26 dicembre 2021

TEMPO DI REGALI E REGALI DI UN TEMPO

Natale, tempo di regali. Ogni anno, è il rito pagano che affianca -e spesso supera, fino a sopraffarlo- quello religioso.

Si fa a gara a chi ne riceve di più e di più belli, nelle case si fatica a trovare loro il posto, perché sono troppi per stare nel paniere posto strategicamente sotto l'albero. Ci vorrebbe un contenitore più capace, a tipu 'n cofunu o 'na cufunetta.

Per chi non li conoscesse, sono i contenitori che si usano durante la vendemmia, per raccogliere temporaneamente l'uva che viene poi trasportata -oggi su mezzi motorizzati, una volta a piedi, in equilibrio sulla testa di donne esperte- verso il palmento per la successiva pigiatura.

Sono cesti a forma di tronco di cono, fatti di stretti fasci di legno sapientemente intrecciati, con apposite maniglie per agevolarne la presa e si differenziano tra loro per diametro e altezza. 'U cofunu raggiunge i 60-70 cm di altezza, mentre 'a cufunetta, più piccola, si ferma a circa 40-50 cm.

Parlando di regali, cofunu e cufunetti, mi è tornata in mente una storia di regali di un tempo, raccontatami qualche giorno fa.

C'era una volta (non è una fiaba ma una storia vera, però mi piace iniziare così) un padre, grande lavoratore, che ogni anno portava avanti la sua attività anche durante i caldi giorni dell'estate scillese. Da quando aveva iniziato a lavorare, fin da giovanissimo, e pure in seguito, dopo il matrimonio e la nascita dei figli, non aveva mai preso una settimana di ferie.

Un'estate, però, quando i figli erano abbastanza grandicelli per poter viaggiare con una certa serenità, decise che era giunto il tempo per loro di conoscere le bellezze della nostra meravigliosa Italia. Fu così che, finalmente, prese una settimana di riposo dal lavoro e insieme alla famiglia fece un rapido giro della penisola italica: i freschi paesaggi montani del Trentino, per riprendersi dalla calura scigghitana; poi Venezia,la Chianalea del nord; continuando a scendere, fu la volta di Firenze, coi suoi tetti tutti uguali e, infine, la capitale Roma, ché, si sa, le strade tutte lì portano.

Per i figli, che non si erano mai allontanati troppo da Scilla fino ad allora, fu un'esperienza bellissima, tanto che ancora oggi, a tanti anni di distanza, la ricordano con dovizia di particolari.

Un episodio, però, rimase impresso nella loro mente più degli altri. Mentre si trovavano a Venezia, il padre volle portare la famiglia a visitare la cattedrale di San Marco e, quindi, l'omonima piazza antistante. Una volta completata la visita, poiché era ora di pranzo, il padre volle offrire a moglie e figli il privilegio di pranzare in un noto ristorante di piazza San Marco. La moglie fece qualche obiezione, ma alla fine fu d'accordo col marito: i propri figli avrebbero ricordato di essere stati, proprio lì, in quel posto esclusivo al mondo, ogni volta che avrebbero avuto occasione, in futuro, di tornare nella Serenissima.

Entrati nel ristorante, i figli restarono subito colpiti e affascinati dall'arredamento ricercato del locale e dall'eleganza dei camerieri, in livrea e guanti bianchi. Preso posto a un tavolo già apparecchiato di tutto punto, un cameriere si avvicinò e riempì d'acqua i loro bicchieri. Quindi, prese le ordinazioni. Dovendo proseguire il giro turistico, decisero di evitare di 'mpanzarsi, così ordinarono un secondo: cotolette.

Mentre aspettavano che arrivassero le pietanze ordinate, ingannando l'attesa in una tranquilla conversazione familiare, sorseggiavano l'acqua e ogni volta che il bicchiere si svuotava, il cameriere provvedeva sollecitamente a versarne dell'altra. Ciò attirò l'attenzione dei bambini e una di loro si domandò: Ma chistu -cioè il cameriere- pirchì continua mi ndi inchi 'i biccheri, se nui mbivimmu ora-ora!?

Finalmente, arrivarono le cotolette: una ciascuno e manco molto grande, al contrario di come siamo abituati nelle case calabresi. La famiglia consumò il pasto, serena e tranquilla, godendosi quel momento di riposo e spensieratezza.

Finito il pranzo, arrivò il momento di pagare il conto. Il padre andò a pagare e tornò al tavolo. La moglie, in quanto fimmina e madre risparmiatura calabrisi scigghitana, non resistette alla curiosità di chiedere al marito quanto avessero pagato.

Il marito, in quanto masculu e padre orgoglioso lavoratore calabrisi scigghitanu, rispose: Pavammu, iamanindi.

Secondo voi, la moglie si accontentò di quella risposta? Certo che no! In maniera risoluta, come solo le mamme calabresi sanno esserlo, disse subitanea al marito: E no, ' u vogghiu sapiri!

Ora, poiché l'amore, tra le tante sue forme, spesso assume quella del compromesso, il marito decise di rivelarglielo, ma in modo discreto e strettamente confidenziale: per non svelare ai bambini quell'aspetto materiale che avrebbe spezzato la magia di quel giorno particolare per loro, sussurrò il totale del conto all'orecchio della consorte.

Una volta usciti dal ristorante, la madre, che dentro il locale era rimasta impassibile dopo aver udito il sussurro numerico-economico del marito, si fermò, lo guardò dritto negli occhi ed esclamò perentoria e definitiva: Oh figghiu! Cu chiddhu chi spindimmu, ndi faciva 'na cufunettata 'i cutuletti!!

Oggi, nel ricordare a distanza di tanti anni quell'episodio, quei figli rinnovano -pure nell'espressione del volto e degli occhi che accompagna il loro racconto- la gratitudine e la riconoscenza verso i sacrifici fatti dai propri genitori, perché consapevoli del dono ricevuto anche con quella vacanza per loro inaspettata.

Ah, un'ultima cosa: non seppero mai quale fosse stata la cifra pagata in quel ristorante di Piazza San Marco. Non ha importanza, perché l'amore di un padre e di una madre non hanno prezzo.

21 novembre 2021

LE TENEBRE DELL'IGNORANZA

 Il più sacro dei punti del fiume Gange si trova “in corrispondenza della larga curva che il fiume sacro degli indù disegna attraversando la città di Benares (conosciuta anche come Varanasi), nell'Uttar Pradesh (stato dell'Est dell'India, sotto la catena Himalayana). “E' qui che, per migliaia di anni, gli indù sono venuti a bagnarsi nelle sue acque sacre, a berle, a implorare il favore degli dèi capricciosi.”*

All'alba del 15 agosto 1947, il giorno in cui venne proclamata l'indipendenza dell'India dalla corona inglese, in onore della (allora) più giovane nazione del mondo “le file silenziose scendevano per i ghat, le larghe scalinate che conducono al fiume; ognuno dei pellegrini recava una piccola lampada a burro fuso o a olio di canfora, simbolo della luce che scaccia le tenebre dell'ignoranza.”*

In un piccolo paese della Calabria sulle rive dello Stretto di Messina, a poco meno di 7.900 km di distanza da Benares, da due settimane un gruppo numericamente inferiore alle folle indiane del 1947 ma non meno determinato, ogni lunedì sera si reca in pellegrinaggio verso la struttura dell'ex Ospedale “Scillesi d'America”. E' un pellegrinaggio il loro, un viaggio poiché condotto verso un luogo che in un certo qual modo possiede una sua sacralità antropologica per gli scillesi che, seppur residenti, sono pur sempre pellegrini poiché costretti a condizioni di civilizzazione ridotta. Sì, perché là dove non si riesce a garantire un diritto costituzionalmente sancito come il diritto alla salute, quella società vive in condizioni di civilizzazione ridotta.

