13 luglio 2014

I SCECCHI NDO INZOLU E LA “QUIETE” ISRAELIANA

Tanto se ne è parlato, alla fine è accaduto, sta accadendo in queste ore: la prima incursione di terra (e sicuramente ce ne saranno altre) nel territorio della Striscia di Gaza che è stata compiuta dall’esercito israeliano nella notte di sabato.

Si dice che la storia è maestra di vita. Assistere a un'invasione di terra nel 2014, a cento anni dalla Prima Guerra Mondiale -una guerra di terra, per questo la più sanguinosa,con milioni di morti sul suolo- significa solo una cosa: gli israeliani sono scecchi in storia!

O meglio, fanno -come diciamo noi- i scecchi ndo inzolu (gli asini nel lenzuolo), cioè fingono di essere ingenui, di non sapere cosa stanno facendo (ma lo sanno benissimo), di non conoscere la storia, ma solo quando conviene loro.

L'offensiva di terra non ha però rallentato i bombardamenti aerei, preceduti da una pioggia di volantini di avvertimento scritti in arabo -per i palestinesi- e in inglese -per il resto del mondo.Una sorta di annuncio “urbi et orbi”, cui nessuno, né in Europa né negli Stati Uniti- ha pensato o ritenuto di dover rispondere, conferendogli quasi la stessa autorevolezza di un messaggio papale!

E a proposito, l'unico a fare un appello è stato Papa Francesco: «Esorto le parti interessate e tutti quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale a non risparmiare la preghiera e a non risparmiare alcuno sforzo per far cessare ogni ostilità e conseguire la pace desiderata per il bene di tutti

Si dirà: fare appelli per la pace, pregare per la pace, è il suo “mestiere”. E' vero, ma dovrebbe essere anche il “mestiere” di chi governa -a livello locale e internazionale- perché vivere in pace significa poter progredire, migliorare. Ma invece non è così.

Dice ancora il Papa: «Quello che conta non è ciò che entra, ma quello che esce dalla bocca e dal cuore

Ebbene, se ciò che esce dalla bocca è espressione diretta di ciò che c'è nel cuore, le cose si mettono male: «Continueremo ad operare con forza in modo da riportare la quiete.» Questo ha dichiarato il premier israeliano Netanyahu.

Non intendo certo fare il processo alle intenzioni di Israele, ma fate attenzione: ha detto “quiete”, non “pace”. Letta bene, quella di Netanyahu è una dichiarazione molto inquietante, che non lascia certo presagire nulla di buono.

 

Palestina cemeteryApparentemente, infatti, “quiete”, e “pace” sono due termini simili, ma in realtà molto diversi tra loro. La pace è una condizione umana, uno stato d'animo, qualcosa insomma che è legato alla vita.

La quiete no, è una condizione ambientale, uno stato fisico: un corpo in quiete è qualcosa di fermo, statico, che non si muove, un corpo morto, la quiete è propria dei cimiteri.

 

Palestina cemetery 2

Dal lato palestinese ci di difende come si può. Si sparano missili un po' all'orbigna, senza alcun risultato se non quello di provocare ulteriori danni e terrore.

E' una lotta priva di una guida coordinata -è questa la maggior debolezza dei palestinesi. La loro non è una guerra combattuta da un esercito. La presenza di un esercito presuppone la presenza di uno Stato, ma -e qui sta un punto fondamentale!- i palestinesi uno Stato non ce l'hanno ancora. Pertanto, la loro è una lotta di liberazione, condotta più da guerriglieri che da soldati.

Una guerriglia cui però l'Autorità Nazionale Palestinese non è stata finora in grado di tramutare in qualcosa di più organizzato, in maniera tale da emarginarne le parti più estremiste, più inclini al terrorismo che alla guerriglia vera e propria. E' qualcosa che i palestinesi devono fare subito. Ma per poterlo fare nella maniera più efficace, devono essere supportati a livello internazionale, in primis dall'ONU, la stessa Organizzazione che, dopo aver riconosciuto lo Stato di Israele è come se avesse esaurito il suo compito!

In secondo luogo, devono intervenire gli Stati Uniti, il Paese che ha sempre appoggiato -e in qualche caso coperto- le iniziative delle autorità israeliane, poiché condizionato pesantemente dai mostruosi interessi economici che da sempre guidano i rapporti tra americani e israeliani. Quegli stessi Stati Uniti che, pur se scesi in campo più volte a far da pacieri, finiscono col ricordarsi dei palestinesi solo quando (come nei giorni scorsi) ne viene colpito uno che ha anche la cittadinanza americana.

E poi l'Europa, la nostra Europa.

Sarebbe importante che proprio in questi mesi di presidenza italiana si levasse un segnale forte, alto e soprattutto concreto, contro questo stato di cose che rischia di incancrenirsi in maniera definitiva, letale.

L'Italia, che in passato ha dimostrato in tante occasioni di poter svolgere una vera funzione di mediazione tra israeliani e palestinesi, deve farsi promotore in seno agli organismi europei di un atto di rottura del silenzio complice e colpevole, di un'iniziativa in un certo senso rivoluzionaria.

Sarà in grado di farlo? E' oggettivamente ragionevole nutrire qualche dubbio, ma da parte nostra -per quanto minima possa essere- non deve mancare mai un'azione di stimolo a che tale iniziativa -da più parti evocata e richiesta (attraverso appelli, petizioni, ecc.)- si concretizzi nel più breve tempo possibile.

Sul campo, intanto, continueranno: la guerra antistorica degli israeliani da un lato, la debole guerriglia palestinese dall'altra.

Continueranno fintanto che non ci si renderà conto, che per fare davvero la pace, è Israele quello chiamato al primo gesto: alla fine della lotta, prima di fare la pace, è sempre il più forte a dover fare un passo incontro al più debole e offrirgli la mano perché possa rialzarsi.

Nessun commento: