23 dicembre 2009

NATALI STA PI 'RRUVARI

versione dialettal-natalizia di “Ho visto Nina volare” di Fabrizio De André



Addhuma e stuta,
comu stiddha nte cieli.
Addhuma e stuta,
nte casi ogni sira.
Addhuma e stuta,
fora, chi friddu 'i nivi.

L'abeti è la razza umana,
rami randi e picciriddhi,
vardu a ogni pianu,
ogni ramu ch'i so' disegni.

Natali sta pi 'rruvari,
di gioia l'aria è prena,
l'arbiru ch'io farò,
di la vita è 'na scena.
'U mei, è comu all'atri,
cu nastri e palli 'mpisi,
comu l'atri in virità
vacanti su', da vulari.

Addhuma e stuta,
comu stiddha nte cieli.
Addhuma e stuta,
nte casi ogni sira.
Addhuma e stuta,
fora, chi friddu 'i nivi.

Rami e nastri fannu umbra
a 'n mundu ch'era diversu,
nto presepi era 'sì beddhu,
tra palli e nastri è persu.
'U mei è comu all'atri,
ca pagghia pu Bambinu,
la notti chi nascerà
'U nnacu cantandu chianu.

Addhuma e stuta,
nte casi ogni sira.
Addhuma e stuta,
comu stiddha nte cieli.
Addhuma e stuta,
fora, chi friddu 'i nivi.

Natali sta pi 'rruvari,
di gioia l'aria è prena,
l'arbiru ch'io farò,
di la vita è 'na scena.
Cusì è la razza umana,
com' o ramu ch'i so' disegni:
cu' 'llumina ogni pianu,
su' ddhi luci picciriddhi.

Addhuma e stuta,
fora, chi friddu 'i nivi.


Traduzione italica

Accendi e spegni,
come stella nei cieli.
Accendi e spegni,
nelle case ogni sera.
Accendi e spegni,
fuori, che freddo da neve.

L'abete è la razza umana,
rami grandi e piccolini,
guardo a ogni piano,
ogni ramo con i suoi disegni.

Natale sta per arrivare,
di gioia l'aria è pregna,
l'albero ch'io farò,
della vita è una scena.
'Il mio, è come gli altri,
con nastri e palle appese,
come gli altri in verità
vuoti sono, da volare.

Accendi e spegni,
come stella nei cieli.
Accendi e spegni,
nelle case ogni sera.
Accendi e spegni,
fuori, che freddo da neve.

Rami e nastri fanno ombra
a un mondo ch'era diverso,
nel presepe era così bello,
tra palle e nastri è perso.
Il mio è come gli altri,
con la paglia per il Bambino,
la notte che nascerà
lo cullerò cantando piano.

Accendi e spegni,
come stella nei cieli.
Accendi e spegni,
nelle case ogni sera.
Accendi e spegni,
fuori, che freddo da neve.

Natale sta per arrivare,
di gioia l'aria è pregna,
l'albero ch'io farò,
della vieta è una scena.
Così è la razza umana,
come il ramo con i suoi disegni:
chi illumina ogni piano,
sono quelle luci piccoline.

Accendi e spegni,
fuori, chi freddo da neve.

LA LUCINA VERDE

Tempo fa avevo letto 'Pasto nudo' di William S. Borroughs e mi aveva particolarmente colpito questa frase: “...viveva ormai in vari gradi di trasparenza...sebbene non proprio invisibile, se non altro era difficile vederlo. La sua presenza non destava particolare attenzione...la gente lo considerava una proiezione o lo liquidava come un riflesso, un'ombra: 'qualche trucchetto della luce o una pubblicità al neon'.
E' tutto qui, o almeno in gran parte è qui il problema con cui conviviamo. Cosa siamo agli occhi della gente?
In verità, forse faremmo meglio a pensare solo cosa siamo.
A questo proposito, mi sono tornate in mente le famose parole di Madre Teresa di Calcutta, che così si autodefiniva: “Sono una piccola matita nelle mani di Dio...”.
Con i dovuti distinguo, in questi giorni che precedono il Natale, ho pensato spesso a cosa io possa essere.
Eh già, non siamo “...tante stelle di fumo, che convivono si tormentano sempre umilmente...” di cui parla una canzone. 
 

Non siamo fumo, per fortuna. Ma nemmeno stelle.
 

Ciascuno di noi è una “...luce luce lontana più bassa delle stelle...” di cui parla Fabrizio De André in  'Ho visto Nina volare', e almeno chi è credente, sa perfettamente “...quale sarà la mano che ti accende e ti spegne...
Tra i tanti simbolismi, credo che l'albero di Natale che ognuno di noi in questi giorni ha preparato in casa, non sia altro che un'allegoria della società -con i suoi livelli e le sue 'caste'- e dei diversi stili di vita degli uomini.
Indipendentemente da quale sia il 'livello di appartenenza', molti amano la visibilità, l'eleganza, i trucchi e i lustrini. Sono come gli addobbi e i nastri colorati che adornano i nostri abeti. E' vero, sono belli a vedersi, ma è altrettanto vero che sono leggeri, vuoti dentro.
 

In realtà, a far brillare nastri e addobbi sono quelle piccole lucine che illuminano l'albero di Natale.
Credo che sarebbe bene che ognuno di noi fosse come una di quelle piccole lucine, che si accendono e si spengono, autonomamente ma non certo per loro volere, ma per volontà di Colui che con la Sua mano accende e spegne anche le stelle del cielo.



Così ogni giorno mi adatto e affronto le circostanze della vita, sforzandomi di essere come una piccola lucina. Non una qualsiasi, ma una in particolare: quella colorata di verde.
Sì, proprio quella che, sia quando è spenta, sia quando è accesa, si nota di meno, poiché si confonde, diventa un tutt'uno con il colore naturale dell'albero, ma per quanto piccolo, dà comunque il suo contributo.

08 dicembre 2009

L'INGEGNERE DEI POVERI E LA MADONNA DI CECCHI GORI

Oggi, festa dell'Immacolata, non si travagghia.
Ne approfittu allora per aggiornare questo blog che è rimasto fermo per un buon mesetto (e più), causa...'mpacci vari.

Vista la ricorrenza, mi è tornata in mente una storiella di cui mi parlava qualche giorno fa un amico, nonché collega (col quale spessu e vulinteri, ndi facimu ddu' risati) che, in un certo senso, collega le due cose: solenne festività e lavoro.

Quella del geometra è stata considerata sempre una professione di serie B, rispetto all'ingegnere o all'architetto. Nella pratica, e non pi vantarmi, vi assicuro che non è proprio così.
Potrei dire che tra geometra e ingegnere c'è la stessa differenza che c'è tra il questore e un commissario di polizia o tra il comandante della compagnia dei carabinieri e nu bravu marisciallu di paisi.

Insomma, mentri l'architettu si mbenta 'na casa con i pilastri  a triangulu e l'ingegneri cerca mi faci i cunti 'ill'ogghiu in modo tale da non farla cadere (spesso tutti e due con la testa tra le nuvole), 'u geomitra ha a che fari con le tipiche miserie quotidiane della gente semplice, che, fosse per lei (la gente), esisterebbe ancora il baratto.

Questa distinzione di ruoli, ha fatto sì che il geometra venisse definito -anche letterariamente- l'ingegnere dei poveri.

Ma, anche se poveri di beni materiali, 'u geomitra ha da trattari -specie dalle nostre parti- con una serie di personaggi così ricchi di umanità e di un involontario umorismo, che rendono questa professione molto particolare. E alcuni episodi, come questo che riporto di seguito, ne sono l'immancabile conferma.


Capitò che un anzianu cristianeddhu di campagna, che aveva affidato o' geomitra l'incarico di fare il progetto, dopo tanti tentativi andati a vuoto, viene finalmente contattato dal professionista il quale gli chiede di recarsi nel suo studio.
Essendo 'na persona 'rucazionata, 'u cristianeddhu si scusa col geometra per non essere potuto passare prima: "Geomitru, m'aviti a' scusari si non passai prima, ma a chi puntu simu cu 'precettu'?"
U geomitra, chi non era un fissa, sapendu che non si era nel periodo della Santa Pasqua, rispose: "'U progettu è prontu. Ma non 'rrinisciva mi vi rintracciu. Chi fini aiuvu fattu?".
"Sapiti..."-rispose 'u cristianeddhu- "...fu organizzata 'na gita e, 'pprufittandu ill'occasioni, cu me' mugghieri ndi iammu a la Maronna di Cecchi Gori."
Il geometra strambò. In un veloce ripasso mentale, non ricordava di aver mai sentito dire che Cecchi Gori -noto produttore cinematografico, onerovole, ecc.- avesse mai avuto a che fare con...la Madonna.
Poi, un lampo! Capisciu.
Ma non 'rriniscendu a tinirsi i scianchi e volendo -educatamente- evitari di ridiri in faccia a 'na persona 'nziana, disse velocissimo: "Scusatimi un minutu. Haiu a iri o' bagnu."
Una volta al sicuro tra le pareti del servizio igienico, il geometra scuminciò a ridiri, ma cusì tantu, chi mancu se fussi statu catugghiatu da centu mani a 'na vota. Uscì dal bagno dopo un buon quarto d'ora.


Quale fu il lampu? Vengo e mi spiego.
L'Immacolata, si sa, è il titolo massimo di Maria, Madre di Gesù Cristo nostro Signore, Regina della Pace.
Uno dei santuari mariani più famosi al mondo, dove si venera la Madonna Regina della Pace è quello di Medjugorje (Čitluk, Bosnia-Erzegovina), dove la Vergine apparve per la prima volta il 24 giugno 1981. Da allora la piccola cittadina bosniaca è divenuta meta di continui pellegrinaggi da tutte le parti del mondo. Naturalmente, un gran numero di fedeli proviene dall'Italia, tanto che il sito dedicato alle apparizioni ha un'intera sezione in italiano.


Dunque, il poviru cristianeddhu, chi magari a stentu riusciva a pronunciare la parola Erzegovina e chi magari non sapiva mancu aundi si trova,  insieme alla moglie  non era certo stato ospite di Cecchi Gori, ma era andato a Medjugorje.
Probabilmente (ma questo al geometra non l'ha detto), c'era andato anche per chiedere la grazia che il geometra gli facesse presto 'u precettu. E la Madonna la grazia gliel'ha fatta: 'u precettu era prontu!


Questo è solo uno dei tanti aneddoti che potrei raccontare, ma mi sembra estremamente rappresentativo della particolare clientela con cui spesso il geometra deve confrontarsi.
Certo, si ha a che fare anche con altri professionisti (ingegneri, architetti, avvocati, ecc.) ma, almeno personalmente, è con questi personaggi, con queste maschere del nostro tempo che mi trovo molto più a mio agio.
Sono il carattere, la semplicità e l'umanità di queste persone che mi fanno apprezzare il lavoro che svolgo e rafforzano in me una convinzione che ho maturato (senza offesa per nessuno), fin da quando -anni fa- l'ho letta su una rivista dedicata ai geometri: meglio essere un ingegnere dei poveri, che un povero ingegnere.


P.S.: Un ringraziamento particolare all'amico Leo per lo spunto narrativo.

25 ottobre 2009

PREMIERATO E 'PRIMARIATO'

Continua a piovere e, salvo poche pause, sono quasi due giorni.
Visto che in giro non c'è anima criata, la meglio è starsene a casa a leggere i giornali, ascoltre la radio o guardare la tv.
Aundi ti giri e ti voti non si parla d'altro che del 'caso Marrazzo'; come nei migliori cruciverba, si sfidano ospiti dei programmi ed esimii opinionisti a trovare le 'sette differenze' con il caso delle escort del Berluspremier.
Silvio da Arcore non si caddìau né si rifriddau dopo il polverone mediatico scatenatosi sulla vicenda. E' rimasto dov'era (e dove sarà fin quando la legge glielo consentirà), perché non sapeva --dice lui-- che mestiere facesse la signora con la quale ha passato la notte e, comunque, non risulta aver pagato per usufruire della compagnia. Perciò --dice sempre il cavaliere-- cos' ho fatto di male?


18 ottobre 2009

NON C'E' NENTI!

Non c'è nenti!
Quante volte l'abbiamo esclamato noi calabresi.
A dispetto di tutte le analisi sociologiche fatte e ripetute più volte in questi ultimi anni, rimane comunque difficile dare una risposta al perché di questo vero e proprio congenito stato d'animo nostrano.
Tanto è connaturato nel nostro DNA che il 'Non c'è nenti!' ha infettato anche chi dalla Calabria è lontano centinaia di chilometri e magari ci torna solo occasionalmente. L'ultima prova ce l'ha fornita la vicenda di Antonello Venditti.


03 ottobre 2009

"CASO BRONZI" -PARTE II: CARTA CANTA


Riesplode il "Caso Bronzi". Dopo aver illustrato nella prima parte le magagne alle quali abbiamo assistito e i possibili scenari futuri, ripercorriamo la vicenda della "clonazione" dei due guerrieri ritrovati a Riace, sulla base delle carte ufficiali.
Fate altra scorta di camomilla.




AVVERTENZA:
In blu: testo tratto dalla sentenza TAR Reggio Calabria n° 1285/2003
In rosso: testo dellaGiunta Regionale della Regione Calabria del 10 giugno 2002 n. 507 citato nella sentenza del TAR
In verde: testo tratto dalla sentenza Consiglio di Stato n° 4779/2009.
* * * *
Con la SENTENZA TAR REGGIO CALABRIA N. 1285/2003 del 16.7.2003 (depositata il 10.10.2003), erano state annullate:
a) la delibera della Giunta Regionale della Regione Calabria del 10 giugno 2002 n. 507, non pubblicata sul Bollettino della Regione, avente ad oggetto “Riproduzione Bronzi di Riace”;
b) la Convenzione stipulata in data 17 luglio 1998 tra il Ministero per i Beni culturali e ambientali e la Regione Calabria;
c) gli atti precedenti, presupposti, consequenziali e comunque connessi a quelli indicati nelle precedenti lettere, quali la delibera della Giunta Regionale n. 6335 del 15 dicembre 1997, con cui si disponeva l’impegno della somma di un miliardo di lire per la riproduzione dei Bronzi di Riace, e la convenzione di attuazione della deliberazione n. 507/02.
Il TAR reggino spiega:

"Con la deliberazione n. 507 del 10 giugno 2002 la Giunta regionale calabrese, richiamata la convezione stipulata nel luglio 1998 con il Ministero per i Beni culturali ed ambientali, avente ad oggetto la riproduzione di una copia in bronzo, in scala 1:1, dei Bronzi di Riace, e confermata l’opportunità... di riprodurre i Bronzi di Riace “anche in relazione alla necessità di rafforzare e qualificare ulteriormente le iniziative promopubblicitarie intraprese dalla Regione per ‘modificare’ e rilanciare nel mondo la sua immagine con positive ricadute in termini di valorizzazione delle proprie risorse non solo turistico-ambientali e culturali” approvava lo schema di convenzione intercorso con l’Istituto centrale per il Restauro, al quale veniva affidata direttamente l’attività di riproduzione.
....Dal complesso delle .... norme si ricava ....che l’attività di valorizzazione dei beni culturali, di cui la riproduzione genericamente intesa costituisce uno dei possibili aspetti, deve essere frutto di un intervento programmato e coordinato che deve vedere coinvolti, unitamente allo Stato, tutti gli enti locali, oltre che eventuali altri soggetti pubblici e privati interessati.
...Il provvedimento ...col quale la Regione Calabria, in attuazione di una convenzione del 17 luglio 1998 con il Ministero per i beni culturali, anch’essa impugnata, autonomamente valuta l’opportunità di riprodurre i Bronzi di Riace, in atto allocati nel museo di Reggio Calabria, in un ottica di valorizzazione delle proprie risorse, al di fuori di un programma generale e preventivo opportunamente istruito e senza il coinvolgimento degli altri soggetti interessati, quali in primo luogo il Comune e la Provincia di Reggio Calabria, è certamente illegittimo (o, addirittura, nullo come sancito dall’art. 135 t.u.).
Tale impostazione trova ulteriore conferma nel nuovo Titolo V della Costituzione, che 1) affida alla Stato una potestà legislativa esclusiva in materia di tutela dei beni culturali (art. 117, II co., lett. s); 2) pone, invece, la materia della valorizzazione dei beni culturali tra quelle di legislazione concorrente (art. 117, III co.)
...Né tale logica risulta incrinata dalla circostanza che le opere da riprodurre siano beni di proprietà dello Stato.