I pellegrini scillesi non hanno “lampada a burro fuso o a olio di canfora”, ma moderne torce a batteria, “per simboleggiare una luce di speranza in una terra dove le speranze vengono quotidianamente uccise”, afferma chi l'ha organizzato.

La speranza è un concetto che appartiene più all'aspetto filosofico-religioso e, in particolare, cristiano. Trattandosi di un pellegrinaggio laico, però, mi piace pensare che quelle luci servano, come in India, a scacciare soprattutto le tenebre dell'ignoranza, che hanno reso orbi politici, commissari, sub-commissari e chiunque abbia guidata la sanità regionale almeno nel corso degli ultimi quindici anni.

In tutto questo tempo, si è voluto ignorare tutti gli appelli, le manifestazioni, gli articoli di giornale che cercavano di dimostrare -numeri alla mano- che il disegno della sanità regionale non corrispondeva né con quelle che erano le potenzialità delle strutture sanitarie presenti sul territorio né, soprattutto, con l'effettiva domanda sanitaria da parte della popolazione.

Già nel Piano Sanitario Regionale del 2007/2009 erano chiare le deficienze della rete sanitaria, dovute a un motivo semplice: era stata dimensionata esclusivamente sulla base del numero di residenti, senza tener conto di come la popolazione calabrese fosse distribuita sul territorio. Il risultato fu che l'offerta sanitaria di quel Piano era inferiore del 31% rispetto alle reali necessità dei residenti, tenendo conto di come essi fossero distribuiti sul territorio regionale, cioè secondo il parametro della densità di popolazione, l'unico che avrebbe consentito di realizzare una rete con strutture sanitarie presenti lì dove servono, ovvero dove ci sono agglomerati urbani di 40-50.000 persone.

Dal 2010 in avanti, le tenebre della voluta ignoranza dei decisori politici hanno nascosto il più grande danno fatto alla salute dei calabresi, che ha comportato, di fatto, la pesantissima limitazione del primario diritto di ogni individuo, quello alla salute, sacrificato sull'altare del dio denaro, nella falsa convinzione che si sarebbe rientrati dall'enorme disavanzo di bilancio chiudendo gran parte delle strutture presenti sul territorio, tra le quali lo storico nosocomio scillese.

I fatti, a dieci anni di distanza, hanno dimostrato la non veridicità di quanto ci hanno propinato: gli ospedali sono stati chiusi e la loro parziale riconversione non è ancora stata attuata; i debiti rimangono, pesantissimi e, di fatto, inestinguibili se non per mezzo di un “provvedimento di clemenza” da parte del governo nazionale; dei responsabili di questi debiti multimilionari, solo pochissimi sono stati tuttora individuati e condannati.

Davanti a questa che è ormai la storia, non resta che prendere un'altra strada, ripensare totalmente, una volta azzerato il debito, la rete sanitaria regionale in maniera da garantire la presenza di buone strutture sanitarie lì dove le persone vivono, dimensionando il loro numero e le loro funzioni in base alla densità di popolazione.

In caso contrario, i problemi attuali continueranno a perpetuarsi nel tempo, resteremo sempre nel buio attuale e alle torce che oggi provano a squarciare queste tenebre, chissà quante volte ci toccherà cambiare le batterie.

*N.B.: Brani tratti da “Stanotte la libertà”, di Dominique Lapierre e Larry Collins

24 ottobre 2021

APPELLO PER L'ISTRUZIONE DELLE DONNE IN AFGHANISTAN

 Nei giorni in cui l'Afghanistan, che è oramai sparito dalle prime pagine dei giornali italiani, fa parlare nuovamente di sè per le macabre e barbare esecuzioni ad opera dei talebani, finalmente una voce si leva a sostegno delle donne afghane che con coraggio reclamano i loro diritti contro il nuovo regime oppressivo.

 
Attraverso Twitter, Fatima Ayub, direttrice di Crisis Action - Coordinamento di campagne internazionali contro i conflitti e per la protezione dei civili, ci fa sapere di un'iniziativa straordinaria: un gruppo di studiosi islamici ed attivitsti afghani ha lanciato un appello "sul sacro dovere di educare le ragazze". 
 
Il documento (oltre dieci pagine), scritto in cinque lingue (inglese, arabo, persiano, pashto e turco), le lingue del mondo islamico, ripercorre i fondamenti dell'Islam, tra i quali vi è l'istruzione, e pone l'accento sul fatto che nel Corano sono molteplici gli episodi narrati, nei quali le donne hanno assunto ruoli di primo piano.
 
Quello di cui riporto di seguito ampi stralci è un documento importante, perché consente anche a chi non è musulmano di comprendere come, in realtà, tutta la propaganda talebana non è altro che una falsa applicazione dei precetti islamici. 
 
Imperativo islamico per l'educazione delle donne in Afghanistan 
 
<<Nel Nome di Allah, il Misericordioso, il Donatore di Misericordia - La pace sia su tutti i profeti, maestri dell'umanità, fino all'ultimo di loro, Maometto...
A causa dei recenti cambiamenti nel governo dell'Afghanistan derivanti da una guerra di lotta contro l'influenza straniera e da una soluzione politica non trasparente tra gli afghani con il precedente regime, l'idea che l'Emirato islamico dell'Afghanistan mirerà a implementare un sistema di governo islamico porta in prima linea il momento in cui ci sia più discussione tra studiosi musulmani, politici, accademici e specialisti sulla definizione dei valori e delle politiche fondamentali islamici che un governo islamico aspirerà a governare. Sono in corso molte conversazioni su una serie di questioni che abbracciano ogni aspetto della società e della governance ed è necessario un ulteriore dialogo per definire i dettagli di tali conversazioni. I dettagli della politica e dell'applicazione della legge sono solo un aspetto. Le questioni che riguardano la struttura sociale della società sono un'altra. Una di queste discussioni critiche è la questione dell'istruzione delle donne e delle ragazze in Afghanistan. A causa di quanto fatto dai talebani negli anni '90, l'attuale natura ambigua delle politiche sull'istruzione annunciate dall'attuale governo e la paura della violazione da parte degli stranieri dei valori di un sistema educativo che riflette i valori islamici, è fondamentale chiarire l'insegnamento dell'Islam sull'istruzione delle donne per promuovere tale dialogo.
 
