27 luglio 2014

ERODE E GLI ANGELI DEL CIELO DI GAZA

Collegamento permanente dell'immagine integrataAltra settimana di guerra a Gaza. Il bilancio dei morti, al momento in cui scrivo ha superato quota 1000: più dell'80% sono civili e, tra essi, buona parte sono bambini e donne. Ma i morti di Gaza non sono numeri, sono esseri umani con le loro storie personali. Questo, purtroppo, sembra non interessare a nessuno.

Gaza è una terra profondamente ferita, mutilata, così come lo era già nel 1956, quando lo scrittore palestinese Ghassan Kanafani scrisse la “Lettera da Gaza”, nella quale invitava un suo amico a tornare in quella città martoriata, allora come oggi, tra le macerie, per imparare da tutti questi lutti e questo dolore “che cosa è la vita e cosa il valore dell’esistenza.”

E’ stata una settimana di notti quasi insonni, a leggere e vedere immagini impressionanti provenienti dalla Palestina. In una di queste notti insonni per questa estate di fuoco su Gaza, esattamente lunedi 21 Luglio, mi è capitato di imbattermi su twitter in un tale di nome Joseph (Joe) M Ryan.

Sul suo profilo campeggiano: sullo sfondo, la foto dell'ex Presidente U.S.A. Ronald Reagan e della moglie, con tanto di bacio alla bandiera; a fianco, la foto di lui -un signore sui 65/70 anni- che abbraccia il figlio Jason, sergente dello Stato Maggiore dell'esercito statunitense, di cui si dichiara essere padre orgoglioso.
Nella sua contraddittoria biografia, il Sig. Ryan dichiara di essere:
a favore della vita, del secondo emendamento -quello che garantisce il diritto di possedere armi- nonché di essere membro della NRA (National Rifle Association, organizzazione no-profit il cui scopo dichiarato è difendere la costituzione degli Stati uniti, in particolare con le armi), membro del Tea Party di Sarah Palin (conservatori di estrema destra) e, infine, cristiano.

Cosa mi ha fatto entrare in contatto con una persona delle cui convinzioni e appartenenze non condivido nulla, a parte l'essere cristiano?

Semplicemente la sua convinzione, affermata pubblicamente, che “Dio sarà sempre dalla parte di Israele”, frase accompagnata da una sfilza di piccole bandierine a stelle e strisce, alternate a quelle con la stella di Davide.

Ne è scaturito il dialogo che segue:

- Io: “Dio non può stare con nessuno (israeliano o palestinese) che bombardi o uccida altra gente”

- Mr. Ryan risponde mostrando una lista di “torti” subiti da Israele ad opera di Hamas: il 15 Luglio abbiamo sospeso i bombardamenti su Gaza per 6 ore, nello stesso tempo Hamas ha sparato 50 missili contro Israele; 17 Luglio: abbiamo aderito alla richiesta delle Nazioni Unite per una finestra umanitaria a gaza. Hamas ha continuato a sparare da Gaza; 20 Luglio: abbiamo aderito alla richiesta della Croce Rossa di un cessate il fuoco a Shuja'iya. Hamas ha continuato a sparare da Shuja'iya.- Io: “Il popolo palestinese non sono tutti Hamas! Se continuate a bombardarli, il vostro UNICO risultato sarà più odio.”

- Mr. Ryan: “Hanno eletto Hamas come loro governo. Raccolgono ciò che seminano.”

- Io: “Perché non sostenete la politica dei partiti palestinesi “buoni”, invece di bombardare tutti quanti nella trappola a cielo aperto chiamata Gaza?”

- Mr. Ryan: “Israele sta solo difendendo i suoi cittadini, dov'è stato il clamore quando succedevano queste atrocità?...” Segue foto-elenco di atrocità commesse in Turchia,Egitto, Libia, Iran, Afghanistan, Sudan del Sud, Siria, Pakistan e Nigeria. La conclusione del manifesto-propaganda è agghiacciante: protestate solo per Gaza, allora non siete a favore dei diritti umani, siete solo contro Israele.

