10 gennaio 2015

LA LIBERTA’


Matite_2Ci sono date che sono destinate a rimanere per sempre nel ricordo di tutti, sono le date che hanno fatto e che fanno la storia di questo nostro sempre più strano mondo.
L'11 Settembre 2001 è una di queste. Dopo quel lunghissimo pomeriggio, credevo, mi auguravo, di non dover assistere mai più ad avvenimenti simili. Un augurio che...è andato a male. Se a New York tutto si consumò in un giorno, a Parigi il terrore è “andato in onda” per tre giorni consecutivi. Così, accanto all'11 Settembre, il giorno delle Torri Gemelle, da adesso in avanti ricorderemo il 7-8-9 Gennaio 2015, i giorni di Parigi.
Ammetto di essere confuso, stordito, come tutti credo. In questi giorni miliardi di parole hanno descritto, raccontato, su tutti i mezzi di informazione, quel che è accaduto, con analisi, spiegazioni e motivazioni varie.
Dopo l'attentato al Charlie-Hebdo, la domanda che mi è rimbombata in testa è: che cos'è la libertà?
L'unica risposta che mi sono dato è che la libertà è quanto di più prezioso un essere umano possa desiderare, ma in quanto prezioso, non è illimitata. Sono convinto, infatti, che aveva ragione Martin Luther King: la libertà di ciascuno di noi inizia dove finisce quella degli altri.
Se così è, come credo che sia, va bene la libertà di stampa, va bene il diritto e la libertà di satira, non si discutono, ma entrambe hanno dei limiti.
Vent'anni fa, quando ho iniziato a lavorare, una volta iscritto all'ordine professionale, il presidente, consegnandomi il timbro e una rollina -i ferri del mestiere- mi disse: “Bravo! Auguri di buon lavoro, ma stai attento: questo -brandendo il timbro che teneva ancora in mano- è un'arma!
E così come il timbro, anche la penna per un giornalista, un quadro per un pittore, una matita per un vignettista di satira, tutti questi oggetti sono un'arma. E quando si ha un'arma in mano, penna, quadro, matita o timbro che sia, è necessario maneggiarla con cura, da lì si vede la professionalità, l'agire con coscienza.
Ora, nel caso del settimanale francese, è indubbio che molte delle vignette e degli articoli pubblicati, siano stati pezzi di forte impatto, tanto da suscitare proteste, e scandalo anche in passato. So bene cosa significhi fare satira, essendo stato negli anni scorsi tra i fondatori di un giornalino, “Pre-occupati”, che fu il progenitore dell'odierno sito www.malanova.it. So bene quali sono i rischi che si corrono quando si scrivono cose tanto sacrosante, quanto scomode per l'ingessata sensibilità delle comunità di queste latitudini. So bene che il giornale colpito è sempre stato, storicamente, il simbolo della massima libertà d'espressione, per di più nel Paese -la Francia- che ha nella libertà uno dei principi fondativi.
Faccio mia la considerazione della redazione del Malasito: ‪#‎siamotutticharlie‬ col Dio degli altri. provate a far pubblicare una vignetta satirica su San Rocco a ‪#‎Scilla‬ da un musulmano. Non ti spareranno.. Certo..
Con questo non s'intende di certo giustificare le azioni terroristiche messe in atto col pretesto dell'offesa alla religione. La considerazione è però utile a far capire che anche in una piccola comunità come Scilla, davanti a una vignetta satirica sul Santo patrono, non tutti reagirebbero allo stesso modo, non tutti la prenderebbero bene -diciamo così- senza, per questo, essere necessariamente terroristi. Se questa considerazione la estendiamo alla comunità mondiale, dovrebbe essere facile prevedere che vi possano essere reazioni diverse e oltre misura.
Dal mio punto di vista, la questione è semplice, quanto complicata allo stesso tempo: non ignoro e cerco di non dimenticare mai la regola d'ora dell'etica della reciprocità. E' una regola filosofica, che tutte le religioni condividono:
-il cristianesimo: Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro;
-il buddismo: Non fare agli altri quel che non vuoi sia fatto a te stesso;
-l'ìIslam: Aheb li akheek ma tuhibu li nafsik -Desidera per il tuo prossimo ciò che desideri per te stesso.
Se ci pensate, l'assunto di questa regola filosofica, trasposta anche nelle religioni, non è altro che “La mia libertà finisce dove comincia la vostra”, l'affermazione di Martin Luther King che, nella pratica civile dei paesi occidentali, si esprime con tutto il sistema di leggi che regolano la nostra vita civile.
Dunque, l'azione dei terroristi non mira tanto a un obiettivo religioso -come affermano- contro chi è cristiano o di religione ebraica o buddista, quanto piuttosto a imporre una “civiltà” diversa dalla nostra. Una civiltà nella quale a comandare è un così detto “imam”, che in realtà non è altro che uno spregevole, sanguinario dittatore. E la storia insegna a che fine sono destinati i dittatori.
E' una civiltà non civile quella cui mirano i terroristi, perché nella loro idea di mondo manca un elemento fondamentale: la libertà. C'è una canzone, che da tempo mi ronza in testa, che dice:
Libertà è solo un'altra parola per nulla da perdere“
E chi non è libero, chi non ha la libertà, non ha proprio nulla da perdere, perché non ha niente, perché non è niente.