La posizione dell'Islam sull'istruzione è inequivocabilmente uno dei fondamenti più importanti della fede. L'intero obiettivo della rivelazione da Dio all'umanità era rimuovere l'oscurità dell'ignoranza con l'illuminazione della conoscenza.
 Alif-Lam-Ra. Questo è˺ un Libro che ti abbiamo rivelato O Profeta˺ affinché tu possa condurre le persone fuori dalle tenebre e alla luce, per Volontà del loro Signore, sul Sentiero dell'Onnipotente, del Degno di Lode —” Corano 14:1
 
La rivelazione all'umanità di Adam [Adamo), Nuh (Noè), Ibrahim (Abramo), Musa (Mosè), 'Isa (Gesù) e Muhammad (Maometto) (la pace sia su tutti loro) è stata fondata sull'istruzione e sulla diffusione della conoscenza. La prima rivelazione del Corano fu un'istruzione da leggere, recitare, a una società araba che aveva l'analfabetismo di massa.
 
Nel nome del tuo Signore che ha creato - creato umani da un grumo appiccicoso   .E il tuo Signore è il Generosissimo, Che ha insegnato con la penna -ha insegnato all'umanità ciò che non sapeva” Corano 96:1–5 
 
È stato citato dagli storici che il compagno Umar ibn Al Khattab (Allah sia soddisfatto di lui) era una delle sole diciassette persone in tutta la Mecca all'epoca in grado di leggere e scrivere.
L'Islam infatti è venuto a portare l'alfabetizzazione ed è stato al centro della preparazione dell'istruzione per uomini e donne.
Il Profeta Maometto (la pace sia su di lui) disse: "Cercare la conoscenza è un obbligo per ogni musulmano" (Narrato dall'Imam Muslim nel suo Sahih). Un'aggiunta che è debole afferma che abbia detto "su ogni uomo e donna musulmana". Eppure, l'Imam Al Nawawi ha detto, "anche se questa (parte del) hadith è debole, il suo significato è corretto".
 
Mentre la conoscenza menzionata in questo hadith si riferisce principalmente alla conoscenza sacra che collega una persona all'Onnipotente quale guida sacra per ogni aspetto della vita, non si limita ad essa e comprende tutta la conoscenza. Gli studiosi dell'Islam non solo hanno discusso ampiamente nel merito i diversi rami della conoscenza, ma hanno partecipato attivamente alle scienze, alla matematica, alla poesia e alle arti, alle arti liberali e altro ancora.
 
...I musulmani avanzarono in ogni campo del sapere e ne divennero il baluardo per secoli.
George Saliba nel suo libro, Islamic Science and Making of the European Renaissance [Scienza islamica e creazione del Rinascimento europeo), discute di come l'Islam sia stato la fonte delle innovazioni nelle scienze e in tutti i rami della conoscenza che hanno avuto un impatto sull'Europa e sul mondo per questi motivi. L'Islam ha incoraggiato l'istruzione ed essa è stata la base dello stato musulmano per istituire scuole in sistemi educativi localizzati nelle moschee, il che ha poi portato alla creazione di scuole formalizzate nelle moschee e poi in altre al di fuori delle moschee. Non solo le discipline islamiche, ma anche tutte le branche del sapere e delle scienze venivano insegnate in queste istituzioni basate sulle masjid. Saliba afferma inoltre che “il paradigma europeo del conflitto tra religione e scienza non si applica realmente al mondo islamico. La religione dell'Islam incoraggia l'indagine razionale e scientifica. Pertanto, i musulmani non vedono contraddizioni insormontabili tra la loro fede e le leggi naturali. Quindi, studiare la religione e studiare le scienze naturali non crea un conflitto per i musulmani” (Nuh Aydin, Fountain Magazine). Gli studiosi islamici hanno basato tale ricerca di tutta la conoscenza sul principio che lo studio della scienza non contraddirà mai la rivelazione di Dio che ha creato l'universo naturale e ne ha determinato la perfetta funzione.
 
La parola che indica la conoscenza ('ilm) in arabo è definita come "l'inverso dell'ignoranza" (Ibn Mandhur).
Tra le prime istituzioni stabilite dal Profeta, pace su di lui, c'è l'istituzione educativa. Non solo il masjid del Profeta era un centro di apprendimento, ma il Profeta diede indicazioni alle persone di imparare nelle istituzioni di apprendimento della comunità conosciute come Bayt Al Midras.
 
I precetti e la norma del profeta Maometto dimostrano che il bisogno di istruzione è un diritto delle persone che deve essere garantito da ogni governo islamico.
 
La Dichiarazione islamica universale dei diritti dell'uomo (UIDHR), adottata dal Consiglio islamico d'Europa il 19 settembre 1981/21 Dhul Qaidah 1401 H, afferma:
“XII. Diritto alla libertà di credo, pensiero e parola
… b) La ricerca della conoscenza e la ricerca della verità non sono solo un diritto, ma un dovere di ogni musulmano”.
 
È stato purtroppo un segno dell'ignoranza globale della storia islamica, sia da parte di musulmani che di non musulmani, del ruolo collettivo e del contributo delle donne in ogni aspetto dell'istruzione e della società musulmana nella tradizione islamica. Le donne sono state una fonte di istruzione e saggezza tramite le storie delle donne menzionate come esempi per tutta l'umanità nel Corano: la servitù di Maryam (Maria), la perseveranza sulla verità di Asiyah (moglie di Faraone), l'istituzione della giustizia della Regina di Saba, la madre e la sorella di Musa (Mosè) sono esempi di fiducia in Dio, la menzione delle madri dei credenti, le mogli del profeta Maometto e le sue figlie che sono diventate alcune delle più grandi fonti di erudizione islamica nella storia. Sua moglie Khadijah è stata la prima credente nella fede e uno dei più importanti sostenitori e consiglieri per lui. Era una donna d'affari di successo e ben nota alla Mecca che gli fu proposta per l'affidabilità e la lealtà che gli testimoniò come suo datore di lavoro. 
 
Le sue mogli come 'Aishah e Umm Salmah, fecero spedizioni con il Profeta e in seguito, dietro i veli, insegnarono, consigliarono e furono alcuni dei più importanti consiglieri politici del califfato. Sono conosciute come alcuni dei più grandi studiosi della storia islamica. Alcune compagne hanno combattuto in una battaglia fisica e una donna è tra le uniche persone conosciute sulla terra che hanno salvato fisicamente la vita del profeta Maometto, la pace sia su di lui, prendendo più colpi al corpo mentre combatteva contro un aggressore in battaglia, Umm 'Ammarah Nusaybah bint Ka'b. Oltre al fatto che il Profeta (la pace sia su di lui) ha attivamente consultato le donne in questioni governative e politiche, tra i più importanti momenti di coinvolgimento politico nella storia dell'Islam vi è stata la partecipazione delle donne tra coloro che hanno firmato un accordo e un impegno ad Aqabah. L'impegno di 'Aqabah era un impegno politico del popolo di Medina che offriva sicurezza, protezione e fedeltà al profeta Maometto (la pace sia su di lui) e ha segnato uno dei momenti più integrali nello stabilire il governo islamico. Due donne erano tra i settantadue che si promisero al profeta Maometto (la pace sia su di lui) in questo vitale accordo politico. Erano Nusaybah bin Ka'b e Asma bint 'Amr. Questo è solo un esempio degli altri molti impegni politici e alleanze in cui il Profeta Maometto (pace su di lui) non solo cercò un attivo consiglio dalle donne, ma furono attivamente coinvolte e annoverate tra coloro che stabilirono la priorità politica per la loro istituzione.
 
