25 dicembre 2020

E' UN NATALE TRISTE IL NOSTRO?

 Tra le tante espressioni di auguri di Natale che ho avuto modo di leggere o ascoltare, tutti più o meno simili nelle loro forme, diciamo così, canoniche, mi ha colpito l'augurio che don Marco Pozza ha rivolto agli ascoltatori di una radio privata: <<Mi auguro che sia il secondo Natale più triste, dopo il primo.>>

A ben vedere, infatti, c'è più di una analogia tra quel primo Natale di oltre duemila anni fa e quello che viviamo oggi.

Maria e Giuseppe ebbero chiuse le porte in faccia, ognuno rimaneva protetto nelle sue case, non voleva fastidi, teneva alla larga gli sconosciuti, specie quelli che bussavano alla porta magari di sera, in una notte di freddo e gelo, come ci tramandano le canzoni che abbiamo imparato da bambini.

Non deve essere stato certo bello per i due genitori in attesa, doversi rifugiare in una grotta, con la sola compagnia di un bue e di un asinello.

Oggi passiamo questo Natale chiusi in casa non per egoismo o diffidenza verso il prossimo -almeno non nella maggior parte dei casi- ma per difenderci da un nemico ancora poco conosciuto e invisibile. Certo, è un Natale diverso da quello che abbiamo avuto la fortuna di vivere ogni anno fino ad oggi.

Chi, allora, non ebbe timore e andò a salutare il neonato Bambino, furono pastori, contadini e pescatori, ovvero tutta gente che era abituata a vivere fuori, nelle campagne e nei pascoli o su una barca, per mare.

Chi oggi vive fuori, è chi non ha una casa. Sono i profughi che affollano i campi provvisori che danno loro un rifugio temporaneo dalla guerra, dalla fame, dalle difficoltà economiche. Quei campi diventano paesi, città vere e proprie.  Per loro, per tutta questa umanità, le zone rosse non valgono e non varranno mai.

Chi oggi vive fuori, sono i tanti, tantissimi, che s'imbarcano su legni precari per tentare di attraversare il braccio di mare che li separa da noi che, per loro, siamo un punto non di arrivo bensì dal quale ricominciare a vivere da essere umano, dal quale recuperare la dignità perduta nelle carceri in Libia o nelle tendopoli del Libano, che ospita profughi -palestinesi, curdi, siriani, ecc.- da quasi quarant'anni.

Sono loro che, come i pastori, i pescatori e i contadini del presepe, cercano una nuova luce nella loro vita. Loro la cercano davvero, con tutta la forza che hanno, incuranti dei sacrifici che devono affrontare.
A noi chiusi in casa in difesa, basta solo un po' di pazienza. Molti dicono di sentirsi come chiusi in carcere, ma il carcere vero è un'altra cosa. Le zone rosse non valgono neanche lì dentro.

Noi, che ci diciamo tristi, in realtà siamo i fortunati, i privilegiati: la luce la vediamo entrare copiosa dalla finestra spalancata, in quello che è oggi un Natale primaverile. No, il nostro non è un sacrificio.

Per noi, benché diverso dagli altri, non è un Natale triste. Lo sarà quando ci renderemo conto davvero della fortuna che abbiamo. Quello di Don Pozza è un auspicio, perché si trasformi in realtà dovranno passare ancora tanti altri Natale, ci vorrà ancora tempo.

Auguri a tutti!


08 novembre 2020

L'IGNORANTE GENERALE

Agazio Loiero, Presidente della Regione Calabria da aprile 2005 ad aprile 2010, che il 12/11/2007 firmò il Piano di Razionalizzazione e Riqualificazione del Servizio Sanitario Regionale che ha dato il via allo sfascio della sanità calabrese. Firmatario, il 16/12/2009, del successivo Piano di Rientro del Servizio Sanitario Regionale della Calabria.

Giuseppe Scopelliti, Presidente della Regione Calabria da aprile 2010 ad aprile 2014, nonché Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario della Regione Calabria dal 30/07/2010 -nominato dal governo Berlusconi IV.

Luciano Pezzi, ex generale della Guardia di Finanza in pensione, Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario della Regione Calabria dal 19/09/2014 -nominato dal governo Renzi.

Massimo Scura, ingegnere chimico, già direttore dell'Ausl 7 di Siena, in pensione, Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario della Regione Calabria dal 12/03/2015 -nominato dal governo Renzi.

Saverio Cotticelli, ex generale dei Carabinieri in pensione, Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario della Regione Calabria dal 07/12/2018 -nominato dal governo Conte I e confermato dal governo Conte II. 

Sono questi i nomi di coloro che in tredici anni hanno pianificato, approvato e messo in atto -sia direttamente che indirettamente, cioè a causa della loro inefficacia assoluta, lo sfascio della sanità calabrese. Loro, unitamente alle centinaia di supermegadirettorigeneraligalattici delle Asp e pletore di "funzionari" annessi, incapaci perfino di approvare i bilanci delle aziende che dirigevano e i cui libri contabili sono in alcuni casi introvabili.

Nonostante indagini ed accessi antimafia vari, non sono state appurate colpe (a parte Scopelliti, ma per altri motivi) a carico di nessuno di loro in relazione alla gestione della sanità calabrese.  

Non ho citato nell'elenco né Mario Oliverio, Presidente della Regione Calabria da dicembre 2014 a febbraio 2020 né Jole Santelli, che gli è subentrata fino alla sua prematura scomparsa, avvenuta lo scorso 15 ottobre. Non li ho citati perché privati della possibilità di intervenire nel governo della sanità regionale, essendo in carica i commissari ad acta di nomina governativa.