Non è un caso, infatti, se tutti i terroristi che si sono “immolati” nell'ingannevole speranza di future ricompense celesti, hanno in comune tra loro situazioni familiari e/o soggettive molto difficili. E' gente che non parla con nessuno, che sembra innocua perché si fa i fatti propri, ma che proprio per il disagio in cui vive, è un vulcano pronto ad esplodere in qualunque momento. Non hanno contatti con la società che li circonda, non hanno amici (al massimo qualche conoscente), sono, nella sostanza, come scatole vuote. E sono proprio le scatole vuote quelle che possono essere riempite più facilmente. Riempite da coloro il cui vero disegno strategico è quello di comandare, di divenire dittatori, in primo luogo della propria stessa gente, e del mondo intero. Sono gli imam estremisti, che esaltati per le loro mire di conquista e coperti dalla carica religiosa che rivestono, sono così liberi di “indottrinare”, di riempire le scatole vuote.
E la prima cosa con la quale si riempiono queste scatole vuote, è Dio, ma lo si fa in maniera distorta, così che Egli appaia come l'unico in grado di riscattare questi soggetti dalla marginalità in cui vivono, ma attraverso l'odio per gli altri, cui viene imputata la responsabilità del loro stato. Non sono certo uno psicologo, ma per chi non ha nulla, avere inculcato in mente di avere Dio dalla propria parte, per menti così fragili e influenzabili, può voler dire aver tutto, ed essere disposti a tutto per averlo, anche ad uccidere.
Matite_1Se questa è la realtà, contro queste scatole imbottite di odio, penso che non potranno mai bastare tutte le misure di sicurezza di questo mondo per prevenire atti terroristici come quelli di New York o, in ultimo, di Parigi.
Da un lato, la civiltà occidentale, non può cadere nella falsa trappola del fondamentalismo religioso. Non può, a meno che non lo voglia! Troppi sono stati -per le Torri Gemelle- e sono -a Parigi- gli elementi contraddittori o poco chiari, che hanno fatto pensare a omissioni, infiltrazioni di servizi deviati e speculazioni da parte di centri di potere il cui gioco preferito è fare la guerra, all'unico scopo di arricchirsi, non importa quanto tragicamente.
Dall'altro lato, tutti reclamano un intervento da parte della comunità islamica. Ora, da quanto ho avuto modo di vedere, gran parte della comunità islamica è inorridita tanto quanto ogni altro essere umano -terroristi esclusi- davanti a quanto accaduto a Parigi. Dunque, non è la comunità islamica -che vede la propria religione oltraggiata, distorta, vilipesa- ma le autorità religiose della comunità a dover intervenire praticamente e con urgenza.
All'interno della religione islamica non esiste un clero organizzato come nella religione cristiana, esiste però una “casta sacerdotale”, i cui membri sono in realtà giuristi che fanno anche da guida spirituale, come gli imam che sono capi di movimenti politico-religiosi.
Nella cultura occidentale, la separazione tra Stato e Chiesa è avvenuta, di fatto, solo a partire dal XIX secolo e in tempi diversi.
Sarebbe oltremodo opportuno che tale separazione fosse fatta anche all'interno dell'islam, almeno in quello sunnita, che ne costituisce la gran parte. Ma non solo. Così come non tutti possono fare i preti, credo sia naturale non tutti possono fare gli imam, a maggior ragione quando la loro figura può essere un pericoloso mix tra religione e politica. Ecco, dovrebbe esserci una migliore selezione, o un meccanismo di controllo e di verifica di chi sono i soggetti incaricati a ricoprire un ruolo così importante all'interno di intere comunità. Certo, esisteranno sempre gli estremisti, ma così come all'interno della chiesa cattolica esiste la scomunica, essa dovrebbe esistere anche nell'islam ma non soltanto per i musulmani che magari si convertono ad altre religioni, come è capitato finora. Dovrebbero essere scomunicati anche quegli imam che predicano l'odio e la violenza come mezzo per “imporre” il loro Dio, semplicemente perché odio e violenza non fanno parte dell'islam, come di nessun altra religione. Occorre dunque una riforma dell'islam, perché nessuno può difenderlo più e meglio delle autorità che ne fanno parte.
In secondo luogo, rimanendo all'interno dei confini italiani, penso che un passo importante verso la comprensione di cosa siano il cristianesimo, l'ebraismo, l'islam e il buddismo, possa essere fatto nella nostra scuola. Per esempio, al posto delle ore di religione, vedrei molto meglio delle ore dedicate alla storia delle religioni: sarebbero utili a comprenderne non solo i principi, ma anche e soprattutto come esse si sono sviluppate, evolute e trasformate nel corso della storia. Ciò aiuterebbe le future generazioni a non ripetere quanto stiamo vivendo in questo nostro sempre più strano tempo.
Mi rendo conto che quanto sopra non sia facilmente realizzabile, ma non è di certo impossibile. Dunque, dobbiamo provarci, dobbiamo provare a ricostruire quanto questi atti hanno distrutto, cioè la fiducia nel prossimo –inteso proprio come chi ci sta vicino.
Se non ci proviamo, non saremo liberi, non vivremo più e correremo il serio rischio di dover aggiornare il calendario, ricordando i giorni non per le feste o per le stagioni, ma come tragica memoria di azioni che portano solo sofferenza, lacrime, sangue, morte.

























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