24 febbraio 2011

C’ERA UNA VOLTA IN AMERICA…

La Little Italy di New York, più Little ogni anno

-di Sam Roberts (tratto dal New York Times del 21.2.2011)

Little Italy  Quello che segue è un ampio stralcio di un lungo articolo firmato da Sam Roberts che il New York Times ha dedicato a Little Italy, lo storico quartiere italiano di New York.

Tante cose sono cambiate, ma rimangono ancora forti negli Italo-Americani il richiamo alla tradizione e una grande forza, Una forza che viene dalle proprie radici, ancora profondamente italiane.

Nel 1950, quasi metà degli oltre 10,000 Newyorchesi che vivono nel cuore di Little Italy si identificavano come Italo-Americani. Le strade strette brulicavano di bambini e risuonavano di melodici scambi in italiano tra gli uno su cinque residenti nati in Italia e i loro vicini di seconda e terza generazione.

Dal 2000, il censimento ha riscontrato che la popolazione Italo-Americana era diminuita al 6 percento. Solo 44 erano native Italiani, rispetto ai 2.149 di mezzo secolo prima.

Un sondaggio censuario pubblicato a Dicembre ha determinato che la proporzione di Italo-Americani tra gli 8.600 residenti nella stessa area di Lower Manhattan si era ridotto a circa il 5 percento.

E, incredibilmente, il censimento non è riuscito a trovare un solo residente che fosse nato in Italia.

La Little Italy che una volta era il cuore della vita Italo-Americana nella città esiste in gran parte come un ricordo nostalgico o nelle menti dei turisti che ancora ne fanno un posto da dover visitare nel loro itinerario a New York.

Il vecchio Ravenite social club della famiglia criminale dei Gambino al 247 della Mulberry è ora una boutique di borse e calzature. Di recente nel 2005, Vincent Gigante, il boss settantasettenne della famiglia criminale dei Genovese, vagò per il quartiere in accappatoio e pantofole fingendo di avere una malattia mentale per evitare il processo. Il mese scorso, più di 100 presunti membri di famiglie malavitose sono stati incriminati per reati federali; nessuno viveva a Little Italy.

Lo scorso anno, il National Park Service ha designato il Distretto Storico di Chinatown e Little Italy senza alcuna distinzione geografica tra i quartieri. I due quartieri hanno cominciato a organizzare un Marco Polo Day e una sfilata di Natale l’Est incontra l’Ovest.

Presto il Comune cancellerà ulteriormente i confini.

Seguendo l’esempio di tre uffici locali della comunità, la Commissione per la Pianificazione della Città approverà a Marzo la creazione di un Distretto per l’Incremento del Commercio di Chinatown, che ingloberà quasi tutto quel paradiso che una volta … aveva la più grande concentrazione di immigrati Italiani degli Stati Uniti.

“Adesso è davvero tutta Chinatown,” dice John A. Zaccaro Sr.,titolare della società immobiliare Little Italy, fondata da suo padre nel 1935.

Anche la Festa di San Gennaro che ancora raccoglie folle gigantesche a Mulberry Street, potrà essere in formato ridotto su richiesta dei disturbati commercianti di Nord Little Italy.

Il numero di residenti di discendenza Italiana nel quartiere ha cominciato a diminuire a partire dagli anni ‘60, quando l’immigrazione dall’Italia rifluì e gli Italo-Americani si arricchirono e si trasferirono in altre parti della città e nei sobborghi.

“Quando gli Italiani hanno fatto soldi si sono trasferiti al Queens e in New Jersey, hanno venduto ai cinesi, che adesso stanno vendendo a Vietnamiti e Malesi,” dice Ernest Lepore, 46, che, con suo padre e sua madre, è proprietario di Ferrara, un caffè-pasticceria che la sua famiglia aprì 119 anni fa.

Ancora, circa 30 bambini Italo-Americani nati nel quartiere vengono battezzati ogni anno nella Chiesa del Più Prezioso Sangue in Baxter Street. E alcuni residenti si aggrappano a un quartiere che è ricco di storia e cultura.

