23 dicembre 2010

CHRISTMAS CAROL

(versione anglo-natalizia di “Sei Ottavi” di Rino Gaetano)

Fake decked out trees wink at me from the glass of the windows,
and all the streets are adorned with artificial rainbows.
Oh, it's always the same, but it brings somethin' new,
on cold Christmas time, this is my carol for you.

Children keep playing, they're gathered all in a round,
they’re singing old carols, they like their tunes and their sound.
You listen to them, you become like a child again,
you are safe at home, heedless of the blowin' rain.

The ancient times live again inside the crib scene,
the memory of somethin' we lost in our days' din.
From being so far maybe you had some bad fit of spleen,
in these long months so strange, which weren't so green.

And merry ribbons are hangin' on every door,
through which are comin' some smells you can't find anymore.
In these days you can feel the warmth of the family heat,
it's one of the things which make your own life complete.

So now on this very special star-spangied night,
I'd be really glad and I would have my great delight,
if even your little dreams may all come true,
Christmas is comin' an' this is my carol for you.

08 dicembre 2010

UN SONU NTA NOTTI

Alessandro Sala-Il suono della notte
tratto da www.alesarte.it/
Da chi 'u iornu brisci la prescia t'assali,
ti iazi e 'a facci com' 'a iatta ti lavi.
Poi nesci e va' ddrittu, fa' a memoria la strata,
'a to' testa è 'n rioggiu chi scandisci 'a iurnata.

Se chiovi o c'è 'u suli, quasi mancu lu sai,
pirchì l'occhi o' cielu non li iazi mai.
Ma fui, sì t'affanni, quasi perdi lu sciatu,
curri tu com' a 'n trenu ch' ha 'u binariu signatu.

Poi 'rriva la sira e 'a to' cursa la smetti:
tiri 'a linia, ti fermi, pensi, rifletti.
E riviri tu ddh'occhi, ddha risata risenti
chi, sbituatu, ti parsi di 'n conoscenti.

Ma la vista ti sciali, su' cuntenti 'i to' ricchi,
parti 'na sinfonia chi ndo cori ti zzicchi.
Già, pirchì ddha risata e ddhu sguardu sinceru,
ti li sa donari sul cu' è amicu veru.

E mentri ti culla nta notti ddhu sonu,
tu non 'spetti atru: mi ricambi lu donu!

29 novembre 2010

MA PIRDIMMU I CIRIVEDDHI? –PARTE II

fugadeicervelli15 Come anticipato nel post precedente, gli eccellenti ciriveddhi degli stagisti, in collaborazione con l’Ufficio Tecnico del Comune di Scilla, hanno elaborato tutta una serie di progetti ed effettuato rilevazioni di cui la comunità scigghitana sa poco o nulla.
Pigghiati da un’improvvisa botta di ‘mbiria SavianFaziana, abbiamo chiesto ai tecnici prorogandi (? speriamu!) stagisti, di fornirci la lista dei lavori di cui si sono occupati in questi due anni.
La pubblichiamo in anteprima esclusiva, pirchì gli stagisti, evidentementi pigghiati da ben altri pinseri,  ndi Saviano e ndi Fazio di sicuru non hannu tempu mi vannu.
L’elenco non è esaustivo, poiché si sono tralasciati tutta una serie di lavori minori (riordino e gestione del sito internet del comune, atti, delibere… e cumpagnia scrivendu), seppur quantuquemente utili.
P.S.:Datosi chi ‘a lista è longa, si consiglia di stampare, ordinari ‘n cafè o’ bar e assittarsi comodamenti in seggia e/o poltrona.
ELENCO NON ESAUSTIVO DEI PROGETTI, DELLE RILEVAZIONI E DEI SERVIZI REDATTI DALL’UFFICIO TECNICO DEL COMUNE DI SCILLA, IN COLLABORAZIONE CON I TECNICI DEL PROGRAMMA “STAGES 2008” DELLA REGIONE CALABRIA
  1. − Progetto Preliminare “Ecocentro di Scilla”;
  2. − Progetto Preliminare “Opere per la realizzazione dell’allargamento del cimitero delle frazione Melia di Scilla e della relativa strada d’accesso”, Convenzione T.E.R.N.A. S.p.A. –Provincia di Reggio Calabria;
  3. − Progetto Preliminare “Realizzazione strada di Piano Favata nella frazione Solano Superiore di Scilla”, Convenzione T.E.R.N.A.-Provincia di Reggio Calabria ;
  4. − Progetto Preliminare “Riqualificazione del centro storico del quartiere San Giorgio di Scilla”, Bando PISL- Progetti Integrati di Sviluppo Locale-Scilla 2010;
  5. − Progetto Preliminare “Realizzazione di un parcheggio di interscambio modale ferro/gomma in località Pacì del Comune di Scilla”, Bando PISL- Progetti Integrati di Sviluppo Locale-Scilla 2010;
  6. − Progetto Preliminare “Riqualificazione urbanistica del centro storico di Scilla-frazione di Favazzina. Opere per la realizzazione della Via Marina: Lungomare di Favazzina e attraversamento del torrente Favazzina”, Bando PISL- Progetti Integrati di Sviluppo Locale-Scilla 2010;
  7. − Progetto Preliminare “Interventi per il rifacimento del lungomare di Marina Grande”, Bando PISL- Progetti Integrati di Sviluppo Locale-Scilla 2010;
  8. − Progetto Preliminare “Realizzazione strada di collegamento sul litorale Favazzina e riqualificazione della zona interessata”;
  9. − Perizia tecnica “Lavori di pronto intervento per la ristrutturazione e sistemazione del Piazzale Monacena”;
  10. − Progetto “Lavori per la realizzazione di un impianto fotovoltaico preso la Scuola Media Inferiore G. Minasi di Scilla”;− Progetto
  11. “Ristrutturazione della strada di collegamento S.P.19 (Solano-Gambarie) e Piano di S. Anastasia” Misura 125 Avviso Pubblico PIAR (Progetti Integrati per le Aree Rurali);
  12. − Progetto Preliminare “lavori di realizzazione di un’opera di presa e della relativa condotta di adduzione in località Melia di Scilla” Misura 125 Avviso Pubblico PIAR (Progetti Integrati per le Aree Rurali);
  13. − Progetto Preliminare “Intervento di riqualificazione angolo Villa Comunale. Abbattimento e costruzione di un muro in C.A. a contenimento del terrapieno sovrastante”;
  14. − Progetto Preliminare “Sistemazione idraulica dei torrenti Oliveto e Livorno e dell’impluvio (strada) Lacerello-Nespolara”;
  15. − Progetto “Potenziamento e Riqualificazione del Centro di Aggregazione Giovanile di Scilla ubicato nel rione Marina Grande”;
  16. − “Progetto per la realizzazione di attrezzature pubbliche consistenti in due accessi alla spiaggia al servizio dei turisti e fruibili da soggetti diversamente abili in area ricadente nella Rete Natura 2000”;
  17. − Progetto “Scilla più sicura. Sistema di videosorveglianza sul territorio” L.133/2008;
  18. − Progetto di restauro e riqualificazione del portico interno del Castello “Ruffo” per la realizzazione del Bookshop;
  19. − Ricognizione e stima dei danni di cui “OPCM n.3862/2010 - Gravi dissesti idrogeologici che hanno interessato il territorio della Regione Calabria nei giorni dall’11 al 17 febbraio 2010 Notifica Ordinanza Commissariale n.1/3862/2010 del 09/07/2010 e comunicazioni”;
  20. − Ricognizione e stima dei danni D.Lgs n°102 29/03/2004 e D.Lgs 82/2008 Danni alle imprese agricole: produzioni agricole e zootecniche, alle strutture agrarie, agli impianti produttivi, alle infrastrutture agricole, causati dalle avverse condizioni atmosferiche (nubifragio) del 2 e 3 settembre 2010;
  21. − Rilevazione degli interventi di mitigazione eventi alluvionali 2008/2009, frane, erosione costiera, rischio idraulico, viabilita’ ed edilizia;
  22. − Servizi di informazione di cui all’art. 12 della legge 265/1999, art. 24 Piano di Protezione Civile Comunale;
  23. − Supporto alla realizzazione della banca dati informativa del realizzando Piano Strutturale Associato Comunale (art. 4 del Disciplinare d’incarico).

28 novembre 2010

MOONLOVIN' GIRL

foto by V. Nuri
 
Voices go through the fields to answer the call,
as the men reap the fruits the Earth give us, in the fall;
you girl, see the hunter, 'fore the rise of day,
the moonlight just help him to flush out his prey.

