01 aprile 2024

SOLDATINI IN UNA SCACCHIERA

 Netanyahu sta ripetendo a Gaza ciò che Sharon aveva fatto con l'OLP. All'epoca, però, il popolo palestinese, i giovani palestinesi reagirono tutti insieme e fu Intifada, ovvero Rivolta.
Ne parlò il poeta palestinese Mahmud Darwish in un colloquio con la traduttrice e editrice israeliana Helit Yeshurun, tenutosi ad Amman nel febbraio del 1996 e che trovate per intero nel libro "Con la lingua dell'altro".

Ne riporto qualche stralcio.

 
"Io sono il risultato di tutte le culture che sono passate su questa terra: quella greca, romana, persiana, ebraica, ottomana. Tutte contribuiscono a fare l'essenza della mia lingua. Ogni cultura forte è passata da qui e ha lasciato qualcosa. Io sono figlio di tutti questi padri ma appartengo a una sola madre. Questo fa di mia madre una prostituta? Mia madre è questa terra che ha accolto tutti e che di tutti è stata testimone e vittima. Sono figlio anche della cultura ebraica che era in Palestina... Però la tensione politica ci impone di credere che se Israele esiste i palestinesi devono sparire, e se i palestinesi sono qui, è Israele a dover scomparire. È a causa di questa tensione che non abbiamo ancora accettato di essere figli di una stessa condizione, ed è per tale motivo che esiste una "competizione" a chi sia più vittima."
"È con la forza del fucile che avete vinto, ed è con la forza delle pietre che anche i palestinesi sono riusciti ad affermare la loro presenza."
"Abbiamo la sfortuna di avere come nemico Israele, che ha così tanti sostenitori nel mondo, e abbiamo la fortuna di avere come nemico Israele perché gli ebrei sono il centro del mondo. Ci avete donato sconfitta, debolezza e popolarità."
"Aspirate al ruolo di vittima. Adorate essere vittime. Siete gelosi di chiunque, a livello mondiale, sia riconosciuto come tale. Credete che lo status di vittima sia un monopolio ebraico...Tra noi c'è una competizione a chi è più vittima."
"Noi siamo i due popoli più stupidi del mondo. Siamo così piccoli, bistrattati, come due "Giuseppe" che odiano i loro stessi fratelli. L'ideologia dello Stato e delle carte di identità è ciò che ha creato il conflitto.
Siamo dei popoli nati per essere soggetti poetici. Giunti al gioco politico, abbiamo iniziato a litigare. Quando faremo pace, rideremo di tutto questo, ma fino ad allora c'è una questione che mi preoccupa: noi, siamo veramente noi? Siamo liberi di fare guerre indipendenti e di siglare una pace indipendente, o siamo soldatini in una scacchiera?"
"... Proviamo invece a essere normali, è così necessario, per ognuno di noi, andare oltre alle varie storie e ai miti, altrimenti questo luogo finirà per inghiottirci."

Lo perquisirono - trovarono un cuore
perquisirono il cuore - trovarono un luogo
perquisirono la sua voce -trovarono un dolore
perquisirono il dolore - trovarono un esilio
perquisirono l'esilio - trovarono se stessi.
[da "La terra",
Mahmud Darwish, 1976]

15 febbraio 2024

VOLI NUOVI, MERAVIGLIA VECCHIA

 Oggi, leggendo la notizia principale che campeggiava su qualche sito locale, mi è tornata in mente una storiella che raccontava mio padre. Lui, che aveva frequentato le superiori a Palmi, narrava che all'epoca in cui il treno arrivò per la prima volta nella Piana di Gioia Tauro (parliamo di circa centodieci anni fa, più o meno), la comparsa del rivoluzionario mezzo di trasporto venne così raccontata, con tono di assoluta meraviglia, da un contadino ai suoi compaesani:

<<Oh, criritimi, non sapiti ca vitti! Nc'era 'na carrozza senza cavai, ca faciva "Patapum! Patapum!">> -traduzione: <<Oh, credetemi, non sapete cos'ho visto! C'era una carrozza senza cavalli, che faceva "Patapum! Patapum!">>

A quanto pare, la storia e, con lei, la meraviglia, ritorna: oggi, all'aeroporto della città dello Stretto, c'erano telecamere a iosa e gente che fotografava l'arrivo di un aereo. Era l'aereo della Ryan Air e a bordo c'era il numero uno della compagnia, tale Eddie Wilson.