Risultato in tredici anni: chiusura di 19 ospedali; pazienti trattati come cose, depositati nei corridoi o negli sgabuzzini, in compagnia di cianfrusaglie inutili e spifferi micidiali; conseguente sovraccarico degli ospedali hub di Catanzaro, Cosenza e Reggio, con medici e infermieri in numero sempre più ridotto, per via dei pensionamenti non rimpiazzati da nuove assunzioni e ridotti sull'orlo del collasso (tanto figurato quanto reale, fisico). Fino ai giorni nostri, in cui molti sono entrati in ospedale e ne sono usciti "a peri avanti", morti soli, senza nessuno a poterli assistere.

In mezzo: promesse di potenziamento e riconversioni mai avvenute; previsioni di spesa astronomiche (8,5 milioni di euro per la Casa della Salute di Scilla) mai divenute realtà e soldi volatilizzati chissà verso quali altri cieli; manifestazioni di popolo spontanee, specie nel periodo dal 2010 al 2014, alcune delle quali si sono svolte a Scilla, e che avevano portato a una serie di proposte -tra le quali una proposta di legge da parte dellavecchia Provincia- per far sì che l'Ospedale "Scillesi d'America" fosse funzionalmente accorpato agli Ospedali Riuniti di Reggio. Proposte inascoltate o rimaste a prendere polvere in qualche cassetto di qualche armadio di Palazzo Campanella.

Poi, il silenzio. La resa -forzata- di quel popolo alle nomine governative. Due generali e un ingegnere uscito dal Politecnico di Torino, soggetti dai curriculum impeccabili, venuti a trascorrere qualche anno in Calabria, dove, nel chiuso di una stanza scrivevano e firmavano  decreti a raffica: 54 nel 2014; 140 nel 2015; 141 nel 2016; 178 nel 2017; 87 nel 2018; 193 nel 2019; 140 nel 2020 (aggiornati al 03/11). Fanno 933, quelli emanati dai commissari governativi. A questi devono aggiungersi i 544 decreti emanati dal 2010 al 2013 da Scopelliti, nello svolgimento della stessa funzione commissariale. In totale fanno 1477, in dieci anni! 

1477 colpi che, come una mitragliatrice, hanno falcidiato la sanità calabrese, negando, di fatto, a un'intera regione un giusto diritto: quello alla salute, il più importante di tutti.

Loiero, Scopelliti, Pezzi, Scura, Cotticelli. Un poker micidiale, col morto: la sanità calabra. Oggi, dopo 13 anni, oltre agli ospedali chiusi contiamo e piangiamo anche i morti veri, costretti a barricarci in casa perché se ci ammaliamo, corriamo il rischio di finire all'altro mondo per non avere un posto adeguatamente attrezzato dove poterci curare.

Mentre tutti si stupiscono dell'ignoranza di Cotticelli, smascherata da un servizio televisivo, nessuno ha fatto caso alle date: l'ignorante aveva fatto una precisa domanda al governo a giugno, gli hanno risposto a fine ottobre! con una tempestività da fare invidia ai bradipi, pur in tempo di smartphone, emails, pec e messagistica istantanea. Manco fosse un voto spedito per eleggere il presidente degli Stati Uniti!

E lui, il generale ignorante, dopo quasi dieci giorni non sapeva ancora della risposta, non sapeva che era compito suo predisporre un piano per affrontare l'emergenza Covid, non sapeva quanti erano i numeri reali dei posti in terapia intensiva. Non sapeva, lo ignorava. Più che di un generale ignorante, ha fatto la figura di un ignorante generale.

Niente, più delle luci della tv, è capace di attivare reazioni impensabili fino al giorno prima. Così, a igoranza generale scoperchiata davanti alle telecamere, tutti i sindaci della Città Metropolitana -ritratti in posa celebrativa, con tanto di fascia tricolore e nnocca d'ordinanza- in data odierna hanno trovato la forza, finalmente! di farsi promotori di una proposta seria, riassunta in tre punti dal sindaco metropolitano sulls sua pagina facebook:
- che la scelta del nuovo commissario sia condivisa con le istituzioni locali;
- che il commissariamento si chiuda al termine dell’emergenza Covid;
- che il Governo metta in campo immediatamente tutte le iniziative per fare uscire la Calabria dalla zona rossa (aumento posti terapia intensiva, assunzione personale e individuazione di un centro COVID regionale).

Superata l'emergenza attuale e chiuso il commissariamento, si dovrà pensare a  un nuovo Piano Sanitario Regionale, che faccia tesoro, si spera, degli errori/orrori commessi in questi 13 anni.

Un Piano che -mi auguro- sia dimensionato non solo sul numero di abitanti -come quello del 2007 di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze- ma in base alla densità di popolazione, con un nuovo ruolo per le strutture sanitarie più piccole, che possano essere di ausilio e complemento per gli hub regionali. Solo così tutti potremo riacquistare il nostro diritto alla salute.



24 ottobre 2020

CALABRIA, PUBBLICITA' INGANNEVOLE

 Da calabrese, ho bisogno di sfogarmi. Perciò, mi sia consentito dire (come cantava il grande Rino Gaetano) la mia con qualche considerazione sul cortometraggio girato da Muccino per pubblicizzare la nostra Regione, una Calabria che i primi a conoscere poco siamo proprio noi.

L'intento dichiarato era quello di suscitare emozioni. A giudicare dal diluvio di critiche per lo più negative, possiamo certamente dire che Muccino ha compiuto la sua missione.

Non mi soffermo più di tanto sulle questioni tecniche, né sull'esposizione fruttifera cui abbiamo assistito e che si sarebbe potuta girare in qualunque mercato generale italico.

Anch'io sono stato emotivamente colpito, in negativo, da ciò che ho visto. Quella rappresentata nel pur breve filmato, non è certamente la Calabria che i calabresi conoscono; non è neanche la Calabria che chi, pur favorevolmente emozionato da quelle immagini e, perciò, indotto a visitare la nostra terra, si troverà davanti. Perciò, si tratta di pubblicità ingannevole che, se non sbaglio, è attualmente sanzionata dalle norme vigenti.

Chi volesse venire da noi, infatti, non troverà uomini con la coppola né scecchi quadrupedi che camminano per strada. Invece, di scecchi bipedi, che camminano in posizione eretta per ragioni evolutive (ma sempri scecchi sunnu), ne troverebbe un bel po', come da qualsiasi altra parte del mondo.

Dalle immagini viene fuori una terra dai colori che non sono i suoi, una regione ferma, cristallizzata nel tempo e negli spazi scenici che ripetono luoghi e situazioni viste e riviste, in un set cinematografico che sembrava il palco di una commedia dialettale amatoriale. Citazioni volute? Non credo. Voglio pensare, piuttosto, che Muccino sia ricorso a questo escamotage non per sua incapacità ma per non aver avuto il tempo di sviluppare un'idea nuova.

Ok, era un cortometraggio, non un documentario. Pur considerando il tempo limitato a disposizione del regista, però, non si può fare a meno di notare che quella che esce dalle immagini è una Calabria monca. Non vi è traccia, infatti, né di Reggio né di Crotone e delle loro rispettive province. Che non ci sia neanche Catanzaro -intesa come "città", per quanto mi riguarda, è un bene: 'mmucciamu i virgogni.

La colpa, però, non è soltanto di Muccino. Chi lo ha chiamato alla realizzazione del cortometraggio, avrebbe potuto fargli visitare meglio i luoghi più rappresentativi della nostra terra, che so, uno o due per provincia. Dieci spot di 30 secondi ciascuno, raccordati da una trama minima, come quella utilizzata, magari un po' meno fanciullesca. E in questa trama, che deve dare anche un'impronta storica, cambierei anche i nomi di alcuni personaggi. Un calabrese non si può emozionare con nomi come Adelaide e Penelope o Adelaide (quella che, nel cortometraggio, mangia la soppressata col finocchietto). Anche questa è un'informazione ingannevole. Da che Calabria è Calabria, noi ci emozionamo storicamente con Santina e 'Ddulurata o Filumena e 'Ntonia, o Giuvannina e Pascalina. Le Penelope, Adelaide, Jessica o affini che pur abbonano ai giorni nostri, all'anagrafe sono quasi tutti secondi nomi, cusì i nonni non s'offfendunu e i genitori su' cuntenti.

E poi, diciamocelo: quanti calabresi, se avessero dovuto portare la moglie nella propria terra d'origine, le avrebbero fatto fare due passeggiate tra gli alberi di clementine, spacciandole -in una delle due- per arance, come ha notato anche chi di agronomia se ne intende poco o nulla, come chi scrive? Anche quella scena del cortometraggio è pubblicità ingannevole.

Pare, però, che il tempo per realizzare il cortometraggio sia stato corto anche lui. In poco meno di una settimana hanno dovuto: montare il set stile Corleone anni '50; fare due passeggiate tra le clementine; correre verso una balconata con vista sul mare infinito; mangiare due fichi in spiaggia, aspettando il tramonto. L'unica cosa che non è stata corta, è la fila di zeri sull'assegno sganciato dalla Regione Calabria.

Non sempre un regista bravo a girare i film, riesce ad esserlo altrettanto quando è chiamato a misurarsi con un cortometraggio. In Calabria ne abbiamo avuto la prova. In ogni caso, Muccino ha assicurato di essersi emozionato, almeno lui, in maniera positiva. Gli auguro che l'emozione che ha provato lo spinga a tornare in Calabria, facendo anche una capatina nei tanti posti in cui non è stato e giri un film degno della Calabria.

I calabresi che conoscono, amano e vogliono riscoprire la loro terra e tutti gli italiani che vogliono imparare a conoscere e ad amare la Calabria, non meritano di essere ingannati.


28 settembre 2020

NE BIS IN IDEM

 1005. Tnti sono i giorni passati tra il decreto del Ministero dell'Interno che disponeva lo scioglimento del Consiglio Comunale di Scilla causa infiltrazioni e/o condizionamenti mafiosi, e la sua ricostituzione a seguito delle elezioni amministrative svoltesi tra il 20 e il 21 settembre.

All'indomani del risultato delle urne scillesi, a me cghe non ho fatto latino, è risuonata in mente una frase che il mio professore di italiano ci ripeteva con tono severo dopo un errore: ne bis in idem! Ovvero, nel linguaggio comune: non fate due volte lo stesso errore.

E' stata una campagna elettorale stranissima. Da una parte, la lista costruita per vincere, con lo stesso candidato sindaco di cinque anni fa, già in carica fino all'intervenuto scioglimento e che nel suo programma si propone di operare in continuità con l'amministrazione precedente.

Dall'altro, il silenzio.

Un silenzio rotto solo in "zona Cesarini",  con la presentazione di una lista composta da soggetti estranei alla comunità scillese, la cui formazione -a dire di colui che la capeggiava- è stata determinata  dalla <<necessità di sottrarre i paesi alla gestione dei commissari "antimafia" ripristinando la democrazia.>>

Nell'argomentare tale proposito, si specificava: <<...Noi non siamo di Scilla ma siamo cittadini di quella che dovrebbe essere (ma non è stata) la città metropolitana di Reggio Calabria. Viviamo i vostri stessi problemi e ci nutriamo delle stesse speranze. I veri estranei sono i commissari prefettizi nominati nel chiuso di una stanza e senza rapporto alcuno con il nostro territorio. Ed estranei sono i parlamentari nominati, i presidenti della Regione scelti da Roma, gli assessori regionali che della Calabria non sanno nulla. Ed infine i vari commissari alla sanità a tutti i livelli che hanno contribuito allo sfascio del sistema sanitario calabrese.>>

Se le cose stanno così, allora siamo indotti a dedurre che in Calabria la democrazia non esista o, quanto meno, sia esercitata e/o amministrata da soggetti estranei ai cittadini risultando, pertanto, essa stessa estranea a coloro che ne beneficiano.
 