In the cold winter, when nobody's aroun'
a hungry wild wolfpack is comin' to town,
girl you are watchin', they're goin' wary in the frost
the moonlight guide them, no they can't get lost.

Moonlovin' girl, moonlovin' girl
the full moon tonight is as white as a pearl
Moonlovin' girl, moonlovin' girl
the moonlight makes shine your long black curls.

Colors are new, like fields of gold yellow grain,
when the Earth in the spring wakes up again;
smells just fill up the air, as the moon with its light
guides ravens wanderin' from the beaches of night.

Kissed by the moon, the beach it's like a soft bed
in the summer when moonlight turns from blu into red;
sittin' by purple waters, which are changin' their streams,
as a friend to the moon, girl, you're confessin' your dreams.

Moonlovin' girl, moonlovin' girl
the full moon tonight is as white as a pearl
Moonlovin' girl, moonlovin' girl
the moonlight makes shine your long black curls.

Your beauty, you know girl, has a special ally
that guides human fate shinin' bright in the sky;
when the moon wink at you, hangin' over the sea,
you smiles, you're accomplices and forever you'll be.

Moonlovin' girl, moonlovin' girl
the full moon tonight is as white as a pearl
Moonlovin' girl, moonlovin' girl
the moonlight makes shine your long black curls.

27 novembre 2010

MA PIRDIMMU I CIRIVEDDHI?

fuga-dei-cervelli[1]Pirdimmu i ciriveddhi!

O almeno, rischiamo seriamente di perderli.

Qualche anno fa, assistendo a una seduta di esami di laurea alla facoltà di Ingegneria dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, mi colpì molto il discorso finale fatto dal Preside: era felice. Nel contempo, però, era anche triste, amareggiato.

Perché sapeva che già fin dal giorno dopo, quegli stessi laureati avrebbero cominciato a mandare curriculum a raffica presso le più grandi aziende nazionali e internazionali, nella speranza di ottenere un colloquio e poi un posto di lavoro. Solo che quelle aziende sono ben lontane da Reggio, dalla Calabria e dal Sud Italia.

La grande amarezza che traspariva dalle parole del preside, è racchiusa in poche parole, rivolte ai genitori e agli amici di quei giovani: noi facciamo crescere e formiamo le intelligenze, ma sono altri, lontano da qui, a raccoglierne i frutti. I nostri ciriveddhi ‘ndigini, sono destinati alla fuga!

E’ passato qualche anno da quel giorno, tante chiacchiere sul merito da premiare, tante parole. Poi, nel 2008, in Calabria sembrava fosse arrivata la svolta.

Con il più trasparente concorso che la storia della nostra Regione ricordi, pubblicizzato e sbandierato (giustamente) all’urbi e all’orbi, sono stati selezionati giovani residenti in Calabria, laureati tutti con 110/110, i quali dopo una fase di formazione, sono stati destinati a sperimentare sul campo le loro capacità tecnico-operative, attraverso degli stages da svolgere sia presso strutture regionali che presso i vari enti territoriali.

Alcuni di loro (tre per la precisione, un’ingegnere e due architetti), hanno svolto la loro esperienza lavorativa-formativa presso il Comune di Scilla, per conto del quale in questi due anni appena trascorsi, in collaborazione con l’Ufficio Tecnico del Comune, hanno predisposto diversi progetti preliminari che potranno così usufruire di finanziamenti sia a livello regionale che europeo.

E’ un’attività svolta in maniera tanto scrupolosa quanto discreta, svolta con un’intensità davvero mai vista prima, che in un futuro oramai prossimo potrà rivelarsi molto fruttuoso  e potrà contribuire in maniera determinante a cambiare il volto del nostro bel paesello.

Sono progetti che, al di là delle scelte politiche fatte dall’attuale amministrazione, hanno una loro intrinseca validità tecnico-scientifica che è fuori discussione.

Certo, anche se auspicabile, non è pensabile che tutti i progetti presentati siano ammessi a finanziamento, ma almeno molti di loro hanno senz’altro buone probabilità di concretizzarsi realmente.

C’è il fondato rischio però che questa esperienza molto positiva e che ha già dato frutti importanti, abbia fine, come tutte le cose belle.

Il programma Stages 2008 aveva durata biennale e si è formalmente concluso il 21 Ottobre scorso!

In questi mesi che hanno preceduto la scadenza (fin dallo scorso Aprile), più volte gli stessi stagisti hanno tentato di far presente il problema agli organismi regionali competenti. Lo hanno fatto con lettere dirette al Presidente, Peppone Scopelliti e con diverse manifestazioni davanti alla sede della Regione in quel di Catanzaro.

Un risultato, seppur minimo ma che deve essere ancora confermato nei fatti, i nostri giovani ciriveddhi ‘ndigini, lo hanno ottenuto: il Consiglio Regionale ha approvato un emendamento che così recita: “al fine di non disperdere il patrimonio di conoscenza acquisito dai giovani impegnati nel Programma Stages” prevede un “contributo di euro 10.000,00 a favore degli enti che si impegnano a stipulare con ogni stagista …. tipologie contrattuali previste dalla normativa vigente per una durata non inferiore a 12 mesi di lavoro concertate attraverso uno specifico protocollo d’intesa stipulato tra la Giunta Regionale, Consiglio Regionale ed enti fruitori.

Perché questa proposta non rimanga solo sulla carta ma diventi realtà, a partire da ieri, gli stagisti hanno in programma un sit-in a oltranza davanti alla sede riggitana del Consiglio Regionale. Un modo estremamente civile e democratico di far sentire la loro voce.

E, a proposito, mi tornano in mente le parole pronunciate in televisione giusto ieri sera dal Presidente della Camera dei Deputati, nella sua lista di valori della Destra:

"La Destra vuol costruire una società in cui il merito e le capacità siano i soli criteri per selezionare una classe dirigente. La Destra vuole un Paese in cui chi lavora di più e meglio viene pagato di più. Un Paese in cui chi studia va avanti. Un Paese in cui chi merita ottiene i maggiori riconoscimenti. La Destra vuole un'Italia che ha fiducia nel futuro perché, a ben vedere, ha fiducia in se stessa. E non la dobbiamo costruire dal nulla quest'Italia migliore, c'è già. Dobbiamo solo far sentire la sua voce, la sua voce profonda."

Beh, Fini parlava dei valori della Destra, ma, a dire il vero, quelli richiamati dal Presidente della Camera sono valori condivisibili da tutti (o comunque da grandissima parte) i cittadini italiani, siano essi di destra o di sinistra.

Infatti, e non deve sembrar strano, sono le stesse parole con le quali gli stagisti concludevano speranzosi e orgogliosi, nella lettera aperta inviata a Peppone il Governatore (che pure della Destra è stato un autorevole rappresentante), lo scorso aprile:  “Continuiamo a lavorare convinti che nella vita conti il merito, la preparazione, l’impegno, la serietà e che questa è la Calabria che vogliamo, la Calabria che noi stessi siamo”.

Un’annotazione economica. Trovare i soldi necessari per continuare ad avere a disposizione nel nostro Comune (e negli altri enti calabresi) una tale risorsa di conoscenze, non costa poi così tanto, specie se paragonato ai benefici oggettivi che una piccola comunità come quella scillese può trarne.

Prendendo come base la somma di € 10.000,00/anno per ogni stagista come  previsto dalla Regione, significa che per continuare a usufruire del lavoro dei giovani tecnici che hanno operato a Scilla, servono € 30.000,00.

Considerando che il nostro paisuzzo conta 5.125 abitanti, significa che i tre ciriveddhi ci verrebbero a costare poco meno di € 6,00 annue a scigghitanu, vale a diri 50 centesimi o’ misi! Se così stanno le cose, personalmente sono disposto a portare a Reggio i miei sei euro puru a peri!

CARO PEPPONE

Caro Peppone il Governatore, vorrei, per una volta, che venissero messe da parte le assurde (il)logiche politiche bipolari, secondo le quali tutto quel che fa una parte politica, per l’altra è da buttare.

Sono ragionamenti stupidi di chi è curtu i ciriveddhu. Ma tu, caro Peppone, si’ bellu longu, randi e grossu,  pirciò se l’uomo di Vitruvio ha un fondamento (e l’avi), il tuo cervello dovrebbe esserlo altrettanto.

Se la giunta Loiero ha avuto il merito di avviare questo progetto, alla tua giunta spetta il dovere di farlo andare avanti, per un solo valido motivo: perché, comu rinnu i previti, è cosa buona e giusta. I meriti, eventualmente, ti saranno riconosciuti dopo.

Dopo le belle parole –come quelle enunciate dal tuo ex Presidente, sopra riportate- che, di sicuro, non potrai non condividere, sarebbe bello far seguire fatti concreti.

Perciò, parafrasando un noto regista, ti dico: caro Peppone il Governatore, fai qualcosa di destra!

E falla presto, pure, altrimenti, questi nostri ciriveddhi, seguendo la moda in voga in questi giorni, sarebbero costretti e dover salire sui tetti (pirchì già stazioni e binari sono occupati dagli LSU-LPU).

Nel caso scigghitano, però, si pone il problema: su quale tetto?

Chiddhu ru cumuni? No, pi comu è cumbinatu c’è il rischio chi si spunda, in quanto rinesci mi supporta assembramenti di folla sulu ‘na vota l’annu: quandu c’è ‘u trionfinu.

Chiddhu ru casteddhu? No, mancu. Per via dei lavori di consolidamento già avviati, sarebbe pericoloso per la pubblica incolumità.

Resterebbe allora solo un’altra possibilità: ‘u ‘ffacciaturi. E’ alla stessa altezza del castello ma, in più, è bellu longu e in grado di ospitare tutti i ciriveddhi incompresi calabrisi, così come, per vocazione storica, da sempre ha fatto e farà, con quelli scigghitani.

L’unico pericolo, potrebbe essere rappresentato dal rischio di cadere…nto bucu pi l’ascensore. Ma è un pericolo ancora lontano e mi auguro che il problema si risolva prima che il periglio diventi reale.

Traducendo Saviano in lingua ‘ndigina, potrei dire che solo la parte della Calabria che ha i ciriveddhi sani può sconfiggere ddhi ciriveddhi micciu calabrisi che oramai hanno infestato non solo l’Italia intera ma anche il mondo intero.

fuiforti Ma in Calabria stiamo dando la medicina sbagliata a quelli che u ciriveddhu l’hannu giustu: il Fuiforti!

E farli fuìri forti, lasciarsi scappare una risorsa umana e professionale  così qualificata, così grande, oltre che incomprensibile sarebbe davvero imperdonabile: mettere i cervelli in fuga è un’azione che può permettersi di fare solo colui al  quale è andato in fuga il cervello!

 

26 ottobre 2010

(A)IPPI

(trasposizione scigghitana di “Creep” dei Radiohead)




















E ti viru ccà fora,
chi occhi chi hai!
ruci su' com' o' meli,
bella, o' iocu nci stai.

Cu ddh' occhi mi sfidi,
punti iatu, d'accordu,
ieu su' fattu mali,
tu gioia riali.

'U iocu (a)ippi, ma cu tia, perdu,
chi si' bella quandu riri!
Non t’ ’u pozzu diri.

Com' o' suli di Marzu
ropu 'a nivi sì nci 'oli,
'spettu li to' risati,
'spettu sì ddhi paroli.

Ma ieu subitu 'u 'ntisi,
no, nenti cangiau,
tu gioia riali,
ieu su' fattu mali.

'U iocu (a)ippi, ma cu tia, perdu,
chi si' bella quandu riri!
Non t’ ’u pozzu diri.

Oh, Oh, sì, cusì pavu pegnu
Sì, randi 'u pavu!
Sì, randi, randi, randi!
Randi.

Iucar ieu non seppi,
non c'è confrontu:
tu gioia riali,
ieu su' fattu mali.

'U iocu (a)ippi, ma cu tia, perdu,
chi si' bella quandu riri!
Non t' 'u pozzu diri.
Non t' 'u pozzu diri.

02 ottobre 2010

CHI DISPREZZA VUOL COMPRARE

duce Chi Paisi chi è l’Italia!

Nel 1982, anno della vittoria ai mondiali di calcio di Spagna, Sandro Pertini era in tribuna, primo a esultare a ogni goal azzurro. Al festival di Sanremo dell’anno dopo, ‘na canzuni di Toto Cutugno (l’Italiano), rendeva omaggio al Paese italico, che aveva “un partigiano come presidente”.

Passaru quasi trent’anni e, caso mai Toto Cutugno avesse ‘ntinzioni di partecipari al festival del 2011, che canzone potrebbe scrivere?

Certo, il presidente Napolitano rimane l’unico baluardo della politica educata e gentile di quel tempo della nostra storia identificato –quasi con disprezzo- come “Prima Repubblica”. Una politica fatta per lo più attraverso la stampa, una stampa che era fondamentalmente di partito, nel senso che ogni gruppo politico aveva il proprio organo d’informazione ufficiale (l’Unità, l’Avanti, il Popolo, la Voce Repubblicana, il Secolo XIX, ecc.).

Non c’era la necessità di offendere nessuno, perché si riconosceva il diritto degli altri di pensarla in modo diverso: ognunu si liggiva chiddhu chi nci piaciva e era cuntentu.

Oggi non è più così. I canali informativi si sono moltiplicati e, soprattutto, il tempo in cui una notizia si diffonde è divenuto brevissimo: se qualcuno ha starnutito a New York in questo momento pirchì avi ‘u raffridduri, lo sappiamo subito, puru a Scilla.

Vi è di più. Poiché i partiti (e le macchine propagandistiche che gli stavano dietro, giornali ufficiali compresi) sono stati mandati a farsi strabenedire dai “nuovi” politici italiani nel nome del rinnovamento, il confronto –o forse sarebbe meglio chiamarlo scontro- avviene a livello personale.

Cchiù tempu passa e più ci accorgiamo quanto sia difficile oggi trovare due uomini politici capaci di affrontare un discorso serio per più di cinque minuti, senza lanciarsi addosso le peggiori ingiurie.

Parlano tutti, ma nessuno ascolta nessuno.

Ecco perciò che l’unico mezzo possibile per farsi sentire e attirare l’attenzione è quello dei video mandati in rete. Il web è il moderno balcone di Palazzo Venezia: quando Mussolini vi si affacciava, si rivolgeva alla piazza silente. Oggi, Berlusconi, Fini (solo per citare i casi più recenti) si rivolgono all’ecumene attraverso una telecamera altrettanto silente.

A dir la verità, i nostri politici non sono i primi a utilizzare le possibilità offerte dal web. Negli Stati Uniti Obama li ha preceduti: il tradizionale discorso del sabato, che fin dai tempi di Lincoln veniva diffuso via radio, da tempo oramai raggiunge gli americani attraverso il sito della Casa Bianca.

Ma il primo in assoluto a comprendere l’importanza della rete è stato, ahinoi!, Osama Bin Laden, i cui video-messaggi (deliranti sì, ma drammaticamente efficaci) sono un’arma potentissima per fare proseliti.

Cosa centra, direte voi, Osama con Fini e Berlusconi? Niente, per fortuna. Ma, fatte le dovute proporzioni, dalle loro parole è nato e cresciuto quel “clima di odio”. Le motivazioni sono senz’altro diverse e le differenze profondissime, è ovvio ma il risultato finale, non lo si può negare, è sorprendentemente simile.

Che canzone potrebbe scrivere dunque oggi Toto Cutugno?

Beh, a Sanremo non puoi certo parlare di odio, è nu festival. Anzi, è nu festival nazional-popolare.

Perciò, considerato che al Presidente della Repubblica la canzone l’ha già dedicata, con buona pace di Napolitano, potrebbe scrivere una canzone sul Presidente del Consiglio: un barzellettiere come Presidente!

Bersaglio preferito dell’umorismo incompreso del cavalier Berlusca è la povera Rosy Bindi: son già quattro volte che Silvio le dedica tanta attenzione.

Come dice quel detto? “Chi disprezza vuol comprare”.

Mi sorge un dubbio: vuoi vedere che il Cavalier col tacco dopo aver frequentato ogni genere di veline, letterine e simili; dopo esser passato per mille e mille cene con le sue deputate; dopo aver chiuso i ponti con la signora Veronica; dopo esser passato indenne dalle escort-nights, all’alba dei 74 anni ha finalmente deciso di cambiare e, in realtà, è innamorato della Bindi?!

Beh, una simile eventualità non sarebbe poi tanto male: il Berlusca ha davvero bisogno di rriggitarsi i ciriveddhi e smetterla di spararle sempre più grosse un giorno sì e l’altro pure, provocando reazioni a valanga sempre più fuori controllo. E chi meglio di una donna può tenerlo a bada e farlo riflettere prima di aprire bocca? Figuriamoci poi se questa donna fosse la Bindi!

