31 agosto 2010

‘U BASTUNI I SANT’A’ RROCCU

Proseguiamo il nostro viaggio di fini ‘stati nelle leggende che accompagnano e alimentano il culto di San Rocco a Scilla.
L’episodio ru bastuni accaduto quest’anno nella processione a senso inverso per Chianalea e Marina, ci ha fatto rievocare un’altra leggenda che in pochi conoscono.
Com’ ormai sapiti, il culto verso il Santo pellegrino più famoso in Europa (pi non diri nto mundu), arrivò a Scilla –via Venezia- sul finiri del 1400.
La liggenda narra che la statua arrivata da Venezia, purtata in prucissioni, a un certo punto addivintò persona umana, assumendo le fattezze di un pellegrino, cu tantu di vistitu poviru, burraccia e bastuni.
E sicundu vui, comu prima cosa, appena arrivatu a Scilla, chi fici il pellegrino? Da buon scigghitanu, pirchì evidentementi già tali si cunsidrò, calau a’ chiazza!
Arrivatu all’altezza tra l’attuali bar e tabacchinu, non trasìu certu mi si pigghia ‘n cafè o mi si ‘ccatta sigaretti e giurnali, ma dopo essersi guardato nu pocu tornu tornu, chiantò ‘n terra ‘u bastuni, la cui inclinazioni indicava chiaramenti il luogo dove ora trovasi l’attuale chiesa.
Nel punto priciso dove ‘u bastuni tuccau terra, spuntò subitu ‘n arbiru –che possiamo considerare avo dell’attuale arbiru ra scienza- il quali crebbe negli anni, con un fusto vigoroso e una folta chioma.
A un certu puntu, l’albero assunse dimensioni e proporzioni tali che la sua ombra finì con l’oscurare del tutto il palazzo ad esso adiacente, abitato da una nobile famiglia del tempo, tali Cimino.
Vedendosi l’arbiru giustu davanti a’ casa, i Cimino, forti del loro lignaggio, pensarono bene (dal loro punto di vista) di tagliare la pianta, fino a sciupparla completamente, dalle rericate, così da ripristinare la loro veduta diretta sulla piazza scigghitana, incuranti del finomino che aveva generato la pianta.
Dal momento in cui l’albero fu tagliato, sulla famiglia Cimino si abbatterono tali e tante gravi sventure, che il loro nome scomparve dall’anagrafe cittadina.
La loro razza fu letteralmente sdirrignata, sradicata dallo Scigghio, esattamente come loro avevano fatto cu l’arbiru i Sant’à Rroccu.
Da questo episodio, divenuto leggenda, nel tempo si è quindi diffuso attraverso le generazioni che si sono succedute fino a oggi, un rispettoso timore nei confronti di San Rocco e ru so’ bastuni, con il quale il Patrono di Scilla –esattamente come un buon padre- è pronto a punire i suoi figli ogniqualvolta essi assumono comportamenti prisuntusi, contrari all’interesse della comunità o pocu ‘rucazionati in genere.
La prima cosa che nu criaturi i figghiolu scigghitanu si sente dire dai genitori negli anni della fanciullezza è: “Fa’ ‘u bravu, ‘a mamma, capiscisti? ‘Chì, se fai il monello, Sant’à Rroccu ti mina cu bastuni!” E poi, per essere ancora più persuasiva, indicando la statua del Santo aggiunge: “’U viri ddhà?!”
La qual cosa, unita alla barocca potenza espressiva della statua scigghitana del Santo –che agli occhi scigghitani, vince ovviamente ogni confronto con qualunque altra rappresentazione iconografica in campo mondiali- la qual cosa si diceva, provoca nel bimbo quel timore reverenziale cui si è già fatto cenno.
Naturalmente poi, girata dal punto di vista paganesicamente egoistico di tanti scillesi, ‘u bastuni, ritenuto lo strumento attraverso cui Sant’à Rroccu esprime la Sua potenza (!), diventa strumento di difesa individuale, personale, da coloro chi ndi vonnu mali.
Non è raro infatti, specie nei giorni della festa, sentire una strana, per certi versi agghiacciante, invocazione d’aiuto: “Oh Sant’à Rroccu, pensici Tu, cu To’ bastuni!”
Ora, è estremamente inverosimile che un Santo –chiunque sia- possa prendere in seria considerazione una tale richiesta, evidentemente fondata su pensieri che col cristianesimo fanno letteralmente… a botte (tantu per rimanere in tema).
Tornando quindi all’episodio dello scivolamento ru bastuni della statua avvenuto nella processione di quest’anno, è atavica convinzione degli scillesi che esso sia presagio di non buone nuove. Sant’à Rroccu mi ndi varda!

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