- Io: “Forse perché questo conflitto sta suscitando clamore nel mondo da 65 anni! Non è una questione di “sei con me o sei contro di me”....”
Mr. Ryan: “No è un problema di con o contro e se il mondo nel 1948 avesse preso posizione contro l'attacco a Israele non saremmo a questo punto oggi...E comunque Israele non ha mai cominciato queste guerre...” Segue foto di Golda Meir, con sopra riportata questa citazione:
Possiamo perdonare gli arabi perché hanno ucciso i nostri bambini. Non possiamo perdonarli perché ci costringono a uccidere i loro bambini. Avremo pace con gli arabi solo quando ameranno i loro bambini più di quanto ci odiano.”

- Io: “Ma qualcuno (più di uno) in Israele non sembra pensarla allo stesso modo. Come spiega questo eccesso di difesa?”

- Mr. Ryan: “Si chiamano Sinistra o Pacifisti, entrambi sono mortali per la libertà. Per quanto tempo tollereresti i missili sparati contro di te e la tua famiglia ?”

- Io: “Dall'altra parte, i palestinesi potrebbero chiedere: per quanto ancora tollereresti i bombardamenti e la distruzione degli ospedali? Perciò, fermate la guerra!”

Non ha replicato oltre. Non poteva, le sue limitate convinzioni guerrafondaie, manifestamente ostentate con fierezza e a forza di slogan preconfezionati, glielo hanno impedito. Per lui, solo un pacifista di sinistra, quindi mortale per la libertà di tutti coloro che la pensano al suo stesso modo.

Nei giorni e nelle notti seguenti, Israele ha proseguito i bombardamenti, prendendo di mira ospedali, le moschee, le scuole. L'ultimo rifugio per la popolazione sono le chiese cattoliche, tre, presenti nella Striscia. La propaganda dell’esercito israeliano, nelle cui fila ci sono stati più di trenta morti, recita il suo copione e avverte: “Usiamo le armi per proteggere i civili israeliani. Hamas usa i civili di Gaza per proteggere le sue armi”. Altro che "Bordo protettivo"! È sempre più operazione "Striscia pulita"

Mohammed Omer, giovane giornalista di Gaza, che scrive anche sui maggiori giornali americani come Washington Post e New York Times, twitta: “Ci stiamo abituando a questi bombardamenti aerei. Fanno paura, ma non c'è altra opzione, tranne che essere uccisi".

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Mentre qui in terra proseguono i bombardamenti, nonostante si susseguano gli appelli alla tregua e  le iniziative per chiedere un embargo militare ad Israele, il 23 Luglio ai media giunge un'immagine dallo spazio, postata da Alexander Gerst, astronauta tedesco della Stazione Spaziale Internazionale.
Si vede una zona della Terra illuminata a giorno da quelli che sembrano fuochi artificiali dorati, come quelli che siamo abituati a vedere nelle nostre feste patronali. Ma non è niente di allegro: sono le luci delle esplosioni e degli incendi causati dai bombardamenti su Gaza. Da lassù, non si distinguono confini, muri, non ci sono distinzioni. E' solo la Terra, un unico grande pianeta, dove non ci sono distinzioni tra ebrei, arabi o chiunque altro. Così è la Terra vista dallo spazio, il punto di vista di Dio.

E invece cadono le bombe. In quelle esplose a Gaza sono stati trovati chiodi con la punta filettata, tagliente, per fare ancora più danni alle persone colpite. E' pura tecnica terroristica!
In questo atto di guerra, le vittime innocenti sono soprattutto i bambini palestinesi (secondo l'ultimo bollettino ufficiale 215 sono morti, centinaia sono feriti). I bambini non sono terroristi o danni collaterali, sono il futuro di un popolo, e lo stanno uccidendo!

Chissà cosa sarebbero potuti diventare quei bambini uccisi in maniera così atroce...Medici, ingegneri, scrittori, poeti, avvocati, scienziati....

E' a questo che ho pensato ieri, quando, per caso, mi sono ritrovato sul lungomare, a condividere l'ombra di una piccola palma con un ragazzo.