Degli 8,600 residenti contati dal censimento dell’American Community Survey nel cuore di Little Italy nel 2009, quasi 4,400 erano nati all’estero. Di questi, l’89 percento è nato in Asia. Nel 2009, un immigrato Coreano ha vinto un concorso per tenori sponsorizzato dall’Associazione Commercianti di Little Italy. Quello stesso anno, un’immigrata Cinese, Margaret S. Chin, è stata eletta a rappresentare il distretto nel Consiglio Comunale.

La Sig.ra Chin ha giocato un ruolo chiave nel galvanizzare le diverse fazioni per creare il distretto per l’incremento del commercio, che raggiunge il nord da Chinatown con due bracci che affiancano Mulberry Street e piegano ad arco verso di essa dalla metà di due strade parallele, Baxter e Mott.

“Abbiamo optato fuori” dal distretto, ha affermato Ralph Tramontana, presidente del gruppo di commercianti di Little Italy e proprietario del Sambuca’s Café. “Non pensavamo ce ne fosse bisogno, perché attraverso l’associazione dei commercianti già facciamo quello che fa un distretto per l’incremento del commercio.”

“Ho detto agli esercenti di Chinatown,” ha detto David Louie, che ha contribuito a spingere per il quartiere, “ ‘Dovete guardare a Little Italy e seguire il loro esempio — alle 8:30 di mattina li potete vedere che lavano i marciapiedi.’ ”

Pulizia, singolarità e bassa criminalità hanno ampliato l’appeal del quartiere, il che ha spinto in alto gli affitti.

Un monolocale di 74 mq in un palazzo a sei piani rinnovato al 145 di Mulberry è stato pubblicizzato di recente per $4,200 al mese. I proprietari di una due camere da letto su Grand Street chiedono $1.5 milioni.

Paolucci’s, un popolare ristorante che aprì sulla Mulberry nel 1947, si è trasferito a Staten Island dopo che il proprietario nel 2005 ha aumentato l’affitto a $20,000 al mese da $3,500, dice sempre Zaccaro.

Ancora, altri punti di riferimento di Little Italy non solo sono sopravvissuti, ma sembrano essere fiorenti grazie soprattutto ai turisti e a quelli che l'autore Nicholas Pileggi ha descritto decenni orsono come “Italiani del Sabato” suburbani — i “prosperosi figli in sovrappeso di padri immigrati più magri.”

Di Palo’s, un negozio di specialità gastronomiche italiane al 200 di Grand Street, avviò l’attività nel 1903, un decennio dopo il lattiero-caeseario Alleva al 188 della Grand, che si pubblicizza come il più antico negozio di formaggi italiano della nazione e che, come Ferrara, aprì nel 1892. I membri di quinta generazione della famiglia lavorano in tutti e tre i negozi e tutti e tre vendono i loro prodotti anche via internet.

Nel 1990, ha detto Lou Di Palo, suo padre malato consegnò le chiavi alla generazione successiva.

“Abbiamo deciso che prenderemo la nostra attività e torneremo indietro — ci concentreremo sul modo in cui i nostri nonni e i nostri bisnonni hanno condotto l’attività: basati sulla famiglia, si trasmette le relazioni con i clienti,” ha detto. “Taglieremo il vostro pezzo di formaggio e affetteremo il vostro prosciutto. Siamo ancora un negozio di quartiere, ma abbiamo preso l’iniziativa per rendere il nostro negozio una destinazione.”

“E’ venuto da un negozio di immigrati a un negozio Italo-Americano concentrato sui prodotti autentici dell’Italia,” ha spiegato il Sig. Di Palo. “Non ci aspettiamo che i nostri clienti vengano ogni giorno. Un grande cliente lo vedremo una volta a settimana, un cliente molto buono lo vedremo una volta al mese. La gente mi diceva, ‘Sei ancora qui!’ E io dicevo, ‘Finché continuerete a venire, sarò qui.’ ”

15 febbraio 2011

LA GIOIA DELLA LIBERTA’

 

egitto-protesteIl popolo ha fatto dimettere il regime” –così cantavano i giovani egiziani in piazza Tahir all’annuncio delle dimissioni di Mubarak, il loro presidente-dittatore.

Che fosse un dittatore, in Italia, in Europa e nel resto dell’occidente, l’abbiamo “scoperto” solo dopo aver visto le immagini delle piazze del Cairo, piene di gente in protesta.

Ci si interroga, specie in America, sul perché di questa tardiva scoperta.

L’ex Segretario di Stato americano, Condi Rice ebbe a dire nel 2005: “Per 60 anni, il mio paese, gli Stati Uniti, hanno perseguito la stabilità a spese della democrazia in questa regione, qui in Medio Oriente, e non abbiamo ottenuto nulla”

Questo perché, come si ammette sul New York Times “Per troppo tempo abbiamo trattato il mondo arabo come un campo di petrolio”.

E perché ciò avvenisse, ci si è appoggiati a regimi compiacenti che hanno determinato una stabilità che di fatto, ha come anestetizzato le società mediorientali. Come ammette Ahmed Zewail, egiziano-americano vincitore del Premio Nobel per la chimica: “L’Egitto è stato stabile per 30 anni perché non ha avuto nessuna visione, nessuna aspirazione ed è rimasto in uno stato di stagnazione”. Ma era uno stato che non poteva durare.

Prima il popolo tunisino, poi quello egiziano, si sono svegliate da questo stato di torpore, per fame.

Mi si perdoni il paragone ma è stato come il risvegliarsi la notte, con lo stomaco in preda ai crampi. E allora corri in cucina, apri il frigorifero e cerchi di ingurgitare qualsiasi cosa, senza badare all’etichetta, a piene mani in piena libertà.

Ecco, non era solo la fame vera dei molti poveri di questi paesi, ma la fame di libertà, la voglia del piacere di scegliere il proprio futuro e di non vederlo imposto, a spingere migliaia e migliaia di persone a scendere in piazza contro i dittatori. Senza altre armi.

E nelle vicende tunisine ed egiziane, il mancato uso delle armi è stato l’aspetto più clamoroso, più sorprendente e più…bello che mi sento di sottolineare.

Finora, quelli della mia generazione la potenza della non violenza l’avevano letta sui libri o vista in tv. Gandhi e Martin Luther King sono state figure carismatiche che abbiamo conosciuto indirettamente.

Dobbiamo dire grazie ai tunisini, agli egiziani, se abbiamo avuto la possibilità di vedere direttamente quale sia la forza della non violenza. Una forza capace di cambiare il mondo.

“La giornata di oggi appartiene al popolo egiziano - ha affermato il Presidente Obama - e il popolo americano è commosso dalle scene di piazza Tahrir. La parola 'tahrir' significa liberazione. E' una parola che, come diceva Martin Luther King, arriva direttamente all'anima. Per sempre ricordera' agli egiziani di come loro hanno cambiato il loro Paese, e il mondo. Grazie”. Grazie per la vostra non-violenza. Per l'Egitto è stata la forza morale della non violenza, e non il terrorismo, non le uccisioni folli, a curvare ancora una volta l'arco della storia verso la giustizia”.

E come nota un commentatore politico americano conoscitore del Medio Oriente, la dimostrazione fornita dagli egiziani potrebbe sconvolgere i piani degli estremisti islamici, ponendo fine a uno dei conflitti più lunghi che la storia dell’umanità abbia mai conosciuto: la questione israelo-palestinese.

Sarebbe affascinante vedere se i Palestinesi abbracciano le proteste non violente di massa nel West Bank come strategia contro gli insediamenti illegali israeliani e la sottrazione dei territori”.

