20 agosto 2022

L'OCCHI 'I SANT'A' RROCCU

 

San Rocco è tornato a percorrere le stradine di Chianalea e Marina Grande. Dopo la pausa forzata dovuta al Covid, gli scillesi si sono riversati in massa, a salutare il passaggio della venerata statua del loro Santo Patrono. Sì, perché noi scigghitani, simu cusì: a Sant'à Rroccu, l'aimu a viriri, l'avimu a vardari nda l'occhi.

Quegli occhi rivolti al cielo, estatici, che affidano a Dio le proprie sofferenze terrene e la propria preghiera, sono un ammonimento, un severo monito.

Troppo spesso, ormai, noi gli occhi li abbiamo abbassati, per non vedere, per non guardare ciò che non ci piace, che ci infastidisce, fino a sconfinare spesso e volentieri nell'indifferenza, fino a divenire impermeabili, non alla pioggia o alle intemperie, ma a chi è accanto a noi, a chi ci è prossimo.

Altre volte, sempre più spesso e per lo più secondo personali convenienze, gli occhi li alziamo, ma ad altezza-uomo, a chiedere favori, a "supplicare" la soluzione di problemi. Piuttosto che tendere a essere uomini santi, abbiamo deificato gli uomini.

Sia nel primo che nel secondo caso, non sono comportamenti da cristiani. Lo sappiamo bene, perché al catechismo ci siamo andati (quasi) tutti, eppure, perseveriamo.

Ecco perché abbiamo bisogno di San Rocco, del suo severo richiamo.

Papa Francesco ci ricorda che <<Essere santi non è un privilegio di pochi, come se qualcuno avesse avuto una grossa eredità; tutti noi nel Battesimo abbiamo l’eredità di poter diventare santi. La santità è una vocazione per tutti. Tutti perciò siamo chiamati a camminare sulla via della santità, e questa via ha un nome, un volto: il volto di Gesù Cristo.>> 



Gli occhi di San Rocco cercano proprio Lui, Gesù, e lo hanno trovato.

Ecco, prego San Rocco perché tutti noi riusciamo a trovare la forza per essere capaci di percorrere le vie del paese in processione, non con gli occhi ad altezza-uomo, in cerca di dei terreni o desiderosi di sapere cosa bolle nelle pentole delle case altrui; non con gli occhi bassi sul cellulare, che alziamo in alto come moderno simulacro. Prego San Rocco perché possiamo seguire il Suo esempio ed alzare gli occhi e, con la Sua intercessione, cercare il volto di Gesù, percorrendo le strade di Scilla seguendo la processione non come evento mondano ma come via di santità. Viva San Rocco!

 




12 agosto 2022

'U TERRABILIU DEL TORRENTE "LI URNI"

 Stamattina, poco prima delle 7,00, si è scatenato su Scilla un violento nubifragio che in poco più di un'ora ha riversato per le strade, le scalinate e i torrenti una quantità d'acqua che non si vedeva da qualche tempo.

La quantità di pioggia misurata, secondo le notizie diffuse dagli organi d'iformazione, è stata pari a circa 85 mm, il che significa che su ogni metro quadrato di superficie sono caduti 85 litri d'acqua. Considerato che in un metro quadrato ci stanno quattro persone, è come se sulla testa di un individuo siano caduti oltre 20 litri d'acqua.

A seguito dell'evento atmosferisco, si sono instaurati fenomeni franosi nella zona collinare, la cui entità è ancora tutta da accertare. Inoltre, danni evidenti si sono verificati nella zona del torrente "Li Urni" (nome terribilmente italianizzato in "Livorno"). Non è una novità. Come già accaduto a luglio del 2017, anche oggi il torrente ha portato fin sulla spiaggia, invadendo il lungomare, una enorme quantità di materiale vario: canne, di quelle che non si fumano ma si usano per 'ttaccari 'u pomaroru; pietre e mazzacani di armacie dei vigneti incolti, evidentemente travolte a monte; pietre, mattoni e cacinazzi cementati, (evidentemente risultanti da lavori edilizi di vario genere), che purtroppo sono divenuti parte integrante dell'ecosistema moderno.

La furia dell'acqua, agevolata ed incrementata dalla ridotta sezione del torrente nel suo tratto finale, nonché dal fatto che, nello stesso tratto, gli argini sono stati ridotti o eliminati -come era stato accertato nel 2017- e, ancora, dal fatto che vi è una pavimentazione in bitume, ha travolto diverse automobili che erano parcheggiate praticamente nel letto naturale del torrente o nelle sue immediate vicinanze.

Ora, a fenomeni naturali come quello verificatosi stamattina, che negli ultimi anni ci si affanna a spiegare con varie teorie scientifiche, i nostri antichi davano un nome specifico che, da solo, bastava a dare l'idea di ciò che era accaduto: 'u terrabiliu.

'U terrabiliu, deriva dall'unione di due termini: terra + ribellione. 'U terrabiliu, dunque, è riferito ad ogni fenomeno attraverso cui la terra -inteso come pianeta- si ribella ai soprausi e alle prepotenze subite per mano dell'uomo o della noncuranza da lui dimostrata nei di lei confronti. La noncuranza porta a dimenticare.

Solo pochi giorni fa era stato reso nuovamente fruibile il sentiero "Le Urne", che da piazza San Rocco, percorrendo Via Canalello, porta giù fino al torrente il cui nome dialettale originario era "Li Urni" -ovvero "Le Urne", intese come le urne d'acqua che il torrente forma nel suo percorso fino al mare. Lo stesso torrente, che da questa sua caratteristica ha preso il nome, alimentava anche la zona lato Est (lato castello) rispetto alla foce, tanto che la parte di Marina Grande compresa tra la piazzetta Spirito Santo e il Largo San Nicola è noto come Rione Gornelle -in dialetto "Urneddhi", ovvero "piccole urne" d'acqua.
Sarebbe, però, opportuno riportare l'originario nome dialettale, ovviamente tradotto anche in italiano.  Ciò perché il ripristino del sentiero, oltre che opera che dimostra rispetto verso questi luoghi che la Natura ci ha donato è, nel contempo, recupero della memoria storica.

Quella memoria storica che come collettività scillese abbiamo perso per noncuranza.
Il fatto di aver modificato i nomi della toponomastica, da "Li Urni" a "Livorno", dunque, ha contribuito in maniera decisiva alla perdita della memoria collettiva circa il fatto che quella parte del oggi asfaltata e percorribile con le auto è, in realtà, la naturale sede di passaggio dell'acqua del torrente.

Il "Li Urni" ce lo ha ricordato nuovamente, a distanza di cinque anni. Tutti ci auguriamo che non sia necessario 'n'atru terrabiliu.

13 giugno 2022

ADESSO PROVIAMO PURE A RESUSCITARE I MORTI

 La tecnologia moderna è in grado di "resuscitare" anche i morti. Dopo i duetti con gli ologrammi degli artisti che hanno lasciato questo mondo e che rimangono patrimonio di tutti, ognuno di noi potrà "resuscitare" i propri morti.

Ebbene sì, a quanto pare, Google, evidentemente sentendosi l'onnipotente tecnologico del nostro tempo, ha annunciato che il dispositivo Alexa, che sempre più gente può utilizzare per chiedere qualunque fesseria ma mai le cose più importanti, tipo Dove ho dimenticato il cervello?, potrà essere in grado di riprodurre la voce di persone a noi care, semplicemente da una qualunque registrazione.

Personalmente, la cosa mi disturba non poco. 

Ho riascoltato la voce di mio padre dopo un anno dalla sua morte. Ero negli Stati Uniti, e la sua voce stanca e affaticata dalla malattia che lo ha consumato, ma sempre gentile, premurosa e ironica, era rimasta registrata nella segreteria telefonica di una mia carissima cugina, con la quale mio padre si sentiva molto spesso. Confesso che risentire la sua voce è stata un'emozione intensissima, tanto che non sono riuscito a trattenere le lacrime. Il dolore, dopo poco più di anno, era ancora troppo fresco.

A dire il vero, ora che di anni ne sono passati quasi cinque, pur se diminuito d'intensità perché in qualche modo curato dal tempo che passa, quel dolore è ancora presente, così come la voce, gli occhi di mio padre, che sono con me ogni giorno. Lo sono, in primis, attraverso mia madre, mia sorella (che ha i suoi stessi occhi irrequieti), e poi attraverso mio zio (suo fratello, che tanto gli somiglia) e i miei cugini, i suoi amici e conoscenti.

Non lo sogno spesso, mio padre, perché i padri hanno più confidenza con le figlie femmine anche nei sogni. Quelle poche volte che è capitato, è stato solo per ricevere, anche da lì, ovunque egli si trovi oggi, un rimprovero per qualcosa che avevo dimenticato di fare o, peggio, avevo fatto male.

Non tengo nessuna foto di mio padre, appesa alle pareti dello studio. Perché è lì, nell'archivio che da solo, fino a che ha potuto, ha tenuto sempre in ordine; è lì, nelle pratiche che testimoniano tutti gli anni del suo lavoro; è lì, nei suoi dattiloscritti con la Olivetti "Lettera 42", macchina che ancora conservo gelosamente. Scritti che tanto mi hanno aiutato agli inizi della professione; è lì nei suoi appunti scritti a mano, con la sua calligrafia che "bbuccava" costantemente verso destra (retaggio degli insegnamenti delle scuole elementari, credo), non particolarmente chiara, ma che riuscivo a decifrare tranquillamente.

La sua voce e il suo viso sorridente, pur se stanco per la fatica, la sento e lo vedo a Melia, la sua Melia, il suo verde ordinato, con piante per ogni stagione, lì dove torno sempre meno di quanto vorrei.

E' questa la memoria di mio padre che intendo conservare, non mi serve "resuscitare" la sua voce attraverso un marchingegno elettronico, sa di presuntuoso e, soprattutto, di innaturale, considerato che appartengo alla natura umana.

I morti hanno diritto a riposare in pace, non a essere "resuscitati" in terra. Noi, invece, abbiamo il diritto di conservarne la memoria con le voci irripetibili dei nostri ricordi.

22 maggio 2022

I SACRIFICATI

 


Sul tavolo del salotto di casa mia, c'è una teiera con un paio di tazzine, tutte in porcellana fine di colore bianco e rosso. Era il "servizio buono" di mia nonna Angela. Raccontava, la mia nonna paterna, di averlo salvato durante la Seconda Guerra Mondiale.

Sotto la minaccia dei bombardamenti che colpirono parte del centro abitato di Scilla e zone limitrofe, tutta la famiglia di mio padre -marito, moglie e tre bambini piccoli (il maggiore dei quali aveva quasi dieci anni, il più piccolo, mio padre, solo sei)- scappò, a piedi, e salì a Melia, percorrendo la vecchia strada comunale ( circa dieci chilometri), fino a raggiungere la vallata di Pannato.

 Qui vi rimasero fino all'arrivo degli Alleati, ospitati da una famiglia di "sangiu'anni", con i quali condivisero praticamente tutto, nutrendosi di ciò che offriva loro terra che coltivavano e dormendo in un fienile, su "brande" di paglia.

Tra le poche cose che riuscirono a portare con loro, c'erano: i materassi, qualche piccolo gioiello di mia nonna e il "servizio buono" in porcellana, che mia nonna non voleva venisse rubato qualora i soldati fossero entrati nella casa che furono costretti ad abbandonare per via della guerra.

 

Ho pensato al "servizio buono" di mia nonna, ieri sera, mentre vedevo scorrere in TV le immagini provenienti dall'Ucraina assediata dai russi da circa tre mesi ormai.

 

Nelle immagini della coraggiosa reporter Francesca Mannocchi, si vedeva una bimba costretta ad abbandonare casa sua per colpa della guerra, ma contenta di aver potuto salvare i suoi conigli, chiusi in delle scatole di cartone con delle piccole feritoie per l'aria.

 Si vedevano i palazzi bombardati, anneriti dal fumo, all'interno dei quali vivono ancora delle persone. Sì, in quelle case sventrate, semidistrutte e pericolanti, è rimasto anche chi non ha la forza di scappare perché costretto a letto da una malattia; chi ha scelto di sacrificarsi, preferendo essere lasciato solo dai propri familiari, lì, a morire, pur di sapere salvo il resto della famiglia. Queste anime fragili sono coloro che la reporter ha giustamente definito "i Sacrificati", in quanto hanno rinunciato a salvarsi per il bene altrui, per non essere di peso agli altri della famiglia.

 

Ecco, ho pensato, ottant'anni fa, pur nell'orrore di cinque anni di guerra, la famiglia di mio padre fu fortunata, riuscendo a sopravvivere e mia nonna riuscì a salvare perfino il suo "servizio buono" che, ad eccezione di alcuni pezzi che si ruppero durante il trasporto, non fu sacrificato.

Nella guerra in corso in Ucraina, invece, a essere sacrificati non sono solo le cose, ma gli esseri umani, i più indifesi, le anime fragili. A prima vista, la loro vita vale meno dei conigli di quella bimba o del "servizio buono" di mia nonna Angela. In realtà, a ben vedere, la loro vita non vale meno di quella di un soldato che combatte al fronte, solo il coraggio e la forza sono diversi: il soldato ha il coraggio e la forza di imbracciare un fucile o un missile anticarro; i Sacrificati hanno il coraggio e la forza di offrire per gli altri la loro fragilità.

 

10 aprile 2022

L'AGENZIA DELLE ENTRATE? E' COM' O' BROCCULARU

 

A prima vista può sembrare la sceneggiatura di un film. Se lo fosse, sarebbe un fil del Neorealismo, perché è tutto vero.

 

Scena 1 -Negozio di ortofrutta, esterno, giorno

 

L'altro giorno sono andato a comprare la verdura, broccoli per l'esattezza. Dei broccoli, si sa, ci sono diverse parti: 'u giumbu, 'u trussu, 'i fogghi.

E' cosa nota che la maggior parte del peso è costituito ru trussu (ovvero il gambo, come dicono quelli che sanno parlare il 'taliano); in misura minore, ma non tanto, incidono le foglie, che, di solito, la maggior parte si spinnunu e si iettunu. Il broccolo vero e proprio, ovvero 'u giumbu, pisa pocu e nenti.

 

Quando vai a pagare, però, il commerciante che li vende, 'u broccularu, non fa differenza. Se, putacaso, provi a fargli notare che, beh, ti potrebbe fare una "carezza" perché le foglie sembrano le orecchie di Dumbo sotto forma vegetale e -non avendu 'a crapa- per il 90% andranno a finire nel secchio dell'umido, il suddetto commerciante precisa subito: <<'I fogghi vannu cu vui!>> e, quindi, si paga trussu, giumbu e puru 'i fogghi.

 

 

Scena 2 -Sede dell'Agenzia delle Entrate, interno, giorno.

 

Devo procedere alla registrazione di un atto -da consegnare in due copie- e oltre ai diritti fissi (€ 200,00 sicchi, senza leggiri né scriviri), si devono pagare anche le marche da bollo: una ogni 100 righe.

Ora, 100 righe corrispondono a quattro facciate di un foglio protocollo 'i 'na vota, quello coi margini.

Il problema è che, usualmente, l'atto viene dattiloscritto al computer su un foglio A4 normale, le cui righe sono più di 25. Per fortuna, i programmi di scrittura facilitano le cose, ma ci sono quelli che, avendo tempo da perdere, le righe se le contano foglio per foglio.

Naturalmente, le marche devono essere conteggiate per entrambe le copie del documento.

Altro problema: nell'atto ci sono delle tabelle e, manco a dirlo, ogni riga della tabella, pure se occupa meno di un quarto della larghezza del foglio, l'Agenzia delle Entrate ti dice che deve essere conteggiata come riga intera.

 

 

Pur di guadagnare qualche marca da bollo in più, l'Agenzia delle Entrate si rivela essere com' o' broccularu, chi ri brocculi ti vindi puru 'i fogghi.

27 marzo 2022

DOPO UN MESE DI GUERRA NEL CUORE DELL'EUROPA

 

E' già passato un mese dall'inizio dell'invasione russa dell'Ucraina. In tutto questo tempo non ho voluto scrivere più. Cosa c'è di più insensato della guerra? Non ha senso scrivere di qualcosa che non ha senso, sarebbero parole inutili.