Ma ve l’immaginate Silvio e Rosy ‘ffacciati al balcone di Piazza Venezia? ‘Na barzelletta!

Lei con la solita faccia seria; lui che saluta cuntentu e, abbandonando per un momento l’usuale impettito stile-Mussolini, ripete allegramente il simpatico gesto delle corna che lo ha reso famoso nel mondo.

La folla resta silente, senza parole per la sorpresa.

Ma la Bindi sa che se il re non fa corna, Berlusconi sarebbe capacissimo di fargliele davvero. Così prepara la sua vendetta: tutti divranno sapere come stanno davvero le cose, qual’ è stato attuale del nostro Paese.

La gente radunatasi sotto al balcone continua a guardarli silenziosa e sempre più sbigottita, per poi esplodere in un boato di risate (gioia?) non appena la Bindi pigghia a Berlusconi e facendo il segno della vittoria, rirendu sutt’ e baffi, lo spinge giù dal balcone in puro stile Mussolini, mandandolo a catafottersi tra la folla a testa sutta e peri all’aria!

15 settembre 2010

L’EDUCAZIONE, LA TRISTEZZA COLLETTIVA E GLI STRUZZI

struzzo-300x192 "Se non avessimo la Calabria, la conurbazione Napoli-Caserta, o meglio se queste zone avessero gli stessi standard del resto del Paese, l'Italia sarebbe il primo Paese in Europa…Un cancro sociale e culturale. Un cancro etico, dove lo Stato non c'è, non c'è la politica, non c'è la società". (Renato Brunetta)

Queste parole, pronunciate pochi giorni fa, hanno sollevato tante di quelle reazioni che il povero Ministro –pur già basso di suo- è stato seppellito di critiche. Beh, ci voleva poco, direte voi, è cusì mbasciu, ‘u ‘maru!

Mbasciu, ma non fissa.

Beh, le parole sì, sono state forti, ma non si può certo negare che in Calabria e nel reggino in particolare, in molti nostri conterranei manca l’idea di fondo di cosa sia la società, per non dire di cosa sia la società che suol e vuol dirsi civile.

Dite di no?

Domenico Luppino è l’ex sindaco di Sinopoli –centro preaspromontano a pochi chilometri da Scilla- nonché presidente della Cooperativa “Giovani in vita”, che gestisce i terreni confiscati alla ‘ndrangheta.

Dopo numerosissime intimidazioni subite durante il suo mandato di sindaco –carica dalla quale si è dovuto dimettere, dopo la rinuncia di alcuni consiglieri della sua stessa maggioranza- nei giorni scorsi, Domenico Luppino ha visto prima andare in fumo 30 ettari di questi terreni –tra agrumeti, uliveti e vigneti; su un altro terreno, ha trovato ad accoglierlo, impiccata a un albero, la carcassa di un cane, in avanzato stato di decomposizione; infine (almeno si spera), è di oggi la notizia che in un’altra proprietà, Domenico Luppino non ha più trovato vive circa trenta galline che facevano parte del suo pollaio.

Davanti a episodi del genere, e a ogni tipo di attentato in genere, come si può parlare di civiltà?

Nella sua omelia pronunciata ieri in Cattedrale a Reggio, Mons. Vittorio Mondello ha detto in maniera chiara e inequivocabile:

Gli attentati sono la dimostrazione di una carenza di educazione e la manifestazione di una subcultura mafiosa. Questa mentalità mafiosa, difficile da estirpare, induce molti a sentirsi dominatori degli altri e a non sopportare alcuna opposizione alle proprie richieste e al proprio interesse e predominio.”

Dunque, non ci può essere società civile senza coscienza civile. Quella coscienza che solo l’educazione civica può dare.

Alcuni, ma solo alcuni, preferiscono far parte di un altro tipo di società: quella criminale.

E a Polsi -che in greco significa “elevazione della croce”, in occasione della cerimonia dedicata appunto alla croce, Mons. Giuseppe Fiorini Morosini –vescovo di Locri-Gerace-  ai giovani e in particolare a quei giovani che credono che la scuola sia una perdita di tempo e subiscono l’attrazione del facile Eldorado che viene loro prospettato da quegli stessi soggetti che in realtà non pensano ad altro che al proprio interesse e al predominio sugli altri, ha detto:

Voglio mettere in guardia i nostri giovani. La croce di Polsi è stata affidata a voi. Onoratela, non profanatela aderendo ad associazioni che hanno alla loro base il crimine o malaffare. Il battesimo di Cristo vi salva, altri battesimi, che vogliono scimmiottare quello cristiano, vi distruggono la vita e vi perdono”.

Preso atto delle richieste di scuse -tra le quali quella dell’intero Consiglio Regionale calabro- oggi, con una lettera pubblicata su “Il Messaggero”, il Ministro Brunetta non si è certo scusato ma ha precisato il suo pensiero:

Non ho sostenuto, né mai pensato, che la soluzione del problema consista nell’amputazione dell’Italia, nel prendere parti del Meridione e portarli chissà dove.

…Si ritiene più comodo aggregaci tutti nella condanna di qualche criminale macellaio, tacendo sulle continue, ripetute e diffusissime violazioni della legge che rendono fuori controllo tante fette del nostro territorio nazionale?

….Lo chiamo “cancro”: un male che divora in continuazione, che aggredisce gli innocenti e gli onesti, riducendoli al silenzio, che rende possibile una classe dirigente di struzzi, cui la distrazione non può essere rimproverata più della connivenza.”

Mi tornano in mente le parole pronunciate a “Presa Diretta” da due giovani donne che vivono al nord: una figlia di un boss della ‘ndrangheta, l’altra moglie di un presunto affiliato a una delle ‘ndrine che operano in Lombardia, oggetto delle recenti operazioni di polizia.

Dalle loro parole è emersa una profonda tristezza: la prima, si dannava l’anima per via del cognome “pesante” che –a torto o a ragione- la condiziona; la seconda, in lacrime, si rendeva conto che i problemi del padre ricadranno inevitabilmente anche sul figlio, ancora un bambino.

In entrambe, vi era la profonda tristezza di non riuscire a staccarsi da quell’ambiente familiare che diventa una catena, un laccio, che stringe sempre più forte, fino a soffocare ogni tentativo di venirne fuori. La tristezza di vivere in una “famiglia”, piuttosto che in una famiglia.

Questo “cancro” che deforma la società, la famiglia, le istituzioni, la religione, da qualunque lato lo si osservi, sia dalla parte dei “buoni”, sia dalla parte dei “cattivi”, ci rende un Paese a “tristezza collettiva”, diviso e perciò debole.

Ribalterei quindi in maniera simmetrica l’affermazione di Brunetta.

Lì dove non c’è l’educazione, non c’è la società. Lì dove non c’è la società, non c’è la politica (intesa come arte di governare). Lì dove non c’è l’arte di governare, non c’è lo Stato.

Lo sanno e se ne rendono conto i tanti Domenico Luppino della Calabria, del Meridione, d’Italia.

Lo sanno e se ne rendono conto tante giovani donne, mogli e madri, che sanno di essere –loro malgrado- dall’altra parte e, per questo, vorrebbero attraversare il guado, una volta per tutte.

Lo sanno, ma non vogliono vederlo, i troppi che, nello Stato, vivono solo e soltanto di connivenze. Che struzzi!

11 settembre 2010

GOD BLESS AMERICA

america 11 Settembre 2001. Da quel giorno, il mondo non è più lo stesso.

Oggi, come nove anni, l’America ha ricordato il sacrificio di 3000 persone.Reggio_calabria_processione_festa_madonna

Oggi, come nove anni fa, per uno strano incrociarsi dei destini umani, a 9000 km di distanza da quello che fu il tragico teatro dell’attacco terrorista, si è rinnovato il rito della discesa del quadro della Madonna della Consolazione.

Quella consolazione che ancora sperano di trovare i parenti delle vittime e i parenti dei numerosi soldati morti in questi anni di guerra in Iraq e in Afghanistan.

 

Sono passati nove anni e gli Stati Uniti cercano ancora di riprendersi, di riguadagnare quella forza che solo l’unione d’intenti può dare.

