuto provare l'esecuzione dei lavori e rendere conto dell'utilizzo dei soldini ricevuti due anni e mezzo prima da Babbo Natale Europa. Non l'ha fatto.

Messo alle strette il Comune risponde. Eccome se risponde! Sintiti! Sintiti!

Il 6 Marzo 2012, a quasi un mese dalla “cazziata” regionale (c'è tempu!), il Comune presenta una rendicontazione parziale per un importo pari a € 137.671,38.

No, non hanno sbagliato a mettere il punto o la virgola: Euro centotrentasettemilaseicentosettantuno/38.

Pari al 13,77% scarso del contributo ricevuto!

Non ci sono altre comunicazioni, Scilla non dà più segni di vita.

Stando a una circolare del 01.08.2012 relativa all'utilizzazione di fondi POR Calabria 2000/2006 per il completamento di progetti, alla data del 30 Settembre 2012 -cioè a lavori che dovevano essere chiusi da almeno un anno e sette mesi buoni- il Comune avrebbe dovuto rendicontare l'80% dell'anticipazione ricevuta, l'ultimazione con relativi collaudo e certificato di regolare esecuzione per il completamento dell'opera o di un lotto funzionale.

Niente di tutto questo: “Il Comune di Scilla non è in condizioni di rendicontare....a causa degli evidenti ritardi di realizzazione dell'opera.”

Alla Regione non resta che prendere atto di tale incapacità. E le conseguenze sono pesantissime. In breve:

  1. Viene disconosciuta la somma rendicontata di € 137.671,38;
  2. La somma residua, pari a € 944.218,23, per convenzione non può più essere utilizzata per ulteriori stati d'avanzamento dei lavori, a causa di una rendicontazione inadeguata. Pertanto tale somma viene disimpegnata dal progetto di Scilla e utilizzata per il finanziamento di altre iniziative;
  3. Vengono pertanto revocati sia € 1.000.000 già concesso, sia i restanti € 944.218,23 della quota derivante dai fondi POR;
  4. La quota di € 2.641.840,52 che era stata assegnata nell'ambito del programma “Emergenze Urbane e Territoriali” del 2005, è stata ridotta a € 1.000.000, il che ha comportato la conseguente rimodulazione del quadro finanziario del progetto.

In conclusione, perciò, allo stato attuale il progetto può ancora contare su un finanziamento confermato di € 1.000.000, in quanto la quota del finanziamento previsto dalle economie generate dal programma Accelerazione della Spesa nelle Aree Urbane del 2004 (€ 413.941,25), non risulta essere stata confermata.

Come dite? Che fine ha fatto il milione di Euro che ci avevano regalato a fine anno del 2008? Nessuno è riuscito a scoprirlo, almeno non ufficialmente.

Per quanto riguarda la restante parte del contributo europeo (€ 944.218,23), la Regione la sta attualmente ripartendo tra i comuni (e non ci risulta che Scilla sia fra questi), per favorire la redazione dei piani strutturali (i nuovi Piani regolatore), che avrebbero dovuto essere realizzati almeno un decennio fa.

Riassumendo: un progetto per il quale all'inizio si dovevano spendere € 2.440.000, con motivazioni improbabili è stato fatto lievitare fino a € 5.000.000 ma “...a causa degli evidenti ritardi di realizzazione dell'opera” oggi potrà essere fatto potendo contare solo su € 1.000.000.

Possibili soluzioni:

  1. Si trovano i € 4.000.000 che mancano e si completa il progetto avviato (ma solo contando la rivalutazione sarebbero già € 4.500.000);
  2. Si trovano € 1.440.000 che mancano (ma ne serviranno almeno € 1.700.000 visto che son passati quasi sette anni), si tappa il buco e si realizza il progetto originario;
  3. Non si trovano i soldi necessari per l'ascensore ma si dovranno trovare quelli necessari a tappare almeno il buco in piazza e nascondere quella che è una vera e propria vergogna.

Altre notizie ufficiali non ne abbiamo. Se qualcuno sa qualcosa in più (escluse le voci di piazza), è pregato di aggiornarci.

A noi, per ora, non resta che contare i giorni del buco: 1609....

16 febbraio 2014

HAPPY DAYS

 

La Calabria (e l’Italia intera ormai), si sa, è la terra dove per uno che lavora ce ne sono almeno cinque che guardano. E mentre guardano, non possono sottrarsi dal dovere di critica. Così, dall'alto del loro sapere: <<Ah, ma se inveci mi fa' cusì, facivi i chist'atra manera....>> <<No, sbagghiasti...Se facivi cusì comu dicu ieu era megghiu!>> e via di questo passo.
Al che, il povero cristo che cerca di sforzarsi di concludere qualcosa, giunto al limite dell'esasperazione, si rivolge al più alto in grado dei sapientoni di turno ed esclama:

<<Scindi e falla tu!>>.

