05 agosto 2013

SE IDDIO FOSSE UNA CIRCONFERENZA

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Capitano giorni in cui fonti diverse e diametralmente opposte tra loro ti fanno giungere alla stessa conclusione, chiudono il cerchio.

Di libri ne leggo abbastanza –non quanti vorrei- ma pochi autori riescono a sorprendermi e a coinvolgermi emotivamente nella lettura. Uno fra i primi è senza dubbio Erri De Luca. Il suo stile asciutto, diretto, senza fronzoli ma che, allo stesso tempo, ha un qualcosa di poetico, mi piace moltissimo.

Leggo i suoi libri con accanto un’agenda, dove annoto le frasi più belle –e sono tante. Una di queste, in cui mi sono imbattuto qualche giorno fa, tratta da un libro scritto nel 1989, diceva:

<<Se iddio fosse una circonferenza la chiesa ne sarebbe il centro, che è il punto più distante possibile>>

E’ una frase dura, che esprime un giudizio categorico, ma perfettamente logico, specie se consideriamo il contesto storico di quegli anni.

Alla fine degli anni ‘80, l’azione della Chiesa e del Vaticano in particolare assunse una rilevanza politica come forse mai aveva avuto. Papa Giovanni Paolo II, l’uomo venuto dal lontano Est europeo che all’epoca era sotto la sfera d’influenza sovietica, risultò decisivo nell’avvenimento che segnò quell’anno 1989 e la Storia moderna: la caduta del muro di Berlino.

Certo, l’aspetto politico –mi si passi il termine- del pontificato di Giovanni Paolo II era in quegli anni in primo piano e di un’importanza tale da lasciare “dietro le quinte” tutto il resto. Il carattere anticomunista dell’uomo Wojtyla non poteva non avere riflessi anche sulla sua visione del mondo e quindi della Chiesa –che egli guidava- nel mondo di quegli anni.

Non bisogna però dimenticare che la dottrina sociale della Chiesa è praticamente rimasta la stessa nei suoi contenuti fondamentali, dai tempi di Pio XI (siamo nel 1950) fino a oggi.  E Giovanni Paolo II nel suo lungo pontificato, ha comunque contribuito a richiamarla ed aggiornarla più volte.

Nel “Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa”, elaborato nel 2005 dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che ne ripercorre i documenti fondamentali, è detto a chiare lettere che:

<<Tutto ciò che riguarda la comunità degli uomini non è estraneo all’evangelizzazione e questa non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale dell’uomo.

     …La dottrina sociale “ha di per sé il valore di uno strumento di evangelizzazione” e si sviluppa nell’incontro sempre rinnovato tra il messaggio evangelico e la storia umana..

Essa si situa all’incrocio della vita e della coscienza cristiana con le situazioni del mondo e si manifesta negli sforzi che singoli, famiglie, operatori culturali e sociali, politici e uomini di Stato mettono in atto per darle forma e applicazione nella storia. [ Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus]

Con la sua dottrina sociale, la Chiesa si preoccupa della vita umana nella società, nella consapevolezza che dalla qualità del vissuto sociale….dipende in modo decisivo la tutela e la promozione delle persone.

Nella società, infatti, sono in gioco la dignità e i diritti della persona e la pace nelle relazioni tra persone e tra comunità di persone. Beni, questi, che la comunità sociale deve perseguire e garantire.

In tale prospettiva, la dottrina sociale assolve un compito di annuncio e anche di denuncia.>>

<<…Tale denuncia si fa giudizio e difesa dei diritti disconosciuti e violati, specialmente dei diritti dei poveri, dei piccoli, dei deboli>>.

Lo stesso giorno, in un articolo a firma di don Antonino Denisi nella sua rubrica settimanale su “Gazzetta del Sud”, vi è la risposta alla considerazione fatta dallo scrittore napoletano.

Il 16 Novembre 1965, 40 vescovi che partecipavano al Concilio Vaticano II sottoscrissero il “Patto delle Catacombe” – per la maggior parte cardinali latino-americani – con il quale invitavano i vescovi a esserlo in mezzo alla loro gente, condividendone le stesse condizioni ed essendo vicini in modo particolare ai poveri. Scrissero i cardinali:

<<Cercheremo di vivere come vive ordinariamente la nostra popolazione per quanto riguarda l’abitazione, l’alimentazione, i mezzi di locomozione e tutto il resto che da qui discende.

Rinunciamo per sempre alla realtà della ricchezza. Nel nostro comportamento, nelle nostre relazioni sociali, eviteremo quello che può sembrare un conferimento di privilegi.

Daremo tutto quanto è necessario del nostro tempo, riflessione, cuore, mezzi al servizio apostolico e pastorale delle persone e dei gruppi laboriosi, economicamente deboli e poco sviluppati.

Poiché la collegialità dei vescovi trova la sua più evangelica realizzazione nel farsi carico comune delle moltitudini umane in stato di miseria fisica, culturale e morale – due terzi dell’umanità – ci impegniamo: – a contribuire, nella misura dei nostri mezzi, a investimenti urgenti di episcopati di nazioni povere>>

La continuità del messaggio, dal Concilio Vaticano II fino a oggi è evidente. La Storia vista dal punto di vista della Chiesa non è e non può essere storia di lotta di classe, di ribellione di chi ha di meno nei confronti di chi ha di più. E’ una questione più ampia, più alta, di giustizia sociale.

Essere povero, per la Chiesa, significa evitare il superfluo, ciò che non serve. Non significa vivere in miseria. La Chiesa ha sempre combattuto la miseria. Di più: ha, da sempre, il dovere di denunciarla.

Certo, avrebbe potuto farlo meglio, lasciando da parte le banche e sostenendo in misura maggiore quelle realtà di frontiera che sono le missioni, spesso e volentieri l'unico vero baluardo a difesa dei poveri. Sotto questo punto di vista, la religione cristiana non può essere considerata “l’oppio dei popoli” –come la definiva Marx.

E' una Chiesa, quella di Papa Francesco, che sta riscoprendo il messaggio originale del Cristianesimo, riproposto e sottolineato già nel Concilio Vaticano II e aggiornato, come si è visto, fino a oggi.

Un messaggio articolato, multiforme, che diventa sempre più complesso calare nella realtà dei nostri giorni. Anche per questo, in alcune sue parti è un messaggio rimasto troppo a lungo dietro le porte dei sacri palazzi, al centro di un corpo che è apparso essere troppo distante dalla realtà.

 Come nota don Denisi: <<Mezzo secolo dopo, un Papa ne ha fatto il programma del suo pontificato.>>

Ecco, utilizzando la stessa metafora  di De Luca, il messaggio di Papa Francesco potrebbe essere tradotto così: allontanarsi dal centro, anche dal luogo fisico –il Vaticano- e andare –sia fisicamente che con i comportamenti personali- verso le periferie esistenziali. Avvicinarsi sempre di più a quei gironi di vita infernale dove ci sono quei “fratelli più piccoli” di cui parla il Vangelo di Matteo, a quella circonferenza dove c’è Dio, a quella circonferenza che è Dio.

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