Il Profeta Maometto ingiungeva alle donne di partecipare alla masjid e comandò che non fosse loro impedito di partecipare dicendo "non impedire alle serve di Allah le masjid di Allah" (narrato in Sahih Al Bukhari and Muslim).
Avrebbe anche prestato particolare attenzione all'insegnamento di una classe per sole donne in modo che desse accesso alla ricerca della conoscenza, ascoltasse le loro lamentele e rispondesse alle loro domande.
Il Profeta ordinò alle donne di venire alla moschea e imparare. Le visitava nei loro villaggi, insegnava e ascoltava le loro domande. Avrebbe concesso loro di venire dai loro villaggi a Medina. Il suo masjid si sarebbe riempito per un incontro educativo per sole donne e avrebbe ascoltato e risposto alle loro domande.
‘Aisha riferì: Una donna chiese al Messaggero di Allah (che la pace sia su di lui) come lavarsi dopo le mestruazioni. Lei ha detto che le ha insegnato a fare il bagno e poi le ha detto di prendere un pezzo di cotone con muschio e purificarsi. Lei disse: Come dovrei purificarmi con quello? Egli (il Santo Profeta) disse: Lode ad Allah, purificati con esso e si coprì il volto (per timidezza). A'isha ha riferito: L'ho trascinata al mio fianco perché avevo capito cosa intendeva il Messaggero di Allah (che la pace sia su di lui)... (Narrato in Sahih Muslim). Il profeta Maometto approvò tacitamente che Aishah insegnasse alla donna. Il Profeta dedicò tempo anche alle ragazze per far loro domande e dare loro tempo.>>
 
Dopo aver ricordato "Le storie di innumerevoli visionare e leader nella storia islamica", l'appello prosegue ricordando le donne che nella storia afghana hanno rivestito ruoli di primaria importanza:
 
<<Sono riconosciuti anche la storia, la tradizione delle donne afghane e il contributo e l'impatto che hanno avuto nella società come figure di governo, studiose. Gawhar Shad era una rinomata figura politica durante la dinastia timuride nel XV secolo. Era sposata con l'imperatore Shahrukh e oltre ad essere una regina, Gawhar Shad era un ministro e una leader nella promozione delle arti e della cultura. È diventata uno dei leader più influenti del paese per decenni a Herat, dove è sepolta. È solo un esempio di donne di grande impatto nella storia dell'Afghanistan. Molte di queste donne sono state pioniere nella costruzione di istituzioni educative nelle terre musulmane, molte delle quali esistono ancora oggi come waqf (trust). Questo in aggiunta alle migliaia di donne afgane che si sono laureate e hanno studiato la shariah e fatto studi islamici presso istituti didattici.
 
Non c'è quindi alcun dubbio, e va da sé, che limitare l'istruzione nelle capacità menzionate solo a uomini e ragazzi e non consentire a donne e ragazze di studiare è contro gli insegnamenti dell'Islam, i precetti del Corano, contro la pratica del profeta Maometto, la pace sia su di lui, e antitetico agli obiettivi e ai fondamenti dell'Islam.
 
Le società musulmane odierne vantano persino il coinvolgimento attivo delle donne in ogni aspetto dell'istruzione, del governo, della politica e della società. Alcuni paesi musulmani hanno persino più donne che uomini nel mondo accademico e nelle posizioni di governo. Tuttavia [ci sono -n.d.r.], sfide come l'abuso, la violazione culturale piuttosto che la corretta comprensione religiosa che toglie i diritti delle donne, la violenza domestica, il diritto all'apprendimento e molte altre questioni che le società musulmane devono affrontare attivamente e adoperarsi per alleviare.
Deve essere coltivato un ambiente di accettazione dei commenti critici e delle rivendicazioni. Il dialogo aperto con le donne, i funzionari di governo e i responsabili politici, studiosi e specialisti, deve essere la base di qualsiasi società islamica di successo nel soddisfare le esigenze delle donne.
L'imperativo islamico per l'istruzione delle donne è un diritto primario che deve essere affermato.
 
Alla luce della sharia e di quanto detto, chiediamo all'Emirato Islamico dell'Afghanistan di:
  • ripristinare senza ulteriori indugi l'istruzione per donne e ragazze a tutti i livelli;
  • fornire chiare delucidazioni su quali sono le sfide che impediscono l'istituzione di programmi educativi per donne e ragazze in modo che, se esistono problemi, possano essere risolti rapidamente:
  • consentire apertamente il coinvolgimento di donne qualificate a tutti i livelli ministeriali per il miglioramento del Paese;
  • consentire alle donne in modo specifico il discorso sullo sviluppo del curriculum dell'Afghanistan presso il Ministero dell'Istruzione;
  • istituire conferenze che accolgano il dialogo sugli sviluppi educativi da parte di specialisti e studiosi;
  • sviluppare programmi di alfabetizzazione per le aree rurali e sviluppare centri educativi come priorità per stabilire vantaggi per la società;
  • cercare attivamente la consultazione di studiosi e specialisti dell'educazione islamica di tutto il mondo per il miglioramento della società e dell'istruzione afghane;
  • la formazione di una Shura-e-Ulama (consiglio di studiosi) indipendente per dialogare su questa e altre questioni religiose;
  • cercare attivamente la consultazione delle organizzazioni educative musulmane in tutto il mondo per contribuire a plasmare modelli di buone pratiche;
  • consultare altre società musulmane nel modellare i valori islamici, il coinvolgimento di genere e di ruolo nella società e un vivace curriculum e programmi di educazione islamica come: Qatar, Malesia, Turchia, ecc.
Speriamo che questo venga preso sul serio poiché sono stati spesi milioni per l'istruzione delle donne che possono essere capitalizzati dall'attuale governo afghano. La corruzione, la cattiva gestione e la violazione dei valori del passato possono essere risolte non ignorando i terribili bisogni di oggi. Il governo deve agire ora.
I paesi del mondo, a cominciare dai paesi musulmani e vicini, devono aiutare l'Afghanistan. Coloro che perpetuano politiche sconsiderate di congelamento dei beni del governo ostacolano la capacità del governo di servire le persone in questi campi critici e la comunità internazionale deve fare del suo meglio per sostenere la società afghana in ogni possibilità, economicamente e politicamente, e non danneggiarla. È stato dimostrato che le sanzioni fanno più male che bene e la diplomazia otterrà più risultati riguardo all'impatto sociale su una popolazione che istituendo sanzioni su di essa. L'istruzione deve essere depoliticizzata e completamente finanziata. Tutti gli impedimenti devono essere rimossi e tutte le vie per consentire l'infrastruttura educativa devono essere sostenute per il futuro delle donne e delle ragazze in Afghanistan. Tuttavia, ricordiamo alla leadership del governo afghano che il danno fatto da altri non li assolve dalla responsabilità nei confronti del proprio popolo.
In conclusione, il profeta Maometto, la pace sia su di lui, disse: "Cerca di essere gentile con le donne..." (Narrato in Sahih Al Bukhari e Muslim). Questo hadith del profeta Maometto, che la pace sia su di lui, deve essere il principio assoluto in base al quale un governo islamico si occupa delle questioni femminili. "Cercare di essere gentili" è un precetto diretto a soddisfare questi diritti e le esigenze attraverso la governance per quanto riguarda la formulazione della politica, le opportunità avanzate per le donne e anche nei modi e nella condotta dei funzionari governativi al comportamento della polizia. La gentilezza consiste nell'instaurare politiche sui problemi delle donne a cui il mondo può guardare e non in qualcosa con cui il mondo e i musulmani non sono d'accordo.
Il profeta Maometto (la pace sia su di lui) ne fece persino un indicatore e una condizione della migliore società, quella in cui le persone sono le migliori con le loro donne. Ha detto: "i migliori tra voi sono i migliori per le vostre donne" (Narrato da Ibn Majah nel suo Sunan, Ibn Hibban e Al Hakim). L'indicatore dell'essere i migliori per le donne inizia con la famiglia, poi la comunità, poi la governance e le politiche di una nazione, e poi a livello globale. Possa l'Afghanistan essere un indicatore di quella grandezza nell'attuazione di questo hadith come principio nella governance e nelle politiche che riguardano le donne.
Possa Allah l'Onnipotente guidare tutti i leader musulmani, dare loro la capacità di servire le persone verso cui hanno responsabilità e soddisfare la fiducia di cui saranno ritenuti responsabili. Possa Egli proteggere il mondo e l'Afghanistan dal male e dall'oppressione dall'interno e dall'esterno.
Incoraggiamo la comunità musulmana globale e in particolare i suoi studiosi e leader politici a sottoscrivere questo sostegno all'imperativo islamico per l'educazione delle donne in Afghanistan.>>
 
Firmato,
(I firmatari sono in continuo aggiornamento: se desideri diventare firmatario, compila il modulo seguente facendo clic qui)
Mi. Sh. Hasib Noor — Fondatore e Direttore, The Legacy Institute مؤسسة التراث الإسلامي and Faith. Global
Ustaza Fatima Gailani — Board Member of the Afghan Red Crescent Society (Membro del consiglio di amministrazione della Mezzaluna rossa afgana)
Dr. Sha. Tamara Gray — Direttrice esecutiva di Rabata, membro del Fiqh council of North America, Professoressa di studi islamici al Ribaat Academic Institute, dello Islamic Seminary of America, and dello United Theological Seminary of the Twin Cities.
Mi. Sh. Mustafa Umar Nadwi — Nenbro esecutivo del Fiqh Council of North America, Fondatore e Presidente della California Islamic University, e Direttore dell'Istruzione e della Divulgazione presso l'Islamic Institute of Orange County
Sha. Zaynab AnsariBorsa di studio per le donne -in sede, Tayseer Seminary
Mariam Wardak — Fondatrice di Her Afghanistan
Haroun Rahimi — Professore Assistente di Legge presso l'American University of Afghanistan
Muska DustageerDocente, Scienze Politiche e Pubblica Amministrazione presso l'American University of Afghanistan
Masuda Sultan — Co-fondatrice di All in Peace
Mohsin Amin — Analista Politico, Asian Development Bank
Testo originale: https://medium.com/@JointStatementAfg/islamic-imperative-for-womens-education-in-afghanistan-616f7e04e8bd

16 ottobre 2021

ECCO COS'ERA LA DITTATURA, QUELLA VERA: LA VITA INTERROTTA DEL GHETTO DI ROMA

 In una comunità nella quale la maggior parte dei suoi componenti è nata e cresciuta sotto l'ombrello protettivo della democrazia, ogni volta che particolari circostanze inducono i governi ad adottare leggi preventive, rispuntano i paragoni col nazi-fascismo. 

E' accaduto negli anni passati dopo l'entrata in vigore della legge sullo scioglimento delle amministrazioni locali in relazione al fenomeno delle infiltrazioni mafiose. Accade oggi con l'entrata in vigore del greenpass obbligatorio per i lavoratori.

Si parla -a sproposito- di leggi razziali che, in Italia, furono applicate in forma leggera; si parla -a sproposito- di dittatura sanitaria; si paragona -a sproposito- Draghi a Hitler.

La storia vera, la dittatura vera, ce l'hanno raccontata i nostri nonni. Ora, che non ci sono più, a quasi ott'antanni dalla fine della guerra,  la raccontano i libri, le testimonianze scritte e orali -lasciate tramite la radio e la tv- di chi quella guerra e quel periodo di privazioni, di terrore e di morte, l'ha vissuto sulla propria pelle.

In occasione del 78° anniversario del "Sabato nero" del ghetto di Roma, riporto per intero un lungo post pubblicato su Twitter dall'account Johannes Bückler (@JohannesBuckler), nel quale quella tragica giornata viene narrata raccontando come la vita della famiglia di Settimio Calò fu sconvolta, bruscamente interrotta dai nazi-fascisti.

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"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose". Che teneri. L'acqua di rose è un'essenza che ha tra le sue caratteristiche la delicatezza. Ti viene da pensare ai bambini. Forse per questo hanno pensato bene di intitolare un parco giochi a lui.

A Filettino, infatti, c’è un parco giochi per bambini intitolato a Rodolfo Graziani, il macellaio del Fezzan. Non è roba recente. Gli è stato dedicato a nel 1938 dal podestà Domenico Pontesilli. Già. Un parco giochi per bambini. E quell'anno. Il 1938. Un anno maledetto. 

 

Io me lo ricordo bene quell’anno. Le leggi razziali contro noi ebrei. Un parco giochi per bambini. Avete ancora un parco gioco per bambini intitolato a un gerarca fascista. Qualcuno ha detto: "Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".

Sul Manifesto della razza in appoggio alle leggi razziali fasciste c’era anche la sua firma, sapete? Chi sono? Mi chiamo Settimio Calò. Condannato il 16 ottobre del 1943. Quale è stata mia condanna? Costretto a sopravvivere.

Quel 16 ottobre 1943 abitavo a Roma in via del Portico D’Ottavia al numero 49. Sì, nel ghetto ebraico. Quella notizia mi aveva riempito di gioia. Da accanito fumatore avevo saputo che nella tabaccheria a Monte Savello erano arrivate delle stecche di sigarette.

Una manna dal cielo vista la difficoltà dei rifornimenti. Per questo uscii di casa all’alba. Per essere uno dei primi evitando così eventuali code. Dormivano tutti quando richiusi la porta dietro di me. A cominciare da mia moglie, Clelia Frascati.

Avevo 45 anni. Mi ero sposato molto giovane. Da quel matrimonio erano nati i nostri gioielli. Dormivano anche loro quella mattina. Ester, 20 anni, Rosa di 18, Ines di 16, David di 13, Elena di 11, Angelo di 8, Nella di 6, Raimondo di 4, Samuele 6 mesi ancora da compiere.

C’era anche mio nipote, figlio di una mia sorella, Settimio Caviglia, di 12 anni. Ho letto che qualcuno ha scritto ci fosse anche Bellina, un’altra mia figlia. Non è così. Bellina era morta anni prima, nel 1933. In casa moglie, 9 figli e un nipotino. E io a cercare sigarette.