Tanto ottimismo sembra troppo. E’ vero però che il “seme della non violenza” sta contagiando l’intero Maghreb ed è già arrivato in parecchie città dell’Iran, dove proprio in queste ore è ripresa la protesta contro il regime.

In questi disgraziati paesi, la democrazia sembra finalmente essere a portata di mano. E’ lì, alla fine della strada tracciata dalla non violenza, che torna libera, sgombrata dai carri armati i cui cannoni sono rimasti muti.

Il pensiero però, non può che tornare al recente passato, a paesi diciamo meno fortunati. Mi riferisco all’Iraq e all’Afghanistan in particolare.

Non si può non pensare alle assurde “giustificazioni” avanzate dagli Stati Uniti ancora frastornati e sotto choc dopo l’11 Settembre; non si può non pensare a quelle armi di distruzioni di massa che, in realtà, non esistevano.

E, soprattutto negli States ci si interroga oggi, sull’efficacia di una politica estera americana basata in grandissima parte sulla forza militare, sulle bombe, grazie alle quali ci si è illusi di poter imporre la democrazia.

Se pensiamo alla cieca determinazione dimostrata dalla passata amministrazione Bush nell’attuazione pratica della dottrina della “risposta flessibile”, fanno riflettere e non poco, le parole di Robert McNamara, Segretario alla Difesa all’epoca della guerra del Vietnam e teorico di quella stessa dottrina che ha finito col traumatizzare un’intera generazione di americani. Disse McNamara: “Non abbiamo il diritto divino di dar forma a ciascuna nazione a nostra immagine o come noi scegliamo”.

 La democrazia non s’impone, non si può imporre, perché è la forma civile attraverso la quale si manifesta e si realizza la libertà di ogni popolo, di ogni uomo.

Ce lo dimostrano, una volta di più, le lacrime che sgorgano dagli occhi dei tunisini e degli egiziani. Non sono lacrime di dolore, ma di gioia, di grande gioia. Quella gioia che può regalarti solo la consapevolezza di tornare ad essere un uomo libero.

06 febbraio 2011

I FRITTULI

Rileggendo un post di qualche tempo fa, frugando nei miei ricordi e ascoltando più volte la canzone di De Andrè, mi sono detto: se lui, genovese, ha parlato della Cimma (piatto tipico), perché io, calabrisi, non posso parlare ri frittuli?
Beh, più che alla loro preparazione, sarebbe più corretto dire che ho soffermato l’attenzione sulla fase a ciò propedeutica, ovvero sul momento in cui il maiale viene ucciso.
Magari a qualcuno farà impressione, però è proprio così che si fa nella nostra tradizione.
Naturalmente, mi tocca chiedere preventiva pirdonanza al grande Faber per aver rovinato una delle sue canzoni più belle, pregandolo… vivamente di non rivoltarsi nella tomba. 



                   I FRITTULI (trasposizione scigghitana di “A cimma” di Fabrizio De Andrè)





A tia ti brisci oi l'urtimu matinu,
va' 'n paci, carni era e carni sarà.
'Chì pi mia peggiu
assa’ è 'u distinu,
'u sai, a mia di peggiu toccherà.



Ti mintìa 'u broru rintra o' 'mbivirun'
e nta to' zzimba, 'i pagghia 'n cuscin stindìa,
ma staiu a cunta' già l'uri, e pocu sun,
frittuli e carni fina sarai pi mia.



'N'ura 'i menu, poi ti scura,
pi tia regna, ifattu allegra,
leggi 'i Natura.



Bellu or l'ura è giunta ra to' Passioni,
'chì carni e sangu toi saran cosi bboni.
Fora ti spingiu e ddrittu tu 'mpunti 'i peri,
ti stringiu 'u mussu, zittu! 'spetta 'u bucceri.



L'aria l'urlu to' sfregia, 'chì 'a lama armeggia,
vigliaccu giru 'a testa ma 'u sentu, nc'è.
'U me' coraggiu, com' 'a to' forza, lleggia,
sì, unu cu 'n atru, dai, 'u sai com'è.