...è evidente che la deliberazione n. 507/02, ... poteva esplicare i suoi effetti solo se e in quanto la riproduzione fosse stata realizzata proprio in bronzo.
....ne consegue che la riproduzione voluta dalla Regione consiste in una vera e propria “clonazione” di un’opera d’arte, che è certamente un quid pluris rispetto alla mera riproduzione, nel cui ambito rientrano anche le fotografie, i disegni, le sculture in scala ridotta e così via, le quali si differenziano evidentemente dalla “clonazione” per la loro assoluta inidoneità ad intaccare i caratteri di unicità ed originalità delle opere d’arte.
...La convenzione ...già prevede che la “clonazione” avvenga al fine di poter esporre le copie in mostre e manifestazioni culturali e promozionali in genere, in Italia e all’estero, con la specificazione...che la proprietà della copie resta alla Regione."

Il TAR formula quindi alcuni rilievi oggettivi riguardo alla delibera della Regione:
"...L’operazione così congegnata diviene, infatti, direttamente ed immediatamente lesiva degli interessi, in primo luogo turistici, di cui sono portatrici le comunità locali reggine, in violazione delle norme sopra ricordate.
...La decisione di clonare i Bronzi, ... non è affatto concepita in funzione della loro tutela (controllo dello stato di conservazione, individuazione degli opportuni interventi di restauro) e non nasce da esigenze di ricerca, le quali sole avrebbero, peraltro, giustificato il coinvolgimento diretto dell’Istituto centrale di Restauro.
La deliberazione regionale, con le convenzioni allegate, correla, invece, la riproduzione dei Bronzi solo
alla necessità di rafforzare e qualificare le iniziative promopubblicitarie intraprese dalla Regione” (ma qui non specificate) al fine di “modificare e rilanciare nel mondo la sua immagine”.
Per tale motivo essa si presenta viziata da eccesso di potere per manifesta contraddittorietà e illogicità.
....La clonazione di capolavori...isolatamente considerata, non è certamente consona all’obiettivo di valorizzare, attraverso il bene culturale, l’intero territorio; obiettivo rispetto al quale appaiono funzionali eventualmente altre tecniche di riproduzione, che incrementano la diffusione della conoscenza dell’opera d’arte, stimolano l’interesse a vedere il capolavoro riprodotto, ma non intaccano, anzi piuttosto esaltano, l’unicum dell’opera d’arte."

Il TAR conclude, aggiungendo che la delibera del 2002 e le convenzioni "...si incentrano, invece, proprio sull’utilizzo della copia a scopi promozionali e di divulgazione dell’immagine della Calabria, non reputandolo per nulla un fatto indipendente e svincolato dalla riproduzione delle statue, come invece asserito nelle surrichiamate controdeduzioni, ma anzi la ragione fondamentale dell’operazione stessa."
Arriviamo quindi alla decisione del 17.4.2009, con la quale il CONSIGLIO DI STATO -SEZ. 6, con la SENTENZA N. 4779/2009 (depositata il 30.7.2009), accoglie il ricorso di: Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza archeologica della Calabria, Istituto centrale per il restauro, e Ministero dell’istruzione dell’università e annulla la sentenza emessa dal TAR di Reggio Calabria.
Scrivono i giudici del massimo organo di giustizia amministrativa:
"...Appare opportuno distinguere tra l’attività di valorizzazione del bene culturale e l’attività di tutela.
Mentre la valorizzazione, come correttamente rileva il primo giudice, deve essere il frutto di un intervento coordinato che veda coinvolti tutti i soggetti pubblici interessati, l’attività di tutela rappresenta prerogativa esclusiva dello Stato, in quanto soggetto proprietario del bene, che è quindi responsabile primario della sua conservazione.
Tale distinzione trae, del resto, fondamento anche nell’art. 117, comma 2, Cost., che, appunto, riserva alla competenza esclusiva dello Stato l’attività di tutela dei beni culturali, demandando, invece, alla competenza concorrente Stato-Regione, l’attività di valorizzazione".

E aggiungono:
"....La finalità di tutela emerge chiaramente, oltre che dalle caratteristiche intrinseche dell’intervento, da quanto è esplicitamente dichiarato, a giustificazione dell’iniziativa, sia nella nota ministeriale del 5.11.2003, prot. n. 22771 (in cui si legge appunto “si era ritenuta opportuna e conveniente la realizzazione delle copie dei bronzi di Riace a fini di tutela e conservazione, per disporre di una copia in caso di deterioramento degli originali”), sia nella nota dell’Istituto Centrale per il restauro in data 21.5.2003, già valorizzata da questa Sezione in sede cautelare (in cui si fa riferimento alla necessità della copia al fine della salvaguardia del bene ed altresì in considerazione della proprietà pubblica statale dei beni che si vogliono riprodurre a prevalenti fini di salvaguardia e ricerca).
Non si ha, quindi, alcuna “clonazione” di opera d’arte, ma solo una attività di tutela che lo Stato, in qualità di ente proprietario del bene, ha legittimamente posto in essere avvalendosi della collaborazione della Regione Calabria."

Pur non essendo avvocati, ma avendo fatto quel minimo di scuola che ci permette di saper leggere e capire, leggendo tutta questa storia attraverso le "carte ufficiali", appaiono evidenti numerose stranezze.
1. Casualmente (?), la delibera regionale incriminata dalla quale è scaturita la vicenda giudiziaria, non viene pubblicata sul bollettino regionale, così che il suo contenuto rimane noto solo agli "addetti ai lavori" e viene svelato al resto dei cittadini calabresi nelle sue parti più significative  solo dopo l'uscita della prima setenza.
2. Mentre il TAR, molto correttamente, fonda tutte le sue considerazioni, in fatto e in diritto, sul contenuto dell'atto deliberativo -vale a dire sull'oggetto della causa, il Consiglio di Stato fa derivare le sue convinzioni non dall'analisi della delibera impugnta ma da due semplici note (una del Ministero e l'altra dell'Istituto Centrale di Restauro) datate maggio e novembre 2003 che però non hanno -a nostro modesto parere- niente a che vedere con la delibera del 2002.
Dette comunicazioni, oltre a essere notevolmente tardive, sono infatti due semplici lettere e non atti amministrativi. Casualmente (?) però, il Consiglio di Stato le promuove a rango di prova "a giustificazione dell'iniziativa".
3. Pur riconoscendo ai giudici reggini di aver correttamente interpretato il dettato costituzionale e le disposizioni legislative riguardanti le competenze esclusive (tutela) o concorrenti (valorizzazione), il Consiglio di Stato sembra voler ignorare completamente il ragionamento del TAR.
In sostanza, il TAR rileva che la delibera fa formalmente riferimento alla riproduzione dei bronzi non in un'ottica della loro tutela materiale -che sarebbe di competenza esclusivamente statale, a prescindere che si tratti di "clonazione" o di semplice "copia" degli originali- ma in un più ampio quadro di iniziative pubblicitarie, finalizzate alla valorizzazione dell'immagine della nostra regione, che deve inevitabilmente essere coinvolta, in tutte le sue componenti istituzionali e civili.


In conclusione: TAR e Consiglio di Stato hanno sostanzialmente condiviso lo stesso impianto giuridico, ma il Consiglio di Stato, sembra non aver letto affatto la delibera regionale!
Non è strano?

