27 gennaio 2014

IL GIORNO DELLA MEMORIA CORTA

E’ il giorno della memoria.

E’ un giorno particolare, nel quale facciamo memoria delle atrocità commesse da uomini verso altri uomini. Un giorno nel quale si corre il rischio che ogni parola sembri detta a sproposito o venga male interpretata, specie da chi –come noi- ha avuto la fortuna di non aver vissuto quelle esperienze. Ma è necessario parlarne, sempre e comunque, perché a così tanti anni di distanza, ciò che dovrebbe essere ovvio ancora non lo è, visto e considerato che puntualmente si verificano episodi vergognosi il cui unico obiettivo è quello di ricordarci che la natura dell’uomo non è cambiata.

Le atrocità subite dagli ebrei durante il secondo conflitto mondiale saranno sempre incancellabili, devono –o forse sarebbe meglio scrivere dovrebbero- costituire un monito, una testimonianza perpetua del grado di bestialità a cui un uomo possa giungere. Per questo è giusto ricordare.

Ma è altrettanto doveroso ricordare che le sopraffazioni e le efferatezze –seppur con sistemi molto diversi, ma non per questo meno tollerabili- non si sono verificate solo 75 anni fa, ma di esse vi è ampia traccia sia nel passato remoto che in quello più recente rispetto alla seconda guerra mondiale.

Basta far riferimento alla tragedia dei nativi americani, consumatasi sul suolo del nuovo mondo a partire dal 1600 e fino alla fine dell’800. Intere tribù, intere civiltà diverse dalla nostra –ma non per questo meritevoli di estinguersi- sono state ridotte al silenzio o letteralmente cancellate dall’uomo bianco. A rileggere quello che dissero gli ultimi capi tribù dei nativi americani negli ultimi anni del 1800, è sorprendente notare come la loro situazione, le loro sofferenze non siano poi state tanto diverse da quelle subite dal popolo ebraico nell’ultimo conflitto mondiale.

<<Dio fece l’uomo bianco e Dio fece l’Apache, e l’Apache ha lo stesso diritto dell’uomo bianco di stare in questo paese….Appena il trattato è stipulato voglio un pezzo di carta che mi permetta di viaggiare nel paese come un uomo bianco.>>

Queste parole, pronunciate da Del Shay –capo degli Apache Tonto- nel 1871, le hanno pronunciate anche gli ebrei in Italia a partire dal 1938 e fino al 1945. Come i nativi americani, anche gli ebrei dopo la guerra hanno reclamato la loro terra, hanno reclamato il diritto di avere uno stato, lo Stato d’Israele.

Sempre nel 1871, ai funzionari governativi mandati dal Grande Padre Bianco (il Presidente degli Stati Uniti) che gli ordinavano di lasciare la valle che era sempre appartenuta alla tribù dei Nez Percés, il loro capo Giovane Giuseppe così rispose:

<<Nessun capo ha l’autorità di vendere questa terra. E’ sempre appartenuta alla mia gente. Ci è stata data senza nuvole dai nostri padri, e noi la difenderemo fino a quando una goccia di sangue indiano scalderà i cuori dei nostri uomini.>>

Difendere la propria terra è un diritto giusto e sacrosanto, nessuno lo discute, ma non con la guerra. Ciò vale per tutti, a maggior ragione se, come nel caso delle tribù d’Israele, quella terra è stata promessa direttamente da Dio. Ma Dio non va tirato in ballo solo quando fa comodo.

Gli ebrei fanno memoria perenne –giustamente- di ciò che hanno subito durante la seconda guerra mondiale e di ciò che subiscono ancora oggi, ma hanno memoria corta delle sofferenze che hanno inferto e continuano a infliggere agli altri abitanti di quella stessa terra.

Scrive Papa Benedetto XVI in “Gesù di Nazareth”:

<<La legislazione contenuta nella Torah ebraica, in particolare nel Codice dell?Alleanza in Esodo, fissa come norma di “diritto apodittico”, cioè come principio pronunciato nel nome stesso di Dio, il seguente:

“Non molesterai il forestiero, né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano”.>>

Ora, se la Palestina –come affermano gli israeliani- fa parte dello Stato di Israele, allora per loro i palestinesi non sono altro che forestieri. Quante volte nel corso degli ultimi 65 anni, gli israeliani hanno violato questo principio dettato loro da Dio –lo stesso Dio che ha promesso loro la terra che reclamano- opprimendo e molestando gli arabi palestinesi, le loro vedove e i loro orfani?

Se gli israeliani hanno dimenticato –o fatto finta di dimenticare- questo principio per loro sacro, da parte loro anche i palestinesi non sono stati da meno. E le conseguenze sono state disastrose.

Disse Galla, capo di guerra dei Sioux Hunkpapa nel 1876, rivolto a una delle tante Commissioni inviate dal governo di Washington per convincerlo ad abbandonare la terra dei Sioux per trasferirsi in una riserva lontana centinaia di chilometri:

<< Noi siamo nati nudi e ci è stato insegnato a cacciare e a vivere di selvaggina. Voi ci dite che dobbiamo imparare a fare i contadini, a vivere in una casa e ad adottare i vostri costumi. Immaginate che il popolo che vive oltre il grande mare venisse qui e vi dicesse che dovete smettere di fare gli agricoltori e che dovete uccidere il vostro bestiame, e che esso prendesse le vostre case e le vostre terre, voi cosa fareste? Non lo combattereste?>>

Ecco, questo stesso discorso, come quello di Del Shay citato sopra in precedenza, potrebbe farlo oggi un palestinese che vive a Gaza, chiuso in una riserva “moderna”. Certo, questo discorso pronunciato quasi 140 anni fa non giustifica assolutamente gli attentati, le bombe e le stragi commesse dai palestinesi ai danni degli israeliani, bensì ci fa comprendere ancora una volta come la natura dell’uomo non sia cambiata da allora.

Come recita il verso di un’antica canzone siciliana, “Un servu e un cristu”, cantata anche dai Mattanza: “Sempri in guerra sarà l’umana razza, se cu l’offisi l’offisi castìa

E’ qui che sta il problema, apparentemente irrisolvibile.

Apparentemente, sì, perché una soluzione che non sia la guerra c’è. Perché prima degli coloni ebrei e dei palestinesi di Gaza, ci sono stati arabi ed ebrei che hanno convissuto pacificamente tra loro, come vicini di casa, fino al 1948.

Sand_creek_1985Perché oltre al massacro di Sabra e Chatila, in Libano, compiuto dagli israeliani nel 1982 agli ordini del generale Ariel Sharon, “promosso” capo di Stato (scomparso di recente), che tanto ricorda il massacro del fiume Sand Creek compiuto dalle giacche blu agli ordini del colonnello Chivington nel 1864 ai danni dei Cheyenne, ci sono i colloqui di pace tra Arafat e Rabin (ucciso in un attentato da un estremista), per la morte del quale hanno pianto tutti: israeliani e palestinesi.

Perché oltre ai giovani chiamati dall’esercito israeliano a sedici anni e ai giovani estremisti Una bottiglia nel mare di Gazapalestinesi che si fanno saltare in aria, ci sono anche i giovani, israeliani e palestinesi (e sono tanti) come quelli descritti da Valérie Zenatti nel libro “Una bottiglia nel mare di Gaza” (diventato anche un film), che pur avendo tra loro problemi diversi, hanno in fondo la stessa necessita: vivere in pace.

Una soluzione c’è. Ma perché ci sia veramente, occorre prima di tutto comprendere quanto sia inutile e stupido –oltre che dannoso- credere di risolvere il problema continuando a fare la guerra. Ce lo ricordano le parole di Gandhi:

<< Come nessun essere umano è tanto cattivo da non poter essere convertito, nessun essere umano è così perfetto da potersi permettere di distruggere chi, a torto, crede totalmente cattivo.>>

Dunque, la conversione non religiosa, ma la conversione del modo di pensare agli altri, seppur ardua non è impossibile. Per chi è credente poi, non solo è possibile ma è un obbligo morale (dettato già dai filosofi greci), e presente nel Vangelo (nella forma positiva): non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. E’ una regola aurea che vale per tutti: cristiani, ebrei, musulmani.

E’ difficile, ma ancora possibile, perché come disse Gandhi: <<Il fatto che vi siano ancora tanti uomini vivi nel mondo dimostra che questo non è fondato sulla forza delle armi ma sulla forza della verità o dell’amore.>>

Allora, che questa non sia la giornata in cui si ricorda solo ciò che fa più comodo, che non sia il giorno della memoria corta, utilizzato solo per alimentare le divisioni e stupide speculazioni di parte.

Che in questa giornata si faccia memoria di ciò che troppo spesso dimentichiamo, cioè che vi è un’unica verità: nel mondo non ci sono bianchi o nativi americani, non ci sono ebrei o musulmani, israeliani o palestinesi. Nel mondo ci sono solo esseri umani.

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