Ne è estremamente consapevole il Presidente Obama, il quale –pur bersagliato da critiche sempre più forti- nel suo discorso di commemorazione delle vittime degli attentati fatto al Pentagono, ha ricordato:

“Quelli che ci hanno attaccato hanno cercato di demoralizzarci, di dividerci, di privarci della stessa unità, degli stessi ideali, che rendono l'America l'America - quelle qualità che hanno fatto di noi un faro di libertà e di speranza per miliardi di persone in tutto il mondo. Oggi dichiariamo ancora una volta che non gliela daremo mai vinta. Come americani, manterremo vivi le virtù e i valori che ci rendono ciò che siamo e che dobbiamo sempre essere….Che Dio continui a benedire gli Stati Uniti d’America”. (tratto dal discorso del Presidente Barack Obama al Pentagon Memorial di Arlington, Virginia)

E le parole conclusive, con le quali gli statunitensi sono soliti chiudere i discorsi più importanti, sono anche il titolo di una bella canzone, una preghiera, che fa parte della tradizione americana.

Ed in segno di vicinanza e di riconoscenza verso questo grande Paese, mi piace proprio oggi condividerla.

God bless America (Words and music by Irving Berlin)

"While the storm clouds gather far across the sea,
Let us swear allegiance to a land that's free,
Let us all be grateful for a land so fair,
As we raise our voices in a solemn prayer. "

God Bless America,
Land that I love.
Stand beside her, and guide her
Thru the night with a light from above.
From the mountains, to the prairies,
To the oceans, white with foam
God bless America, My home sweet home.

"Mentre le nuvole della tempesta si riuniscono lontano attraverso il mare,
giuriamo fedeltà a una terra che è libera,
siamo tutti grati per una terra così bella,
mentre alziamo le nostre voci in una preghiera solenne. "
Dio benedica l’America,
Terra che amo.
Le stia accanto, e la guidi
Attraverso la notte con una luce dall'alto.
Dalle montagne, alle praterie,
agli oceani, bianchi di schiuma
Dio benedica l'America, mia casa dolce casa.

05 settembre 2010

‘U PAISI RI FURISTERI

scilla night Per chi ancora non lo sapesse, Scilla è amorevolmente definito da tutti gli scigghitani suoi figli sparsi per il globo come: ‘u paisi ri furisteri.

La definizione non si riferisce certo agli abitanti, chi sunnu ‘ndigini scigghitani, ma alla loro propensione naturale non solo ad accogliere il forestiero (la qualcosa è puru bona rucazioni), ma a ritenerlo, a prescindere, sempre più colto, più preparato, insomma, cchiù megghiu di qualunque altro essere umano nelle cui vene scorre sangu ru Scigghiu.

Tale convinzione, evidentemente basata sull’altro famoso assunto secondo il quale a Scilla si spaccau ‘u saccu ri storti –da cui la famosa frase: “Ma tutti ‘i storti ccà carunu?!”- abbraccia e comprende ogni campo, ogni carica della vita sociale, civile e religiosa della comunità dello Scigghio.

Al riguardo, ristau nta storia una famosa frase pronunciata da uno zio della mia nonna materna, Rocco Morabito, alias ‘u Zzì Rroccu ‘u Trunnisi [zio Rocco detto “il tornese”].

Esaminando la realtà scillese del tempo (siamo a cavallo tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900 dello scorso millennio), ‘u Zzì Rroccu ebbe infatti ad affermare:

“A Scilla? Tutti furisteri!

‘U Sindicu? Furisteri!

U speziali? Furisteri!

U previti? Furisteri!

Sant’à Rroccu? Ra Francia!”

02 settembre 2010

‘A MARONNA RA MUNTAGNA E ‘A CRAPA I BOVA

polsi Oggi è la festa ella Madonna della montagna di Polsi, il cuore dell’Aspromonte.

Questo luogo, che di recente è stato oggetto di attenzione da parte di tutti i mezzi d’informazione nazionali e non, solo per via dei summit tenuti tra i capi della ‘ndrangheta reggina, vede rinnovarsi oggi i riti di una festa che non è solo religiosa, ma anche di popolo, con musica, balli, tarantelle. Riti (religiosi e pagani), che si rinnovano da centinaia di anni.

Da secoli infatti, i calabresi della provincia di Reggio e anche i siciliani –specie della provincia di Messina- compiono un atto di fede autentica e salgono al Santuario di Polsi, a rendere omaggio alla Madonna della montagna per le grazie ricevute.

Numerose sono le storie che si raccontano, legate più o meno indirettamente alla tradizione popolare. Oggi, ne vogliamo raccontare una in particolare.

Tra i tanti pellegrini, vi era nu massaru, un pastore, di Bova –cittadina della ionica reggina e centro nevralgico della Bovesia, l’area grecanica della provincia riggitana, dove si parla il greco-calabro.

U massaru, in segno di ringraziamento alla Madonna di Polsi per una grazia ricevuta, cominciò ad allevare una piccola capretta.

Dovendo essere dono per la Madonna, ‘u massaru teneva particolarmente all’animale, tanto da dargli le erbe migliori e riservargli un trattamento particolare, tanto che ‘a crapa crisciva un iornu pi ‘n annu, vale a diri a vista d’occhio.

Arrivato il 2 settembre, giorno della festa, ‘u massaru, entrato nella stalla, guardò la capra e rimase lui stesso stupito dalla stazza dell’animale: era venuto su così bella e forte, chi nci pariva bruttu privarsene, anche per un fine così nobile.

Fattu sta che ‘u massaru, evidentemente pigghiatu da umana debulizza, si guardò attorno nella stalla e scelse un’altra capra, diversa da quella che aveva così accuratamente allevato.

Pigghiata ‘na corda, la passò attorno all’animale e già in piena notte si avviò lungo la strada che da Bova saliva al Santuario ra Maronna ra muntagna, unendosi agli altri pellegrini, per arrivare in tempo la mattina successiva.

Il viaggio proseguì, a peri e ca crapa ampestru, con una certa tranquillità fino a circa metà strada. All’improvviso però, l’animale, come pigghiatu da un’improvvisa paura, ‘mpuntau ‘i peri e si bloccò.

Tutti i tentativi di convincere l’animale a fare un passo in avanti, furono vani: ‘a crapa –in quantu crapa autentica e pirciò dispittusa pi natura- non si smuvìu mancu pi l’ordini ru Papa!

L’improvviso stop ra crapa, aveva intanto provocato un’indescrivibile coda e le inevitabili lamentele da parte degli altri pellegrini.

A un certo punto, un uomo si avvicinò o’ massaru per chiedere spiegazioni e ‘u massaru gli disse seccamente: “Non su’ fatti vostri!”

Al che, l’uomo rispose: “No, non su’ fatti mei, su’ fatti ra Maronna!”

A questa parole, ‘a crapa vutau i ponti e cominciò a correre velocissima in direzione contraria a quella del santuario. ‘U massaru, disperato, cercò di rincorrerla più che potè, ma poi si arrese: ra crapa non c’era signu!

Al massaro non restò che arrendersi all’evidenza. A quel punto, infatti, capì il senso delle parole dello sconosciuto e si convinse.

Tornò dunque alla stalla, prese la capra buona, quella che inizialmente aveva allevato con l’intenzione di offrirla alla Madonna, e si incamminò nuovamente lungo la strada che conduceva al Santuario.

La capra era così in salute e forte, che cominciò a correre sempre più forte lungo la salita, trascinandosi dietro ‘u poviru massaru.

Arrivarono a Polsi, davanti al Santuario in pochissimo tempo, superando il resto dei pellegrini che li precedevano.