P.S.:Chi volesse appprofondire gli aspetti giuridici, può seguire questo link

[Pubblicato su www.malanova.it]

"CASO BRONZI" -PARTE I: MEDICI E MALATI, CU SI VARDAU SI SARBAU


E' 'u malatu chi avi a iari nto medicu? o è 'u medicu chi avi a iari nto malatu?
Questa la domanda che nelle ultime ore attanaglia tutti (o quasi) i reggini (riggitani puro sangue e provincia annessa), riguardo al destino prossimo venturo dei bronzi di Riace.
Tentiamo di riassumere la complicata facenna: mettetevi commodi,  iarmativi di santa pacenzia, pigghiativi 'na camomilla e continuate a leggere...
Era il dicembre 2007, c'era ancora la buonanima del governo Prodi e Ministro dei Beni Culturali e Vice presidente del Consiglio era Rutelli, il quale illustrando il programma per i festeggiamenti del 150° anniversario dell'unità d'Italia, annunciò che tra gli "interventi a carattere culturale, scientifico, ambientale ed infrastrutture destinati a lasciare dei segni importanti nel territorio nazionale" era stato inclusa anche la "ristrutturazione e adeguamento funzionale del Museo Nazionale nel Comune di Reggio Calabria".
Poco più di un anno dopo (novembre 2008) il governo è cambiato, ma a Reggio Scopelliti è il riconfermato sindaco più amato d'Italia e, in questa veste, annuncia all'urbi e all'orbi l'avvio dei lavori che costeranno -tra Stato e Regione Calabria- circa un ventinaio di milioni di euri.
Partono i lavori e, a detta del dott. Prosperetti -Direttore generale del Ministero- la più importante prescrizione del capitolato d'appalto prevede che durante i lavori di ristrutturazione del Museo, la sala che ospita i Bronzi di Riace debba rimanere sempre ed ininterrottamente aperta per consentire il permanente accesso e la costante fruizione ai visitatori dei Bronzi di Riace. La “clausola” è stata fatta propria dall’impresa aggiudicataria che ne ha garantito il pieno rispetto.
Arriviamo al 2009. Il 17 Aprile esce la sentenza del Consiglio di Stato che, di fatto, consente la possibilità di realizzare le copie delle due statue bronzee [ne parliamo diffusamente in un altro articolo].
Si scatena un tira-e-molla riguardo alla possibilità di trasferire le due statue a La Maddalena in occasione del G8 per far fare una bella figura (?) al cavalier Silvio. Alla fine, gli esperti del Ministero conclusero che non era possibile trasferire i due guerrieri poiché troppi sarebbero stati i rischi collegati a una tale ipotesi, in considerazione della loro 'fragilità'. Bonu.
Poi la terra trema in Abruzzo e -chistu sì ch'è miraculu!- il movimento tellurico fa sì che, paradossalmente, le acque in riva allo Stretto si calmino. 'Rrivata la 'stati, ognuno si chitau i sensi e pinsau solo alle vacanze.
Finita festa 'i Maronna e, con essa, la bella stagione, i soliti 'ciriveddhi fini' hanno cominciato a travagghiari a pieno ritmo e partoriscono la novità.
La novità è chista. Chissà come mai, contrariamente a quanto previsto in sede di appalto, ci si è resi conto solo adesso che non è possibile conciliare l'esecuzione dei lavori all'interno del museo con la contemporanea normale esposizione dei bronzi e siccome i lavori dureranno fino al marzo 2011 (almeno così prevede il programma), che fine faranno i bronzei guerrieri?
Appena il tempo di cominciare a pensare a quale palazzo reggino avrebbe potuto accoglierli (numerose sono le proposte avanzate: Palazzo Campanella? Villa Zerbi? Pinacoteca comunale?) che, sempre i famosi esperti, sparano: i bronzi hanno bisogno di un check-up completo e, pertanto, devono necessariamente essere trasferiti a Roma, presso l'Istituto Centrale per il Restauro. Tanto, pensano loro, che ve ne fate se il museo dovrà chiudere?
L'ultima conferenza stampa è di ieri, 1 Ottobre. La Sovrintendente regionale, dott.ssa Bonomi rimane sul vago circa gli interventi che saranno effettuati, ma di una cosa è sicura: i bronzi andranno a Roma. Sì, partiranno (non si sa quando), faranno la visita specialistica all'ICR ( durata prevista circa sei mesi) e torneranno a Reggio -assicurano sia la Bonomi che Pepp(on)e Scopelliti- a visita ultimata e comunque entro il marzo 2011.
In tutta 'sta gran camurrìa però, ci sono delle cosette che non quagghiunu e che malgrado le recentissime citate rassicurazioni -nonostante 'a camomilla...e l'abitudini- ci fanno 'ntrubuliari 'u sangu. Come sempre.
1. La previsione contenuta nel capitolato d'appalto non è stata rispettata durante l'esecuzione. E' stato presentato un nuovo progetto di adeguamento? E' stato modificato il capitolato? Di progetti nuovi nessuno sa niente, il che significa che per le imprese escluse dall'appalto si aprirebbe la strada per fare ricorso, con conseguenti problemi di rispetto dei tempi d'esecuzione prestabiliti.
2. La chiusura prolungata e -a questo punto- totale del museo provocherà una sensibile diminuzione del già non eccezionale afflusso turistico a scopo culturale. Chi o cosa vieta di esporre i bronzi e le altre opere più pregiate nelle altre sedi disponibili fin qui indicate da più parti: Palazzo Campanella, Villa Zerbi, Pinacoteca comunale
3. La decisione di mandare le due statue a Roma per il check-up suscita più di qualche perplessità, poiché già nel 1994 era stato eseguito un primo restauro, che era durato sì due anni, ma si era svolto a Reggio, nei locali messi a disposizione dalla Regione Calabria.
4. La concomitante sentenza del Consiglio di Stato che ha dato il via libera alla 'clonazione', non fa che aumentare i timori di gran parte dei reggini relativi alla possibilità che i bronzi rimangano per tanto tanto tempo lontani da Reggio (con le conseguenze negative che possiamo facilmente immaginare), e che possa essere attuato quello che era il progetto originariamente previsto dalla Regione Calabria per pubblicizzarne maggiormente l'immagine. Ma, a parte le considerazioni di ordine giuridico [vedi sentenze], i reggini (e chi scrive) si erano già espressi in larga parte per il no.
5. MA SOPRATTUTTO: com' è che, a distanza di pochi mesi, quei bronzi che non potevano affrontare i pericoli di un viaggio per andare a La Maddalena, quegli stessi bronzi possono ora andare a Roma? Li ha guariti qualcuno o erunu scecchi i 'medici' del primo responso? Come e in che misura sono diminuiti i rischi di cui si parlava prima del G8?
Ma c'è di più. Quasi sedici anni dopo, con le tecnologie moderne, perché non è possibile eseguire il restauro dei bronzi direttamente a Reggio? Possibile che non ci sia un palazzo, una stanza, nu cantu [un angolino -ndr] dove poter accasare i bronzi?
E di più. Gli stessi esperti tecnici italiani  dell'ICR sono andati fino in Cina a restaurare le statue di un esercito di terracotta. Perché non dovrebbero venire a Reggio?
Va bene che la sanità calabrese è nell'occhio del ciclone e manca poco che anche per un raffreddore, andiamo a ricoverarci a Milano.
Ma se 'u malatu è malatu tantu gravi da non potersi muovere da casa, come accertato pochi mesi fa per lo stato di salute dei bronzi, sarebbe bene che fossero i 'medici specialisti' ad armarsi di stetoscopio, sfigmomanometro e ricettario e andare a casa degli illustri pazienti bronzei.
 In occasione della polemica del trasferimento al G8, avevamo proposto la mala-soluzione dei bronzi da giardino.
Ebbene, osservando le tante stranezze in quanto sta avvenendo, verrebbe quasi da pensare che qualcuno che magari si trova a Roma, sapendo che molti malati calabrisi vanno a curarsi in Lombardia, poiché nei dintorni di Milano ha a disposizione 'na bella villa cu nu bellu giardinu, approfittandu della concomitante possibilità della 'clonazione' offertagli dalla 'casuale' sentenza del Consiglio di Stato, mosso esclusivamente -pi' carità- da un grande slancio di solidarietà verso Reggio e la cultura calabrese, avrà pensato: "Questi  illustri 'malati' calabresi li accolgo volentieri io".
A pensar male si fa peccato, ma spesso ci s'indovina, no?
Se così fosse, la mala-soluzione diventerebbe clamorosa realtà e noi correremmo il rischio che il padrone della villa piazzi nel suo giardino le statue dei due guerrieri di bronzo, rimandandoci indietro due statue rimesse a nuovo sì, ma dalla clonazione!!!
Certo, lo scenario prospettatto magari sa di trama poliziesca di stampo Lucarelliano, alla 'Ispettore Coliandro' per intenderci.
Ma, è più forte di noi, specie quando le cose non sono molto chiare. Nelle nostre menti di calabrisi testa 'i ncunia, si materializzano le peggiori paure, che ci rendono estremamente diffidenti e ancora più convinti dell'eterna validità del detto tramandatoci dai nostri nonni: cu' si vardau, si sarbau!
[Pubblicato su www.malanova.it]