Invero, il Comune di Scilla si ritrova commissariato fin dal 2012, poiché in dissesto finanziario e, perciò soggetto al controllo dello Stato dal punto di vista finanziario. 
Il nostro Comune era stato già sciolto nel 2014 perché era venuta meno la maggioranza in Consiglio Comunale e commissariato per un anno.
Dopo soli due anni e mezzo, poi, nel 2018, il nuovo scioglimento, stavolta motivato dal verificarsi di fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso.
Tale provvedimento, è bene precisarlo, non ha finalità repressive nei confronti dei singoli. Esso ha, invece, il preciso scopo di salvaguardare l'amministrazione pubblica, ed è caratterizzata dal fatto che ha il preciso scopo di fronteggiare un'emergenza straordinaria.
 
Ora, la storia ci insegna che in tutte le democrazie occidentali può capitare che non tutte le leggi che le regolano siano leggi giuste. E se una legge non è giusta, allora è giusto fare in modo che venga modificata, se non addirittura -nei casi più gravi- abrogata, ricorrendo anche ad azioni di disobbedienza civile.
Ma quand'è che una legge è ingiusta? Lo è, a mio modesto parere, quando incide in qualunque maniera i diritti fondamentali di ciascun individuo.
A ben vedere, le norme che regolano lo scioglimento dei Consigli Comunali sono norme inerenti il necessario controllo, da parte dello Stato, sul corretto funzionamento degli organi attraverso i quali si esercita la democrazia a livello locale. Esse sono sì derivate in parte da leggi emanate nei primi anni '90 del secolo scorso, per far fronte a un'emergenza rappresentata da un'escalation di attentati e morti ammazzati per 'ndrangheta ma, non per questo, sono assimilabili a leggi di polizia tipiche dei regimi dittatoriali. Perciò, quelli che sono stati definiti "commissari antimafia" non sono certo dittatori.
I commissari sono i soggetti delegati dall'autorità statale a governare una temporanea mancanza nella comunità civile, in attuazione di norme straordinarie che non ne limitano la libertà di esprimere il proprio pensiero. Non sono regole che demoliscono la democrazia che, pertanto, non ha bisogno di essere ripristinata. Sono norme che, invece, sopperiscono temporaneamente all'incapacità di quella comunità di esercitare la democrazia in maniera conforme alle norme che la regolano.
Se c'è la necessità di modificare alcune norme -come quelle relative allo scioglimento dei consigli comunali- non lo si può fare partecipando da estranei a una campagna elettorale, perché altri sono gli strumenti che la nostra democrazia mette a disposizione a tale scopo (iniziative politiche attraverso i parlamentari, campagne di sensibilizzazione, proposte di legge d'iniziativa popolare).
 
E' abusando della libertà offerta dalle regole democratiche, invece, che si può arrivare a falsare la democrazia stessa. Ne è un esempio lampante ciò che è avvenuto nell'ultima tornata elettorale del comune di Carbone (600 abitanti), in provincia di Potenza, di cui riferisce Massimo Gramellini nella sua rubrica sul Corriere della Sera:
 
<<Un paese di seicento anime ha eletto sindaco un tizio che nessuna di loro ha mai visto né conosciuto. Potrebbe essere l’incipit di un film di Checco Zalone: sfruttando una legge del 1981 che consente ad alcune categorie di dipendenti pubblici di usufruire di permessi retribuiti in caso di partecipazione a campagne elettorali, un gruppo di siciliani e pugliesi (ma il malcostume è ubiquo e terracqueo) si candida nel minuscolo comune di Carbone, in provincia di Potenza, con la lista Onesti e Liberi: non sia mai che qualcuno si presenti per Disonesti e Schiavi. Gli Onesti sono talmente liberi che non si fanno neanche vedere per un comizio o un cappuccino al bar. Imitati in questo dalla lista rivale, l’Altra Italia, che invece è sempre la stessa, quella dei furbetti del permessino. Entrambe le fazioni confidano nel fatto che alle elezioni si presenterà una lista civica vera, composta da gente che vive a Carbone, ma disgrazia vuole che non venga ammessa alle urne per un disguido burocratico. 
Così il fantasmatico Vincenzo Scavello di Onesti e Liberi diventa sindaco con 78 voti, rimanendone sorpreso e quasi terrorizzato, al punto da presentare immediatamente le dimissioni. Sono tante le cose incredibili, in questo pasticcio, ma la più incredibile restano quei 78 che hanno votato uno sconosciuto. Forse volevano andare oltre Grillo, che propone di sorteggiare i politici. Dopo una storia del genere, verrebbe voglia di sorteggiare anche gli elettori.>>
 
La domanda, dunque è obbligata: cosa sarebbe successo a Scilla se per un disguido burocratico "la lista civica vera" -in quanto riconosciuta dalla comunità di cui era espressione- non fosse stata ammessa?
Avremmo oggi un sindaco, sconosciuto a tutti gli scillesi, eletto con 61 voti e un Consiglio Comunale, altrettanto sconosciuto, formato da soggetti per di più sconosciuti tra loro. Avremmo oggi un Consiglio Comunale fasullo, destinato ad auto-sciogliersi, come nel caso del comune di Carbone. 
Per fortuna, è il caso di dirlo, a Scilla è andata diversamente, pur se 'u paisi è notoriamente amanti ri furisteri. Ciò non ci autorizza, però, a cantare vittoria, il pericolo non può ancora dirsi scampato.
Non lo sarà fin quando non si metteranno da parte le stupide contrapposizioni personali; non lo sarà finché non si darà piena attuazione allo statuto comunale, con l'attivazione di tutti gli strumenti che esso prevede al fine di coinvolgere appieno i cittadini nel governo della città: non lo sarà fin quando non ci saranno, all'interno della nostra comunità, spazi di dibattito per proporre nuove idee. 
Sono cose di cui la comunità scillese ha bisogno, dette e ripetute da anni ma, purtroppo, rimaste inattuate.
Facciamo tesoro, dunque, di ciò che è avvenuto in questi ultimi cinque anni e nell'ultimo mese prima delle elezioni. 
Servirà a tutti: a coloro che hanno vinto, perché non incorrano negli stessi errori del recente passato; a coloro che hanno partecipato ma hanno sbagliato gara alla quale partecipare; a coloro che non hanno potuto o voluto partecipare, preferendo fare da spettatori a quello che, ahimè, pur con tutti i suoi difetti, non è un teatrino ma una cosa tremendamente seria, con la quale non si può scherzare: la democrazia. Che non si ripeta un'altra volta.