31 agosto 2010

‘U BASTUNI I SANT’A’ RROCCU

Proseguiamo il nostro viaggio di fini ‘stati nelle leggende che accompagnano e alimentano il culto di San Rocco a Scilla.
L’episodio ru bastuni accaduto quest’anno nella processione a senso inverso per Chianalea e Marina, ci ha fatto rievocare un’altra leggenda che in pochi conoscono.
Com’ ormai sapiti, il culto verso il Santo pellegrino più famoso in Europa (pi non diri nto mundu), arrivò a Scilla –via Venezia- sul finiri del 1400.
La liggenda narra che la statua arrivata da Venezia, purtata in prucissioni, a un certo punto addivintò persona umana, assumendo le fattezze di un pellegrino, cu tantu di vistitu poviru, burraccia e bastuni.
E sicundu vui, comu prima cosa, appena arrivatu a Scilla, chi fici il pellegrino? Da buon scigghitanu, pirchì evidentementi già tali si cunsidrò, calau a’ chiazza!
Arrivatu all’altezza tra l’attuali bar e tabacchinu, non trasìu certu mi si pigghia ‘n cafè o mi si ‘ccatta sigaretti e giurnali, ma dopo essersi guardato nu pocu tornu tornu, chiantò ‘n terra ‘u bastuni, la cui inclinazioni indicava chiaramenti il luogo dove ora trovasi l’attuale chiesa.
Nel punto priciso dove ‘u bastuni tuccau terra, spuntò subitu ‘n arbiru –che possiamo considerare avo dell’attuale arbiru ra scienza- il quali crebbe negli anni, con un fusto vigoroso e una folta chioma.
A un certu puntu, l’albero assunse dimensioni e proporzioni tali che la sua ombra finì con l’oscurare del tutto il palazzo ad esso adiacente, abitato da una nobile famiglia del tempo, tali Cimino.
Vedendosi l’arbiru giustu davanti a’ casa, i Cimino, forti del loro lignaggio, pensarono bene (dal loro punto di vista) di tagliare la pianta, fino a sciupparla completamente, dalle rericate, così da ripristinare la loro veduta diretta sulla piazza scigghitana, incuranti del finomino che aveva generato la pianta.
Dal momento in cui l’albero fu tagliato, sulla famiglia Cimino si abbatterono tali e tante gravi sventure, che il loro nome scomparve dall’anagrafe cittadina.
La loro razza fu letteralmente sdirrignata, sradicata dallo Scigghio, esattamente come loro avevano fatto cu l’arbiru i Sant’à Rroccu.
Da questo episodio, divenuto leggenda, nel tempo si è quindi diffuso attraverso le generazioni che si sono succedute fino a oggi, un rispettoso timore nei confronti di San Rocco e ru so’ bastuni, con il quale il Patrono di Scilla –esattamente come un buon padre- è pronto a punire i suoi figli ogniqualvolta essi assumono comportamenti prisuntusi, contrari all’interesse della comunità o pocu ‘rucazionati in genere.
La prima cosa che nu criaturi i figghiolu scigghitanu si sente dire dai genitori negli anni della fanciullezza è: “Fa’ ‘u bravu, ‘a mamma, capiscisti? ‘Chì, se fai il monello, Sant’à Rroccu ti mina cu bastuni!” E poi, per essere ancora più persuasiva, indicando la statua del Santo aggiunge: “’U viri ddhà?!”
La qual cosa, unita alla barocca potenza espressiva della statua scigghitana del Santo –che agli occhi scigghitani, vince ovviamente ogni confronto con qualunque altra rappresentazione iconografica in campo mondiali- la qual cosa si diceva, provoca nel bimbo quel timore reverenziale cui si è già fatto cenno.
Naturalmente poi, girata dal punto di vista paganesicamente egoistico di tanti scillesi, ‘u bastuni, ritenuto lo strumento attraverso cui Sant’à Rroccu esprime la Sua potenza (!), diventa strumento di difesa individuale, personale, da coloro chi ndi vonnu mali.
Non è raro infatti, specie nei giorni della festa, sentire una strana, per certi versi agghiacciante, invocazione d’aiuto: “Oh Sant’à Rroccu, pensici Tu, cu To’ bastuni!”
Ora, è estremamente inverosimile che un Santo –chiunque sia- possa prendere in seria considerazione una tale richiesta, evidentemente fondata su pensieri che col cristianesimo fanno letteralmente… a botte (tantu per rimanere in tema).
Tornando quindi all’episodio dello scivolamento ru bastuni della statua avvenuto nella processione di quest’anno, è atavica convinzione degli scillesi che esso sia presagio di non buone nuove. Sant’à Rroccu mi ndi varda!

26 agosto 2010

CASTELLI DI RABBIA

castellidisabbia3 Hanno alzato il volume.

Coloro che la notte scorsa, quando la mezzanotte era passata da un paio d’ore, hanno aspettato che il Procuratore Generale Di Landro chiudesse la luce dopo essere andato a letto, e hanno fatto esplodere un ordigno a miccia corta che ha squassato il portone dell’abitazione del magistrato, hanno posto in atto un altra tappa del loro percorso criminale, della loro strategia criminale.

Una strategia il cui scopo è quello di far sapere che, nonostante le molteplici operazioni di polizia e i numerosi sequestri di beni che si sono registrati quest’anno, “l’altro potere” è sempre presente e sa con chi prendersela, come e quando vuole.

Questa strategia, caratterizzata da azioni di intensità e gravità via via crescenti, è iniziata subito dopo capodanno, è proseguita con azioni dimostrative anche in occasione della visita a Reggio del Presidente della Repubblica e ha visto coinvolti in pratica quasi tutti i magistrati in forza alla Procura di Reggio Calabria.

Adesso, con l’attentato della notte scorsa, il livello di intimidazione si è alzato.

Se finora, subito dopo ognuno dei precedenti attentati, puntuali si sono registrati numerosi quanto stucchevoli attestati di solidarietà e si sono svolte manifestazioni pubbliche e sit-in di sostegno verso questi uomini della Legge,  adesso questo non basta.

Bisogna fare qualcosa in più. Ma cosa? Ecco la domanda più difficile a cui ciascuno di noi, ogni calabrese, ogni italiano, è chiamato a rispondere.

E’ fuor di dubbio ed è peraltro confermato, che la scuola e la cultura possano fare molto per aiutare un individuo a imboccare la strada della legalità piuttosto che quella della delinquenza e del malaffare.

Il problema, sottolineato continuamente dagli stessi magistrati, è che oggi a scuola vanno anche i figli dei mafiosi.

Accade perciò, purtroppo, che coloro che entrano a far parte di organizzazioni criminali, la cultura e il sapere li usano sì, ma solo ed esclusivamente per il loro personale tornaconto, infischiandosene del prossimo, anche dei loro figli.

Ad esempio, oggi mi è capitato di leggere questa frase:

….è sempre un qualche meraviglioso silenzio...che porge alla vita il minuscolo o enorme boato di ciò che poi diventerà inamovibile ricordo.

Ripensando a quello che è successo la scorsa notte, se ci fate caso, quelle parole descrivono in pieno  il pensiero che ha attraversato la mente fina del bombarolo che ha ispirato, deciso, organizzato l’azione criminosa.

Sono invece le parole di un noto scrittore italiano, Alessandro Baricco, e fanno parte di un libro, “Castelli di rabbia”, il cui titolo è estremamente indicativo e rappresentativo del sentimento che provano tutti i reggini, i calabresi e gli italiani che quando leggono quella frase, pensano a ogni genere di esplosione (di colori, di fantasia, ecc.) fuorché a quella provocata da una bomba.

Eh già. In questo ultimo scorcio d’estate, potremmo starcene spensierati sulla spiaggia, a costruire castelli di sabbia, invece di dover aggiungere un altro mattone al nostro personale castello di rabbia.

23 agosto 2010

GRAZIE

srocco ‘A festa finìu.

Sugli aspetti ludico-ricreativi, è meglio fare come il fuochista, stendiamo un velo…fumoso.

Vorrei invece soffermarmi su una scena che mi ha molto colpito, avvenuta davanti alla porta dell’ospedale, al passaggio della processione.

Davanti a quel luogo che raccoglie (e sana) la sofferenza non solo di Scilla, ma anche dei paesi vicini, era tanta l’ansia di incontrare San Rocco, di vedere quell’immagine che infonde serenità, conforto e speranza.

E il più ansioso di tutti era sicuramente un ragazzo che da tempo sta lottando in ogni modo contro il nemico più vigliacco, infido, che si nasconde dentro il suo corpo.

Fino a poco tempo fa, questo ragazzo era una delle tante magliette blu e dei tanti fazzoletti amaranto, sulle quali la statua del Santo sembra quasi galleggiare. Portava il peso dello statua, insieme a quegli stessi amici che ieri lo hanno circondato per salutarlo, abbracciarlo, stringergli la mano, contenti di vederlo fra loro, contenti di sapere che quel ragazzo è uno di loro, con la stessa convinzione, la stessa forza di sempre.

E l’ha dimostrata ancora di più quella forza. Ma non era più soltanto forza fisica. In quel tendere le mani, in quell’aggrapparsi alla stanga anteriore della statua; in quel volersi alzare dalla carrozzina; in quello sforzo di voler essere ancora al suo posto, per pochi metri, guardando San Rocco direttamente negli occhi, c’era la forza della fede.