25 settembre 2009

IL COMUNE NON PUO' "SPEGNERE" I TELEFONINI


Pigghiati dal convulso susseguirsi di accadimenti che hanno caratterizzato l'estate scigghitana e gli ultimi giorni settembrini, sicuramente nessuno si ricorderà più del regolamento comunale per gli impianti di telefonia mobile.

Anche se sulla stamapa locale la cosa non ha fatto tanto 'rumore' da destare l'attenzione degli scillesi, proprio di recente è intervenuta una decisione del T.A.R. reggino che ci induce a dovercene ricordare forzatamente.

Nell'aprile del 2007, in piena 'bagarre elettrodotto', su questo blog si era diffusamente parlato dell'allora neo-licenziato regolamento comunale in materia.
Dopo una lunga disamina dei vari articoli e delle vigenti norme legislative -sia europee che nazionali- nonché di diverse sentenze della magistratura amministrativa, si concludeva:

"gli articoli: 1, 7, 8, 12, 13 e 15 sono del tutto o in gran parte contestabili da parte di qualsiasi titolare degli impianti in oggetto, in quanto contrastanti con la normativa vigente."

Sulla base del regolamento comunale, a febbraio dello scorso anno il Comune intimava alla Vodafone "la cessazione di ogni attività di trasmissione dai due impianti dei quali essa è titolare nel Comune (via Parco angolo via Matteotti e Stazione F.S.)", dando avvio al procedimento di disattivazione.
Il gestore telefonico ha proposto ricorso al T.A.R. -sezione di Reggio Calabria, il quale, con sentenza n. 541 dello scorso 29 agosto, come del resto era stato ampiamente previsto
, ha accolto le tesi esposte dalla Vodafone.
Infatti, oltre a lamentare l'illogicità manifesta del provvedimento inviato dal Comune, la Vodafone faceva presente che lo stesso atto era viziato 'a monte' "
dall’illegittimità del Regolamento in materia di telefonia mobile approvato con deliberazione consiliare n. 56/2006".

Questa osservazione è stata accolta in pieno dal T.A.R. reggino, che l'ha addirittura ritenuta "preliminare e assorbente" -vale a dire di importanza rilevante rispetto alle altre "lagnanze".
L'attenzione dei magistrati si è concentrata in particolare su due articoli: il 7 -che stabilisce le aree di divieto assoluto e quelle di particolare tutela, limitando perciò le aree di territorio utilizzabili per l'installazione degli impianti- e il comma 2 dell'art. 15, che estendendo le prescrizioni del nuovo regolamento anche agli impianti già esistenti, viola un principio dettato da norme europee.

In merito all'art. 7, nella sentenza si afferma chiaramente: "La giurisprudenza ha da tempo chiarito, infatti, che al Comune non è concesso di limitare soltanto ad alcune zone del territorio l’installazione degli impianti di telefonia mobile e che l’unica condizione che può essere imposta è quella di non superare i limiti legali di esposizione, oltre a poche eccezioni sui c.d. siti sensibili, singolarmente individuati e legittimamente esclusi dalle installazioni (es. scuole, ospedali, ecc.).
E’ altresì pacifico che ai Comuni non spetta disciplinare, nei loro regolamenti, l’installazione di impianti di telefonia mobile con limitazioni o divieti generalizzati e tali da non consentire una diffusa localizzazione sul territorio del servizio pubblico relativo, quando tale potere sia rivolto ad aspetti collegati con la salute umana (il che nella specie non risulta avvenuto), dal momento che siffatte esigenze sono valutate dagli organi statali a ciò deputati. Al Comune è consentito solo, con disposizione innovativa rispetto alle precedenti competenze in materia urbanistica, dettare prescrizioni volte a "minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici" (art. 8, comma 6, legge n. 36 del 2001).
A tale scopo può prevedere siti sensibili, quali scuole o ospedali, ma non può estendere, come avvenuto nella fattispecie, siffatti siti all’intero centro abitato (v.. ad esempio, C.S., VI, 19 giugno 2009, n. 4056, cit.; C.S., VI, 5 giugno 2006, n. 3332)."
Riguardo alla retroattività stabilita dall'art. 15 -comma 2, spiega che essa: "... viola chiaramente il principio, di derivazione comunitaria, di tutela dell’affidamento e della stabilità dei rapporti giuridici (v. T.A.R. Campania, I, 8 aprile 2005, n. 3587; C.S., VI, 9 giugno 2006, n. 3452)."

Davanti a tali motrivazioni -peraltro suffragate da una vasta e consolidata giurisprudenza- appare evidente che le previsioni dettate dal regolamento comunale di telefonia relativamente agli articoli citati (7 e 15.2) sono illegittimi, per cui anche il provvedimento con il quale il Comune intimava la 'fine delle trasmissioni' nei due impianti, è illegittimo.

Pertanto
il T.A.R. ha accolto il ricorso della Vodafone e, oltre ad annullare il provvedimento comunale dello scorso anno, ha disposto il "...conseguente annullamento degli articoli 7 e 15 del Regolamento per l’installazione di impianti fissi di telefonia approvato con deliberazione del Consiglio comunale di Scilla n. 56/2006 - nella parte in cui, rispettivamente, vietano l’installazione degli impianti nei centri abitati e estendono retroattivamente la disciplina regolamentare agli impianti esistenti...".

Un'ultima annotazione: per stavolta, la corte ha disposto la compensazione delle spese tra le parti, senza decidere oltre in danno del Comune, ma poteva andare peggio...

Alla luce di quanto avvenuto, appare in maniera evidente
l'urgenza di intervenire sul testo del regolamento approvato e apportare le necessarie modifiche, così che esso divenga davvero uno strumento utile alla salute e agli interessi della collettività e dell'Ente che la amministra.

20 settembre 2009

FRANE E "IADDHINARI": SIMU A MARI!

L'autunno è quasi arrivato e le prime piogge si sono fatte sentire. Ma non sono state piogge normali, comu a chiddhi 'i 'na vota.

Brevi temporali ma di un'intensità talmente forte da rendere le nostre strade vere e proprie sciumare.

Il risultato è che una discreta quantità di "maddu" si riversa per le vie del paisuzzo, finendo con l'arrivari direttamente a mari.
Il fenomeno non è nuovo, ed era stato segnalato già in passato a più riprese, l'ultima delle quali risale al febbraio scorso, quando sul malasito avevamo battiatu la neonata malanova's beach.

Il problema è che la frequenza con la quale il fenomeno si ripete, tanto da essere divenuto praticamente "normale".
Ma 'sta cosa normali non è, pi nenti.
Siccomu dalle nostre bande 'u mundu è 'i calata, per capire aundi può essere la rericata del pobblema, siamo andati a monte, vali a diri...'nchianammu p'a Mulia.
Ed è proprio percorrendo la strada provinciale "Scilla-Melia" che abbiamo avuto non poche sorprese, allo stesso tempo però piuttosto chiarificatrici.
Non sono poche, infatti, le innovazioni tecnologiche piuttosto "originali" adottate per regimentare il deflusso delle acque e prevenire l'insorgere di quei fenomeni franosi che nello scorso mese di gennaio hanno provocato disagi a non finire. Vediamole.

1. Dopo i primi tornanti, in località "Santa Croce", hanno provveduto a "murare" letteralmente i piccoli intervalli esistenti tra un muretto e l'altro che delimitano la sede stradale.















La soluzione adottata, dovrebbe evitare -secondo chi l'ha realizzata- che le acque meteoriche si riversino nei terreni di proprietà privata (come accaduto decine di volte in passato), danneggiandoli pesantemente, con conseguente danno patrimoniale anche alle casse provinciali.
Però, come vedete dalle foto (scattate nello scorso giugno, mentre venivano eseguiti i lavori), non esiste la minima traccia di cunetta in grado di convogliare debitamente l'acqua che invece finisce con l'occupare direttamente la sede stradale, con relativo pericolo per gli automobilisti.

Le sorprese non finiscono qui, anzi, sono appena iniziate. Vardàti:



2. Appena poche centinaia di metri più sopra, viene segnalato prima un pericolo generico, poi un senso alternato con limite a 20 km/h, poi una strettoia e, dopo una mezza curva appare quella che, a prima vista, sembra essere un'aiuola, con tanto di cordoletto in cemento, delimitata da paletti in ferro ivi annegativi ma privi di rete. L'"aiuola" è posta giusto ai piedi di un alto e spesso muraglione che era stato realizzato pochi anni fa, dopo una delle più grosse frane verificatesi sulla martoriata provinciale.
Guardandovi dentro, è possibile veerificare come questa "innovazione" si sia comportata comu 'na speci di...panaru, dove si vanno raccogliendo le pietre che, a poco a poco, cascano giù dalla sommità del muro.
Insomma, alla Provincia, si 'mbintaru una specie di "variante stradale" della normale pallacanestru: al posto del pallone a spicchi, ci sono le mazzacani; al posto del canestro, la simil-aiuola semirecintata.

3. Pochi tornanti più su, la storia si ripete. Altra simil-aiuola a fare da moderno cupeddhu in cemento, anche qui con cordolo, paletti ma senza rete.
In questo caso, la quantità di mazzacani cadute è maggiore e molte di esse sono finite proprio in mezzo alla strada.
In più, iazandu l'occhi giusto sopra la bizzarra aiuola, si vede che la frana è in pieno movimento.

4. Continuiamo a salire e, meraviglia delle meraviglie, ci appare davanti agli occhi un nuovo tipo di cunetta. Non è né all'italiana, né alla francese. E' alla... rriggitana


un pugnu i cimento, 'mmunziddhatu a manu!

Ironia della sorte, di fronte, giusto dall'altro lato della strada vi è una cunetta di vecchia realizzazione, fatta come si deve:

Vistu e consideratu che evidentemente alla Provincia non hanno idea di cosa sia una cunetta, non potevano almeno sforzarsi di...copiare quella che c'era??!!

Il nostro "poker" di segnalazioni si chiude facendo presente che, a parte le "maravigghie" di cui sopra, continuano a esserci tratti interessati da smottamenti e caduta di pietre un po' lungo tutto il percorso. Inoltre, tutte le cunette (quelle vere) esistenti, sono piene di erbacce o fogliame che finisce con il riversarsi sulla sede stradale, deviando peraltro il naturale deflusso delle acque.

Questo il quadro generale dello stato in cui versano i 7 km di strada provinciale che collegano Scilla a Melia.
Numerosi gli interrogativi che nascono spontaneamente, circa le scelte fatte dalla Provincia per "mettere in sicurezza" un tratto di strada altamente trafficato.
Come mai, nei tratti di muretti chiusi, non sono state realizzate le cunette? Come mai si sono realizzate quelle similcunette artigianali? Come mai, a distanza di tanti mesi e con l'approssimarsi del prossimo inverno, persistono ancora dei tratti di frane che non sono state eliminate completamente?
Ma soprattutto:
come si può pensare a limitare le frane con dei cupeddhi (alias canestri) destinati ad accogliere le pietre che cascano giù con preoccupante regolarità dopo ogni temporale?
Come si può pensare di avere a che fare con "pietre intelligenti", cioè capaci di cadere direttamente negli spazi così predisposti?
Come si può pensare di arginare le frane, realizzando dei pericolosi restringimenti della sede stradale, per di più in prossimità delle curve?
Come si può pensare di salvaguardare l'incolumità di coloro che transitano sulla Provinciale, affidandone la protezione a una semplice rete metallica sicuramente più adatta a qualche iaddhinaru?

Nonostante tutto, qualcuno non solo l'ha pensato, ma -quel ch'è più grave- l'ha anche messo in pratica anche se non l'ha ancora completato.
Chi l'ha pensato, è lo stesso Ente, la Provincia, che ha già fatto sfoggio nel nostro Comune di alta tecnologia e rispetto ambientale, realizzando quel capolavoro della via Sinuria!!!

E quest'ultima grande pensata, insieme alle soluzioni tecniche di cui s'è detto ampiamente, fanno sì che dopo ogni chiuvuta, le pietre e il fango arrivino -strata strata- fino in paese oppure giù dritti fino al mare, che sempre più spesso, cangia culuri.

E intantu nui, tra frane e "iaddhinari", simu a mari.

16 settembre 2009

ONNA, IL CAVALIERE E IL RECORD MANCATO

V'u dicu subitu: Non ho visto "Porta a Porta".
Non sopporto nemmeno l'idea di vedere e/o sentire cose che puzzano di propaganda di governo lontano un miglio.

Perciò, senza perdermi in chiacchiere, ecco qual' è lo stato dell'arte dei progetti avviati dalla Presidenza del Consiglio: fonte uffciale il sito della Protezione Civile. Chi può saperlo meglio di loro?


Questi che vedete sopra, segnati in nero, sono i paesi interessati dal progetto C.A.S.E., cioè dalle nuove costruzioni, concepite con sistemi di fondazione antisismici e realizzate con materiali sostenibili ed ecocompatibili.

Come si può constatare, la frazione di Onna (dove sono state consegnate le prime case in diretta TV), dista poco più di 3 km da Bazzano, l'ultimo paesino interessato dal progetto.
Nel progetto C.A.S.E., Onna [cerchiato in rosso-nda] non c'è.
La stessa Protezione Civile, nel rapporto al 14 settembre 2009, ci informa che: sono stati completati tutti gli scavi e le piastre di tutti gli edifici; sono iniziati i lavori per il 73% di essi; in verità, a oggi, ne sono stati ultimati solo 7 sui 164 previsti!
Gli altri 157 alloggi dovrebbero essere completati entro la fine di settembre.

Lo scorso 18 giugno, è stato pubblicato il bando -scaduto il primo luglio- per la fornitura delle "casette" in legno o, come vengono chiamate in termine tecnico i M.A.P. (Moduli Abitativi Provvisori).
Sono moduli da 40, 50 o 70 mq, il cui costo a base di gara è di € 760,00/mq (iva e oneri per la sicurezza esclusi).
Nell'edizione del 26 giugno scorso di "L'Abruzzo e noi" a cura sempre della Protezione Civile, a pagina 3 viene specificato che:
"Il Dipartimento della Protezione Civile può accettare in base all’art.12 dell’ordinanza n.3782 del 17 giugno 2009, donazioni per la realizzazione dei moduli abitativi provvisori.
...La cittadina di Onna, anche se frazione del Comune dell’Aquila, in cui viene realizzato il progetto C.A.S.E. (all'Aquila -nda), ha chiesto di adottare la soluzione dei prefabbricati in legno, più simili alle abitazioni del piccolo centro e quindi più familiari agli abitanti. Entro il 15 settembre i suoi trecento abitanti riceveranno 91 case in legno, donate dalla Provincia Autonoma di Trento e dalla Croce Rossa Italiana, che garantiranno agli abitanti di uno dei centri più duramente colpiti dal terremoto la possibilità di vivere in case sicure e funzionali. Per consentire alla persone di lasciare le tendopoli prima della stagione invernale, sono stati donati o finanziati anche asili nido, scuole, oliambulatori, un complesso per bambini diversamente abili, una tensostruttura per l’università e una cittadella scolastica."
Checché ne dicano i giornali, la radio o la Vespa ossequiosa, le casette di legno, che costituiscono pur sempre una sistemazione temporanea per loro stessa definizione -sia pur certamente più comoda di una tenda- sono il frutto di una parte delle gentili donazioni effettuate dalle provincie di Trento e Bolzano e dalla regione Friuli.