Di parole, bastano quelle dei resoconti di guerra quotidiani degli inviati dei giornali e/o di radio e tv, a raccontare frammenti di esistenza rubati alla vita di gente che si è dovuta rintanare negli scantinati o nella metropolitana; di gente, quella di Mariupol (città nel sud dell'Ucraina, meta turistico-balneare dei ricchi russi), si è ridotta a bere l'acqua dei termosifoni, in attesa di un corridoio utile per riuscire a lasciare quel mucchio di macerie che prima erano la sua città.

 

I russi, da parte loro, continuano a morire come mosche. In un mese di guerra, secondo le stime più prudenti e al netto della propaganda dei due contendenti, sono morti quasi la metà dei soldati morti in vent'anni di occupazione in Afghanistan.

Hanno la "Z" stampata sui carri armati e sui mezzi di trasporto. Non è una lettera dell'alfabeto cirillico, la "Z" era il simbolo della 4a Divisione Granatieri Panzer della Polizia delle SS.

Un certo Vladlen Tatarsky ha scritto sul canale Telegram della Guardia Nazionale russa:

<<Rappresento una delle istituzioni di esperti forensi in Russia, mi occupo del profilo del contrasto all'estremismo (soprattutto radicale di destra) e al terrorismo. Vedo che nella zona dell'operazione speciale sono rilevanti le misure di filtrazione relative all'ispezione per la presenza di simboli nazisti. Apparentemente, i riservisti del NM DPR potrebbero avere difficoltà oggettive nell'identificare i simboli nazisti, che potrebbero influire negativamente sul risultato. In qualità di esperto in questo campo, sono pronto a fornire qualsiasi consulenza e assistenza metodologica a distanza completa in materia di denazificazione e riconoscimento delle manifestazioni corrispondenti. Chiedo che i canali di comunicazione disponibili portino all'attenzione del personale addetto alle misure di filtrazione e all'ispezione visiva delle persone questa tabella di simboli delle divisioni SS [la "Z" è il quarto simbolo da sinistra -n.d.r.]

 


nel formato più conciso (su 1 foglio, conveniente per la distribuzione). La stragrande maggioranza dei simboli è usata dai battaglioni nazionali.>>

 

Per la propaganda putiniana, è un'operazione speciale per denazificare l'Ucraina. Per farlo, le sue truppe -composte in gran numero da giovani militari di leva portati in suolo ucraino con l'inganno- utilizzano il simbolo e i sistemi -stando alle testimonianze di diverse fonti sul campo- della polizia delle SS. Danno la caccia ai nazisti, mostrandosi e comportandosi da nazisti, bombardando i sacrari eretti in memoria delle vittime del nazismo.

 

La ragione della guerra, in verità, è essenzialmente la stupidità di Putin, come ha detto il filosofo israeliano Yuval Noah Harari:  <<Il regime di Putin usa la ricchezza del suo paese per finanziare la sua macchina da guerra, non il benessere del suo popolo. E' una cosa stupida.>>

"Luntanu ri storti!", diceva sempre mia nonna. Lo avranno detto anche le nonne dei tanti, giornalisti, informatici, ma anche tecnocrati e militari, che in questi giorni stanno lasciando la Russia. Lo avranno detto anche le nonne di quei soldati russi che in Ucraina hanno ucciso il loro comandante, reo di mandarli incontro a morte sicura.

 

Dall'altro lato l'Ucraina, tra i primi paesi d'Europa dal punto di vista economico per la produzione agricola, anch'essa messa in serio pericolo dal conflitto in corso.

Lo ha raccontato in modo mirabile lo scrittore e giornalista triestino Paolo Rumiz, narrando dell'anima contadina e della forza delle donne dell'Est, in un bellissimo articolo pubblicato sul numero di Robinson di ieri, che invito tutti a leggere.