E un po’ di fila la feci. E poi tornai a casa felice, dopo aver recuperato qualche sigaretta. La salita delle scale, l’apertura della porta. E quel silenzio. Un silenzio insolito a quell’ora. Chiamai tutti per nome. Silenzio. Le stanze erano completamente vuote.

Capii all’istante quello che era successo. Mentre ero a comprare le sigarette i tedeschi erano entrati in casa e avevano portato via tutti. Sapevo cosa significava essere rastrellati dai nazi-fascisti. Lo sapevo. Impazzire fu la logica conseguenza.

Uscii di casa. Ricordo di avere corso. Corso, senza sapere dove. Qualcuno mi disse che c’era gente radunata alla Lungara. Li raggiunsi e urlai: “Aspettate, ci sono anch’io”. Volevo riunirmi alla mia famiglia, ma un soldato italiano mi ricacciò indietro. Che sia maledetto.

Continuavo a piangere. Il 19 ottobre mia sorella Liliana andò alla stazione della Tiburtina. Vide suo figlio, mio nipote, rannicchiato all’interno di un vagone diretto in Polonia. “Vai a casa mamma, abbi cura dei miei fratellini” le disse. Povero bambino.

La moglie, i nove figli e il nipotino di Settimio Calò furono tutti uccisi appena arrivati ad Auschwitz-Birkenau. Come molti altri bambini portati via ai loro genitori. Come i sei figli di Leone e Virginia Bondi per esempio. Molte le famiglie distrutte.

Settimio Calò è morto cinquant’anni fa distrutto dal dolore. Aveva vissuto il resto della vita nel rimorso per essere sopravvissuto. Una famiglia, la sua, simbolo di tutte le famiglie distrutte dall’odio. "Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".

In quel “sabato nero” tra le ore 05:30 e le ore 14:00 del 16 ottobre 1943 tra gli oltre mille ebrei deportati ad Auschwitz (ne torneranno solo diciassette) c’erano 288 tra neonati, bambini e ragazzi fino 15 anni. "Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".

Dieci ragazzi di 15 anni, quindici di 14, diciannove di 13, diciassette di 12, sedici di 11, diciassette di 10, dieci di 9, sedici di 8, sedici di 7, ventitrè di 6, ventuno di 5, ventiquattro di 4, ventitrè di 3, venticinque di 2, tredici di 1. "Acqua di rose".

Con loro due neonati di 10 mesi, uno di 9 mesi, due di 8 mesi, due di 7 mesi, cinque di 6 mesi, due di 5 mesi, due di 4 mesi, tre di un mese, 1 di 15 giorni e uno, figlio di Marcella, nato al momento dell’arresto. Più due bambini senza nome. "Acqua di rose".

Di tutti questo angeli si salvò solo Enzo Camerino di quindici anni, figlio di Italo. Tutto gli altri passarono dal camino delle camere a gas al loro arrivo ad Auschwitz-Birkenau. Nessun parco giochi è dedicato quei bambini.

Fulvia Ripa di Meana, che verrà decorata con croce di guerra al valor militare per la sua attiva partecipazione alla resistenza contro i nazi-fascisti a Roma, stava passando da via Fontanella Borghese quando vide tre camion pieni di bambini. Questa la sua testimonianza.

 

09 ottobre 2021

FUORI DALLA STORIA

 Le parole sono importanti, ma a volte ingannano, sono anche loro una maschera. Peccato che la maschera, quando la tiri di qua e di là come una coperta corta, alla fine finisce col rompersi, e finisci smascherato.

Nell'anno del Signore duemilaventuno, abbiamo ancora la sventura di dover sentire o leggere di un'associazione che si chiama “Forza nuova”. Peccato che di nuovo non hanno un bel nulla.

Urlare da sopra un palco “Ci riprendiamo Roma!” e assaltare la sede di un sindacato che, guarda caso, è stato sempre un punto di riferimento per i lavoratori di sinistra, fa tornare l'orologio indietro di cent'anni.

Strano, per una Forza che si definisce “nuova”, comportarsi come fecero i fascisti un secolo or sono. Non sono nuovi, non hanno niente di nuovo, sono semplicemente fuori dalla storia, fuori dal nostro tempo, incompatibili con uno Stato democratico. Uno Stato che ha consentito loro di poter manifestare, fino ad oggi, al contrario di quanto avrebbe fatto il regime fascista, del quale usano atteggiamenti, metodi e sistemi.  Il loro comportamento è bastato a far cadere la maschera una volta per tutte, e a svelare la loro natura intimamente e pienamente fascista. Per questo un'associazione del genere (e tutte quelle ad essa simili) dovrebbe essere sciolta. Non sarebbe un atto d'imperio o di uno Stato dittatore o una decisione presa sull'onda emotiva di quanto si sta vedendo in giro per l'Italia. No, è un'esigenza divenuta impellente: lo esige la Storia.

 Manifestare contro il vaccino può essere legittimo, anche se, sinceramente, non riesco proprio a capire. I No-Vax dicono che non vogliono essere cavie. Beh, nessuno vuole esserlo, sono pochi quelli che normalmente si mettono al servizio delle case farmaceutiche per sperimentare nuovi farmaci, in cambio di soldi.

Questi, però, non sono tempi normali. Si è dovuto agire con la massima tempestività per trovare un primo antidoto che permettesse a tutti noi di poter tornare alle proprie attività in tempi brevi. Lo si è fatto e di questo dovremmo essere tutti felici e riconoscenti verso la scienza, come lo sono i bambini africani ora che si è, finalmente!, scoperto un primo vaccino contro la malaria, in grado di salvare 700 vite al giorno.

 In verità, siamo cavie, facciamo da cavia, ogni volta che compriamo un nuovo prodotto, frutto dello sviluppo tecnologico. Solo che se compri un nuovo telefono non ti lamenti perché sei libero di fare quel che vuoi. Il vaccino no, impone un limite -dici tu- alla tua libertà. A ben vedere, è vero il contrario: sei tu che non vuoi vaccinarti a limitare la libertà di chi, vaccinatosi, non può fruire a pieno di cinema, teatri, discoteche, bar, stadi, ecc.

Questi fascistiforzanovisti fingono di non sapere che il regime a cui si ispirano, che già non tollerava proteste di nessun genere, men che meno le avrebbe consentite con una pandemia e un'emergenza sanitaria ancora in corso. Li avrebbe presi, casa per casa, e vaccinati a forza, la forza di una volta, esercitata cu nerbu bagnatu ndo citu. Sarebbe stato meglio così, per loro?

 Fascisti e No-Vax meriterebbero di stare in una dittatura africana degli anni '50 del secolo scorso, invece che nell'Italia del 2021. Sarebbe quello il Paese dei loro sogni, anche se, forse, starebbero male lo stesso: perché non potrebbero avere lo smartphone ultimo modello.

12 settembre 2021

CALABRISTAN



Abbiamo tutti ancora negli occhi le file incredibili di persone davanti al muro dell’aeroporto di Kabul, in attesa di poter trovare un aereo su cui imbarcarsi per sfuggire ai talebani e garantirsi la libertà.

Ognuno di loro aveva dei documenti in mano, erano la prova della loro collaborazione con i paesi occidentali nel corso degli ultimi vent’anni, il loro lasciapassare per la libertà.