'N'ura 'i menu, poi ti scura,
pi tia regna, ifattu allegra,
leggi 'i Natura.
Sant'Antoni, preiu a tia:
p'ogni cosa nta 'sta pignata,
'chì bona sia.



Cu mia non t'a pigghiari, o cu bbucceri,
sai comu fatti fummu, è 'u to' misteri:
ti ttocca 'sta fini di tia nenti s'avi a itta',
mangiu e mangiu 'eu, 'u sai, 'chì haiu a mangia'.



'N'ura 'i menu, poi ti scura,
pi tia regna, ifattu allegra,
leggi 'i Natura.
Sant'Antoni, preiu a tia:
p'ogni cosa nta 'sta pignata,
'chì bona sia.



Per  i non adusi (eh, paroluna!) all’uso del dialetto, ecco la traduzione italica:


I CICCIOLI
Per te sorge oggi l'ultimo mattino
vai in pace, carne era e carne sarà.
Perché per me sarà assai peggiore il destino,
sai, a me toccherà di peggio.



Ho messo il brodo nel tuo pastone
e nella porcilaia ho steso un cuscino di paglia
ma sto a contare già le ore, e sono poche
ciccioli e carne fina sarai per me.



Un'ora in meno, poi per te sarà buio
per te regna, per niente allegra,
la legge della natura.



Bello ora è giunta l'ora della tua Passione,
'ché la tua carne e il tuo sangue diventeranno cose vbuone.
Ti spingo fuori e tu punti le zampe dritte,
ti stringo il muso, zitto! il macellaio aspetta.



Il tuo urlo sfregia l'aria mentre la lama armeggia,
vigliacco giro la testa ma lo sento, c'è.
Il mio coraggio, come la tua forza, diminuisce,
Sì, uno con l'altro, dai, lo sai com'è.



Un'ora in meno, poi per te sarà buio
per te regna, per niente allegra,
la legge della natura.
Sant'Antonio, ti prego:
per tutto quel che c'è in pentola,
perché sia buono.



Con me non te la prendere, o con il macellaio,
sai come siamo stati fatti, è il tuo mestiere:
ti tocca questa fine, di te niente andrà sprecato,
mangio e mangio, lo sai, perché devo mangiare.



Un'ora in meno, poi per te sarà buio
per te regna, per niente allegra,
la legge della natura.
Sant'Antonio, ti prego:
per tutto quel che c'è in pentola,
perché sia buono.
 

05 febbraio 2011

IL FEDERALISMO IRRICEVIBILE:’U FATTU FU ‘I NOTTI…MA SI VITTI!

ladro “E’ un fatto procedurale”. Con queste disarmanti parole il cavalier nano brianzolo ha commentato la lettera con la quale il presidente Napolitano ha ritenuto IRRICEVIBILE il decreto approvato dal Consiglio dei Ministri nella serata di ieri (sempri i notti, com’ e latri).

Ecco cosa dice il Presidente Napolitano:

Devo subito rilevare che non sussistono le condizioni per procedere alla richiesta emanazione, non essendosi con tutta evidenza perfezionato il procedimento per l'esercizio della delega previsto dall'art. 2, commi 3 e 4, della legge n. 42 del 2009: sono pertanto costretto a non ricevere il decreto approvato dal Governo, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza.”

Per coloro che di diritto ndi mastricunu menu i mia, dirò che la Legge cui fa riferimento Napolitano è lo strumento con il quale il Parlamento ha delegato il Governo per la redazione di tutti i decreti che dovrebbero far nascere sto benedetto/maledetto federalismo.

Ma cosa dice esattamente questa Legge e, in particolare l’articolo citato nel comunicato del Quirinale?

Siccome non ci fidiamo poi tanto di quello che dicono i giornali, liggimulu.

Art. 2. (Oggetto e finalità)

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge[21.5.2011], uno o più decreti legislativi…al fine di assicurare…. l'autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni.