Qualcosa di simile è capitato l'altro giorno tra Letta e Renzi, ma al contrario.
Siccome il lavoro di Letta pareva non procedere per come doveva, il neosegretario del PD ha pensato bene di correre ai ripari. Non si è limitato a disincagliarlo dalle sabbie mobili della palude in cui -volente o nolente- il buon Enrico si era cacciato, l'ha proprio tirato fuori di peso, esclamando:

<<Cacciti 'i ddhocu, 'nchianu (a Palazzo Chigi) e 'a fazzu ieu! (la riforma)!>>

Così che da domani, Renzi il bullo, il pie' veloce, Renzi detto Renzie, come Fonzie, avrà affidate le redini di quest'asino stanco che sembra il nostro Paese, che s'è quasi intestardito -secondo Renzi- a non voler andare avanti.
Se l'intento è più che lodevole, i modi in cui il ricambio è avvenuto e le incognite cui il fiorentino va incontro, lasciano più di qualche perplessità.
Partiamo dal documento approvato dalla Direzione del PD, che ha dato il via libera definitivo al giovane rottamatore:

«La Direzione – è scritto nel testo – del Partito democratico– esaminata la situazione politica e i recenti sviluppi, ringrazia il presidente del consiglio Enrico Letta per il notevole lavoro svolto alla guida del governo» 

Non lo ringrazia, significativamente, per essersi fatto da parte, a dimostrazione del fatto che è il suo stesso partito ad averlo fatto fuori.

«Rileva la necessità e l'urgenza di aprire una fase nuova, con un nuovo esecutivo che abbia la forza politica per affrontare i problemi del paese con un orizzonte di legislatura, da condividere con la attuale coalizione di governo»

Ma se la coalizione di governo è quella attuale, cioè la stessa di quella cui si appoggiava Letta, i rapporti di forza non cambiano. Non cambiano nemmeno i veti e le resistenze incontrate da Letta all'interno del suo stesso Governo.

« Invita gli organismi dirigenti, legittimati dal Congresso appena svolto, ad assumersi tutte le responsabilità di fronte alla situazione che si è determinata per consentire all’Italia di affrontare la crisi istituzionale, sociale ed economica, portando a compimento il cammino delle riforme avviato con la nuova legge elettorale e le proposte di riforma costituzionale riguardanti il Titolo V e la trasformazione del senato della Repubblica e mettendo in campo un programma di profonde riforme economiche e sociali necessarie alla promozione di sviluppo, crescita e lavoro per il nostro paese».

In pratica: fate fare a Renzi quello che Renzi non ha fatto fare a Letta. Se non erro, è lo stesso programma enunciato da Letta poco meno di un anno fa. Programma che gli stessi nuovi organismi dirigenti del PD hanno brutalmente interrotto.

La domanda che tutti si fanno è: perché Renzi dovrebbe riuscire lì dove Letta ha fallito?
Guardandola da dentro il PD, il perché è presto detto: Renzi ha dalla sua parte la maggioranza del partito, cosa che Letta non aveva. E qui casca l'asino PD. Perché se è vero che Renzi è divenuto segretario e che perciò è chiamato a dettare la politica del partito, è altrettanto vero che Letta -pur nella minoranza- è sempre un uomo del PD e perciò deve condividere tale politica, estrinsecata nel programma “Impegno Italia”.
E' stato detto che letta abbia “copiato” dal “Jobs Act” (che nome orribile! sono dei punti programmatici, non una legge approvata dal Congresso degli Stati Uniti!). E' naturale che sia così, se Letta fa parte dello stesso partito di Renzi! Il segretario detta il programma, chi è nel PD –a maggior ragione se chiamato a ruoli istituzionali- prende nota ed esegue.

In verità, se l'attuazione del programma previsto ha incontrato difficoltà e resistenze, credo che ciò non sia imputabile a Letta (e non per difenderlo). Non è facile fare l'equilibrista tra i millemila veti e distinguo cui è stato sottoposto dagli “alleati” di uno strano governo da emergenza nazionale. Ci riuscirà Renzi con il suo caratere “fumantino”? Ho molti dubbi.
Renzi si è liberato dell'ex vicesegretario del suo partito e di altri della minoranza a colpi di “Chi?”. Un modo che –nella sostanza- non mi risulta essere molto diverso da quello di Grillo con i suoi adepti, o dell'assolutismo berlusconiano.
Tale comportamento, mi ha richiamato alla mente il passaggio di una lettera:

« Mi sono convinto che quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all'opera, ricominciando dall'inizio. Mi sono convinto che bisogna sempre contare solo su se stessi e sulle proprie forze; non attendersi niente da nessuno e quindi non procurarsi delusioni. Che occorre proporsi di fare solo ciò che si sa e si può fare e andare per la propria via.»