In quel volerGli dire: “Vedi, sono qui, mi affido a Te!”, c’era tutta la vera essenza della festa. L’elemento, unico e fondante, delle celebrazioni in onore del nostro Santo Patrono che, ahinoi!, troppo spesso dimentichiamo.

Lo confesso, ho pianto. Ho pianto di felicità, di gioia. Quella gioia che ti prende il cuore quando, in pochi istanti, in questi piccoli gesti di grande significato, riprendi forza, riprendi coraggio, e ringrazi il Signore di ogni più piccola cosa ti capiti ogni giorno.

A quel punto, il fuoco, il rumore, la musica, assumono un aspetto secondario, del tutto marginale.

Ecco, a quel ragazzo non c’è bisogno di dare nessun incoraggiamento. E’ lui che con il suo gesto, ha dato forza anche a me.

Per questo, a quel ragazzo pubblicamente, voglio dire semplicemente: grazie.

22 agosto 2010

‘U BASTUNI E ‘A PETRULIDDHA: CANGIAMU SUNATA!

sasso Inedita. Nessun altro aggettivo riassume quello che è capitato nella processione di ieri a Chianalea e Marina.

Causa sassolino (nella foto) rucciuliato fin nella zona antistante la Delegazione di spiaggia della Capitaneria di Porto, mentre era in corso la messa pre-uscita, le autorità hanno deciso saggiamente di chiudere il transito nell’intera area portuale, con la immediata conseguenza che il tradizionale percorso della processione è stato interamente modificato.

D’altra parte, come dar torto alle autorità: si sono salvaguardate migliaia di ‘mpigne ri rollin stones scigghitani.

Metà Chianalea (dallo scalo fino all’ingresso del porto) è stata percorsa in senso contrario. Non è stata ‘na fissarìa, in quanto le strette vineddhuzze ra Chianalea devono essere percorse con traiettorie particolari e collaudate da anni e anni. Andare in senso opposto, ha comportato un preventivo esame dell’effettiva possibilità di transito da parte della statua di San Rocco e la conseguente deviazione delle ‘ntrocce direttamente verso ‘a ‘Nunziata, vale a dire in direzione della chiesa di San Giuseppe.

In questo stato di cose più di uno si è disorientato e, vedendo la statua di San Rocco provenire dalla S.S. 18 e scendere a Marina via curva “ru Grecu”, ha pensato: “Ma è cuntrasensu!”

Eppure, sia la polizia che i vigili urbani che erano appostati a Piazza Matrice non dissiru nenti: muti!

Altro inedito l’arrivo a Marina via discesa ri Canaluni. La manovra ha presentato non poche difficoltà e, a causa del raggio di curvatura più che limitato, i portatori hanno quasi rischiato di andare a sbattere contro il muro della spalla del ponte.

Poi, si è optato per una breve sosta e il passaggio sutta o’ ponti è avvenuto a mano, giusto a filo dell’arcata pontifera. Che dire: i portatori…sa purtaru propriu!

Poi, ripresa la via Marina, tutto è tornato nella normalità e l’ultimo tratto, ‘i ‘nchianata fino alla piazza è stato percorso a tempo di record, recuperando così il pesante svantaggio.

Un altro episodio ha destato comunque numerose reazioni: all’inizio della discesa di Via Chianalea, lì dove la statua si può toccare con mano e, volendo, la grazia la puoi chiedere a San Rocco sussurrandogliela quasi nell’orecchio, qualcuno ha toccato la parte superiore del bastone, facendolo uscire dal punto di appoggio sulla base della vara. La parte d’argento che ricopre il bastone è perciò scivolata completamente.

La notizia s’è quindi sparsa per l’intero corteo ed è immediatamente rimbalzata anche sul web, così che puru a Pru Chesti hanno potuto sapere chi a Sant’à Rroccu nci carìu ‘u bastuni!

A fini prucissioni (ma puru prima), impazzava il toto-presagio, vale a dire si faceva a gara a interpretare paganamente i due segnali particolari verificatisi: la caduta del masso –beh, chiamarlo masso è un generoso complimento- e la caduta (sfilamento) del bastone.

Personalmente, non sugnu né ‘nu magu, né tantu menu nu mavàru.

L’interpretazione che ho dato a questi due episodi è che, visto che l’ha fatto anche San Rocco in processione, forse sarebbe ora che anche il paese andasse controsenso, cioè che Scilla inverta completamente la tendenza di questi ultimi anni.

‘U bastoni e ‘a petruliddha sono un chiaro invito agli scigghitani: cangiamu sunata! 

21 agosto 2010

EVVIVA SANT’A’ RROCCU!

srocco 

Scilla intera si ferma. Non perché paralizzata dal traffico (quello accade tutti i giorni in questo periodo), ma pirchì ‘ccumincia ‘a festa ‘i Sant’à Rroccu!

Come tutte le feste patronali, per chi non è propria ‘ndiginu nto sangu è difficile capire gli usi e le consuetudini che accompagnano l’evento sacro.

Un aspetto che molti non comprendono, per esempio, è quello legato al nome dialettale del Santo pellegrino: com’è che San Rocco o Santu Rroccu, a Scilla diventa Sant’à Rroccu?

In primo luogo, bisogna prestare attenzione a com’è scrittu. Nella maggior parte dei casi, lo trovate scritto come Santa Roccu.

Va bbò che è notorio che Scilla è ‘u paisi dove avvenne che il sacco (della stortìa) si spaccò, ma da qui a confondere il sesso dei santi, ce ne corre.

Nta nu paisi dove il “lei” non esiste, dove ancora è d’uso dare del “voi” a uno sconosciuto, a una persona anziana o, in genere, a una persona verso cui si nutre particolare rispetto, figuratevi con i santi!

E’ scigghitani potete dire di tutto, siamo i primi a prenderci in giro da soli e a ridere delle nostre debolezze, ma non ‘daviti a tuccari e’ santi e San Rocco in particolare.

E allura come mai questa variazione linguistica?

Semplice: p’u troppu rispettu.

Tant’è veru che l’equivoco linguistico di cui sopra, in verità si spiega con il fatto che a San Rocco, proprio in virtù del particolare rapporto devozionale che risale al 1495 o giù di lì, ci si riferisce con il termine Sant’à, che non sarebbe altro che l’equivalente scigghitanu di Santità!

Dunque, Sant’à Rroccu è la traduzione scillese –con tanto di forma abbreviata- di Santità Rocco.

Quanto sopra, per opportuna conoscenza sia degli scigghitani più giovani, che magari col dialetto non hanno tanta dimestichezza, sia dei turisti che dovessero trovarsi da queste parti.

Nessun equivoco dunque: tutti insieme potremo gridare tranquillamente “Evviva Sant’à Rroccu!” Buona festa!

17 agosto 2010

FERRAGOSTO A SCILLA:MA…A’ CASA ‘U SANNU?

 

HPIM1336 Chi fini ficiuru i cristiani? E’ questa la domanda che mi ponevo domenica scorsa, mentre sulla spiaggia ammiravo i profondi vuoti presenti.

Chi fini ficiuru quelle famiglie numerose, iarmate di teglie, termos, borsa-frigo e zzipangulu sotto braccio? E le fosse, fatte a ripa di mari, per tenercelo bello friscu (‘u zzipangulu), ndi viristu?!

Dove sono finite quelle belle stagnole, che brillavano al sole del menziornu scigghitanu, effondendo ogghiu ‘i ‘liva e sciauru spiaggia spiaggia ?

Dove sono finiti tutti quei corpi distesi al sole che se volevi arrivare in vista della battigia, dovevi letteralmente pistari sutt’ e peri ?

Rispetto agli altri anni, l’arenili scigghitanu appariva non dicu desertu, ma quasi. Colpa della crisi economica? o del fattu che pi truvari ‘n parcheggiu, unu s’av’ a raccumandari a’ Maronna?

Anche il pomeriggio, solitamente pieno di figghiolanza che arriva con il trenino, lo spazio era comunque bastevole per rucciuliarsi con una certa comodità sul briccio marino, in cerca della posa migliore per digiriri il prima possibili le ugghie fritte che avevamo ‘ssaggiatu o’ ristoranti.

Infatti, scuraggiati dalla mancanza di prelibatezze locali –parmiggiani, pipi chini, cutuletti, mulingiani, purpetti, ecc.- che solitamente animavano il ferragosto nostrano, dopo la tradizionali “calata ‘i menziornu” decidimmu di andare a mettere i piedi sotto un buon tavolo, diligentemente prenotato con un annu d’anticipu.