E' vestito bene, pantaloni lunghi e camicia con le maniche lunghe con i polsini abbottonati nonostante il caldo e un piccolo zainetto sulle spalle. E' un po' più alto di me, più robusto, ha la pelle scura, ambrata, delle terre d'oriente. Lo guardo, sembra stanco, assonnato, ha gli occhi stretti come due fessure, si stiracchia un po', come un gatto. Cominciamo a parlare e, parlando, gli occhi tornano ad assumere dimensioni normali: viene dal Pakistan, ma studia all'università di Cosenza, biologia e lingua italiana, che parla già più che bene; mi racconta che ha uno zio e un cugino che vivono in Calabria da qualche anno, a Gioia Tauro e gli hanno consigliato di venire a proseguire gli studi in Italia, qui da noi. Ha voglia di parlare, mi dice che un suo amico gli ha chiesto una mano in questi due mesi per vendere bigiotteria in giro per i lidi. Così, prende il treno da Gioia Tauro e viene fino a Scilla, Bagnara, Villa San Giovanni o Reggio. Ogni sera, a fine giornata, fa il percorso inverso. Si lamenta -da vero commerciante- delle poche presenze nei lidi nonostante la stagione oramai inoltrata e sorride. Ha lo sguardo intelligente, mi chiede quanti anni ho, e quanti ne do io a lui: dico ventidue/ventitre, invece ne ha venti. Sembra più grande, forse per via della barbetta leggermente lunga, o più probabilmente perché vive già da uomo.
Mi saluta con un sorriso e con una stretta di mano prolungata, forse umile segno di riconoscenza per quel po' d'attenzione ricevuta: buona giornata! Solo allora mi rendo conto di non avergli chiesto come si chiama, ma non fa niente, ci vedremo in giro.

Collegamento permanente dell'immagine integrataMentre mi allontano, in direzione opposta alla sua, un pensiero mi assale: chissà se qualcuno di quei bimbi morti a Gaza sarebbe venuto a studiare qui da noi? Chissà se, tra dieci o vent'anni, l'avrei potuto incontrare in un giorno di fine luglio, sulla spiaggia di Scilla, illuminata dal sole? Chissà...Resteranno domande senza risposta le mie. Perché a Gaza, tanti bambini come i bimbi che giocavano su una spiaggia illuminata dallo stesso sole che faceva brillare il mare di Scilla, non ci sono più. Si rincorrevano e si nascondevano, in una versione da Striscia di Gaza del nostro nascondino: giocavano a “israeliani e palestinesi”, i cowboys e gli indiani dei nostri tempi.

Ma né loro né gli altri bambini innocenti hanno avuto il tempo di accorgersi che il loro gioco si è trasformato, in un attimo, nella più tragica delle realtà. Parafrasando José Saramago, l’Erode israeliano non ha voluto aspettare che quegli innocenti bimbi palestinesi crescessero, per non restare con questo peso sulla coscienza e ha sovraccaricato di angeli il cielo di Gaza.

20 luglio 2014

IL PARADISO, L’INFERNO E L’ASSOPIGLIATUTTO

 

Non mi è facile parlare d'altro in questi giorni, giorni in cui a Gaza si vive per l'ennesima volta l'inferno.
Il Medio Oriente, Israele e la Palestina portano concentrati in pochi chilometri quadrati il meglio e il peggio dell'umanità, il Paradiso e l’inferno in terra.
Da una parte quella che si chiama “Terra Santa”, Gerusalemme, il cuore delle religioni, la città santa per tutti, cristiani, musulmani ed ebrei.
Dall'altra parte, 100 km o poco più, Gaza, la prigione a cielo aperto più grande del mondo, bombardata in lungo e in largo, assaltata, distrutta.
Case, strade, ospedali, nulla viene risparmiato nonostante la “selezione chirurgica” di cui si vanta esser capace l'esercito israeliano. E' inevitabile quando si va in guerra.
Abbiamo avvisato i civili perché andassero via. Hamas li ha costretti a restare, li ha messi sulla linea del fuoco”.
Questa la dichiarazione –via twitter- dell'esercito israeliano per giustificare la messa a ferro e fuoco di Shuja'iya, un paese dove -secondo gli israeliani- Hamas piazza i razzi lanciati contro Israele, i tunnel che consentono il passaggio di viveri ma anche di armi e i propri centri di comando. La stessa cosa si ripete per glia altri paesi della Striscia colpiti in questi giorni.
Come dire: noi, anime candide, li abbiamo avvertiti, sono loro i diavoli, responsabili dei loro stessi morti.
Molte sono le ragioni di un conflitto la cui fine sembra essere oggi sempre più lontana, ma dietro la propaganda fatta da ciascuna delle due parti, dietro le razze e le religioni si nascondono gli interessi economici, i miliardi (in valore) dei giacimenti di gas e petrolio che la Natura ha formato proprio davanti al mare della Striscia di Gaza. E Israele li vuole, li pretende e sono certo farà di tutto per prenderseli.

asso-di-bastoniQuello di Israele è sempre lo stesso gioco: l'assopigliatutto. Questa terra è mia perché me l'ha promessa Dio; questa terra è mia perché mi tocca, come risarcimento per l'Olocausto subìto; questo mare è mio perché sta davanti a quella terra, quindi sono libero di metterci tutte le navi e di bombardare a mio piacimento, tanto nessuno mi dirà nulla. E nessuno, in effetti, ha fatto nulla per fermarlo e farlo ragionare.
Sì, farlo ragionare. Fare capire a Israele che nel 2014 il mondo non è più disposto a ragionare con le bombe e con le cannonate. E' difficile l'impresa, considerato che nella regione si vanno diffondendo sempre di più califfati islamici che ci riportano al più buio medioevo. Al loro confronto, il modo di ragionare israeliano è sicuramente più evoluto, sì, ma solo dal punto di vista militare.
Non vuole capire Israele. Non vuole capire che è proprio lui il primo a cui conviene avere come vicino di casa uno Stato Palestinese, organizzato come una moderna democrazia. Uno Stato con cui avere rapporti economici e commerciali così come fanno tutti (o quasi) gli altri stati nel mondo; uno Stato con cui fare accordi militari per la difesa del territorio da ogni forma di estremismo islamico mirante ai califfati; uno Stato con il quale, in definitiva, essere amico.
Per questo Israele dovrebbe aiutare i palestinesi a liberarsi di Hamas politicamente, prima ancora che militarmente. Invece, preferisce bombardare e imporre il proprio volere secondo la logica dell'assopigliatutto. Una logica basata sul disprezzo dell’altro e che, spesso, sconfina nell’odio; una logica che –è dimostrato- in tutta la storia umana non ha mai pagato, se non con il sangue, i lutti, la distruzione.

13 luglio 2014

I SCECCHI NDO INZOLU E LA “QUIETE” ISRAELIANA

Tanto se ne è parlato, alla fine è accaduto, sta accadendo in queste ore: la prima incursione di terra (e sicuramente ce ne saranno altre) nel territorio della Striscia di Gaza che è stata compiuta dall’esercito israeliano nella notte di sabato.

Si dice che la storia è maestra di vita. Assistere a un'invasione di terra nel 2014, a cento anni dalla Prima Guerra Mondiale -una guerra di terra, per questo la più sanguinosa,con milioni di morti sul suolo- significa solo una cosa: gli israeliani sono scecchi in storia!

O meglio, fanno -come diciamo noi- i scecchi ndo inzolu (gli asini nel lenzuolo), cioè fingono di essere ingenui, di non sapere cosa stanno facendo (ma lo sanno benissimo), di non conoscere la storia, ma solo quando conviene loro.

L'offensiva di terra non ha però rallentato i bombardamenti aerei, preceduti da una pioggia di volantini di avvertimento scritti in arabo -per i palestinesi- e in inglese -per il resto del mondo.Una sorta di annuncio “urbi et orbi”, cui nessuno, né in Europa né negli Stati Uniti- ha pensato o ritenuto di dover rispondere, conferendogli quasi la stessa autorevolezza di un messaggio papale!

E a proposito, l'unico a fare un appello è stato Papa Francesco: «Esorto le parti interessate e tutti quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale a non risparmiare la preghiera e a non risparmiare alcuno sforzo per far cessare ogni ostilità e conseguire la pace desiderata per il bene di tutti

Si dirà: fare appelli per la pace, pregare per la pace, è il suo “mestiere”. E' vero, ma dovrebbe essere anche il “mestiere” di chi governa -a livello locale e internazionale- perché vivere in pace significa poter progredire, migliorare. Ma invece non è così.

Dice ancora il Papa: «Quello che conta non è ciò che entra, ma quello che esce dalla bocca e dal cuore

Ebbene, se ciò che esce dalla bocca è espressione diretta di ciò che c'è nel cuore, le cose si mettono male: «Continueremo ad operare con forza in modo da riportare la quiete.» Questo ha dichiarato il premier israeliano Netanyahu.

Non intendo certo fare il processo alle intenzioni di Israele, ma fate attenzione: ha detto “quiete”, non “pace”. Letta bene, quella di Netanyahu è una dichiarazione molto inquietante, che non lascia certo presagire nulla di buono.

 

Palestina cemeteryApparentemente, infatti, “quiete”, e “pace” sono due termini simili, ma in realtà molto diversi tra loro. La pace è una condizione umana, uno stato d'animo, qualcosa insomma che è legato alla vita.

La quiete no, è una condizione ambientale, uno stato fisico: un corpo in quiete è qualcosa di fermo, statico, che non si muove, un corpo morto, la quiete è propria dei cimiteri.

 

Palestina cemetery 2

Dal lato palestinese ci di difende come si può. Si sparano missili un po' all'orbigna, senza alcun risultato se non quello di provocare ulteriori danni e terrore.

E' una lotta priva di una guida coordinata -è questa la maggior debolezza dei palestinesi. La loro non è una guerra combattuta da un esercito. La presenza di un esercito presuppone la presenza di uno Stato, ma -e qui sta un punto fondamentale!- i palestinesi uno Stato non ce l'hanno ancora. Pertanto, la loro è una lotta di liberazione, condotta più da guerriglieri che da soldati.

Una guerriglia cui però l'Autorità Nazionale Palestinese non è stata finora in grado di tramutare in qualcosa di più organizzato, in maniera tale da emarginarne le parti più estremiste, più inclini al terrorismo che alla guerriglia vera e propria. E' qualcosa che i palestinesi devono fare subito. Ma per poterlo fare nella maniera più efficace, devono essere supportati a livello internazionale, in primis dall'ONU, la stessa Organizzazione che, dopo aver riconosciuto lo Stato di Israele è come se avesse esaurito il suo compito!

In secondo luogo, devono intervenire gli Stati Uniti, il Paese che ha sempre appoggiato -e in qualche caso coperto- le iniziative delle autorità israeliane, poiché condizionato pesantemente dai mostruosi interessi economici che da sempre guidano i rapporti tra americani e israeliani. Quegli stessi Stati Uniti che, pur se scesi in campo più volte a far da pacieri, finiscono col ricordarsi dei palestinesi solo quando (come nei giorni scorsi) ne viene colpito uno che ha anche la cittadinanza americana.

E poi l'Europa, la nostra Europa.

Sarebbe importante che proprio in questi mesi di presidenza italiana si levasse un segnale forte, alto e soprattutto concreto, contro questo stato di cose che rischia di incancrenirsi in maniera definitiva, letale.

L'Italia, che in passato ha dimostrato in tante occasioni di poter svolgere una vera funzione di mediazione tra israeliani e palestinesi, deve farsi promotore in seno agli organismi europei di un atto di rottura del silenzio complice e colpevole, di un'iniziativa in un certo senso rivoluzionaria.

Sarà in grado di farlo? E' oggettivamente ragionevole nutrire qualche dubbio, ma da parte nostra -per quanto minima possa essere- non deve mancare mai un'azione di stimolo a che tale iniziativa -da più parti evocata e richiesta (attraverso appelli, petizioni, ecc.)- si concretizzi nel più breve tempo possibile.

Sul campo, intanto, continueranno: la guerra antistorica degli israeliani da un lato, la debole guerriglia palestinese dall'altra.

Continueranno fintanto che non ci si renderà conto, che per fare davvero la pace, è Israele quello chiamato al primo gesto: alla fine della lotta, prima di fare la pace, è sempre il più forte a dover fare un passo incontro al più debole e offrirgli la mano perché possa rialzarsi.

05 luglio 2014

IL CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE E LO SPECCHIO DELLA STORIA

 

Ci risiamo. Ancora una volta il Medio Oriente rischia di esplodere. Il motivo? Sempre lo stesso: il conflitto israelo-palestinese.
Dopo la "Guerra dei 100 anni" è quello che dura da maggior tempo. Tutte le guerre hanno avuto un inizio, i loro morti, ma hanno avuto anche una fine.

Questa no. Non ancora, purtroppo, dopo 65 anni.

Gli ultimi giorni ci hanno riservato cronache come queste da Gaza e da Israele:


- tre bambini israeliani rapiti e uccisi. Forse da terroristi di Hamas;
- un ragazzo palestinese rapito e ucciso per rappresaglia. Forse dai coloni;
- il padre del ragazzo palestinese ucciso, arso vivo: «Mio figlio è stato bruciato. Spero che coloro che hanno fatto questo brucino anche loro»;
- razzi, lanciati dai palestinesi, contro gli israeliani;
- i bambini israeliani che dormono in un rifugio e memorizzano canzoni lunghe non più di 15 secondi, perché è quello il tempo che hanno per mettersi al sicuro prima che arrivi il prossimo razzo;
- la madre del ragazzo palestinese ucciso: «Mi sento come se mi avessero strappato il cuore»
....

Per quanto ancora?...Per quanto ancora??...

E' la domanda da porsi, visto e considerato che si continua imperterriti a infliggere dolore e instillare odio da entrambe le parti.
Ne avessi il potere e l'autorità, farei una sola, semplice cosa: uno scambio tra israeliani e palestinesi. I primi li manderei a Gaza, i secondi nei villaggi vicini alla frontiera con il Libano, lì dove arrivano i razzi.
Sono convinto che lutti e rovine non durerebbero neanche una settimana.
Perché è così difficile mettersi nei panni di chi sta dall'altra parte?

Già, ma da che parte stare? Dalla parte di Allah e del Corano, o dalla parte di Yahveh e della Torah?
Messa così, la domanda è stupida, molto stupida.
Eppure, a guardare la storia di questi ultimi sessantacinque anni, è proprio strumentalizzando questa domanda che gli israeliani hanno continuato a dettar legge, la loro legge, nei territori palestinesi.

Il popolo che ha subito le rappresaglie naziste, con fucilazioni di massa, infligge bombardamenti, rapimenti e uccisioni strategicamente mirati e freddamente pianificati. Chi ha subito indicibili sofferenze, inferte in nome di una superiorità inesistente, impone la propria superiorità ricorrendo alle sacre scritture, al “diritto divino”, con il quale hanno giustificato e continuano a giustificare i peggiori soprusi ai danni dei palestinesi.
E' strumentalizzando la loro stessa immane sofferenza che oggi gli israeliani infliggono sofferenza e dolore al popolo palestinese. Non si può ricordare il passato e la storia per un giorno (come nel giorno della memoria) o solo quando fa comodo, dimenticandosene per il resto dell'anno!
E' vero, il nazismo e le atrocità subite dal popolo ebreo sono innegabili, incontestabili. Ma né quelle atrocità né il tanto invocato “diritto divino” autorizzano gli israeliani a commetterne altre -e, se possibile, di peggiori- ai danni di altri popoli, siano essi palestinesi, egiziani, libanesi, siriani, ecc.
Il popolo che ha vissuto sulla propria pelle l'orrore dei campi di concentramento, oggi condanna i palestinesi a vivere a Gaza, rinchiusi a cielo aperto, tra alti muri di cemento armato. Muri che, visti con gli occhi di chi a 17 anni (era la notte del 9 novembre 1989) assistette alla caduta del muro di Berlino, sono un atto contro la libertà, quanto di più antidemocratico e antistorico si possa vedere.
Ma gli israeliani, i loro governanti, non hanno mai guardato i loro atti e le relative conseguenze nello specchio della storia. Se lo avessero fatto, avrebbero visto riflessa questa immagine:

Ebrei ----> Nazisti  / Israeliani ----> Palestinesi

C'è una canzone, scritta oramai cinquant'anni fa, nel 1964, che mi rimbomba in testa in queste ore.
L'ha scritta un ebreo, Robert Allen Zimmerman, meglio noto alle platee mondiali come Bob Dylan e s'intitola 'With God on our side' -Con Dio dalla nostra parte. E' considerata uno dei più belli inni pacifisti degli anni sessanta.


Sono nove strofe che ripercorrono la storia degli Stati Uniti, una storia fatta di guerre (contro i nativi americani, gli spagnoli, la prima e la seconda guerra mondiale, fino agli anni della guerra fredda con l'Unione Sovietica -la crisi dei missili di Cuba era ancora fresca). E per giustificare ogni guerra, dice la canzone, gli Stati Uniti si sono sempre considerati -perché così è stato insegnato agli americani, fin da bambini- il Paese che aveva Dio dalla loro parte.
Ebbene, questa stessa canzone, scritta all'epoca come forte critica contro l'atteggiamento da superpotenza degli Stati Uniti e contro tutte le guerre, cambiando ambientazione e portandola in Medio Oriente può essere vista
come critica al comportamento degli israeliani e, quindi, contro tutte le guerre da essi condotte nella regione mediorientale, ipocritamente giustificate come autodifesa.

Nove strofe però non basterebbero, perché oltre alle atrocità degli israeliani, non dobbiamo dimenticare quelle commesse dai palestinesi: rapimenti, attentati suicidi, razzi, bombe....l'armamentario dell'orrore è simile -se non uguale- ma parimenti orrendo ed ingiustificabile e buono solo a giustificare e avvalorare il pregiudizio altrui.

C'è però un fattore che fa tutta la differenza del mondo e che non può essere ignorato o ipocritamente nascosto: mentre gli israeliani sono uno Stato, con il loro esercito e il loro territorio, i palestinesi sono solo una nazione, un popolo, senza Stato perché senza territorio, senza territorio perché gli è stato sottratto.
E quando un popolo non ha un proprio territorio, a maggior ragione perché gli è stato sottratto, che fa? Combatte, legittimamente, per averlo.
Attenzione, non è una legittimazione del terrorismo (che è cosa ben diversa, da condannare sempre e comunque), è sempre stato così nella storia.
Non dimentichiamoci mai che anche l'Italia è il frutto della lotta condotta dal popolo italiano con la Resistenza (non solo quella fatta dai partigiani, anche quella condotta, in segreto, dalle migliori intelligenze costrette all'esilio; dai politici e dagli statisti che, seppur costretti a nascondersi per sfuggire al nazifascismo, continuarono la loro lotta guidati da ideali –ahimè!- oggi dispersi nel fumo della seconda Repubblica). Una lotta che ci ha restituito il nostro Paese, ha dato forma a uno Stato e ci ha regalato la pace, la giustizia e la libertà.

Se Dio è dalla nostra parte, fermerà la prossima guerra” concludeva Bob Dylan con un ultimo verso che è una preghiera e un auspicio figlio del pacifismo di quell’epoca, forse in risposta provocatoria ad Abramo Lincoln, che un secolo prima aveva detto: ”La mia preoccupazione non è se Dio è dalla nostra parte; la mia più grande preoccupazione è essere dalla parte di Dio, poiché Dio ha sempre ragione”. Così Lincoln, politico abile, aveva fatto le sue guerre.
Essere davvero dalla parte di Dio significa ripudiare ogni forma di sopraffazione ai danni degli altri. Essere dalla parte di Dio significa cercare il dialogo -come ha fatto pochi giorni fa Papa Francesco con israeliani e palestinesi riuniti a Roma.
Essere davvero dalla parte di Dio significa mettere da parte ogni interesse economico, storico o (soprattutto) religioso che sia e porre in atto una soluzione, la soluzione, che già tutti conoscono ma che le parti in causa rifiutano di mettere in atto!