Così scriveva Antonio Gramsci il 12 Settembre 1927, imprigionato in carcere dal regime fascista solo per le sue idee politiche.
Voglio fantasticare che Renzi, (anche se so che non ne ha avuto il tempo, impegnato a correre com’è) più che ai metodi berluscon-grilleschi abbia fatto riferimento al libero pensatore Gramsci, per trovare la forza per provare ad uscire dalle gabbie in cui il potere stesso racchiude sia chi lo detiene, sia il Paese intero.
Dalla sua Renzi ha il fattore novità, la spinta e l'energia che il nuovo porta con sé: scupa nova faci rumuru.
Dall'altra parte, a sostenerlo ci dovrebbe essere un partito che però ha dimostrato non essere tale, visto e considerato che sono prevalse le differenziazioni interne invece che l'idea comune che dovrebbe sostenere il partito stesso, ritrovatosi con un presidente (Cuperlo) che ha dato le dimissioni dopo pochi giorni, perché in disaccordo col nuovo segretario che lo aveva sconfitto, e con un Presidente del Consiglio scaricato in malo modo (risparmiandogli, per motivi “tattici” l'umiliazione di vedersi sfiduciato in parlamento).
E in tutto questo marasma il PD che fa? Continua nel suo sport preferito: le primarie all'americana, a ogni livello (nazionale, regionale, provinciale). Sulla carta uno strumento di democrazia, in pratica un metodo per raccogliere fondi.

Si è fatto tutto di fretta, sembra perché si vuole approfittare della congiuntura favorevole dei mercati, con lo spread tra Italia-Germania ai minimi storici dall'inizio della crisi. E se questo è capitato, non è solo per la “congiuntura europea”, ma anche (pur in parte minore), per i provvedimenti adottati prima da Monti e poi da Letta. E quando ci ricapita? Perciò Mario Draghi consiglia: o ora, o mai più!
Il rischio è grande, perché si sa che 'a iatta presciarola faci i iattareddhi orbi. Ma tant'è.
Così, per la famosa legge del non c'è due senza tre, ci ritroviamo col terzo autista (dopo Monti e Letta) del pullman Italia, con la stessa destinazione, ancora lontana: le riforme.
Nel frattempo il Paese resta fermo all'autogrill. Qualcuno ha preferito andarsene per un altra strada, anche a piedi o in autostop. Degli altri, rimasti ad attendere, in molti sono corsi in bagno, a vomitare.

Si tenterà di farle davvero arrivando fino al 2018? Questo è l'auspicio di Renzi-Fonzie, che si appresta a salire a Palazzo Chigi con l'ottimismo del bullo anni '50 di Happy Days –che, tra l’altro, festeggia i quarant’anni dalla prima messa in onda (Renzi, come me, ne ricorderà l’attesa di ogni puntata, ogni sera alle 19)- cantando:

 

Sunday, Monday, Happy Days.
Tuesday, Wednesday, Happy Days.
Thursday, Friday, Happy Days.
The weekend comes,
My cycle hums,
Ready to race to you.

These days are all,
Happy and Free. (Those Happy Days)...

09 febbraio 2014

REGGIO, CH’I PERI A’ FOSSA

 

E’ tempo di Olimpiadi invernali, forse per questo, a Reggio, m’è tornato in mente quel grande campione che fu Alberto Tomba.
Ricordo ancora i suoi splendidi slalom e non è strano che mi torni in mente mentre, in macchina, vado dalla periferia al centro, in slalom.
Sì, pure io slalomeggio, non per sport ma per necessità; non su una pista innevata, ma su strade d'asfalto (o almeno ne ha le sembianze), dove al posto delle bandierine alternate di Tomba, blu e rosse, ci sono: sacchetti della spazzatura rotolati via dopo aver perso la lotta contro l'angolo di natural declivio della maleodorante montagna che li ospitava, e fosse (da non confondere con le buche, quelle sono sui campi da golf, e qui non ne abbiamo).
Alla fine arrivo in centro, parcheggio, pago (sì, ancora 'n cacchi fissa c'è) e così come Tomba al traguardo guardava il tabellone per controllare il suo tempo, allo stesso modo alzo gli occhi verso l'orologio del Comune, per controllare quanto ci ho messo a percorrere due chilometri scarsi: solo sette minuti. Ancora in tempo per l'ultimo ufficio.
E' l'Agenzia delle Entrate, l'ufficio più amato dagli italiani; quello dove conoscono vita, miracoli e soprattutto morte (visti i tempi) delle nostre tasche. Per controllarle usano un programma che hanno chiamato SER.P.I.CO (Servizi Per Il Contribuente), come il famoso poliziotto degli anni '70. Che simpatici burloni!
E a proposito di simpatia, entrare là dentro non è una cosa tanto simpatica, ma non certo per colpa di chi ci lavora, che, anzi, è estremamente disponibile a rendere l'atmosfera più leggera. E come la Vecchia Romagna -il brandy che crea un'atmosfera (v'u ricurdati?)- quasi quasi finisce col piacerti, se non fosse che ogni volta che entri, sai già che ne uscirai più leggero, con le tasche più leggere. E in quest'aria di leggerezza che ti pervade, cerchi di trovare il lato positivo: pensi che essendo più leggero, la macchina dovrà vincere meno attrito nel viaggio di ritorno verso Scilla, così almeno arriverai a casa prima.
Poi torni serio, e dopo che t'è passata l'arrabbiatura contro lo Stato-idrovora numismatica, pensi: beh, in fondo ho fatto il mio dovere di cittadino. Ho pagato le tasse per avere servizi più efficienti, strade che non siano “vie Emmenthal” e senza sacchetti della spazzatura a far le veci delle bandierine di Tomba.
E' un lampo. Solo pochi secondi, giusto il tempo di scendere, leggero, due rampe di scale. Diciotto gradini, di cui gli ultimi tre più stretti, un invito a raggiungere più velocemente l'uscita dopo che ti hanno svuotato: va-tin-di!
I buoni propositi di cittadino-modello svaniscono appena torno in strada. Sì, perché non è una strada qualunque. E' il Corso Garibaldi, la via principale, la Main Street di questo nostro estremo Sud calabro.
fossa RCVolgi appena lo sguardo a sinistra e scopri che anche qui l'asfalto non è uniforme, il Signor Emmenthal è di casa anche qui. Ma non è una fossa qualunque: lo strato d'asfalto -dello spessore di poco più di una decina di centimetri- sembra esser stato rintagliato con cura dalle sapienti mani di un esperto sarto. Hanno grattato via i segni del tempo recente, tanto che si vede il livello originario della strada e vi è ancora impresso il disegno della pavimentazione più antica. Pensi: avranno iniziato anche qui gli scavi archeologici?
D'altra parte, Piazza Italia è lì, solo 150 metri più avanti c'è il Palazzo Comunale. Un brivido freddo mi percorre: sappiamo bene quanto ci hanno impiegato a completare gli scavi in quel sito.
Voglia di tornare all'antico? Beh, forse non sarebbe poi tanto male, visto che la realtà reggina di questi ultimi anni non ha offerto esempi molto edificanti. E il ritaglio del sarto fatto proprio lì, sotto gli occhi del Palazzo Comunale ne è l'emblema: Rriggiu è ch'i peri a' fossa, e di occhi per vederla dal Palazzo comunale non ce ne sono.
A proposito di “opere sartoriali”, il pensiero torna a un altro tratto di Corso Garibaldi che negli anni scorsi si è pensato di rimodernare con una nuova pavimentazione. E' stato un esperimento, per saggiare il gradimento da parte dei reggini. Gradimento che, in verità, all'inizio c'è pure stato, salvo poi trasformarsi nell'ennesima esasperazione, visto e considerato che quello che doveva essere il primo tratto della nuova pavimentazione, ha finito col trasformarsi in quella che i nostri nonni chiamavano “pronta” -visto che parliamo di sartoria- come un saggio di stoffa il cui unico scopo è stato quello di fungere da metro di paragone. Fatto sta che dopo anni, quella “pronta” si è trasformata in una vera e propria toppa. Della nuova stoffa, non si è vista nemmeno l'ombra.
Insomma, il Corso Garibaldi, il salotto di Reggio, il luogo deputato a dar sfogo a umori e (soprattutto) malumori della cittadinanza, la strada dove  è possibile incrociare tutti gli esemplari della variegata umanità di cui la popolazione reggina si compone, è lì: strappato, martoriato, consumato. Con le toppe, come le tute blu con le due righine bianche che usavamo da bambini tutti i giorni, per giocare per strada d'inverno.
E in questo lungo inverno di Reggio, il Corso Garibaldi appare spento, freddo. Non senti più i pensionati commentare con passione le vicende politiche o le sedute del Consiglio Comunale.
Il Corso, è lungo e spoglio, come l'inverno. Nessuno sembra aver voglia di parlare, come i gruppi di punkabbestia che punteggiano gli isolati: ragazzi che giocano a fare i duri, ma se li guardi negli occhi, ti si avvicinano timidi a chiedere qualche spicciolo per un panino, da dividere con i loro cani, e ti ringraziano con un sorriso, senza parlare. Preferiscono dare il loro affetto ai cani, con gli altri non comunicano, solo coi cani. E Reggio è diventata una città che non comunica, disaffezionata alla politica, al confronto. Reggio è ridotta peggio dei cani dei punkabbestia.
Una strada, la prima strada della città, ne è la sua più perfetta rappresentazione.
Anche nella casa più malridotta c'è sempre una stanza meglio delle altre. Di solito è la più grande, quella meglio esposta, più panoramica. E' li che si passano le giornate, è li che si vive, si parla, si ricevono gli ospiti.
Reggio oggi è come una casa che non ha una stanza che sia migliore delle altre, meno peggio delle altre. E si vede.
Ma poi arriva la sera, il buio copre ogni cosa. Il buio 'mmuccia 'i virgogni.
E la città, distratta, prende un refolo fiato, ripopola la piazza.
A Piazza Italia, per una sera, la gente cerca di stringersi più vicina che può. Non sai se è per la reale necessità di scaldarsi contro il freddo della sera d'inverno, o per l'illusione di scaldarsi il cuore con parole che sono un appiglio nel nulla, fuochi fatui, bampugghi, scintille già viste.
<<Ora basta! La città deve ripartire!>>
E in piazza la gente batte le mani. Ancora una volta non sai se è per combattere il freddo o perché ha troppa voglia, direi troppa necessità, di trovare un simbolo da osannare.
Così, batte le mani osannante e dimentica di chi la città l'ha fatta fermare, l'ha ridotta come la sua via principale: una serie di toppe, rappezzata alla meno peggio.
L'applauso, prolungato in sfida al dissenso che si ode poco lontano, si spegne -insieme al dissenso- nel buio della notte.
E' di nuovo giorno, l'illusione di una sera è svanita ancora una volta, e le “opere sartoriali” del Corso Garibaldi ne sono dolorosa memoria.
Ora basta! La città deve ripartire!
Ma non riesco a capire come si possa pensare che a rimetterla in moto possa essere lo stesso autista –o aiuto-autista, fa poca differenza- che nell'illusione di portarla in alto, ha finito col porre le condizioni perché chi ci vive sprofondasse, come chi passeggia sul Corso Garibaldi, ch'i peri a' fossa.
E' di nuovo giorno, ma è un giorno d’inverno, senza sole e freddo, come il cuore dei reggini: a scaldarlo non bastano più le solite scintille.

