09 giugno 2018

L'ISTRUZIONE, SPERANZA DEL POPOLO NEGLETTO




Seguo da giorni la vicenda della “Scuola di gomme” di Khan Al Ahmar, piccolo villaggio beduino in Palestina.
Costruita da una ong italiana, Vento di Terra, con una tecnica semplice quanto innovativa (vecchi copertoni, mascherati con la terra del deserto), tra pochi giorni potrebbe non esistere più perché le autorità israeliane ne hanno decretato la demolizione.


Il motivo? Quello ufficiale è perché la scuola è stata costruita abusivamente, in una zona che gli israeliani hanno deciso essere di espansione delle loro colonie.
La realtà, taciuta, è che una scuola di bimbi palestinesi fa paura agli israeliani. Per capire perché, riporto di seguito tre citazioni.
Le fondamenta di ogni stato sono l'istruzione dei suoi giovani.” –affermò Diogene Laerzio, detto Diogene il Cinico , filosofo greco vissuto tra il 390 e il 323 a.C.
A 2300 anni di distanza, il grande giurista italiano Piero Calamandrei, testimone e protagonista dell’evoluzione politica italiana che ha portato all’attuale nostra repubblica,  affermava: Trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere.
Ma prima che cittadini, siamo tutti uomini, donne, persone. E riguardo la persona e la sua crescita, Nelson Mandela –grande uomo politico, che a costo della propria libertà, ha combattuto per portare il Sudafrica a divenire una democrazia compiuta ed è riconosciuto come padre fondatore dello stato sudafricano- affermava: “L'istruzione è il grande motore dello sviluppo personale. È attraverso l'istruzione che la figlia di un contadino può diventare medico, che il figlio di un minatore può diventare dirigente della miniera, che il figlio di un bracciante può diventare presidente di una grande nazione.”


Dunque, queste tre citazioni riassumono in poche parole cosa significa, in realtà, avere la possibilità di frequentare una scuola, di ricevere un’istruzione.
Significa diventare uomini e donne, divenire persone capaci di svolgere un servizio alla comunità cui si appartiene. Significa poter contribuire a trasformare una persona in un cittadino, cioè in un individuo che ha diritti e doveri e, per questo, che sia parte fondamentale di uno stato, riconosciuto dalle altre comunità internazionali.
Ora, i palestinesi uno stato non ce l’hanno, perché non hanno un ordinamento giuridico completo e, soprattutto, un territorio unitario, in quanto smembrato dalle colonie dagli israeliani.

Gli israeliani, sì, che per la grandissima parte ebrei che si definiscono “popolo eletto”, cioè coloro che credono di essere stati scelti per far parte di un'alleanza con Dio.
E facendosi ignobilmente “scudo” di questa presunta scelta divina, in soli settant’anni, si sono arrogati il potere di annientare i palestinesi, il loro essere comunità e, quindi, stato.
Così, i palestinesi sono stati ridotti ad essere oggi il “popolo negletto”, ovvero un popolo che dev’essere trascurato, non preso in considerazione, che deve essere abbandonato da tutti, perfino dagli altri paesi arabi succubi dello strapotere economico saudita.
Ed il modo più efficace per farlo, dopo averne disgregato l’unità territoriale (con tutte le conseguenze economiche che ciò ha comportato), è quello di togliere loro un altro pilastro fondamentale: l’istruzione.
Chiunque abbia un minimo di obiettività, al netto di estremismi, non può negare tale evidenza, davanti alla quale non si può rimanere con le mani in mano.
Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne. Sono le nostre armi più potenti.”
Ha affermato Malala Yousafzai, la bambina pakistana che incarna il simbolo della difesa del diritto allo studio per le bambine e i bambini di tutto il mondo. Ecco, prendiamo la penna e scriviamo tutti insieme ha chi può influire –perché chiamato dal proprio ruolo istituzionale nell’ambito della comunità internazionale- a mettere un freno all’ennesimo sopruso messo in atto dal “popolo eletto” contro i negletti bambini palestinesi.

Per farlo nel modo migliore, basta un semplice click per firmare la petizione Salviamo la piccola “Scuola di gomme” in Palestina!, già sottoscritta, nel momento in cui scriviamo queste righe, da oltre centoventimila persone di tutto il mondo. 
Potremo contribuire, così, a dare ai bambini palestinesi la speranza di non essere più considerati parte di un popolo negletto, la speranza di continuare a frequentare la loro scuola, quella che è sicuramente la loro arma più potente.

P.S.: immagine tratta da http://www.ventoditerra.org/

02 giugno 2018

IL 2 GIUGNO, LA FESTA DEL TRICOLORE

Dimentichiamoci delle turbolenze dialettiche dei giorni appena trascorsi, ritroviamo un po' del nostro orgoglio, troppo a lungo sopito.
 Oggi è la festa degli italiani, non in quanto nazione -cioè gruppo di persone che sono coscienti di avere comuni origine, lingua e storia- ma in quanto parte essenziale dello Stato italiano, cioè di un'entità politica sovrana, regolata da un ordinamento giuridico formato da istituzioni e leggi.

 E' stato bello, oggi, avere la percezione visiva di cosa vuol dire essere parte di uno Stato repubblicano, cioè cosa di tutti.
Alla parata militare ai Fori Imperiali, ne erano presenti o rappresentate tutte le componenti.
C'era il popolo, gioioso e festante; il neonato Governo e i sindaci, chiamati ad amministrarlo; le forze armate, chiamate a difenderlo; il Presidente della Repubblica, che ha l'onere e l'onore di rappresentarlo nella sua unità. E poi c'era l'elemento unificante, che sta al di sopra di tutti: la bandiera tricolore.
Non è 'na pezza che si sventola per gioco o per fare scena. E' il simbolo di ciò che siamo stati e di ciò che siamo. E oggi l'abbiamo festeggiato.
Una signora, intervistata in tv, ne ha descritto in maniera efficace i colori: c'è il verde delle nostre pianure, il bianco della neve delle nostre montagne e il rosso, del sangue di chi questo Stato l'ha difeso a costo della propria vita.
Due sono stati i momenti più significativi che mi piace ricordare.
Un paracadutista della Brigata Folgore ha portato al centro del viale, atterrando di fronte al Presidentedella Repubblica, un enorme tricolore (400 mq). L'ho visto come il segno della libertà, che a noi nati dopo l'ultima guerra, è stata regalata come pioggia dal cielo, un regalo prezioso che dobbiamo essere capaci di custodire con la massima cura e attenzione, proprio come ha fatto il paracadutista durante la sua discesa a terra. Ma, una volta a terra, quel tricolore è stato dispiegato con l'aiuto di uomini e donne, rappresentanti di tutti i corpi e delle forze armate, ed ha cominciato a muoversi, mosso dal vento, portato quasi a spalla lungo il percorso. Ecco, la nostra libertà, come il tricolore, non deve rimanere soltanto una parola, seppur preziosa, tenuta come un gioiello, ma deve potersi muovere, evolversi, per il giusto riconoscimento dei diritti e nei giusti limiti dei doveri. Il nostro essere cittadini italiani, significa essere noi la prima istituzione dello Stato, facendoci carico ognuno delle proprie responsabilità, con la nostra intelligenza, il nostro lavoro, il nostro sacrificio, con tutte le nostre forze.
Il secondo momento, è stato quello finale: la consegna al Presidente della Repubblica, da parte di un gruppo di bambine, di un tricolore lavorato a mano da loro insieme alle loro nonne. Il segno della presenza forte e insostituibile delle donne nella nostra società e, in maniera più figurata, della continuità di questo impegno da cittadini nel tempo. Passano gli anni, passano le generazioni, ma rimane lei, la bandiera, a ricordarci che l'impegno e il sacrificio sono elementi essenziali per continuare a meritare e garantire la nostra libertà. Viva l'Italia! 

N.B.: foto tratta da http://www.tgcom24.mediaset.it