24 agosto 2025

LA TRAGEDIA DI GAZA

 


«Nell’etica tragica, la hýbris è ciò che spinge gli uomini a varcare i confini assegnati alla natura umana e a credersi di più di quello che sono, mettendosi così in implicita (o anche esplicita: si pensi ad Aiace nell’Aiace sofocleo) competizione con gli dèi. La troppa fortuna, la troppa ricchezza, la troppa felicità, ogni tipo di eccesso, creano nell’uomo orgoglio e presunzione, rendendo quasi inevitabile la sua caduta nella colpa.

La hýbris dei potenti si abbatte, per ovvie ragioni, sui deboli, che sono, nella tragedia, i depositari del piano morale.

Gli dèi hanno cari i deboli. Non sempre li salvano (anzi), ma infallibilmente li vendicano, punendo il loro persecutore o la sua discendenza.

Quando gli dèi puniscono, lo fanno in modo a un tempo crudele e beffardo, confondendo i colpevoli, inducendoli in errore, spingendoli a scambiare uno strumento di rovina per una via di salvezza.

La sofferenza dell’innocente ci ricorda che l’infelicità è semplicemente connessa con il vivere, non deve per forza avere un motivo.

Nella tragedia non esistono cause tanto giuste da non avere in sé una parte di ostinazione e di eccesso (cioè di hýbris!), né cause tanto sbagliate da non contenere una sia pur piccola e lontana giustificazione.

La tragedia dunque non ama il cento-per-cento. Nasce per far discutere. È intimamente divisiva. La divisività è anzi, si può dire, il suo codice, la sua marca di genere…» 

- tratto da "La tragedia greca", di Walter Papino per "Le lezioni del Corriere" - Corriere della Sera.

Questa breve descrizione della tragedia greca, riletta in chiave dell’ennesimo round del conflitto israelo-palestinese che si sta svolgendo sotto i nostri occhi inermi, dimostra ampiamente quanto -nonostante le fasi evolutive del pensiero- la natura umana sia rimasta intatta da millenni.

 Gli estremisti israeliani al governo, per troppa ricchezza hanno varcato ormai da un po’ i confini della natura umana, spinti orgoglio e presunzione e credendosi unici depositari del ben volere divino e per questo autorizzati ad agire in ogni modo possibile, anche il più inumano.

La loro hýbris da superpotenti si abbatte con una violenza mai vista sui deboli arabi palestinesi, incapaci di affrancarsi dal terrorismo poiché soggiogati da decenni di prepotenze, soprusi e metodi che hanno poco a che fare con la democrazia e molto più a che fare con il terrorismo e l’apartheid, posti in atto dagli israeliani.

Gli dèi hanno cari i deboli, anche se è difficile crederlo vedendo ciò che sta accadendo. Non sempre li salvano -infatti solo in quest’ultima “guerra” sono morti decine di migliaia di palestinesi. Ma gli dei, in questo caso Dio, trattandosi di popoli monoteisti (che si chiami Jahvè, Allah, poco importa), vendicherà i palestinesi, punendo il loro persecutore, l’attuale governo israeliano- o la sua discendenza -chi verrà dopo Netanyahu.

Li punirà in modo crudele e beffardo, confondendo gli israeliani, inducendoli in errore, spingendoli a scambiare uno strumento di rovina -ovvero la distruzione dei palestinesi, identificati solo come un unico, grande, gruppo terroristico, per una via di salvezza -la loro- ovvero la costruzione del Grande Israele. Questa, che è ritenuta la loro unica salvezza dal male del terrorismo arabo-palestinese, si rivelerà la loro condanna definitiva. In parte, la condanna è già iniziata: il governo israeliano, che continua a negare ciò che è oggettivamente innegabile, non ha più alcuna credibilità agli occhi del mondo. Potranno avere la meglio, sradicare il popolo palestinese dalla terra che porta il loro nome da secoli, così come stanno facendo per le piante di ulivo, ma alla fine lasceranno attorno a loro il deserto, non solo fisico ma politico. E in questo loro deserto, la società israeliana si interrogherà circa la loro “caduta nella colpa”, e rischia di implodere, di rimanere dilaniata al suo interno.

 Il conflitto israelo-palestinese dimostra che non esistono cause tanto giuste -il diritto ad esistere dello stato israeliano- da non avere in sé una parte di ostinazione e di eccesso -l’estremismo sionista- né cause tanto sbagliate -volere la distruzione l’uno dell’altro- da non contenere una sia pur piccola e lontana giustificazione -decenni di oppressione subita dai palestinesi; la necessità di difendersi dal terrorismo palestinese, invocata da altrettanti decenni da Israele.

E’ vero, «la tragedia nasce per far discutere. È intimamente divisiva» Questa divisione in chi discute del conflitto israelo-palestinese dura da quasi ottant’anni. Finirà soltanto quando si vorrà scoprire e/o ammettere chi, tra i protagonisti di questa tragica narrazione, ha detto la verità e chi, invece, ha bleffato.

Nessun commento: