11 febbraio 2013

LE DIMISSIONI DI PAPA BENEDETTO XVI: L’ONNIPOTENZA E L’UMANITA’

fulmini VaticanoSono un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”.

Con queste parole si presentò al mondo Papa Benedetto XVI nell’Aprile del 2005, il giorno della sua elezione.

Oggi la notizia, giunta come un fulmine a ciel sereno, si è trasferita in un attimo in ogni angolo del mondo: il primo contadino della fede ha deciso di lasciare la vigna.

Lo fa con i suoi piedi e in piena coscienza, in maniera secca, con un gesto semplice, umile e al contempo rivoluzionario.

Anche se il fulmine ha colpito a ciel sereno, in verità in molti se lo aspettavano da tempo. Almeno da un anno, molti erano stati i “tuoni” che l’avevano in un certo senso preannunciato.

In queste ore, molti sono stati i commenti circa i motivi “nascosti” di queste dimissioni.

E’ indubbio che uno studioso della fede e della religione della fratellanza per eccellenza come Papa Ratzinger, sia rimasto profondamente colpito dallo scandalo provocato dalla divulgazione di documenti riservati. Quel tradimento –perché di vero e proprio tradimento s’è trattato- non può non aver pesato nell’assunzione della decisione odierna.

Altri, più stupidamente, hanno parlato anche di "codardia" e di incapacità nella gestione degli "affari vaticani"

Le motivazioni che l'hanno indotto a prendere questa decisione definitiva sono secondo me ben più profonde.

Con il suo gesto, Papa Ratzinger ha dimostrato una dimensione umana che non ha nulla a che vedere con quell’immagine di potenza che viene cucita addosso a chiunque rivesta una carica di grande levatura, a maggior ragione addosso a un Papa.

Benedetto XVI rimarrà nella storia, proprio come Celestino V, da noi conosciuto solo attraverso le pagine della Divina Commedia.

Celestino amava la solitudine, la meditazione, proprio come Joseph Ratzinger, sempre alla ricerca quasi fisica di Dio, attraverso la preghiera e lo studio della Parola.

A questo proposito, mi tornano in mente alcune frasi dal suo libro "Gesu di Nazareth" che mi hanno molto colpito:

"L'accesso immediato di Mosè a Dio -che fa di lui il grande mediatore della rivelazione, il mediatore dell'Alleanza- ha dei limiti. Egli non vede il volto di Dio anche se gli è permesso di immergersi nella nube della sua vicinanza e parlare con Lui come con un amico"....All'ultimo profeta, al nuovo Mosè sarà concesso in dono quello che è negato al primo -vedere davvero e immediatamente il volto di Dio e poter così parlare in base alla piena visione di Dio e non soltanto dopo averne viste le spalle".

Dunque, nemmeno chi veramente conosce nel profondo la Parola, perché vi si immerge come in una nube che lo avvolge e lo avvicina a Dio, potrà vedere com'è fatto Dio. Può solo parlargli, ma da amico.

L’estrema vicinanza a Dio non è quindi un mezzo per divenire Onnipotenti né per mettersi sul Suo stesso piano. Nessuno degli uomini, per quanto potenti siano o si credano di essere, ci riuscirà.

Secondo me, in queste parole è racchiusa invece la profonda consapevolezza da parte di chi crede, primo fra tutti il Papa, della vera natura dell'uomo e dei suoi limiti fisici. Quei limiti che oggi ha riconosciuto pubblicamente.

Nell’ultimo tweet consegnato alla rete e alla storia appena ieri, il Papa ha scritto: “Dobbiamo aver fiducia nella potenza della misericordia di Dio. Noi siamo tutti peccatori, ma la Sua grazia ci trasforma e ci rende nuovi”.

Ecco ancora una volta messa in evidenza la fragilità dell’uomo. Quel “siamo tutti peccatori” (di certo non una frase nuova per la Chiesa cattolica) è l’ennesimo promemoria della fragilità umana, che include necessariamente anche lo stesso Papa, il quale da uomo estremamente sapiente, non si sottrae alle sue colpe.

Tutt’altro. Nell’accettarle, da credente si affida alla grazia dell’Onnipotente, l’unica forza in grado di trasformare e rinnovare gli uomini, ivi compresi gli uomini della Chiesa cattolica e quindi la stessa Chiesa come istituzione.

Riletta oggi, a poco più di 24 ore di distanza, alla luce delle dimissioni annunciate, si può dire che questa frase costituisce il segnale dell’inizio di una rivoluzione; il segnale che quella vigna del Signore nella quale Benedetto XVI ha operato per quasi otto anni, è destinata a subire profonde trasformazioni.

Ma a continuare a coltivarla non sarà più un contadino tedesco, oramai vecchio e, giustamente, stanco. A continuare l’opera di pulizia e disinfestazione già avviata –preludio a ogni trasformazione del terreno, saranno altri. Lui, Joseph Ratzinger, nella vigna vi era entrato quando c’era da ripartire quasi da zero, ha iniziato a pulire e non l'ha mai chiusa, rifugiandosi nella sua "nube di vicinanza". Ha invece sempre cercato di farci entrare tutti i cristiani, mediante le sue opere, i suoi scritti. Di questo mi sento in dovere di ringraziarlo.

Oggi è uscito dalla vigna in piena coscienza, ma non l’ha abbandonata. Ha solo lasciato il cancello aperto.

* Foto di Alessandro Di Meo, (agenzia Ansa) via La Repubblica

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