02 febbraio 2014

LA VOCE FUORI CAMPO

Ma che film la vita” cantavano i Nomadi. Sì, la vita è un film di cui non siamo i registi. A ognuno è assegnata una parte specifica, anche se a molti di parti piace recitarne più d’una, non perché sia di bravura polivalente, ma solo per convenienza.

C’è chi è nato per fare l’attore protagonista; chi per fare l’attore non-protagonista; c’è chi è nato pe fare il caratterista, chi, invece, la semplice comparsa. Tutti hanno un ruolo, un copione da recitare e da rispettare (anche se a volte qualcuno crede di poterlo fare ‘a soggetto’). Tappe standard da affrontare, chi più, chi meno velocemente. Tappe che tutte insieme costituiscono il giro della vita, la trama del film di cui sono parte, dove la fine coincide con l’inizio.

Ma c’è chi nel film appare e scompare, una luce che si accende solo quando serve, poi si spegne, anonima.

E’ la voce fuori campo, la didascalia, quella che descrive il film degli altri: ne scandisce i passaggi, le tappe; ne esalta le caratteristiche; ne sottolinea i momenti importanti. La voce fuori campo si sente poco; la didascalia si vede un attimo, molte volte la si vede ma non la si guarda oppure, nel migliore dei casi, la si legge distrattamente e quasi mai fino alla fine.

Nessuno, seguendo la trama del film, si chiede mai che fine abbia fatto, di che vita viva la didascalia, la voce fuori campo. Nessuno si chiede se quella scritta, quella voce, in realtà abbia una vita propria o semplicemente vive perché a vivere davvero sono i personaggi che descrive, che racconta.

Me lo sono chiesto. Me lo chiedo, e la risposta credo di conoscerla.