Ora, come dicevano i conduttori radiofonici, è mai possibile che due decenni e passa dopo il duemila, ci si debba ancora meravigliare dell'arrivo di un aereo? Sì, a Reggio -e provincia- sì, è possibile.

Già questo dovrebbe essere sufficiente ad indicare quale grado di assuefazione al meno peggio, all'arte quotidiana di arrangiarsi, abbiano raggiunto i calabresi, e i reggini in particolare. Ma basta questo? No.

Ovviamente, a far da cornice all'arrivo del gran capo della compagnia irlandese, non poteva mancare il grande capo della Regione Calabria, l'ineffabile Occhiuto.

E dove lo si poteva portare, il buon Wilson, se non a visitare la più bella delle cartoline che la Calabria possa offrire a chi non la conosce? Così, con tanto di codazzo di auto al seguito, con adeguato contorno di forze dell'ordine -come riferiscono testimoni oculari- il gran capo regionale, supportato dai maggiorenti del suo partito, hanno accompagnato l'ospite venuto dalla verde Irlanda, a visitare l'incantevole cartolina dello Scigghiu, con tanto di vista panoramica dello Stretto, direttamente ru 'ffacciaturi di Piazza San Rocco. Ciò che  accadde in era mitologica ed è accaduto in passato, continua ad accadere ancora oggi: l'ospite venuto dall'antica Scotia Maior, è rimasto vittima dell'incantesimo della Maga Circe, pietrificato dallo stupore nell'ammirare la bellezza di questo angolo di paradiso e si è innamorato di Scilla.

Se il fascino immortale di Scilla ha fulminato il buon Wilson, lo stesso effetto non ha prodotto sul gran capo calabrese.

Occhiuto ha continuato l'opera di spoliazione continua, lenta ma inesorabile subita dalla comunità scillese. Prima fra tutti, l'emblematica vicenda dell'ex ospedale "Scillesi d'America", simbolo dello scempio sanitario calabro.
Per parte sua, da quando è alla Cittadella di Germaneto, Occhiuto non risponde alle domande sul destino dell'ex Ospedale di Scilla; non risponde su quale sarà il futuro di una struttura sanitaria della quale si prevede la demolizione e per la quale la Regione ha fatto intendere in modo chiaro che non vuole spendere un euro, pur se qualche maggiorente al governo calabro si era impegnato a trovare un paio di milioni, che avrebbero consentito di realizzare una nuova struttura degna -quanto meno- di un servizio sanitario moderno. La Regione di Occhiuto ha detto no perché, solo questa è la verità -e i fatti finora lo dimostrano, di Scilla non gliene frega una beneamata…
Oggi, dobbiamo suonargli la fanfara perché è venuto ad annunciare i meraviglianti (più che mervigliosi) nuovi voli?! Anche no.

Si vogliono incrementare le presenze turistiche? Bene, è una cosa positiva, senz'altro. Ma se questo maggior flusso di persone, a parte i ristoranti, i panini col pescespada, le passeggiate ed escursioni su e giù per i sentieri delle nostre colline,... se a parte queste poche cose, il territorio scillese non può contare su servizi pubblici efficienti -trasporti, logistica, eventi culturali, ecc.- e quindi anche su quelli sanitari, cosa li facciamo venire a fare? Pi fari malaviruta!

In campo sanitario, gli aerei non serviranno ai turisti, serviranno solo ai calabresi, ai reggini, agli scillesi, per andare a curarsi altrove, perché è stato tolto loro il diritto di curarsi in Calabria.

L'ineffabile Occhiuto e sodali questo lo sanno benissimo, ma, come già chi li ha preceduti sulle stesse poltrone, tacciono e non se ne vergognano, perché non hannu russuri nda facci, comu riciva me' nonna!

Loro non se ne preoccupano, tanto, a Scilla hanno preso e continueranno a prendere migliaia di voti. La proverbiale stortìa ri scigghitani non si smentisce mai, siamo sempre gli eredi di coloro che facevano parte di un carico di stupidi da eliminare, caduti qui da un sacco che si era spaccato durante il trasporto: più ci tolgono, più li premiamo.

Continuate a votarli, mi raccomando, e a ogni piritu tundu chi fannu, battintici 'i mani giubilanti di meraviglia e timorosamente proni davanti al potere, in una brutta copia di ciò che accadeva oltre un secolo fa ai contadini della Piana di cui raccontava mio padre, timorosi, ma perché ignoranti, di fronte al progresso tecnologico.

Qualche aereo in più non è progresso tecnologico, è una buona cosa, ma dovrebbe essere la normalità per un territorio che vuole vivere di turismo. Invece...



 


13 ottobre 2023

CIAO, ZIO ROCCO

 

Ciao zio Rocco,

sei stato un uomo forte, determinato. Il tuo carattere fermo ma estremamente pratico ti ha consentito di attraversare le difficoltà che la vita ti ha posto davanti. L'hai fatto fino alla fine, mantenendo la lucidità di pensiero e la capacità di comunicare anche solo con uno sguardo.

Tante sono le somiglianze con mio padre, che in te ho rivisto sempre ed in particolare in questi ultimi sei anni. Vi ha accomunato l'amore per la famiglia, l'impegno sociale, politico, nell'ambito associazionistico e in tante e tante attività, alle quali avete sempre attivamente partecipato, nell'interesse esclusivo della comunità, con la serietà, la riservatezza, la discrezione, la puntualità e la precisione che ciascun impegno richiedeva. L'avete fatto con l'umiltà che vi era naturale, facendo apparire semplici -ai miei occhi di bambino- anche le situazioni più complicate. 

Come dissi a mio padre, anche se rinascessi altre tre o quattro volte, non sarei capace di fare quanto tu e papà avete fatto nella vostra vita, della vostra vita.

Mi hai trasmesso la passione per la storia del nostro paese, fatta delle tante storie degli uomini che, nel tuo tempo,  l'hanno popolato e che ci raccontavi sempre con sfumature simpatiche; mi hai trasmesso l'amore per il nostro dialetto, per le sue espressioni uniche ed efficaci, patrimonio da custodire e valorizzare perché non vada perduto; mi hai trasmesso il piacere di raccontare fatti e persone di questi tempi recenti, sempre con il sorriso, l'ironia e la battuta pronta a sdrammatizzare anche le situazioni più difficili, dono che credo provenga dai nostri avi napoletani, della cui origine sei stato orgoglioso custode.

Per questi motivi sei stato e continuerai ad essere una memoria storica della nostra Scilla, per la nostra Scilla, per il suo futuro. 

Oggi, perciò, ci tengo a salutarti e ringraziarti anche da qui, da questo piccolo spazio il cui nome -'U Nonnu- è un omaggio alla saggezza di un tempo, la saggezza dei nonni. Quella saggezza che hai incarnato nel modo migliore, trasmettendo ai tuoi figli e ai tuoi nipoti un patrimonio prezioso, fatto di saldi rapporti familiari, amore per il proprio lavoro, piacere nel servizio attivo per il prossimo e per il proprio paese.

Con affettuosa riconoscenza, ti dico "Grazie, zio Rocco!", riposa in pace.

23 settembre 2023

L'OSPEDALE DEGLI SCILLESI E LA RABBIA DELLA MEMORIA


E' incredibile come "i piani che non dipendono da noi" -per riprendere una felice espressione del mio amico Giovanni Panuccio- si intreccino di continuo in concatenazioni e collegamenti del tutto inaspettati, ma che -in quanto pianificati- non sono casuali seppur indipendenti dalla nostra volontà.

Se avrete la pazienza di proseguire la lettura, credo che ne resterete colpiti anche voi. Vengo e mi spiego.

La lettera con la quale ASP di Reggio Calabria ha disposto la chiusura della parte di più recente costruzione del presidio sanitario "Scillesi d'America" porta la data del 21/09/2022.

Lo stesso giorno, a un anno di distanza, per gli insondabili disegni di chi regola ciò che accade in questo nostro mondo indipendentemente dalla volontà nostra, si sono svolti i funerali dell'amico Pietro Bellantoni. Cu Petruzzu -così lo chiamavo affettuosamente ogni volta che lo incontravo o ci sentivamo telefonicamente- avevo collaborato nell'ormai lontano novembre 2011 quando, sul mensile "Scilla" di cui era direttore, rendemmo pubblica ad una più vasta platea la clamorosa vicenda della proprietà della struttura sanitaria scillese, nodo che a tanti anni di distanza rimane a tutt'oggi ancora irrisolto. Credo sia stato uno dei suoi primi scoop giornalistici. 