….

3. Gli schemi di decreto legislativo, ….sono trasmessi alle Camere, ciascuno corredato di relazione tecnica ……perché su di essi sia espresso il parere della Commissione di cui all'articolo 3 [Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale] e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario, entro sessanta giorni dalla trasmissione….

4. Decorso il termine per l'espressione dei pareri …. i decreti possono essere comunque adottati. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni e rende comunicazioni davanti a ciascuna Camera. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo. Il Governo, qualora, anche a seguito dell'espressione dei pareri parlamentari, non intenda conformarsi all'intesa raggiunta in Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dall'intesa.

Come ricorda il Presidente Napolitano, la Commissione parlamentare ha, per regolamento, espresso parere negativo, del quale però al Governo non sembra importagliene molto. Ragion per cui, a norma di Legge, il nuovo testo dovrebbe essere ritrasmesso a Camera e Senato che, inoltre, dovrebbero essere debitamente informate delle modifiche e/o variazioni.

Questo passaggio fondamentale della Legge, che esprime in poche parole il ruolo fondamentale rivestito dal nostro Parlamento nella formazione di ogni legge (quindi anche quelle delegate al Governo), è stato volutamente ignorato dal cavalier nano e dai suoi seguaci, riunitasi in fretta e furia, di notte, per approvare un atto viziato non già da carenze procedurali, ma dalla mancanza di elementi sostanziali che ne inficiano l’efficacia nei confronti di chiunque.

Se, per assurdo, il Presidente Napolitano avesse promulgato la norma approvata dal Consiglio dei nottambuli e un qualunque cittadino avanzasse ricorso contro una qualsiasi delle norme in esso previsto, non ci sarebbe Commissione che non gli darebbe ragione. Ciò costituirebbe un danno verso Regioni, Province e Comuni. Un danno che verrebbe arrecato loro da quelle stesse norme da cui dovrebbero invece trarre beneficio.

Napolitano non nasconde la sua delusione, lamentando la mancata “condivisione sul piano sostanziale” e richiamando la necessità di “evitare una rottura anche sul piano procedimentale, per violazione di puntuali disposizioni della legge.” Cchiù chiaru i cusì!

E, infine, il nostro saggio Presidente (meno male che Giorgio c’è!), non può esimersi dal rendere manifesta, clamorosa scorrettezza del Governo, peraltro già bacchettato in più di un’occasione:

Né posso sottacere che non giova ad un corretto svolgimento dei rapporti istituzionali la convocazione straordinaria di una riunione del Governo senza la fissazione dell'ordine del giorno e senza averne preventivamente informato il Presidente della Repubblica, tanto meno consultandolo sull'intendimento di procedere all'approvazione definitiva del decreto legislativo.”

Insomma, il cavalier nano e i so’ calacazetti, non perdono occasione per dimostrare il loro disprezzo per le regole che governano la nostra Repubblica.

No, non è ignoranza. Una cosa la si può ignorare, ma solo per una volta.

Il perseverare nelle scorrettezze, negli errori e nel menefreghismo istituzionale, non può essere tollerato.

Non si può declassare una precisa norma dello Stato a semplice “fatto procedurale”.

Le leggi dello Stato non sunnu ‘na ‘nsalata, chi se ‘u sali ‘u menti prima o ropu cangia pocu.

E’ vero che il “no” di Napolitano non ferma il percorso verso il federalismo. Ma è un percorso importante e l’Italia non può permettersi di …sbagliare strada.

Per questo, non si deve agire di fretta, né cercando di aggirare la legge, né con provvedimenti adottati nell’oscurità, contando sul fatto chi ‘u fattu fu’ ‘i notti e non si vitti.

Anche in questo caso, il gioco sporco del cavalier nano e dei suoi calacazetti governativi è stato scoperto.

L’atra sira era iurnata di luna nova, pirciò puru se ‘u fattu fu ‘i notti, si vitti. Eccomu se si vitti!