Purtroppo, non c’è stato il tempo per portare via tutti e molti, la maggior parte, di quegli uomini, donne e bambini, sono rimasti con le carte in mano ma fuori dall’aeroporto. Non hanno avuto altra scelta che tornare a casa, prendere ancora qualche altra cosa che avevano lasciato e scappare a nascondersi, per evitare di essere trovati dai talebani che sicuramente troveranno il modo e il tempo di vendicarsi della loro collaborazione con gli “infedeli”.

Pensavo a loro, l’altro giorno, mentre ero in fila per entrare in un centro medico per una visita. Prima e dopo di me, tante persone, per lo più anziane. Tutti avevano in mano la loro bella prescrizione medica, il loro lasciapassare verso le cure di cui hanno bisogno.

Fuori pioveva con una certa insistenza e le persone, per ripararsi dalla pioggia, spingevano più del dovuto, alla faccia delle disposizioni anticovid.

A un certo punto, l’assistente che teneva in ordine la fila e controllava i documenti in una sorta di pre-check-in, chiarisce: signori, un attimo di attenzione: tutti gli esami sono a pagamento perché abbiamo finito il budget assegnatoci dalla Regione Calabria. Sono esenti solamente i pazienti con il codice di esenzione 48.

Per gli altri, bisogna aspettare la riassegnazione del budget per il prossimo anno: arrivederci a gennaio (cu’ campa).

Bene, il codice 48 è quello assegnato ai pazienti oncologici. Per uno strano gioco del destino, a questi pazienti che sanno bene di essere dei morti che ancora camminano, la sanità italiana ha assegnato il numero 48 che nella smorfia napoletana è il “morto che parla”. Suona come una bizzarra e tragica presa in giro, degna del miglior teatro napoletano.

Alle parole dell’assistente, tra i presenti si diffonde l’angoscia. Tutti controllano freneticamente il loro codice di esenzione e quando si rendono conto che il loro numero non è il 48, molti escono dalla fila, si girano e se ne vanno sconsolati, fuori nella pioggia, perché sanno che non possono pagare l’esame medico di cui hanno bisogno. Altri vengono invitati a telefonare per un preventivo. L’alternativa per tutti, è rivolgersi alla sanità pubblica, gratuita, ma i cui tempi –soprattutto per gli esami specialistici- sono molto più lunghi di settimane se non, addirittura, mesi. Alla faccia di chi ha bisogno.

Mentre assisto a questa tragica scena, nella mia mente si materializza l’inevitabile parallelo con l’Afghanistan, che poi tanto parallelo non è. E', piuttosto, un intreccio, un cerchio che si chiude.

La verità è che gli Stati Uniti sono andati via da quel Paese perché devono pensare alla loro economia e, tra l’altro, a completare e migliorare la riforma sanitaria voluta dal Presidente Obama. Scopo di quella riforma è garantire a tutti i cittadini statunitensi il diritto a curarsi. E’ un diritto che, fino alla riforma Obama, poteva permettersi solo chi aveva i soldi. Intollerabile.

Così come è intollerabile che mentre gli Stati Uniti si sforzano di copiare il modello socio-sanitario europeo, in Italia quel modello lo abbiamo abbandonato e con l'incompetenza lo abbiamo trasformato in quello americano pre-riforma obamiana.

Così, quella che fino a pochi anni fa era una scena molto frequente a Harlem o in tutte le periferie o i quartieri “difficili” degli Stati Uniti, oggi accade sotto i nostri occhi in Calabria, regione provata, esausta, dopo oltre un decennio di commissariamento sanitario che ha dato il colpo di grazia a una gestione sanitaria regionale che ha fatto più danni dei talebani in Afghanistan. Sì, perché ha portato alla dissoluzione della sanità regionale ed alla conseguente negazione del diritto alla salute per i calabresi. Reati per i quali nessuno, finora, è stato giudicato responsabile.

Che nella sanità regionale abbiano fatto più danni dei talebani non è un’esagerazione: gli afghani a Kabul sono rimasti con i loro lasciapassare in mano e sono andati via, con il pericolo di vedersi negato il loro diritto alla libertà; i calabresi del Calabristan sono rimasti con i loro lasciapassare in mano e sono andati via, vedendosi negato il loro diritto alla salute.

Se hai la salute, puoi lottare per la tua libertà, puoi lottare per non morire. Ma se hai la libertà e non puoi curare la tua salute, sei condannato a morte.

14 agosto 2021

OH FOCU DDHUMATU!

 Oh focu ddhumatu! Simu nda nu focu ddhumatu.

Quante volte mi è capitato di sentire queste due espressioni del nostro dialetto. La traduzione letterale, per i non indigeni, è: Oh fuoco acceso! Siamo dentro un fuoco acceso.

In genere, ha senso figurato. Indica, infatti, situazioni di grave pericolo e/o malattie o, comunque, periodi di stress superiore al normale.

Stavolta, di figurato c'è poco: siamo dentro un fuoco acceso davvero, con fiamme altissime e caldissime, che bruciano e devastano la nostra Calabria, la nostra Italia, che uccidono uomini, donne e animali.


In questi giorni, vedendo le immagini in tv o sui social ed ascoltando le testimonianze di chi è lì in prima linea a cercare di domare le fiamme, ho pensato a mio padre. Lui, perito agrario, tecnico della Comunità Montana “Versante dello Stretto”, sulle montagne dell'Aspromonte ha trascorso tanti anni della sua giovinezza. Le ha percorse in lungo e in largo, con la sua prima macchina, una Fat 500, prendendosi cura di quegli alberi come fossero persone. Per lavoro, infatti, insieme ai colleghi d'ufficio, ha effettuato per tanti anni diverse campagne di “martellate”. La “martellata”, tecnicamente, è l’atto principale con la quale le piante vengono assegnate al taglio. Il termine deriva dal fatto che le piante individuate per l’assegno di taglio vengono battute, o meglio, martellate con il martello forestale”. [https://fabiocogo.wordpress.com/martellata/)

Ricordo la sua cartella piena delle mappe topografiche dell'Istituto Geografico Militare -in scala 1:25.000 (1 cm=25 km) sulle quali era rappresentato il territorio di Scilla e dei comuni confinanti: San Roberto, Sant'Eufemia d'Aspromonte, Santo Stefano in Aspromonte, Sinopoli e Roccaforte del Greco.

Controllare e verificare quali piante dovevano essere tagliate e quali no, contribuiva in maniera determinante al mantenimento dei nostri boschi, consentendone una costante e corretta rigenerazione naturale nel tempo. Veniva, altresì, garantita anche la pulizia dei boschi, togliendo le piante o gli arbusti che impedivano il normale sviluppo degli alberi.

I suoi racconti, i suoi aneddoti, facevano da audiolibro per noi figli, bambini, durante i nostri pellegrinaggi annuali al santuario della Madonna della Montagna di Polsi e/o ad ogni scampagnata ogni qualvolta se ne presentava l'occasione.

Insomma, quella messa in atto tra la fine degli anni '50 e la fine degli anni '60 fu una grande opera di ingegneria naturalistica, come la potremmo definire oggi, a salvaguardia della nostra montagna, una delle due maggiori ricchezze del nostro territorio insieme al mare.