Cchiù il tempu passava, e menu era la voglia di turnari a ‘rrustirsi sutta o’ suli, con l’aria per giunta chi sapiva ancora di fumu, dopu che l’intera iurnata di sabitu, aveva visto andare in fumo menza muntagna ‘i Cuddhicu, ‘ntinna ru telefunu compresa.

Inoltre, non avevamo propriu fantasia di vederci arrivari supr’ ‘a testa l’elicottiru ra forestali che –avanti arretu, aventi arretu- guidatu da un pilota in vena di acrobazie spericolate tipu Vasco Rossi, cercava di stutari l’ultimu focu, spargendo in giru tantu di ddhu sali che, se vi troverete ad andare a fungi nel prossimo autunno, li troverete direttamente salati, senza bisognu di appositi salaturi.

Fu così che, ‘na parola tu e una ieu, nu biccheri tu e nu biccheri ieu, ndi iazammu ra tavula chi erunu i quattru e menza.

Più che la prospettiva-mare, a convincerci a fare i pochi passi che ci separavano dalla porta del ristoranti è stata l’espressioni scunsulata del camerieri che, con il resto della sala oramai vuota, vedendoci ancora placidamente accomodati come fossimo appena arrivati, ma ca tavula vacanti, esclamò: “Uh mamma chi manicomiu! Ma…a’ casa ‘u sannu?!”.

Fu così chi ndi turnammu supr’ a’ spiaggia. E dopu ‘n café, un tuffo per riattivari la circolazioni sanguigna ‘ntasata ru vinu, ‘na pennica per ricuperari le forze, con un ultimo abbiamo dato l’arrivederci al sole che ci salutava, nascondendosi dietro l’orizzonte.

05 agosto 2010

RACCONTI D’ESTATE: IL GIORNO CHE L’AMORE BUSSO’ ALLA MIA PORTA

b914fec7bc7b864f5acb90711d789e6a_0 In quel mondo virtuale di veri pacci che è facebook, è oramai solita ritrovarsi tutta la cittadinanza scigghitana sparsa ai quattro angoli arrotondati del mondo conosciuto.
In quella sede, dove se ne sentono e vedono di tutti i culuri, una scigghitana ha affermato: “Se un giorno l'amore busserà alla mia porta spero di essere in casa”
E poi, subito dopo, evidentemente pigghiata da repentino pintimento come per autorispondersi: “Se un giorno l'amore busserà alla mia porta… ditegli che sono uscita!
Si è scatinata tutta una filera delle più svariate risposte, chi mancu ‘a megghiu catina ‘i Sant’Antoni!
E allura, in questa estati avanzata, quando anche se ancora lavuri, ‘u ciriveddhu è già comunque in ferie da un pezzu, mi vinni mi pensu: e ieu? che cosa ho fatto nella stessa medesima circustanza?
Poi, subitaneo, nta ‘na botta, mi suvvinni cosa accaddi.
Il iorno che l’amore ha bussato alla mia porta, ieu ‘i iapriri, ‘a iaprìa ‘a porta, ma lui, Cupido, Eros (o chiamatilu comu vuliti) –la cui psiche non era ifattu prigioniera, ma evidentemente libera da ogni condizionamento- appena mi vitti, rivolto alle sue frecce, fece una Smorfia ed esclamò:

01 agosto 2010

A3:PARTI COL PIEDE GIUSTO, VIAGGIA APPIEDATO!

esodo_2010_gen Pubblicità radiofonica: per informazioni sul traffico consultare il sito stradeanas.it. Per chi viaggia sulla “A3 –Salerno-Reggio Calabria”, chiamare il numero verde 800 290 092
In queste poche parole è nascosto il dramma che vivono milioni di italiani che hanno la malsana idea/necessità di spingersi nelle desolate lande suddole per trascorrere pochi giorni di riposo estivo.
Per capire perché il viaggio sia una vera e propria avventura verso l’ignoto, basta un piccolo esempio: quello che mi è successo ieri mattina.
Partenza da casa alle 8:20; arrivo allo svincolo e mi immetto sull’autostrada cinque minuti dopo. A tranquillizzarmi, la presenza di una pattuglia della stradale, con i poliziotti che evidentemente avevano preso servizio da poco, in quanto scendono dalla macchina e si stiracchiano più per svegliarsi che per scaldare i muscoli.
Fatti neanche 50 metri, il blocco. Nessuna possibilità di andare avanti. Poi, finalmente, quando la coda di auto aveva raggiunto e superato il centinaio di metri, la pattuglia si sveglia e va a vedere cosa è successo dentro le gallerie, seguita a breve da altri due “Chips”.
Le gallerie. Meriterebbero un capitolo a parte. Buio, totale, quello che con una felice espressione scigghitana chiamiamo “scuru-limbu”. Oltre al buio, numerosi i punti in cui dalla volta l’acqua viene giù come quando piove, anche nei giorni di normale siccità estiva. Il tutto, avviene in pseudogallerie dove –per via della caduta del masso nello scorso mese di maggio- si transita a doppio senso, con le auto costrette a far uso degli abbaglianti anche incrociando altri veicoli, in barba al codice della strada.
Comu fu e comu non fu, mentre chi è ancora nei pressi dello svincolo riesce a fare marcia indietro e qualcun altro preferisce fare inversione a U e dirigersi verso Bagnara, i poliziotti riescono a far andare avanti la fila quel tanto che basta per consentirci di arrivare alla rampa posta vicino l’ingresso della prima galleria, che collega le due carreggiate Nord-Sud e permette l’uscita allo svincolo di Scilla. Così, dopo 35 minuti, riesco a tornare indietro da dov’ ero partito.
A questo punto, non mi resta che prendere la Strada Statale 18 fino a Villa San Giovanni e da lì, proseguire in direzione Reggio, dove arrivo cu l’occhi ‘i fora, stanco, sudato e con la nerbatura smuvuta chi non vi ricu, alle 9:40 dopo 80 minuti, alla fantastica media di 17,2 Km/h!
Più che fare il numero verde, credo che chi si trova a percorrere la “A3” farà il numero sì, ma verde di rabbia!
E poi, visto l’andazzo, a parere di chi scrive, il fantastico slogan dell’esodo 2010 che campeggia sul sito dell’anas, suonerebbe meglio così: “Parti col piede giusto, viaggia appiedato!”

09 luglio 2010

CHINOTTI

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(Trasposizione scigghitan-digestiva di 

“Di notte” di P. Carone)*

*Dedicatu a me’ cumpari Fortunatu, iniziatore della malatribù chinottifera

Chinotti e 'i mala 'ccasioni tu, cchiù non ci pensi, chinotti.

Chinotti e, 'u dicu a tia, par chi ripigghi 'i sensi, chinotti.

 

Chinotti, fannu beni se non haiu digeritu, chinotti.

Chinotti su' 'a sarbizza, ora l'haiu capitu, chinotti.

 

Chinotti 'a strura smorza. Ad avirni, 'u bisognu sì c'è

 

E menu mali, chi se ti senti mali, 'u so' gustu c'è.

E menu mali e chi sapur speciali nto so' gustu c'è.

E menu mali chi 'nt'ogni so' schizza ddhu 'maru c'è.

Menu mali chi quantu cchiù ndi 'nghiuttu, cchiù megghiu è.

 

Chinotti e 'u mundu è a postu, sì staiu già rirendu, chinotti.

Chinotti, hannu 'n sapuri, sai mi sta piacendu, chinotti.

Chinotti sì berrò e 'u gghiacciu cu limuni annessi nci su'.

 

E menu mali, chi se ti senti mali, 'u so' gustu c'è.

E menu mali e chi sapur speciali nto so' gustu c'è.

E menu mali chi 'nt'ogni so' schizza ddhu 'maru c'è.

Menu mali chi quantu cchiù ndi 'nghiuttu, cchiù megghiu è.

 

E poi se t'attira, ancora, ru coru resta sempri fora,

'ggiungi 'u rum, ma sulu 'n velu, mbivi, prestu, e sai chi è!

 

E menu mali, chi se ti senti mali, 'u so' gustu c'è.

E menu mali e chi sapur speciali nto so' gustu c'è.

E menu mali chi 'nt'ogni so' schizza ddhu 'maru c'è.

Menu mali chi quantu cchiù ndi 'nghiuttu, cchiù megghiu è.

 

Chinotti ha' ordinari, sì mi l'haiu signatu: chinotti.