La soluzione, unica, -non ve ne sono altre!- è quella di consentire ai palestinesi di avere anch'essi -come gli israeliani- uno Stato. Avere cioè restituito il proprio territorio; avere una costituzione e delle leggi che ne regolino il funzionamento; avere un esercito, che quel territorio possa difenderlo legittimamente.
Solo la presenza di uno Stato democraticamente organizzato in tutte le sue componenti può consentire ai palestinesi di far cessare e annullare il terrorismo e ogni forma di estremismo fino ad oggi imprescindibilmente posta a giustificazione dell'”autodifesa” israeliana. Noi in Italia, che abbiamo vissuto gli anni di piombo (anni di cui, pur essendo allora bambino, ricordo l'atmosfera buia, pesante, insopportabile, di paura e dolore) lo sappiamo meglio di chiunque altro!

Solo la libertà di uno Stato palestinese democraticamente organizzato può consentire a ebrei, musulmani e cristiani di andare a pregare nelle sinagoghe, nelle moschee e nelle chiese, senza il timore di saltare in aria.
Solo uno Stato palestinese e uno Stato israeliano insieme, potranno consentire al mondo intero di riscoprire l'antica bellezza e la sacralità di Gerusalemme, senza distinzione di “settori”, ma solo con i suoi quartieri, le sue case, i suoi odori, le sue strade, percorse liberamente da tutti, arabi ed ebrei, in un miscuglio di lingue, culture e tradizioni, da buoni vicini, com'era prima del 1948.
Già, un tempo era così ed è così ancora oggi: da una parte e dall'altra dei muri di cemento armato, ci sono uomini, donne e bambini che hanno la stessa necessità: smettere di vivere in un inferno in terra e tornare a vivere una vita normale. Non è difficile immaginare che il giorno in cui verranno abbattuti quei muri di cemento armato, rivedremo le stesse scene viste a Berlino nell’ormai lontano 1989.

E' così che deve tornare a essere, perché in fondo, lo specchio della storia, se solo lo guardiamo correttamente e senza pregiudizi, ci restituisce una sola immagine, ci insegna una sola lezione.

Non importa quali siano la cultura, le tradizioni o la lingua che si parla. Il mondo è come un grande vocabolario: in esso, tutti gli uomini sono come le parole e ciascuna parola ha un senso compiuto solo perché è definita da altre parole.
Così come ciascuna parola esiste, dunque, perché esistono altre parole che le danno significato pieno, con le quali condivide le stesse vocali e consonanti, allo stesso modo ciascuno di noi esiste non per semplice “diritto divino”, ma perché il Dio che ci ha messo su questo mondo -qualunque sia il suo nome- ha fatto sì che la nostra persona si formasse non da sola ma con e per mezzo di altre persone, con le quali essa condivide il tempo in cui vive.

Se il vocabolario sia scritto in ebraico o in arabo non fa, dunque, alcuna differenza perché, a ben vedere, l'indicazione che esso dà, comprensibile a tutti, a ciascuno nella propria lingua e perciò inequivocabile, è una soltanto: non siamo il frutto di una superiorità di uno rispetto all’altro, ma di collegamenti -umani, culturali, ecc.- e, quindi, di una condivisione - שיתוף- مشاركة

Credo che queste povere considerazioni siano solo una goccia nel mare. Ma credo anche che tanti altri, in tutto il mondo, le condividano. Così che nel mondo ci sono tante piccole gocce. E tante piccole gocce, alla fine, finiscono col diventare prima una pozzanghera, poi un lago e, infine, un fiume. E il fiume, con la sua corrente, alla fine riuscirà a fornire l’acqua per spegnare l’inferno in terra palestinese.