Scrive Rumiz. <<E' come se i viaggi a Est fossero soprattutto viaggi nel tempo. Non in un mondo "altro", ma alle fondamenta del nostro, un'escursione onirica nelle radici contadine perdute della nostra parte d'Europa. Luoghi dove gli occhi e le rughe raccontano ancora storie e le facce non sono ancora spianate dal benessere.>>

Putin, aggiunge Rumiz <<….rischia di portare il suo paese alla rovina finale con una guerra che non gli ridarà affatto Kiev, la città-madre dove mille anni fa nacque la Russia cristiana, ma la allontanerà definitivamente da sé. Farà come il serbo Milosevic che, attaccando la Croazia, l'ha legittimata come nazione. Peggio, finirà per farsi battere dal protagonista di una serie tv. E io non vorrei essere un Putin sconfitto a quel modo, seduto sulla sua valigetta dell'atomica, solo con i suoi pretoriani in un paese immenso e spopolato, che il formicaio cinese non vede l'ora di far suo.

Se ciò accadrà, ci accorgeremo troppo tardi che eravamo figli della stessa madre e che la Russia era Europa a tutti gli effetti. Parte di un'Europa che, anche nel mito greco, è fino a prova contraria una donna che viene da Est. I Greci chiamavano "Europa" lo spazio a Nord dell'Egeo e poi i Latini estesero il concetto a tutto il nord del Mediterraneo.>>

Rumiz conclude: <<Se avessimo dei leader capaci di intendere questa fratellanza e se l'Unione stellata avesse un soprassalto identitario all'altezza dei padri fondatori, capiremmo che è proprio questa l'ultima occasione per incontrare…la parte migliore di uno smisurato paese che ha sofferto come pochi e oggi rischia di ricadere nel gelo stalinista, infliggendo sofferenza ai fratelli slavi e al mondo intero. Che l'Europa sia consapevole delle sue origini, e si comporti come tale.>> 

Il problema è che non sappiamo fino a che punto ne sia consapevole anche Putin.

 

20 febbraio 2022

KILLERS INCONSAPEVOLI

 


Basta. Non ce la faccio più a sentire sempre: dove.... dove... dove... dove...
Non c'è frase di senso compiuto (ma spesso anche senza senso) nella quale non venga usata, per lo più a sproposito, la parola "dove".
 Particolarmente irritante è l'abuso di "dove" al posto di "in cui", "nel quale", "nella quale".
 A voi, abusivi del "dove", dico una semplice cosa: mi smuovete la nervatura e mi fate attorcigliare stomaco e viscere in un tutt'uno indistinto.
 Ogni volta che usate "dove" al posto di "in cui", "nel quale", "nella quale", date una coltellata fatale a quello che è rimasto di italiano nella nostra lingua, della quale siete gli inconsapevoli killers.
 E con l'italiano, muoio un po' anch'io assieme a tutti coloro i quali, come me, ne hanno imparato la grammatica, perché  non c'è rimedio farmaceutico all'attorcigliamento gastro-intestinale continuato.
 Perciò, non avete sulla coscienza solo la morte linguistica dell'italiano ma, con esso, anche la morte di quegli italiani (pochi ormai) che, come me, non usano il "dove" com' o' putrusinu, mettendolo in ognidove.

04 febbraio 2022

"FOSS'ANCHE UN ROMANZO", DI LETIZIA CUZZOLA. UN MOSAICO DI EMOZIONI.

 

"Foss'anche un romanzo" è l'opera prima di Letizia Cuzzola, "mina vagante" frutto di una particolare miscela siculo-reggina. E' editorialista e critica letteraria per il blog Letto, riletto, recensito, si autodefinisce traslocatrice di punti e virgole per professione, divagatrice seriale per natura, amante dei sogni barocchi apparentemente irrealizzabili, attualmente impegnata a riscrivere la sua vita. 

Il libro è l'inizio -quello pubblico, almeno- della sua opera di riscrittura.

 Quelli scritti da Letizia sono frammenti di emozioni, sensazioni, sentimenti, piccole istantanee di vita racchiuse in preziose tessere di un mosaico, che vanno a comporre una parte, anzi, la parte sicuramente più difficile della sua esistenza.

Le parole sono come frutti, vogliono il loro tempo per crescere e maturare per poi essere raccolte. Ci sono circostanze, come quelle vissute da Letizia, che accelerano la loro maturazione e, quindi, il loro raccolto.

Queste parole Letizia le ha raccolte in presa diretta man mano che maturavano, per poi travasarle tutte in questo libro, senza filtri.

Così come ogni frutto ha il suo profumo, così ogni parola scritta trasmette intatta, in maniera palpabile e pulsante, la moltitudine di sensazioni, emozioni e sentimenti vissuti dall'autrice in una drammatica vicenda personale.

E chi ha avuto la sventura di viverle, quelle stesse sensazioni, non può che ritrovarsi nelle sue parole: le crepe della fragilità umana nella sua più nuda evidenza; il senso di inadeguatezza; la sensazione di essere finiti nella centrifuga di una lavatrice, stritolati da un universo sanitario fatto di lucertole, personaggi infernali, sosia di cantanti, che con un camice bianco addosso si illudono di assumere sembianze di medici; la dignità del malato calpestata dalle storture di una sanità che non valorizza i tanti talenti professionali che la compongono, quei medici -che per fortuna esistono- che non hanno bisogno di un camice o di un turno in reparto per dimostrare umanità verso chi è sofferente.

Sono tutte tessere di un mosaico, nelle quali sono incastonate vere e proprie perle linguistiche, che efficacemente descrivono il contesto sociale e urbano in cui tutto accade.

Un mosaico che, nella sua preziosità, alla fine disegna una via d'uscita che fa tramutare il dolore prima in forza sovrumana -ché per nostra umana natura "non è vero che siamo forti"- e poi in calma soprannaturale, inspiegabile e sorprendente agli occhi degli altri.

E' la via che conduce a una nuova consapevolezza: di non essere più figli ma uomini e donne adulti, che devono percorrere la loro di strada, armati di tanto cuore -"un'arma impropria"- e della definitiva certezza che

"la Morte non esiste. Esiste ciò che resta in noi di chi ci ha preceduto e ciò che ne facciamo". Un patrimonio che non dobbiamo sprecare.

11 gennaio 2022

DEMOCRAZIA VUOL DIRE FIDUCIA


 

Dopo l'undici settembre, l'undici gennaio è un'altra data nera.

Ventitré anni fa come oggi, ci lasciava Fabrizio De Andrè, artista unico, poeta e cantore dell'Italia degli ultimi, dei messi da parte; di un Paese dalla democrazia malata, nel quale la malavita prende il posto delle istituzioni nel farsi carico -non per servizio ma per il proprio tornaconto- dei problemi della povera gente.

 

Per uno strano caso del destino, oggi, stesso giorno, ci ha improvvisamente lasciato David Sassoli, giornalista prima, volto notissimo del tg1 che gli ha dedicato tutte le sue edizioni, politico dopo, Presidente del Parlamento Europeo dal 2019. La commozione dei suoi colleghi, giornalisti e politici, è la commozione di tutti gli italiani che vogliono bene a questo Paese.

A contrassegnare questa mesta giornata, il dolore della sua famiglia, la commozione dei suoi amici e quella dei molti, come me, che l'hanno conosciuto soltanto attraverso lo schermo della tv, che "bucava" come pochi.

Era una persona buona David, lo capivi da quella sua espressione semplice, dolce, dal sorriso sincero, contagioso. Aveva la faccia da bravo ragazzo, al quale avresti affidato senza problemi le chiavi di casa, sapendo che erano in buone mani.

In un suo discorso al Parlamento Europeo, affermò:
"È molto difficile costruire la democrazia, ma è anche facile perderla se non ce ne prendiamo cura. La natura della democrazia si fonda essenzialmente sulla fiducia dei cittadini nelle proprie istituzioni. Questa fiducia deve essere rinnovata ogni giorno, fatta crescere come un capitale e curata come il miglior investimento".

 

Non è stato un caso che tanti cittadini, prima italiani e poi di tutta Europa, gli abbiano affidato la carica più alta nella massima assemblea rappresentativa continentale. L'hanno fatto perché si fidavano di lui, delle sue capacità, della sua competenza, fermezza e determinazione nel prendersi cura della democrazia, ponendo all'attenzione del mondo i problemi degli ultimi, di quelli che si rifugiano nelle fredde foreste dell'Est Europa per poter riassaporare la libertà o di quelli ingiustamente detenuti e privati dello stesso diritto.

E' stato un esempio David, ha incarnato l'istituzione nella maniera più alta, quella della politica fatta per servire, parlando in modo chiaro, diretto, semplice. E' questo che l'ha fatto arrivare sempre alla gente, senza filtri. Dovremo sforzarci, noi italiani per primi, per non dimenticarlo.

 

Tra pochi giorni il Parlamento italiano voterà per eleggere il successore del Presidente Mattarella. Avremo bisogno di un uomo altrettanto forte, deciso, equilibrato, di cui potersi fidare. Avremo bisogno di un uomo a cui affidare la custodia della nostra democrazia. 

Penso che David Sassoli sarebbe stato certamente in grado di assolvere a tale alto compito, perché era un uomo che ispirava fiducia. Aveva già annunciato di non voler proseguire il suo mandato come Presidente del Parlamento Europeo e sono convinto che molti tra i Grandi Elettori sarebbero stati pronti ad affidargli la guida del nostro Paese. Senza di lui, scegliere il nuovo Presidente della Repubblica sarà ancora più difficile.

Ciao David, riposa in pace.

04 gennaio 2022

RIPORTIAMO IN CHIESA LA STATUA DI SAN ROCCO


35 ordinanze di quarantena nell'ultima settimana; 69 casi attivi ad oggi.

Sono i dati impressionanti -rilevati sul sito istituzionale del Comune e sull'Albo Pretorio- che registriamo a Scilla da dopo Natale.

 

La voglia di stare insieme, di condividere questo tempo di festa, ha avuto la meglio sulla mancata prudenza e sul mancato uso dell'intelligenza.

 

La variante Omicron -così è stata ribattezzata la quarta ondata del virus in due anni- sta colpendo Scilla con una diffusione mai registrata prima.

 

Nel momento di maggior bisogno, però, ci ritroviamo con il centro tamponi presso la Casa della Saluto clamorosamente chiuso causa pensionamento dell'operatore sanitario addetto.

Per eseguire i tamponi gli scillesi dovrebbero recarsi a Reggio, presso il Grande Ospedale Metropolitano, nome un po' troppo altisonante per una struttura che ha più volte di mostrato di non poter servire l'intera popolazione della Città Metropolitana, alias provincia, di Reggio Calabria. Il problema è che il G.O.M. sta letteralmente scoppiando e non può ricevere quasi più nessuno.

Così, per eseguire i tamponi è stato istituito un così detto "drive-through" a Bagnara Calabra, ma credo sarà una soluzione temporanea, anche se è notorio che dalle nostre parti non c'è niente di più definitivo della temporaneità.

Alcuni lo chiamano "Drive-in", a tipu cinima o forse per qualche reminiscenza cerebrale dettata da un vecchio programma comico degli anni '80. Purtroppo, però, non c'è niente da ridere.

 

L'ultima domenica dello scorso settembre, la statua lignea di San Rocco è stata riposta nello "Stipu", la piccola cappelletta ove per tradizione rimane nel periodo ottobre/giugno.
Proprio per "affidarsi…alla sua protezione taumaturgica in questo tempo di epidemia", il Parroco di Scilla decise di esporre in chiesa la statua di San Rocco nel mese di maggio del 2020, con largo anticipo rispetto alla tradizionale prima domenica di luglio.

 

Dopo oltre un anno di permanenza in chiesa, periodo durante il quale a Scilla il Covid non aveva creato particolari problemi, si era pensato di poter ripristinare la normalità della tradizione.

Ma questo tempo normale non è. Dovremo convivere con questo virus e con le sue pericolose ondate.

Così, in questo tempo di mancanze, c'è solo una cosa che non può non deve mancare: la fede in Dio.

Credo sarebbe un bellissimo esercizio di fede, vista la situazione attuale, quello di riportare in chiesa la statua del nostro Santo Patrono. Costituirebbe -come già accaduto nella nostra storia e nel nostro più recente passato- un importante monito, forse il più importante, per tutti gli scillesi, perché adottino comportamenti responsabili e non si facciano trasportare da emozioni simil-natalizie.