Ricordo con inevitabile commozione la sua meticolosità nel voler approfondire i come e i perché di una vicenda che è davvero ai limiti dell'umana sopportazione burocratica. Mi rimproverava -lui che della sintesi era maestro- di essere troppo lungo nell'esposizione (e sono certo che mi rimprovererebbe anche per la lunghezza di questo post), ma i fatti da raccontare erano tanti. Così, alla fine, sulla "storiaccia burocratica" dell'Ospedale degli scillesi, ne scrivemmo altri di articoli, ripromettendoci, magari, un giorno, di farne un libro. Purtroppo non ne abbiamo avuto il tempo, anche perché la burocrazia è continuata, imperterrita.

Il 23/09/2022 è la data dalla quale nella parte "nuova" dello "Scillesi d'America" sono cessate <<...le azioni sanitarie ivi erogate>>, come recita il provvedimento ufficiale. 

Lo stesso giorno di cinque anni prima, nel 2017, morì mio padre, che le azioni sanitarie dell'ambulatorio di oncologia -allora operativo presso la struttura scillese- le vide cessare quando, un anno e mezzo prima, avrebbe dovuto iniziare la terapia che i medici avevano intenzione di somministrargli. 

Quello stesso ospedale i cui medici lo avevano accolto e salvato quarantacinque anni prima per un'altra patologia, quel giorno gli chiuse le porte solo ed esclusivamente per colpa delle ottuse volontà dei decisori politici e degli attuatori amministrativi della "moderna" sanità calabrese.

Successe, infatti, che quella stessa mattina l'ambulatorio di oncologia operativo presso la struttura sanitaria di Scilla, fu chiuso. I medici che vi lavoravano furono trasferiti a Melito Porto Salvo. Fu solo grazie alla sensibilità umana -prima ancora che professionale- di uno degli oncologi che subirono quel trasferimento a sorpresa, mio padre ebbe la possibilità di potersi curare presso l'allora "Riuniti". Ricordo le parole che, mortificato per quanto era avvenuto, l'oncologo disse a mio padre, <<...nelle sue condizioni non me la sento di farla viaggiare avanti e indietro, da Scilla a Melito, per la terapia. Parlerò con i colleghi di Reggio, la prenderà in cura uno di loro.>>

Così fu. Mio padre fu curato a Reggio per quasi due anni nel migliore dei modi possibili, grazie alle capacità e sensibilità di un reparto, quello di oncologia, davvero valido, pur tra mille difficoltà operative. A quei medici e a quegli infermieri, a ciascuno di loro, andrà sempre la mia riconoscenza. 

In quel periodo, finché le forze glielo consentirono, mio padre prese più volte carta e penna per testimoniare pubblicamente, tramite qualche quotidiano locale, ciò che stava vivendo sulla propria pelle. Conservo ancora quegli articoli.

Oggi, mentre scrivo, è ancora il 23 settembre, ma del 2023. Il giorno dell'anniversario -il sesto- della morte di mio padre; il giorno in cui i social, insensibili e incuranti di ciò che accade alle umane genti, mi ricorda -beffardo!- che avremmo dovuto festeggiare il  compleanno dell'amico Pietro Bellantoni. Sorrido, commosso e triste, nel vedere il suo numero nella mia rubrica: l'avevo memorizzato come "Pietro IV Bellantoni". Non era per un suo vezzo regale, non era da lui. Era solo per ricordarmi del suo simpatico ed autoironico modo di rivendicare con fierezza, e con il suo bellissimo sorriso, l'appartenenza ad una folta stirpe paterna. Questo era Petruzzu.

E' anche il giorno del primo anniversario della chiusura <<...di tutti i corpi [di fabbrica, n.d.r.] denominati "nuovo ospedale" e di immediato trasferimento di tutte le attività ivi erogate in altri siti>>, come è stato premurosamente vergato nero su bianco dai vertici dell'ASP reggina. Ho scritto "primo anniversario", sì, poiché credo che -ahinoi!- ce ne saranno altri prima che su questa storia dello "Scillesi d'America" venga scritta la parola "fine".