14 giugno 2020

LA GIORNATA DELLA BANDIERA


Il 14 giugno 1777 fu approvata dal Congresso degli Stati Uniti la risoluzione che prevedeva che "la bandiera degli Stati Uniti sia di 13 strisce, alternate rosso e bianco," e che "l'unione sia 13 stelle, bianche su campo blu, a rappresentare una nuova costellazione".
Pare, ma non è confermato, che l'idea venne a una certa Betsy Ross, che durante la rivoluzione delle colonie americane contro gli inglesi, riparava le uniformi dei soldati e cuciva le loro tende da campo.

Il 14 giugno 1885, Bernard Cigrand, un maestro di un paesino del Wisconsin diventato poi dentista, ebbe l'idea di un "giorno della bandiera" come ricorrenza annuale, 
Solo nel 1916, il Presidente Woodrow Wilson segnò quella ricorrenza, stabilendo il 14 giugno come "Giornata della bandiera"


Negli anni '50 Bob Heft, diciassettenne dell'Ohio, quando era ormai certo che l'Alaska sarebbe entrata a far parte dell'Unione degli stati americani, prese in prestito la macchina da cucire di sua madre, smontò la bandiera a 48 stelle della sua famiglia e vi cucì 50 stelle in uno schema proporzionale. Consegnò la sua creazione al suo insegnante di storia per un progetto di classe, spiegando che si aspettava che anche le Hawaii si sarebbero presto aggiunti all'Unione.
Il giovane Heft spedì la sua bandiera al deputato del Congresso Walter Moeller, che la presentò al Presidente Eisenhower dopo che i due nuovi Stati entrarono a far parte dell'Unione.
Eisenhower selezionò la bandiera di Heft e il 4 Luglio 1960, entrambi assistettero sull'attenti al primo alzabandiera con il nuovo vessillo. L'insegnante di storia Heft, cambiò il suo voto da "Buono" a "Ottimo".
Ma gli americani, si sa, amano fare le cose in grande, specie quando si tratta di questioni patriottiche. Così, nel corso degli anni, quella che era una sola giornata della bandiera, è divenuta un'intera settimana di festeggiamenti.
Per uno strano scherzo del destino o per una delle più bizzarre coincidenze, il 14 Giugno 1946 al Jamaica Hospital Medical Center nel quartiere del Queens di New York City, nacque Donald John Trump, 45° ed attuale Presidente degli Stati Uniti.
Come i suoi predecessori, anche il Presidente Trump, l'altro ieri ha proclamato il 14 Giugno 2020 come "Giornata della Bandiera" e l'intera settimana che inizia proprio oggi come "Settimana della Bandiera Nazionale", settimana durante la quale la bandiera verrà esposta su tutti gli edifici del governo federale, invitando i suoi compatrioti ad esporre il primo simbolo nazionale fino al prossimo 4 Luglio (giorno in cui si festeggia l'Indipendenza), <<per onorare l'America, per celebrare la nostra eredità in raduni e attività pubblici, e per declamare pubblicamente il Pegno di fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d'America.>>
Ebbene, oggi appena ho aperto Twitter, ho visto in cima alle tendenze nazionali negli Stati Uniti questi tre hashtags: #ObamaDayJune14th, #ObamaAppreciationDay e #ObamaDayUSA.
Una grandissima parte di statunitensi, quindi, ha scelto la piazza planetaria di un social network per esprimere in modo clamoroso la propria disapprovazione riguardo a un Presidente sicuramente fuori da ogni schema istituzionale fin qui conosciuto, come Trump.
Se date un'occhiata, su Twitter è tutto un ricordare i momenti più salienti e più emozionanti della presidenza di Barack Obama -44° e primo Prwsidente nero dopo 220 anni di democrazia americana- che, certo non è stata esente da errori (alcuni clamorosi, specie in politica estera) ma al quale tutti riconoscono uno stile, un carattere e un carisma personale che gli americani non vedevano dai tempi di John Fitzgerald Kennedy.
Il fatto, poi, che Barack Obama sia un nero, non fa che aumentare il rimpianto, specie di quella numerosa comunità ma anche di tutti i liberals (che molti, negli Stati Uniti, considerano "comunisti").
Il 14 Giugno 2020, gli americani -o gran parte di loro- festeggiano con rimpianto la Giornata per l'Apprezzamento a Barack Obama, in contrapposizione ai festeggiamenti per il compleanno del Presidente in carica Trump. Lo fanno con non pochi rimpianti, consapevoli del fatto che Obama non potrà essere rieletto nuovamente, avendo già servito il proprio Paese per due mandati e otto anni consecutivi (dal 2009 al 2017).
Ricordano Obama e non Trump proprio nel loro Flag Day, nella Giornata della Bandiera, perché per molti dover "sventolare" Trump come simbolo del loro Paese non è proprio il massimo della vita.
Obama è stato un uomo normale, arrivato dal più lontano degli Stati, le Hawaii, ultime ad entrare nell'Unione, con una famiglia esemplare nella sua quotidiana normalità divenuta un esempio per tanti e nero, in un Paese che -purtroppo- non dimentica mai il razzismo.
Trump, dal canto suo, è al completo opposto rispetto al suo predecessore: è figlio di un facoltoso imprenditore di New York, ha avuto certamente la strada spianata, priva di difficoltà economiche ma ha avuto la capacità di accumulare un patrimonio oggi miliardario. Alla famiglia tradizionale di Obama, Trump contrappone cinque figli avuti da due mogli e tre matrimoni. Al carattere gentile ma fermo ed elegante di Obama, Trump contrappone una personalità "eccessiva", un'ostentazione di arroganza che anche da questa parte dell'oceano è difficilmente comprensibile e giustificabile per un capo di stato.
Obama/Trump è il confronto tra la normalità e gli eccessi e le stravaganze. 
Quest'ultime possono funzionare fin quando riesci a garantire alla gente una certa sicurezza economica, come ha saputo fare Trump nei primi due anni di presidenza. Ma quando la sicurezza economica vacilla -anche a causa di una pandemia- e quando non riesci a garantire ai tuoi concittadini la sicurezza personale, proprio a causa dello stesso comportamento arrogante ed "eccessivo" delle forze chiamate a garantirla, allora le cose cominciano a non andare più bene.
In tempi come questi, la gente ha bisogno di tornare alla normalità, ecco perché -a prescindere da considerazioni specificamente politiche- molti americani, proprio oggi, ribadiscono il loro apprezzamento nei confronti di Obama, promuovendolo al ruolo di vero e proprio simbolo nazionale e festeggiandolo come propria bandiera.

31 maggio 2020

UMANITA' CONTRO DISUMANITA'

Il 26 Agosto 2016 Colin Kaepernick, giocatore dei San Francisco 49ers -franchigia che fa parte della NFL, lega professionistica del football americano- si inginocchiò sulla linea laterale terreno di gioco durante l'esecuzione di "Star spangled banner", l'inno degli Stati Uniti che di solito i giocatori asoltano in piedi, con la mano sul cuore, prima dell'inizio delle partite.


  Era il modo, civile e non violento, in cui Kaepernick protestò perché non voleva rendere nessun onore a un paese in cui i neri erano ancora oppressi, vittime di odio e violenza razziale e della brutalità della polizia, che in quel periodo si rese protagonista di diverse uccisioni diamericani dalla pelle nera.
La protesta continuò durante tutta la stagione agonistica, seguita da molti altri giocatori, anche nelle altre leghe professionistiche. Anzi, fu ancora più intensa, a causa delle sconsiderate parole del presidente Trump dichiarò che i proprietari delle squadre avrebbero dovuto licenziare quei giocatori che protestavano contro l'inno nazionale.
 L'anno successivo, Kaepernick rimase senza contratto e non mise più piede in campo, per nessuna squadra della NFL che, invece, fu citata in giudizio dal giocatore di colore -di madre di origini italiane- per un presunto accordo tra i vari proprietari delle squadre (sono 32) per non farlo giocare perché divenuto socialmente scomodo. La causa si è conclusa lo scorso anno, con un lauto risarcimento a favore di Kaepernick, il quale, però, non si è fermato e ha continuato la sua protesta civile, fondando la "Know Your Rights Camp" [Campagna Conosci i Tuoi Diritti], un'associazione che tiene seminari gratis a favore dei giovani disagiati, su storia americana e diritti civili.

Il  25 Maggio 2020, a distanza di meno di quattro anni, un altro uomo si è inginocchiato a Minneapolis, ma non ai bordi di un campo da football o in uno stadio. Quell'uomo era un poliziotto, bianco, e si è inginocchiato sulla gola di un uomo, nero, George Floyd, che era stato bloccato pancia a terra da quattro agenti poiché accusato di avere con sè una banconota falsa da $20.
Il video dell'arresto ha fatto il giro del mondo. Floyd, che manifestava chiari segni di difficoltà respiratorie, e dopo aver implorato aiuto più volte, è rimasto immobile, esanime, sulla strada ed è morto poco dopo essere arrivato in ospedale.
Quello che più mi ha colpito in quel video, è l'espressione di convinta superiorità del viso dell'agente -il cui nome non merita di essere menzionato né, tanto meno, ricordato- di polizia, forte del suo potere. Potere non in quanto agente di polizia, ma in quanto bianco, che sottomette un nero.
Dopo la morte di George Floyd, l'ennesima ai danni di un nero americano da parte delle forze di polizia, negli Stati Uniti è divampata la protesta. Bianchi, neri, asiatici, ispanici, si sono uniti a protestare contro i razzisti suprematisti della razza bianca.
E' il segno che il Paese che della democrazia e dei diritti civili degli uomini liberi e coraggiosi è stato sempre il simbolo, è stanco di assistere ad atti di violenza gratuita che hanno l'aggravante di essere stati posti in essere da tutori dell'ordine.
Vero è che pur avendo fatto passi da gigante negli ultimi sessant'anni, la questione razziale negli Stati Uniti è ancora un problema irrisolto, che serpeggia latente tra i vari gruppi etnici, pronto a esplodere in occasione di episodi particolarmente violenti, come la morte di George Floyd.
Il problema fondamentale, però, è sconfiggere una volta per sempre la sparuta minoranza dei suprematisti bianchi. In un Paese come gli Stati Uniti, sono facilmente identificabili e contenibili, se solo si vuole, con delle leggi appropriate, ivi compresa una maggiore severità nella selezione di coloro che intendono indossare una divisa. E' questo, credo, che la maggioranza del popolo statunitense chiede oggi a chi li governa.
Nell'attesa che chi di dovere prenda delle drastiche decisioni legislative, al popolo -la parte sana, solidale, della società americana- non resta che la protesta. Non certo quella violenta, fatta di danneggiamenti e furti, incendi e bombe o sparatorie 8tipici metodi usati dai suprematisti). ma quella fatta in maniera civile, non violenta.
Questa foto che vedete sotto - scattata lo scorso 29 Maggio da Dai Sugano, fotogiornalista  del quotidiano "The Mercury News"- è emblematica: un giovane nero americano si inginocchia davanti alle forze di polizia in assetto antisommossa, durante una protesta a San Josè, in California.



 Tra le tante immagini di scontri e proteste, chiudo con queste, che ho trovato tra le più significative. Ci ricordano che l'esempio di Kaepernick continua a dare i suoi frutti e che quanto sta succedendo non è un problema di bianchi contro neri, di poliziotti contro neri ma di umanità contro il razzismo, di umanità contro disumanità.









N.B.:Foto tratte da: https://www.procon.org/files/2-headlines-images/kaepernick-kneels-during-national-anthem-750.jpg; https://twitter.com/daisugan/status/1266620213073637380; https://twitter.com/onelovesbutera/status/1266902623774441473; https://twitter.com/tfiotae/status/1267117942539456512


15 maggio 2020

15 MAGGIO 1948, النكبة (LA NAKBA, LA CATASTROFE)


15 Maggio 1948, النكبة (la Nakba, la catastrofe).
E' il giorno in cui, dopo la dichiarazione della nascita dello Stato di Israele, ebbe inizio l'estromissione forzata del popolo palestinese dalle terre in cui era sempre stato.

Sono passati 72 anni, ed i palestinesi aspettano ancora di ritornare nella loro Patria, nel loro luogo del cuore.
Se chiudo gli occhi e immagino di essere palestinese, facendo un salto indietro nel tempo di 72 anni, vedo i miei nonni, costretti a lasciare le loro case, li vedo scappare portandosi dietro i loro figli e le loro figlie, ancora bambini, alcuni di loro ancora in fasce.
Li vedo rifugiarsi nei campi profughi, senza niente da mangiare. Vedo i miei nonni cercare un lavoro, per racimolare i soldi necessari a comprare un biglietto che possa consentire alle loro famiglie di imbarcarsi su una nave, attraversare il Mediterraneo ed approdare, dopo ventiquattro anni, a Scilla, dove sono nato, cresciuto ed ho vissuto fino ad oggi.
Intanto, però, i miei nonni non ci sono più, non c'è più nemmeno mio padre. Della Palestina conosco solo quello che mi hanno raccontat, non l'ho mai vista se non con la forza dell'immaginazione. La Palestina non è quella che vedo attraverso la televisione, non è così la terra di cui mi hanno raccontato i miei nonni e mio padre.
Mentre scrivo, chiudendo gli occhi vedo due vecchie chiavi.


Sono qui, a pochi centimetri da me, ma ad occhi chiusi raccontano la storia che avete letto.
Sì, perché sono le chiavi che hanno conservato i miei nonni il giorno in cui furono costretti a lasciare le loro case. Servivano per aprire le porte di quelle abitazioni dalle quali sono dovuti uscire sotto la forza delle armi.
 E il portapenne vuoto è quello in cui appoggio la penna con la quale sto scrivendo queste righe.

Le hanno portate con loro, le hanno lasciate a me, la terza generazione che vive lontano da casa. Sì, perché sto bene a Scilla, è un bel paese. E questa, da dove scrivo, è la mia casa, ma non è casa mia, della mia famiglia.
Se chiudo gli occhi, casa mia è nella terra dei miei nonni, è in Palestina.
Spero, un giorno, di poterci andare, di poter usare di nuovo quelle chiavi, aprire le porte di quelle case. E porterò con me anche questa penna, per poter scrivere di un giorno che resterà nella storia. Perché è una storia, quella del popolo palestinese, che non può essere cancellata, ma sarà ancora tutta da raccontare.




Questa che segue è la traduzione della testimonianza diretta di Mahmoud Salah, che ha ispirato il racconto che avete letto e che trovate CLICCANDO QUI

- Ho perso la mia dignità come uomo. Ho perso il mio futuro. Ho perso la mia terra.

Immaginate di essere costretti  con la forza ad uscire da casa vostra...di essere rimpiazzati da qualcun altro. E' quello che è successo a Mahmoud Salah. E' originario di un villaggio palestinese chiamato Sar'a (pron. Sarà), nel sottodistretto di Gerusalemme.
 
- Ricordo il villaggio, vivevamo come una famiglia molto felice, in un villaggio molto felice.

Ma poi arrivò il 1948

- Il villaggio è stato invaso da ovest.

 Mahmoud ha 86 anni ed è un sopravvissuto alla Nakba (النكبة, la catastofe). E' uno degli oltre 750.000 palestinesi che fuggirono o furono espulsi dalle loro case durante la creazione dello Stato di Israele. Mahmoud aveva 16 anni quando fu costretto a lasciare il suo villaggio.

- La Haganah (l'esercito del pre-stato israeliano) decise di prendere questo villaggio, il nostro villaggio. Il villaggio dietro di noi fu quasi distrutto, e la gente che lo abitava venne con noi, di villaggio in villaggio, uno dopo l'altro.

 A causa dell'esodo la famiglia di Mahmoud non potè portare molto con sè.
 
- Lasciai tutto lì. Lasciammo tutto.

Mahmoud e migliaia di altri continuarono a cercare posti in un cui stare temporaneamente, sperando di tornare ai loro villaggi.

- Ero qui e dicevo (al mio cuore): torneremo.

Furono senza casa per lungo tempo e soggiornarono in diversi campi profughi

- Eravamo molti, molti villaggi, (a stare) sotto gli alberi, nelle grotte, aspettando soltanto quando tornare. Avevamo fame. Non avevamo niente da mangiare.

Da giovane rifugiato, Mahmoud divenne depresso, guadagnava solo 15 centesimi al giorno

- Scrissi una lettera alla United Nations Relief Agency [agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione, oggi UNRWA] a Beirut. Dissi loro: ho bisogno di un lavoro, ho bisogno di aiuto. Se non  trovo un lavoro, mi ucciderò.

Provò a trovare lavoro in un campo profughi per 5 anni e mezzo. Mahmoudalla fine si diresse in Colombia, in un viaggio via mare che durò diverse settimane. Vi rimase per quasi 5 anni. Quasi vent'anni dopo aver lasciato il suo villaggio, arrivò in America (Stati Uniti).

- Amo questo paese, ma a volte ho qualche problema. A volte ti chiamano con nomi... ma questo paese è ancora il migliore che conosca.

Poiché ha il passaporto americano Mahmoud è potuto tornare e visitare il sito del suo villaggio.

- Quando tornai, andai al villaggio. Non vidi un villaggio. Non c'è nessun villaggio. Provai tristezza e cominciai a piangere. Ma ho portato il villaggio qui...nel mio cuore. Ancora adesso [stando con gli occhi chiusi] vedo la strada del villaggio, vedo le case nel villaggio. Vedo ogni cosa nel villaggio.

Seppur abbia trovato una nuova casa in America, gli manca ancora molto la Palestina e vorrebbe poter "tornare a casa".

- Questa è la mia casa, ma non è casa mia. Casa mia è Sar'a. Non sento che questa (casa) mi appartenga. Il mio cuore, la mia mente, i miei occhi, il mio pensiero è ancora in Palestina.


03 maggio 2020

E CHI CATINAZZU!

Mi piace la radio. La ascolto spesso, fin da bambino. Mi piace perché è più seria, più educata della televisione che, invece, guardo sempre meno.
In questi giorni, a causa della pandemia in corso, non c'è distinzione tra una stazione e l'altra: Italia, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Africa, di qualunque nazione siano, il tema centrale dei canali d'informazione radiofonica è solo e soltanto il "corona virus", che seppur pronunciato in modo diverso per ciascuna lingua, sempri schifu faci. E chi catinazzu!
Come fare a trovare qualche programma che informi ma in maniera allegra? Esclusi i canali musicali, che mandano tutti la stessa musica, a volte perfino negli stessi orari -e chi catinazzu!- non mi è rimasto che cercare nei podcast.
Il primo che mi appare nella lista porta solo tre lettere: WTF. Non è la sigla di un'emittente radiofonica, come potrebbe sembrare a prima vista. No, sono le iniziali di un'espressione americana -nu pocu scustumata- che potrei tradurre nel nostro dialetto con ECC: E Chi Catinazzu!
Non è una strana coincidenza?! No, non lo è: senza saperlo, ho trovato quello che cercavo.
E' il podcast di un comico americano, o meglio di uno "stand up comedian" -cioè quei comici ospitati nei programmi di intrattenimento o che fanno i loro spettacoli, che fanno il loro intervento in piedi e non da dietro una scrivania- che si chiama Marc Maron. Ricordo di averlo visto molti anni fa, ospite del "David Letterman Show". Trasmette i suoi podcast da un garage della sua casa di Los Angeles, riadattato a studio radiofonico, in compagnia dei suoi amati gatti. Lo show, che può contare su diversi sponsor, va avanti dal 2009 e al momento in cui scrivo, gli episodi sono 1119.
In ogni puntata, Maron intervista comici e personaggi famosi del mondo dello spettacolo o del cinema, attori, registi, sceneggiatori, ma anche scrittori e politici (nel 2015 è stato ospite il Presidente Obama).
L'obiettivo dichiarato del conduttore è quello di curare le sue debolezze condividendole con quelle dei suoi ospiti e dei suoi ascoltatori, che gli scrivono in parecchi, offrendo contemporaneamente un punto suo punto di vista della società e della politica americana, a dire il vero palesemente orientato su posizioni liberal anti-Trumpiane, ma questo è solo un dettaglio.
L'aspetto che più colpisce è lo scoprire come anche i personaggi famosi abbiano i propri punti deboli (numerosi sono i casi di dipendenze da alcool e droghe) e commettono i loro errori, a volte anche molto gravi; è scoprire come la fama li abbia raggiunti non perché l'abbiano veramente cercata, ma per una serie di circostanze più o meno fortunate; è scoprire che anche dietro uomini e donne influenti e di successo, si possono nascondere veri e propri drammi familiari.
Ogni puntata è un colloquio -tra ospite e conduttore- che, in realtà, si trasforma in una sorta di autanalisi collettiva. Perché poi, al di là delle differenze di capacità economica, si scopre che i problemi umani del pubblico che ascolta non sono diversi da quelli della più famosa star di Hollywood.
Un'altra cosa salta alle orecchie di ascolta: la rivendicazione, giusta, delle origini e delle basi culturali di ciascun ospite. Non ho potuto fare a meno di constatare, ad esempio, che su dieci ospiti, otto sono di origini europee -sette di cultura e religione ebraica (come il conduttore), uno di cultura e religione cattolica, anche se spesso non praticanti- uno è afro-americano, uno asiatico. Il dato di fatto che emerge, naturalmente evidenziato molte volte in modo ironico dai comici, è che queste differenziazioni sono ancora molto presenti nella società americana, nonostante essa sia una tra le più evolute al mondo, tanto da sfociare, purtroppo, ancora oggi in sentimenti razzisti. E chi catinazzu, però!
Ho cominciato ad ascoltarle tutte le puntate, anche quelle precedenti, che ascolto a ritroso nel tempo. E' anche questo un modo per confrontare la realtà del presente con le aspettative che avevamo per quel futuro che oggi è attualità. Scopri che ci sono cose che avevamo programmato di fare a cui dovremo rinunciare -e chi catinazzu!- ma per fortuna non sono poi molte. Scopri che molte cose le potremo continuare a fare comunque -e chi catinazzu!- anche se in modo diverso rispetto a quello a cui siamo stati abituati. Ce la faremo, chi catinazzu!