Questa è la verità.

Così com'è storicamente vero che in occasione del terremoto in Irpinia, nel 1980, in 122 giorni (poco più di quattro mesi), furono costruite 150 casette in legno tipo "chalet", a favore di 450 persone.
Si tenga conto però che la tecnologia era quella di trent'anni fa e i mezzi e l'organizzazione della Protezione Civile erano allo stato...artigianale, nemmeno lontanamente paragonabile alla struttura odierna.

Dispiace per il Cavaliere, diversamente da quanto fatto in diretta nazionale, non può vantarsi di niente, perché non potrà aggiungere questo record al suo palmares personale [vedi post precedente].

L'unica cosa di cui tutti possiamo vantarci è di avere una struttura come la Protezione Civile e, soprattutto, un cuore davvero grande, che ci rende fieri e orgogliosi di poterci dire italiani, a prescindere da chi, volenti o nolenti, ci rappresenta.

13 settembre 2009

IL BERLUSCA: MI VANTU E MI VANTEU...

Ma comu s'avi a fari?
Non passa iornu che il nostro Presidente del Consiglio, il cavalier Berlusca, non ne inventa una o ne spara un'altra.
Sarà la vecchiaia che avanza? Non si sa. Fattu sta che il Silvio nazionale non perde occasione per rimarcare tutte le sue "virtù" e i suoi record personali.

Ora, avvicinandosi l'anniversario dei 150 dall'unità d'Italia, il Berlusca ha pensato bene di andarsi a sfogliare i libri di storia e ha fatto una scoperta sensazionale: è rimasto al potere più di Camillo Benso conte di Cavour e più di Alcide De Gasperi!
Un doppio sorpasso mancu fussi 'u megghiu pilota 'i formula 1: praticamenti megghiu puru 'i Michael Schumacher e Felipe Massa a Montreal l'anno scorso.

P'amuri 'i Diu, non voglio fari polemichi inutili. Mi limito solo a osservari che -pu giustu e pu sbagghiatu, il conte di Cavour l'Italia l'ha fatta e resa una nazione sola; il governo del cavaliere, in molte sue leggi e modifiche costituzionali o anche in comportamenti e atti, -per carità, alcune giustificate dal mutar dei tempi- non ha dato proprio l'impressione di volerla salvaguardare.
Che dire poi di De Gasperi. E' un personaggio la cui grandezza -politica e morale- è sicuramente fuori discussione. Il Papa Benedetto XVI, ricordandone la figura, ha detto di lui: fu un modello di fede e di coscienza morale, sia di stimolo a coloro che guidano l'Italia.
Rimanere al potere per un tempo maggiore rispetto a queste grandi figure storiche, non vuol dire però essere migliori.

Comunque, al Cavaliere questo non sembra interessare. Ciò che invece sembra interessarlo di più, è scrivere il suo nome su tutti i libri dei record, di qualunque tipo: politici, governativi, giudiziari (in più di un'occasione ha scherzato sul numero di provvedimenti emessi
a suo carico dalla magistratura).

Chi di voi negli anni '80 era figghiolu comu a mia, ricorderà di sicuru "Gli impossibili": tre supereroi, Coilman (l'uomo molla), Fluiman (l'uomo che si trasforma in liquido) e infine Multiman, l'uomo in grado di creare perfetti cloni di se stesso.
Ebbene, il cavaliere ha assunto in questi anni diverse sfaccettature ma è rimasto sempre fedele al suo ruolo di leader, in ogni settore: dal presidente-cantante al presidente-imprenditore; dal presidente-ferroviere, al presidente-operaio/muratore. Si può quindi dire con assoluta certezza che il cavaliere ha anche un altro record: Silvio ha battuto perfino Multiman!

L'ultima veste sotto la quale si è presentato in questi giorni è quella del presidente-conquistatore.
Non del Paese, quello ce l'ha già in mano da più di quindici anni, ma di donne.
Il nostro Silvio, novello Re Sole d'Italia, dice di averne conquistate parecchie e fare il conquistatore gli piace. Eccome se gli piace.

E come ogni grande conquistatore, tombeur de femmes, Silvio si piace così com'è e non perde occasione per vantarsene.

Di coloro che però si vantano sempre, di come sono, della loro immagine, di qualunque cosa facciano, ho imparato a diffidarne fin da bambino, tenendo bene in mente quello che -nei suoi commenti lapidari, diretti ed efficaci- diciva me' nonna: mi vantu e mi vantéu, chi bellu sceccu chi sugnu ieu!

Il Silvione nazionale da l'impressione di volersi sentire un giovincello, uno di quelli che -come dicevano i nostri antenati- 'u specchiu 'u rumpunu.
E' un po' un Dorian Gray dei moderni tempi italici. E questa sua politica fondata sull'immagine (come potrebbe essere altrimenti?), al momento lo sta ripagando ampiamente: "Gli italiani mi vogliono così".
Ma gli italiani non sunnu fissa. Almeno non tutti.
Se ne avessi la possibilità, come Lord Wotton, con il dovuto rispetto vorrei chiedergli: "Ora, ovunque andiate, voi incantate il mondo. Sarà sempre come oggi?... "

30 agosto 2009

PUMARORU 'MERICANI

Agosto è arrivato alla fine ma l'afa continua.
La temperatura si mantiene su livelli quasi normali ma se durante la pennica pomeridiana 'mbiddhati nto divanu e siete costretti a rimanere chiusi "blindati" nell'unica stanza dotata di condizionatori, la colpa è solo dell'umidità che da settiamane ormai, raggiunge livelli...amazzonici.
Un po' di refrigerio si riesce a trovare solo in serata.
A cena, per rinfrescare palato e stomaco, sette giorni su sette non può mancari 'na bella 'nzalata 'i pumaroru. Aaahh!




Da buon calabrisi, mettiamo le aggiunte più svariate (citrola, cipuddhi, patati, ecc.), così che anche una normale insalata -comunemente consumata da chi cerca di tenersi a dieta- presenti un apporto calorico non indifferente!
Ma i pumaroru sono talmente versatili nel loro utilizzo culinario da essere preparati praticamente in tutti i modi: ripieni di muddhica adeguatamente cunzata costituiscono un prelibatu contornu o sicundu piattu; ripieni di risu sono una leccornia che non puoi non assaggiari, magari 'mpanzanduti di bruttu; semplicemente sciaccati, nto piattu con olio, sale e 'na fogghia di bascilicò, mmhhh!
Insomma, comu 'a giri e comu 'a voti, d'estate it's pumaroru's time!





Sebbeni il monu latinu di Solanum lycopersicum a chi non di mangia (di latinu intendu, non di pumaroru), potrebbi far pinsari una provenienza sulanota, certamenti a nui più vicina, in realtà trattasi di pianta provenienti dalla 'Merica, sparmentata nelle terre dell'attuali Perù dagli antichi Aztechi, giunta dalle nostre bande versu la fini del '500.
La "pesca dei lupi" -chistu il significatu latinu, furbi i lupi!- in origini, nelle terre 'mericane aviva un culuri 'ndoratu.

Apoi, nel meridione d'Italia fu 'nzitatu e 'nzitatu talmente tanti voti in più di quattrucent'anni, da cangiari culuri e ddivintari russu. Cusì chi dell'originario pumaroru, in effetti ndi ristau sulu 'a forma ...ra puma (mela). Ma in giro per il mondo ndavi puru ianchi, gialli, virdi, zebrati, ecc.


E' di qualche iornu fa la notizia che, tra le diverse varietà, in Calabria ne è stata truvata una nova.
Ma non l'ha truvata un espertu botanicu, bensì i Carabbineri!
Arrivati sul posto, hanno vistu 'sti belli pianti iati ddu' metri, belli tisi tinuti benissimu dai proprietari di un terrenu di proprietà privata, ma i cui frutti non si vidivunu.

"Vo' viriri chi 'rrivammu tardu e 'i pumaroru i cugghiru e già ficiru puru 'i buttigghi?!" pinzaru i carbuneri, ammirandu 'sta specie nova di pumaroru.
Poi però hanno notatu 'na cosa strana: 'sti pianti i pumaroru erano piantate a menz' e' fasciolari, e' mulingiani e ad altri ortaggi di stagiuni.
Allura la cosa ccuminciau a ddivintari trubili.
A vardarli megghiu, 'sti pumarorari erunu strani assai: le fogli erano tese e appuntite, il fusto della pianta troppu tisu, considerandu che non piove da diverso tempo.
Girando per il terreno, hanno anche trovato delle foglie di queste portentose piante già essiccate.
"Ma ieu mi mangiaia sempri i pumaroru sicchi, non i pumarorari sicchi!" -pinzaru giustamenti i carabbineri.
Siccomu tri indizi fannu una prova, allura capisciru che non trattavasi di piantagioni di pumaroru ma della maliritta cannabis, che nei diversi e continui controlli del territorio nostrano, i Carabinieri e le altre forze dell'ordine sequestrano oramai con cadenza giornaliera.
Vistusi scoperti, la moglie di uno dei proprietari -naturalmente arrestati- ha cercato di giustificarsi dicendu: "Me' maritu mi dissi chi erunu pumaroru 'mericani!"



Un po' debuli come giustificazioni, anche se le similitudini -oltre all'aspetto- tra pumaroru e cannabis non mancano.

Magari il maritu avrà cuntatu sul fattu che la signura non sapi chi tutti i pomodori che mangiamo hanno già origini 'mericana e si sarà facilmenti confusa per il fatto che, tra i diversi sistemi di allevamento della pianta di pomodoro, dalle nostre parti si usa quello della 'ncannata (ovvero le piantine, affinché crescano dritte, fatte passare attraverso una coppia di canne a loro volta legate a dei pali di sostegno in legno).
Ma la'ncannata è cosa ben diversa dalla cannabis!

In verità, non credo proprio che la signora si sia confusa o sia stata ingannata dal marito.
Posso credere che non sia esperta di pratiche agricole, ma da brava e vurpigna donna di casa calabrisi, penso sappia benissimo che 1 Kg di cannabis vale 8-10.000 euro, mentri i pumaroru -paravisu mi avi cu ra 'Merica i purtau!- vannu sulu a 2 euro o' chilu!!!

25 agosto 2009

LA BANDA DI SCILLA E I SALTIMBANCHI

'A festa finìu.
Ieri sera, chiusura dei festeggiamenti con la tradizionale processione di Sant' a Rroccheddhu, dalla Cresiola fino alla chiesa e deposizione della statua nto stipu.
La serata si è poi conclusa con l'altrettanto tradizionale concerto del complesso bandistico Città di Scilla, per la cui cronaca rimando direttamente all'articolo pubblicato sul blog ReggioPress.

E' stato un concerto bello ma strano allo stesso tempo. Non certo come qualità ed esecuzione dei brani.
La stranezza stava tutta nella "logistica" del concerto.
Penso sia stata la prima volta nella storia dei concerti bandistici, che la banda non abbia suonato dal palco, bensì direttamente sulla piazza, fino a nte scalunati del palazzo municipale.
Questa sistemazione è stata in un certo qual modo obbligata dalle particolari condizioni meteo. Infatti, ieri sera si facevano sentire già le prime avvisaglie dello scirocco che ci sta avvilendo da menza iurnata.

Una situazione meteo non certo ideale per l'acustica di un concerto. Per ovviare a tale inconveniente, i "banditi" -intesi naturalmente come componenti del complesso bandistico- hanno preferito "accucciarsi" letteralmente, proteggendosi le spalle con il... Comune, disponendosi perciò a semicerchio proprio davanti gli scalini d'accesso al palazzo comunale.

E il pubblico? In questo strano scambio dei posti degno della migliore quadriglia -Changez les dammes, Je vous en prie!- il pubblico si è accomodato in parte in piazza e in parte...direttamente sul palco! Geniale no?

Lungi da me l'intenzione di fare polemiche, una domanda però mi firrìa da ieri sira per la testa: come mai il concerto della banda non si è svolto nell'anfiteatro, inaugurato il mese scorso e rimasto da allora praticamente inutilizzato?

Di certo, si può comprendere che trattandosi di festa patronale lo scenario ottimale è rappresentato dalla piazza. Questo sia per ragioni diciamo così storiche, che per ragioni commerciali, d'importanza non secondaria.

E' fuori di dubbio però che un tipo di musica così particolare come quella proposta da un concerto bandistico, che non può usufruire dei moderni mezzi di amplificazione ma deve gioco forza affidarsi solo al... fiato dei musicisti, necessita di uno spazio con determinate caratteristiche di acustica. Questo sia per chi ascolta, sia, in particolare per gli stessi esecutori dei brani che ieri sera non riuscivano a sentirsi tra loro o, comunque, hanno avuto non poche difficoltà, nonostante la sistemazione di fortuna di cui sopra.

La piazza avrebbe potuto ospitare tranquillamente ogni altro tipo di spettacolo, così com' è accaduto nelle serate di venerdi, sabato e domenica scorsi.
Certo, limitare gli spettacoli ai soli tre giorni della festa non è degno di un paese che punta a rimarcare in ogni occasione la propria "vocazione" turistica.
Ma, con il massimo rispetto verso i seminaristi, la vocazione al turismo di Scilla sembra essere sempre quella di un pluriripetente studente al primo anno di seminario!

Proprio ieri sera si è rimarcata l'importanza del ruolo sociale svolto dalla banda, specie in una comunità piccola come quella scillese.
Beh, a quanto s'è visto, non sembra proprio che i fatti siano consequenziali alle parole!

Oltre all'organizzazione, gravata completamente sulle spalle dei suoi stessi componenti, vedere la banda esser trattata quasi alla stregua di un comune complessino di artisti di strada, non è sicuramente bello.
No, non voglio certo esagerare, ma è la prima impressione che ho avuto ieri sera, appena arrivato in piazza.
Ad aggravare il quadro "logistico", aggiungo la completa mancanza di una segnaletica atta ad impedire l'accesso alla piazza: mentre la banda eseguiva i suoi brani davanti al comune, le auto e gli scooter potevano liberamente circolare in piazza e nelle adicenti via Raffaele Piria e via Umberto I. Un complessino di saltimbanchi sarebbe stato trattato con maggiore rispetto!

Oltre agli aspetti economici sopra richiamati -che avrebbero potuto essere sicuramente compensati con un'organizzazione di eventi adeguata durante le due settimane di agosto che hanno preceduto la festa- il mancato utilizzo dell'anfiteatro non può essere giustificato nemmeno dai danni tuttora evidenti sulla struttura.
Essi, denunciati pubblicamente sulla stampa locale nei giorni successivi all'inaugurazione, erano in gran parte presenti ed evidenti già prima di tale data, come avevamo avuto modo di segnalare e documentare direttamente.
Potrò anche sbagliarmi, ma non credo vi fossero problemi tali da impedire lo svolgimento del concerto alla banda.

L'anfiteatro avrebbe costituito la cornice più adatta a evidenziare il talento e la bravura dei componenti del complesso bandistico Città di Scilla, specie se si considera che era integrato da elementi provenienti da altre formazioni bandistiche, abituate ad esibirsi su palcoscenisci ben più prestigiosi e comodi... ri scaluni ru Cumuni.

Ma tant'è, ci dobbiamo sempre far riconoscere per quelli che siamo: incapaci di valorizzare il grande patrimonio umano e le poche strutture a disposizione, di cui invece dovremmo essere orgogliosi e fieri.
Così, per noi, tra un complesso bandistico con la sua storia e le sue tradizioni e un gruppo di saltimbanchi (cu tuttu 'u rispettu p'i saltimbanchi), non c'è alcuna differenza.