La Calabria è, infatti, una delle poche regioni d'Italia ove è possibile coniugare allo stesso tempo il mare e la montagna, distanti solo pochi minuti uno dall'altra. Scilla e il suo territorio ne sono un esempio naturale: la montagna, con il verde intenso dei boschi, illuminato dalla luce gialla del sole, degrada ora dolcemente, ora in maniera paurosamente ripida, verso quella linea sottile all'orizzonte, compone, come su una tavolozza, il colore azzurro del nostro mare.

Quel verde, in questi giorni è diventato nero, il colore della distruzione, della desolazione, del lutto.

Chissà cosa avrebbe detto mio padre, vedendo andare in fumo le nostre montagne, le “sue” montagne....

Chissà cosa penserebbe vedendo oggi che la strada che da Scilla sale a Melia -una delle più “ecologiche” della provincia, immersa com'è nel verde per gran parte del suo percorso, tanto che la si percorre in gran parte stando all'ombra dei rami dei castagni- ha tutte le cunette intasate da rami, fogliame e arbusti che, in qualche caso, limitano anche la visibilità della sede stradale.

Oggi, al tg uno, il della Città Metropolitana di Reggio Calabria ha ringraziato il Governo per la sollecitudine con la quale è stato presente nella nostra provincia e, soprattutto, per la sollecitudine con la quale ha promesso un piano speciale e i relativi fondi per i rimboschimenti e tutti gli altri interventi necessari per tutelare le nostre montagne.

Il problema non sono le leggi e neppure i soldi. Il primo problema è mettere in atto gli interventi.

La Legge Regionale n° 51/2017 (Norme di attuazione della legge 21 novembre 2000, n.353 (Legge quadro in materia di incendi boschivi), ai fini della prevenzione diretta degli incendi, prevede, tra l'altro, che “la Regione o i soggetti attuatori da essa individuati curano la realizzazione e la gestione delle seguenti opere ed interventi: viali o fasce tagliafuoco; strade forestali di servizio e piste di attraversamento dei beni silvopastorali; canalizzazioni e condutture fisse o mobili, relativi serbatoi idrici, punti d'acqua utili per l'estinzione; interventi colturali nei boschi e nei pascoli atti a diminuire la quantità di combustibile vegetale”.

Quante di queste opere, previste dalla legge, sono state fatte dal 2017 a oggi? A giudicare da quello che è successo e sta succedendo, ben poco.

Un paio di mesi fa, ho scoperto che il Comune di Scilla si è visto revocare un finanziamento (previsto nel Piano di Sviluppo Rurale 2014/2020 con fondi europei) di € 107.148,48 al quale era stato ammesso dopo aver partecipato al bando -Bando pubblicato il 23/02/2017- Misura 8.5 - Sostegno agli investimenti destinati ad accrescere la resilienza e il pregio ambientale degli ecosistemi forestali. - Annualità 2017.

Il progetto al quale era stato ammesso, prevedeva l'attuazione di “investimenti realizzati su superfici forestali, finalizzati al perseguimento di impegni di tutela ambientale, di miglioramento dell'efficienza ecologica degli ecosistemi forestali, di mitigazione ed adattamento ai cambiamenti climatici, e volti all'offerta di servizi ecosistemici. L'intervento si concentra all’interno delle aree protette e ricadenti nella Rete Natura 2000 al fine di agire sul valore ecologico-ambientale della porzione di aree forestali regionali a maggiore pregio ambientale e paesaggistico e, quindi, anche più vulnerabile rispetto a quelli che sono i potenziali rischi dei cambiamenti climatici.

Il 12/06/2020 veniva approvata la graduatoria unica regionale e al progetto presentato erano stati assegnati 44 punti (14° posizione sui 121 finanziati), con una spesa Imponibile ammessa di € 107.148,48, interamente ammessa a finanziamento.

Il 15.06.2020 l'ARCEA, ovvero l'agenzia è responsabile del processo di erogazione di aiuti, contributi e premi previsti da disposizioni comunitarie, nazionali e regionali a favore del mondo rurale, comunicava la sospensione del finanziamento poiché il Comune di Scilla era stato individuato come “soggetto inaffidabile”, tanto che gli venivano concessi 60 gg, (dal 12/6/2020) regolarizzare la propria posizione debitoria, pena la decadenza automatica dalla Graduatoria Unica Regionale.

Il 30/03/2021 l'ARCEA ha confermato la posizione debitoria e, quindi, la collocazione nell’elenco dei soggetti inaffidabili del Comune di Scilla;

IL 01/04/2021, non essendo pervenute controdeduzioni da parte del comune scillese, veniva disposto l’avvio del provvedimento di revoca del contributo, definitivamente revocato con Decreto n° 4948 del 12/05/2021.


Per altro verso è da dire che in molti casi sono le stesse norme, nella loro pratica applicazione, a costringere chi vuole seguirla a....disapplicarla.

Un esempio è il taglio di un bosco. Per un Comune come Scilla, compreso in varie parti di territorio nella Rete Natura 2000, tra la decina di documenti necessari ad ottenere l'autorizzazione al taglio, vi è una relazione che deve sostanzialmente dimostrare che il taglio non comporta implicazioni negative all'habitat naturale e per la salvaguardia dell'avifauna che ne fa parte.

Ebbene, moltissime volte, il costo tecnico per la redazione di questa relazione è superiore a quanto il proprietario del bosco ricaverebbe dal taglio. E se una cosa non ti conviene, o non la fai, o (con la testa del calabrese), la fai abusivamente, come ti pare e piace.

Il risultato è che la norma viene disapplicata sia formalmente che, soprattutto, nella sostanza: i tagli sono diventati arbitrari, non programmati e, perciò, attuati in maniera disorganica, senza una logica come, invece, avveniva in passato. Così, dei boschi sono rimaste, in molti casi, solo le fasce più prossime alle strade che li costeggiano, al solo scopo di nascondere alla vista dei curiosi, costruzioni in molti casi totalmente abusive.

A questo non-governo del territorio, si sommano ora gli incendi. Sulla strada provinciale Scilla-Melia, nelle aree percorse dal fuoco lo scorso anno, sono visibili i primi smottamenti -per ora di leggera entità.

E' facile prevedere che gli ulteriori vastissimi incendi di questi giorni, contribuiranno in maniera decisiva a un ulteriore squilibrio idrogeologico, con il prevedibile aggravamento del rischio frane.

Nella Legge n° 108/2021, con la quale sono state approvate le norme per la gestione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (il famigerato PNRR), un apposito articolo (36 bis) solo per la Calabria prevede che vengano incrementate di 80 milioni di euro in tre anni per “prevenire e a mitigare il rischio idrogeologico e idraulico in relazione al contenimento dei danni causati da tali fenomeni”, con risorse prelevate dal Fondo per lo sviluppo e la coesione -programmazione 2021-2027.

Viste le dichiarazioni di questi giorni, a queste somme si aggiungeranno, certamente, altri stanziamenti per i rimboschimenti e gli interventi a salvaguardia della montagna: altra valanga di soldi.

L'auspicio è che questa valanga monetaria venga utilizzata in tempi brevi se non brevissimi, affinché non si trasformi in una valanga di terra dopo le prime piogge del prossimo autunno/inverno.