E questo 23 settembre è anche il "giorno dopo" di una grande, manifestazione di popolo  -come a Scilla non se ne vedevano da tempo- organizzata dal "Comitato Pro Casa della Salute di Scilla", alla quale hanno preso parte in maniera del tutto civile alcune centinaia di persone.

E' stata l'esternazione composta di una rabbia interiore che non è solo di chi ha manifestato pacificamente ma, ne sono convinto, di una intera collettività della Costa Viola e dei paesi pre-aspromontani che gravitano attorno alla struttura sanitaria scillese da decenni.

E' una rabbia scaturita dalla impossibilità di comprendere le scelte di una politica cieca, sorda e assente (anche ieri sera non c'era nessun politico politicante) nel dare risposte a tutela del diritto alla salute di quei cittadini dei quali, invece, stando alla Carta Costituzionale, dovrebbe essere serva.

E' una rabbia che nasce e sgorga inevitabilmente, in chi ha visto una sanità umana nei suoi attori in prima linea (medici, infermieri, operatori sanitari) ed è cresciuto fin da bambino, con i racconti dei propri nonni, dei propri zii, dei propri genitori, di come -in quel tempo fatto da uomini e donne che usarono la propria concreta intelligenza per fare del bene ad una comunità provata da guerra e fame- a Scilla si poté realizzare qualcosa che non ha avuto emuli in terra calabra: la costruzione dello "Scillesi d'America". 

Dall'America, oggi, purtroppo, abbiamo preso ad esempio soltanto un modello di sanità che la prova dei fatti ha dimostrato essere fallimentare, dimenticandoci colpevolmente di quanti dall'America hanno covato, alimentato un sogno e poi lo hanno concretizzato.

E' una rabbia che dobbiamo tenere viva, perché costituisca fuoco che alimenti la nostra forza nel denunciare le illogicità di scelte che, invece, ci vogliono imporre senza fornircene le reali motivazioni. 

Deve essere rabbia viva ma feconda, nel segno della riconoscenza. Personalmente, mi sento di doverlo  alla memoria degli scillesi d'America, alla loro voglia di crederci fino in fondo; alla memoria del mio amico Petruzzu Bellantoni, alla sua voglia di cercare risposte, di capire; alla memoria di mio padre, che non ha mai smesso di indignarsi per le ingiustizie. 

Sono certo che non sono e non sarò solo.


20 agosto 2023

Festa di San Rocco 2023. Appunti dalla processione -2

 



 


Seconda giornata di processione, per le strade de quartiere San Giorgio, come da tradizione. Tre i momenti significativi che ho annotato nella memoria.

 

La sosta davanti al nostro ex ospedale "Scillesi d'America". Un'accorata preghiera perché ci si adoperi a far tornare le strutture disponibili alla piena fruibilità non solo degli scillesi ma dei tanti abitanti del comprensorio che gravitano attorno a questa struttura da ormai sessant'anni.

Durante la sosta, riflettevo sul fatto che noi scillesi siamo predisposti all'aiuto e all'accoglienza, al prestare soccorso in genere. A questa particolare natura, ho fondato motivo di credere -e mii piace farlo- che molto abbia influito su ogni scillese l'esempio del nostro Santo Patrono. Il passo del Vangelo di Matteo (25,35-44) "Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi…" che viene citato in occasione della festa liturgica, il 16 agosto, e in ogni celebrazione durante la festa, è quello che ogni scillese ha ascoltato fin da bambino guardando la potente espressione della statua lignea di San Rocco e che, per questo, ha ben impressa nella propria mente e nel proprio cuore.



Vedersi privati di una struttura attraverso la quale, per oltre sessant'anni, si sono date cura ed assistenza ad una moltitudine di persone, genera nello scillese, proprio in quanto devoto al Santo taumaturgo di Montpellier, un naturale sentimento di opposizione, di ribellione contro decisioni (siano esse politiche, aziendali o di altra genesi) che hanno annullato la dignità dei malati e hanno fiaccato quel bisogno di umanità che, invece, è oggi sempre più fondamentale.

 

La sosta davanti a' Cresiola, a pochi metri dalla villetta comunale, luogo di svago per giovani e meno giovani. Per i giovani che la frequentano, in cerca a volte non di semplici momentanee e sane distrazioni dallo studio o dalle proprie  attività, ma in cerca di soluzioni alternative per raggiungere l'indipendenza economica o, peggio, la ricchezza, in maniera del tutto apatica e sfruttando le debolezze dei propri coetanei.

Che l'esempio di San Rocco, che ha abbandonato ogni privilegio ed ogni ricchezza, possa essere d'aiuto a comprendere la ricchezza e la bellezza del sacrificio, del sudore della propria fronte, dell'aiuto -attraverso le proprie capacità- dell'intera collettività di  cui si fa parte.

 


Il trionfino. Momento culminante della festa. E' la corsa che, in pochi secondi, raffigura il trionfo di San Rocco sul morbo della peste, il fuoco del suo tempo. E' una corsa che si conclude simbolicamente davanti alla chiesa, come a voler rappresentare il suo andare incontro al Signore, che ha voluto che questo uomo, pellegrino della carità, fosse elevato alla gloria degli altari della Sua Chiesa, quale umana incarnazione delle sue parole, come il versetto ricordato in precedenza.

Il contorno di fuochi pirotecnici che fa seguito alla corsa, ti toglie il fiato; il rumore dei colpi fa quasi tremare piazza San Rocco, ti rimbomba dentro, e ti costringe a respirare a bocca aperta. In quei pochi minuti non esiste altro: tutti i pensieri, le preoccupazioni, svaniscono, sei come anestetizzato dalla realtà che ti circonda. Alla fine della cassa infernale, un urlo gioioso di liberazione unisce la piazza: Viva San Rocco!

Sono ancora stordito dal crepitio e dai colori dei fuochi d'artificio, mentre mi avvio a far ritorno verso casa, attraversando a fatica, seppur a piedi, gli ingorghi di un traffico le cui luci e i cui rumori, però, per la paterna intercessione di San Rocco, sono stasera più sopportabili.

 

n.b.: foto tratte dalla pagina Facebook di Pasquale Arbitrio

19 agosto 2023

Festa di San Rocco 2023. Appunti dalla processione -1


 

Che senso ha festeggiare il Santo Patrono?

E' la domanda che mi ha assillato durante tutto il percorso della processione per le vie di Chianalea e Marina Grande.

Ovunque guardi, vedo gente disinteressata, come se la processione fosse un corteo che porta in giro un semplice pezzo di legno.

Guardo le foto di un tempo, e vedo tutti gli uomini in pantaloni lunghi, col vestito buono della festa. Oggi, per le strade attraversate e dietro il Santo, vedo gente in pantaloncini corti, in costume o mezza nuda.

Avventori seduti ai tavolini di un locale, che battono le mani ritmicamente, ad accompagnare la marcia suonata dalla banda. Tutti rigorosamente seduti al passaggio della croce e della statua.

Ragazzini che, con il Santo a poco più di venti metri di distanza, bestemmiano Dio con la stessa facilità con cui respirano aria.

Nessun componente della Commissione Straordinaria presente, hanno solo mandato una delegata, che nessuno conosce o sa chi sia, ma che personalmente ringrazio. Essendo in tre, i Commissari avrebbero potuto fare uno sforzo.

Gente in processione, che guarda la partita di calcio sul telefonino: è iniziato il campionato.

Sulla via del ritorno verso la Piazza, inatteso, anzi, improvviso spettacolo di fuochi d'artificio, predisposti su due balconi ed accesi senza alcun segnale: processione tagliata in due per quasi tutta la strada Nazionale.

Davanti al Comune -rigorosamente chiuso- i portatori sollevano sulla sola forza delle loro braccia la statua del Santo, in segno di particolare protezione e benedizione per un Ente che sta attraversando un periodo terribile. E', senza dubbio, l'immagine più forte che mi resta di questa giornata.

Vedere il Palazzo Comunale chiuso al passaggio del Santo Patrono, però, è qualcosa che stona, tantissimo. Certo, ci vorrebbe qualcuno che, per pochi minuti, si incaricasse di aprire il portone e le luci, in segno di rispetto, saluto e festa. Lo fanno a Reggio e in altri paesi. Da noi, invece, niente: porta chiusa e buio.

A mia memoria, nessuna Amministrazione ha mai pensato di aprire le porte al suo Patrono. Sarebbe ora di farlo.

Davanti a tutto questo, che senso ha festeggiare il Santo Patrono?

La risposta a questa domanda è una risposta non detta: nessuna preghiera al microfono a scandire le varie soste.  Non è un segno di resa, al contrario. Chi ha voluto pregare, l'ha fatto assieme, con il tradizionale rosario devozionale, o più intimamente, nel proprio cuore. E' stato, dunque, un silenzio pubblico forte, che a tanti non dirà nulla, ma che per la coscienza di ciascuno di noi significa tanto, tutto.

 

n.b.: foto tratta dalla pagina Facebook di Pasquale Arbitrio

10 agosto 2023

CALABRIA, TERRA INTERROTTA

 

La Calabria è terra interrotta.

Dal punto di vista geografico, prima di tutto, separata dalla Sicilia da un vuoto riempito di mare, che appare impossibile da collegare con mezzi diverse da barche o navi, a dispetto di ciò che possano pensare qualche ministro e chi gli tiene il sacco.

E' terra interrotta nelle sue parti pianeggianti, poche, che presto s'impennano su per colline e montagne ripide, maestose, dure, che nascondono segreti.

E' terra interrotta nella sua storia: l'ha interrotta chi è venuto a dominarci e poi è scappato, scalzato da un nuovo dominatore; l'hanno interrotta i molti -troppi- che qui non hanno trovato futuro e la loro storia personale se la sono dovuta costruire altrove, in posti lontani. Se poi le sommi, le storie personali, diventano la storia di un'intera comunità, di intere comunità.

La Calabria è terra interrotta nei rapporti interni tra queste comunità, chiuse, arroccate su queste colline e queste montagne messe in mezzo a separare l'Est dall'Ovest. Si sono chiuse per difendersi, per difendere un'identità che oggi appare perdersi nella disgregazione continua delle risorse umane che quelle comunità costituiscono, fenomeno che dura da quasi un secolo.

 E' terra interrotta nella cultura, la Calabria. Di ciascuno dei popoli che l'hanno dominata o che vi sono stati ospitati nei secoli, restano poche tracce, per lo più ignote agli stessi calabresi, ancora oggi. Quel che rimane sono le lingue (come il greco antico parlato nella Bovesìa o l'arbëreshë

sulle colline del crotonese o nella parte settentrionale della regione) o parti di esse, che sopravvivono in qualche termine dei nostri dialetti. Fatta eccezione per quelle religiose, che ancora resistono, si fa sempre più fatica a mantenere le nostre tradizioni, i nostri usi, i nostri costumi. “La cultura pesa!” era solita dire una mia professoressa. E' un peso che in Calabria è sempre più pesante.

E' terra interrotta, troppo spesso, nell'esercizio della democrazia da una legge ingiusta, che mette tutti nello stesso sacco, senza distinzioni, senza controllare prima la qualità umana di un cittadino, di una persona.

Per un insieme di ragioni geografiche e antropologiche, la Calabria è terra interrotta nel sociale. Quante associazioni hanno visto la luce, animate dagli scopi più nobili, che si sono dissolte, evaporate in tempi brevissimi o, nella migliore delle ipotesi, sopravvivono solo formalmente, come anestetizzate, per mancanza di risorse umane prima ancora che economiche.

E' una terra, la Calabria, che non ha mai consentito lo sviluppo di uno spirito cooperativistico. Ci si è sempre affidati al singolo o a un gruppetto sparuto di persone e ogni iniziativa o attività sociale è durata fin tanto che quel singolo o quei pochi hanno potuto farcela con le loro forze.

Ricordiamoci sempre che, come diceva Nicola Giunta, la Calabria, e Reggio e la sua provincia in particolare, è “'u paisi 'i scindi e falla tu!” Ovvero, è il paese in cui a fare le cose deve essere sempre qualcun altro rispetto a colui che si lamenta perché le cose non si fanno.

Ma la società e la cultura che essa esprime è anche memoria, e la memoria non può permettersi di essere interrotta, perché altrimenti scompare essa stessa.